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Autore: Fabio Brusa    06/09/2018    0 recensioni
Nella calda estate romana la vita di Furio Valente, professore mancato, marito infedele e abbandonato, scrittore senza pubblico, stenta a risollevarsi dalle ceneri dopo la separazione. La fiacca monotonia della sua quotidianità viene sconvolta dalla richiesta d'aiuto di un vecchio compagno di università, che gli spedisce l'indizio iniziale di un'improbabile caccia al tesoro, per poi scomparire senza lasciare traccia.
Comincia così l'avventura di un uomo eccezionalmente normale alle prese con testi antichi, segreti impronunciabili e domande fondamentali sull'esistenza di Dio. Ma sopratutto Furio sarà costretto a misurarsi con il peso delle proprie azioni passate e la necessità, per la prima volta, di lottare per ciò a cui tiene davvero.
Scelta da Extravergine d'autore.
Genere: Mistero, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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L'amore di chi scrive vive in eterno,
nei gesti e negli sguardi
di ogni donna, in ogni mondo.
Per Arianna.
 
PROLOGO
 
La gioventù, che cercava libertà attraverso la cultura, sbocciando come il rosso fiore di un'avida primavera, aveva reso la biblioteca più affollata della moschea di Al-Mursi. Il professor Abbou trovava inaspettato ma incoraggiante che, in un Paese come l'Egitto, stesse rifiorendo l'interesse per il sapere. Il recente passato, nel quale la repressione era stata la realtà del quotidiano, aveva spento le genuine scintille di speranza tra la popolazione. Ma una nuova generazione di guerrieri, armati di libri e idee di progresso, stava crescendo nel sottobosco culturale di tutto il nord Africa. Complice la crisi economica mondiale, che anche lì faceva sentire i suoi colpi laceranti, nella società serpeggiava aria di cambiamento. Ad Alessandria, anche senza che il meraviglioso faro indicasse la via, stava rinascendo il futuro.
Farsi Abbou era uno tra i più importanti dipendenti della ricostruita Bibliotheca Alexandrina, antico portento affacciato sul Mediterraneo che rivedeva di nuovo la luce dopo secoli. Farsi era stato uno dei grandi acquisti del consiglio direttivo della Bibliotheca: laureato in lettere antiche alla Sapienza di Roma, professore e poi co-rettore della facoltà di archeologia all'Università del Cairo, era uno dei massimi esperti di filologia sacra al mondo. Aveva passato anni a studiare i papiri delle grotte di Qumran, sul Mar Morto, sviluppando una propria appassionante teoria sulla successione storica dei Vangeli. Aveva inoltre studiato approfonditamente il Corano, elaborando e approfondendo i punti in comune con la Bibbia su argomenti in apparenza insignificanti. Insignificanti anche secondo parte della comunità degli studiosi, poiché il suo saggio “Mille volti di un unico prisma” non aveva avuto il riscontro che Farsi cercava. Aveva attirato in ogni caso l'attenzione di alcuni finanziatori dell'Università di Alessandria che gli avevano proposto di entrare a far parte di un progetto ambizioso: ridare vita a un impareggiabile centro culturale. Quasi senza accorgersene, si era ritrovato il 16 ottobre 2002 a presenziare all'inaugurazione della nuova Bibliotheca Alexandrina. L'immaginifica struttura era stata disegnata da uno studio norvegese, che aveva vinto una gara con partecipanti da tutto il globo. L'idea di ridare vita a quella biblioteca aveva entusiasmato gli animi talmente tanto che erano arrivati investimenti e donazioni da enti pubblici e privati, interessati alla divulgazione, all'istruzione e soprattutto alla buona pubblicità. Non avevano destato troppo stupore i milioni di dollari donati dagli Stati arabi, mentre l'Europa si preoccupava di fornire la conoscenza, in forma scritta e tangibile, con cui riempire l'edificio. Nessuno poteva ancora immaginare quanto tutto quel libero sapere avrebbe contribuito in maniera decisiva a formare la classe di giovani colti che avrebbe guidato la rivoluzione nel 2011.
Nella sala di lettura della Biblioteca Principale Farsi stava sfogliando uno dei nuovi arrivi nell'ala ellenica, un'antica versione latina dell'Odissea. Aveva avuto l'onore e la gioia di pubblicarne una versione commentata l'anno precedente, della quale la Biblioteca Francofona si era immediatamente dotata. Era stato particolarmente felice di riportare in auge fra i giovani uno dei suoi autori più amati: lo aveva messo di buon umore quasi quanto i nuovi cinquemila volumi acquistati dalla biblioteca, anche se gran parte dell'immenso edificio rimaneva, purtroppo, ancora vuoto. Il progetto originale prevedeva uno spazio sugli scaffali per quasi otto milioni di libri, senza contare le zone protette dove venivano conservati i testi di maggior valore. In realtà a occupare il proprio posto c'erano poco più di seicentomila volumi, sistemati per la maggior parte nelle zone centrali, nel tentativo di evitare che la sensazione di vuoto potesse essere predominante. Per ovviare al problema, la direzione teneva ancora chiusi interi settori dell'edificio, concentrandosi sulle visite ai tre musei, sulle eleganti gallerie d'arte e sul riempire il centro congressi.
Sotto i pannelli in vetro che ne costituivano il soffitto, la sala di consultazione rifulgeva di luce e magnificenza. Certo, c'era ancora molto da fare per l'ambizioso progetto, ma ciò che era già stato realizzato possedeva l'indubbio dono di mozzare il fiato ai visitatori. Era stata anche quell'aria di sacra Sophia che aveva convinto Farsi ad accettare la direzione del laboratorio di restauro manoscritti. C'era sicuramente qualcosa di magico in quel Paese, in quella città, in quella biblioteca. Ci lavorava ogni giorno e ormai, da anni, era diventato anche il suo luogo di rilassamento, di divertimento e dove trascorrere il tempo libero. Eppure, ne rimaneva sempre affascinato. Era sicuro di avere fatto la scelta giusta nel trasferirsi ad Alessandria e ormai non pensava nemmeno più a tutto quello che aveva dovuto lasciare.
Richiuse la copia dell'Odissea che stava sfogliando e la rimise con grande cura sullo scaffale. Ogni libro era una reliquia, qualcuno più degno di attenzione di altri, ma tutti ugualmente meritevoli di rispetto. Sospirò soddisfatto, pur realizzando che la pausa caffè era ormai terminata.
«Buongiorno, professore» sentì alle sue spalle. Una ragazza avvolta in un hijab turchese gli sorrideva, stringendo al petto un quaderno di appunti e un consunto testo universitario.
«Oh, buongiorno, Hadiya» rispose Farsi sistemandosi gli occhiali sul naso adunco. «Come procede la tua tesi?».
«Credo bene, però è lei che dovrebbe dirmelo». Hadiya, pur essendo una donna, aveva avuto la possibilità di accedere agli studi superiori grazie all'appoggio della ricca famiglia di provenienza. Il padre, un medico che aveva studiato in Europa, avrebbe voluto mandarla a Francoforte o a Vienna, ma lei aveva insistito per studiare nel proprio Paese.
«Ho dato un'occhiata alle bozze che mi hai mandato. Sono abbastanza colpito, devo ammettere, anche se avrei qualche appunto da fare sui tuoi paragoni con il Rinascimento italiano».
«Proprio di questo volevo parlarle, pensavo di eliminare interamente il paragrafo. Forse è esagerato».
«Cara mia, nulla è esagerato, purché sia ben ponderato. Vieni nel mio studio domani verso mezzogiorno, potremo parlarne con più calma. Ora scusami, mi aspettano». Con un gesto gentile Farsi salutò Hadiya e si diresse a passo deciso verso il laboratorio.
Erano appena passate le due del pomeriggio e il sole splendeva intenso sulle mura di granito decorato che incorniciavano giardini e fontane. La vicinanza del mare contribuiva a mantenere un clima sopportabile, caldo ma ventilato. Farsi si trovava a suo agio, essendo nato e cresciuto nella rovente terra palestinese. Difficilmente gli capitava di avere nostalgia di casa. Tutto quello che aveva lasciato in quei posti era miseria e sofferenza. No, decisamente non gli mancava. Ad Alessandria si sentiva a casa.
Passando per il colonnato esterno arrivò al laboratorio. Aveva fatto un giro lungo, gli piaceva molto dare uno sguardo d'insieme alla biblioteca, senza limitarsi a considerare le sale labirintiche e i laboratori, il suo mondo principe, come una serie di compartimenti stagni e isolati. Sulla soglia attendeva un uomo di mezza età, in giacca e cravatta nonostante la canicola.
«Professor el-Nasser» lo salutò Farsi con un gesto del capo.
«Mio caro professor Abbou, come andiamo?». Moshe el-Nasser era una di quelle persone impossibili da inquadrare anche conoscendole da una vita. Sempre sfuggente, quasi viscido, era amichevole faccia a faccia, ma un'insidiosa vipera quando si muoveva per le proprie macchinazioni.
«Quando tornerà in funzione l'aria condizionata andrà molto meglio». Farsi aveva imparato a essere cortese, ma anche a mantenere le distanze da quell'individuo, che tuttavia rimaneva il principale procacciatore di manoscritti per il suo laboratorio. Tomi di amanuensi, componimenti in ieratico e demotico, addirittura frammenti di tavole in caratteri cuneiformi, che dopo il restauro sarebbero finite nei musei. Nulla era fuori dalla portata della sua longa manus.
«Mi hanno detto che la stanno aggiustando. In ogni caso sono sicuro che tra poco l'aria condizionata sarà l'ultimo dei tuoi pensieri» disse el-Nasser ridacchiando. Aveva un difetto di pronuncia a causa di una leggera paresi al lato sinistro della bocca, che rendeva la sua cadenza simile al sibilare di un serpente. «Sta arrivando un nuovo carico per te».
Farsi si mise sulla difensiva. «Sono pieno di lavoro in questo momento. I testi…».
«Lascia perdere quella roba per ora» lo interruppe l'altro. «Questo è decisamente un lavoro più importante».
Ogni volta Farsi restava stizzito dal comportamento di quell'uomo, dal tono colloquiale della sua voce, che nascondeva una non sempre velata sufficienza. Avrebbe desiderato abbandonare le conversazioni con lui decine di volte, allontanandosi dalla sgradevole sensazione di venire trattato come una scimmia in catene. Trovò invece la forza di calmarsi, ripetendosi a più riprese che el-Nasser aveva sopra di sé unicamente il direttore Serageldin, mentre lui svolgeva le sue attività alle dipendenze del Centro di Ricerca Accademico. Diversi gradini, dunque, li separavano.
«Mi puoi almeno dire di che si tratta?» provò a chiedere Farsi.
«Questo dovrai dircelo tu».
«Cioè?».
«Non siamo stati in grado di stabilire esattamente la natura del ritrovamento. Si tratta di quindici piccoli fogli di papiro scritti in aramaico antico. Ti verranno recapitati prima di sera. Assicurati di predisporre tutti i macchinari per l'atmosfera artificiale».
Sul volto di Farsi nacque un bagliore di curiosità. «Dove sono stati ritrovati?».
Come se con l'ultima frase il discorso fosse già finito, el-Nasser gli aveva voltato le spalle. Allontanandosi verso il porticato rispose con supponenza: «In una tomba in pietra sulle rive del Giordano».

   
 
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