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Autore: wolfymozart    07/09/2018    1 recensioni
La luce obliqua di un tramonto di settembre nasconde un sentimento mai sopito, il buio della notte lo protegge, ma la luce del giorno illumina senza pietà la realtà.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Ristori, Antonio Ceppi
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Era una fredda giornata d’inverno, il vento gelido sferzava i rami nudi degli alberi intorno alla cappella di famiglia, il cielo grigio e pesante ammutoliva tutti i commossi partecipanti al funerale del compianto conte Ristori. Il corteo funebre procedeva lento e cadenzato, il sacerdote scandiva con voce possente le orazioni in un latino stentoreo e implacabile, mentre cavalli neri bardati a lutto trascinavano il carro funebre su cui posava la bara in legno scuro. Nell’aria non un lamento, non un pianto, solo un silenzio profondo e agghiacciante. Alla testa del corteo la contessa Agnese, sostenuta dal figlio Fabrizio, allora giovanotto di diciotto anni, alto e snello; accanto a loro Anna camminava con un’andatura fiera, solenne, mascherando gli occhi lucidi grazie alla veletta di pizzo nero, di tanto in tanto si stringeva nel mantello, nero anch’esso, rabbrividendo alle folate del vento che trascinava con sé i primi fiocchi di neve. L’aveva seguita con lo sguardo per tutto il tempo, combattuto tra il desiderio struggente di avvicinarsi a lei, stringerla, asciugarne le lacrime e l’etichetta che gli imponeva un distaccato decoro. Non era ancora noto a tutti i presenti il legame che univa la giovane e bella contessa Ristori al figlio del duca Ceppi. Il cerimoniale aristocratico aveva i suoi i tempi per ufficializzare accordi informali tra famiglie: ci sarebbe voluto un ricevimento, un ballo o chissà che altro, per annunciare il fidanzamento, l’evidenza del sentimento in sé non bastava a quella pomposa e retriva nobiltà a cui entrambi appartenevano. Forse ciò sarebbe avvenuto già al prossimo carnevale, assicurava Anna, raccomandando ad Antonio di evitare qualsiasi gesto affettuoso in pubblico, qualsiasi cenno d’intesa, qualsiasi sguardo tenero, insomma qualsiasi cosa che sarebbe potuta essere equivocata, che avrebbe potuto dar adito ai più maliziosi pettegolezzi tra le gran dame e i loro blasonati consorti, tra gli amici delle loro famiglie ma soprattutto tra i nemici, tra quelli che non aspettavano altro che un pretesto per malignare e mettere zizzania tra le casate. Antonio non capiva, non riusciva a fare propria quella logica fredda e insincera che presiedeva i rapporti sociali in quel mondo fatuo e vanesio dell’aristocrazia: odiava con tutto il cuore queste regole rigide e inappellabili, questa forma vuota da rispettare ad ogni costo, la vacuità di parole come “onore” e “buon nome” in bocca a certi squallidi individui che non si facevano scrupoli a trattare i sottoposti al pari di bestie. Non tollerava tutto ciò, lui al solito così mite e tollerante, ma per Anna l’esteriorità delle convenzioni contava, contava assai, ne sarebbe andata di mezzo la sua dignità, così diceva, il nome della sua famiglia. E dunque Antonio, per amore di lei, si limitava a seguirla di spalle dal fondo del corteo e poi in disparte dalla navata laterale della chiesa, senza mai osare non solo avvicinarsi, ma neppure incrociarne lo sguardo. Solo alla fine della cerimonia, mentre Fabrizio, insieme all’amico Giulio e ad alcuni tra i più fedeli dei servi si avviavano a scortare la bara, adagiata sul carro funebre, verso il cimitero ed Anna, tenendo a braccetto la madre, usciva all’aria gelida di gennaio sul piazzale esterno spazzato dal vento, i loro sguardi si incrociarono per un istante fugace. Ma in quell’istante corsero tra loro le più dolci delle parole.

 

Quell’abito non poteva non fargli ritornare alla mente quella giornata nevosa, quel silenzio triste nei suoi occhi, quell’atteggiamento orgoglioso ma al contempo mesto che aveva mantenuto faticosamente – e solo lui poteva immaginare quanto le fosse costato- per tutta la durata delle esequie. Non mancava nemmeno di ricordargli quello sguardo intenso e profondo che si erano scambiati all’uscita della chiesa, la dolcezza ineffabile di quell’istante, la forza che si sprigionava dai suoi occhi ogni volta che lui ne incrociava lo sguardo. E valeva ancora, anche in quel momento, mentre la osservava ricevere le condoglianze dei presenti con fare cortese, inappuntabile, ma freddo, quasi velatamente infastidito. Lo sguardo indignato le ricadeva spesso su Elisa, così compita e addolorata per la sua padrona da toglierle quasi la scena, da attirare su di sé le attenzioni premurose di suo fratello, come se fosse stata lei e non Anna la figlia della contessa Agnese, come se solo lei fosse capace di soffrire, di piangere, mentre Anna fosse soltanto una statua di cera, fredda, severa, senza alcun sentimento. Così le era stato insegnato, così le avevano spesso imposto l’etichetta, il decoro, la dignità aristocratica. Ma priva di sentimenti non era di certo, tutt’altro: aveva in sé una sofferta sensibilità da difendere tale da imporle di indossare la maschera più inespugnabile che ci fosse. E lui lo sapeva bene, conosceva bene quello che si nascondeva dietro all’apparente severità dei suoi sguardi e la rigida freddezza dei suoi gesti. Perciò, dalla soglia dove la osservava scambiare qualche distante parola di circostanza con quelli che avevano invece riservato al fratello Fabrizio una ben più calorosa partecipazione, non poté non avvertire nel cuore una stretta di tenerezza nei suoi confronti. Ma, come quindici anni prima, non osò in quel momento avvicinarsi. Se ne stava in piedi, il tricorno rigirato nervosamente fra le mani, un po’ impacciato in mezzo a tutta quella sfarzosa nobiltà che gli sfilava davanti.

 

-Antonio! – lo chiamò infine Fabrizio. – Grazie di essere qui, amico mio. – lo accolse con un sincero sorriso. Il medico a quel punto si mosse dalla soglia e fece qualche passo nella stanza. Anna, impegnata ad ascoltare i vecchi ricordi di una nobildonna amica di sua madre, come presa da una misteriosa forza, avvertì la sua presenza e si voltò, incrociandone per un attimo lo sguardo. Ma entrambi non riuscirono a sostenere lo sguardo dell’altro e stornarono immediatamente gli occhi: lei per assentire distratta alle parole dell’anziana duchessa, lui per sorridere a Fabrizio e scambiare un abbraccio con il vecchio amico.

- Non avrei mai voluto trovarmi qui in questa circostanza, credimi. – rispose il medico di rimando. – Avrei preferito essere mandato a chiamare per la consueta visita alla contessa. -

Anna, conversando distrattamente, tendeva l’orecchio ad ogni singola parola pronunciata da Ceppi e da suo fratello in quello scampolo di conversazione.

-Lo so, so bene quanto mia madre si fidasse di te sopra ogni altro medico. Quanto sono pentito di non esserle stato vicino negli ultimi anni…- confessò Fabrizio scuotendo il capo. – Ma per fortuna mia madre è sempre stata in ottime mani, quelle di Elisa e le tue. – concluse sorridendo alla giovane che ricambiò il sorriso.

- Già, Elisa è stata davvero preziosa per la nostra compianta contessa. – confermò Antonio con un sospiro, senza accorgersi della feroce occhiata di biasimo scagliatagli da Anna.

Fabrizio prese a tessere l’elogio della ragazza, raccontando di quanto la madre le fosse legata, di quello che lei aveva fatto per la serenità dell’amata contessa in quell’ultimo periodo, della sua compostezza, della sua pazienza, della sua dolcezza. Poi passò a narrare i fatti di quell’ultima infausta notte, di quanto la madre lo aveva implorato di mandare a chiamare Elisa perché voleva rivolgere un ultimo saluto a quella che considerava ormai “come una figlia”, la più devota, la più fedele.

 Antonio ascoltava l’amico, ma seguiva con gli occhi della mente ogni minima reazione di Anna a quelle parole: ne intuiva il disappunto, ne coglieva la sofferta indignazione, percepiva il senso di esclusione che lei doveva aver provato negli ultimi frangenti di vita della madre. Poteva persino figurarsi la luce indignata e amareggiata nei suoi occhi scuri, i movimenti convulsi delle mani con cui cercava di celare ai presenti la sua insofferenza. Poteva farlo, anche senza azzardarsi a levare lo sguardo nella sua direzione.

-E vostro marito, il marchese Radicati? Non è qui con voi in questo momento di lutto? – domandò un’impertinente nobildonna canuta, dal naso appuntito e dalle mani ossute. Gesticolava con foga, come indignata per la mancata delicatezza di Alvise. Più che dall’apprensione per le sorti di Anna, era presa dalla smania di raccogliere qualche scabroso pettegolezzo da rivendere a caro prezzo nelle conversazioni da salotto: il tutto ammantato da un’esagerata preoccupazione che non poteva non suonare falsa alle orecchie di Anna.

- Mio marito Alvise dovrebbe arrivare a momenti. In questi giorni si trovava a Torino per certi affari, ma alla funesta notizia mi ha comunicato tramite un servo che avrebbe sbrigato tutto il prima possibile e sarebbe stato qui prima del tramonto. –

- Oh mia cara, sono più sollevata sapendo che avrete presto il conforto del vostro caro marito! Sapete, ero in pensiero anche per la piccola Emilia, in questo momento difficile avrà di certo bisogno della presenza di suo padre. – replicò pomposa la contessa, enfatizzando espressioni e gesti, portandosi le mani, scarne e inanellate, al viso in segno di sollievo.

Anna manteneva il solito decoroso contegno, con qualche sorriso tirato di circostanza cercava di liquidare la donna, che, al contrario, non voleva saperne di smettere di magnificare le qualità di Alvise, sottolineando più e più volte quanto fosse stata fortunata Anna a stringere quel matrimonio e quanto bene ci avesse visto la compianta Agnese. Il tutto sarebbe suonato ridicolo e paradossale alle orecchie di chiunque, ma a quelle tese di Antonio suonava invece molesto e irritante. Conversando con Elisa e Fabrizio, o meglio ascoltando passivamente quello che i due, a voci alterne, gli andavano raccontando, scrutava di nascosto le reazioni di Anna a quelle parole, sperando vivamente in cuor suo di leggerle in volto un’espressione di disaccordo o anche solo di insofferenza verso quelle chiacchiere infondate. Ma dovette restare deluso: il volto di Anna, il suo sorriso composto, non lasciavano trasparire alcun’emozione.

Finalmente quella dama indisponente si congedò da Anna, dopo averle sfiorato le guance con un bacio; Fabrizio allora tacque e invitò con un cenno Antonio ad avvicinarsi alla sorella, in quel momento stranamente sola in mezzo all’andirivieni degli ospiti. Il medico restò per un attimo interdetto; si ingarbugliò congedandosi dai due, che nemmeno se ne accorsero presi da una coppia appena sopraggiunta; fece per avviarsi nella direzione di Anna dall’altra parte della stanza. Lei alzò lo sguardo e incrociò i suoi occhi celesti e limpidi, che le impedirono ogni altro gesto. Antonio si fece coraggio, le si avvicinò con discrezione, fece per sfiorarle le mani.

-Anna, io…- sussurrò appena. Fu questione di un istante. La marchesa era già sgusciata via, con garbo ed eleganza, pronta ad accogliere un anziano duca, vecchio amico di suo padre, che si era appena affacciato sulla soglia. Non una parola per Antonio, non un cenno, non uno sguardo.

   
 
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