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Autore: Placebogirl_Black Stones    08/09/2018    3 recensioni
Dopo la sconfitta dell'Organizzazione, tutte le persone che sono state coinvolte nella battaglia dovranno finalmente fare i conti con i loro conflitti personali e con tutto ciò che hanno lasciato irrisolto fino ad ora. Questa sarà probabilmente la battaglia più difficile: un lungo viaggio dentro se stessi per liberarsi dai propri fantasmi e dalle proprie paure e riuscire così ad andare avanti con le loro vite. Ne usciranno vincitori o perderanno se stessi lungo la strada?
"There's a day when you realize that you're not just a survivor, you're a warrior. You're tougher than anything life throws your way."(Brooke Davis - One Tree Hill)
Pairing principale: Shuichi/Jodie
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Jodie Starling, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Shuichi Akai
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tomorrow (I'm with you)'
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Capitolo 20: Il processo -parte2-
 
 
La seconda parte dell’udienza che avvenne l’indomani si concentrò tutta sulle testimonianze della CIA (in particolar modo su quella di Hidemi, testimone chiave in quanto infiltrata), così com’era avvenuto il giorno prima per l’FBI. Alla fine non era rimasto più nessun testimone da interrogare, nessuno aveva accettato di testimoniare a favore di Vermouth. Tutti i membri dell’Organizzazione erano stati messi fuori gioco e chi dei buoni la conosceva non avrebbe mai speso parole magnanime nei suoi confronti, non dopo tutto ciò che aveva fatto. Le poche azioni giuste che aveva compiuto non erano sufficienti a cancellare anni di crimini.
Finalmente il pubblico ministero e l’avvocato difensore erano pronti a fare ciascuno la propria arringa, rivolgendosi alla giuria un’ultima volta e cercando di convincerla della veridicità delle loro tesi. 
Iniziò per primo il pubblico ministero, il quale forse, paradossalmente, aveva il compito più duro fra i due. Convincere la gente comune che una semplice pasticca poteva far ringiovanire era un’ardua impresa.
 
- Come potete vedere signori della giuria, in quest’aula si sono riuniti ben due enti di sicurezza nazionali, entrambi portando prove concrete della colpevolezza della signorina Chris Vineyard o meglio ancora Sharon Vineyard, comunque vogliate chiamarla. Non credo che due enti del calibro dell’FBI e della CIA abbiano tempo da perdere portando prove contraffatte in tribunale con il solo scopo di mandare dietro le sbarre un’attrice famosa. Avete visto voi stessi i risultati delle prove scientifiche riguardanti quel farmaco, per quanto possa sembrare fantascientifico non lo è affatto, così come non sono solo avventure immaginarie quelle che ci ha raccontato la signorina Hidemi Hondou descrivendo la sua esperienza di infiltrata nell’Organizzazione criminale di cui l’accusata Chris Vineyard era parte integrante. Quanto alla signorina Starling, non avrebbe alcun tipo di interesse nel venire qui a ricordare dolorosamente la morte del padre scomparso se davvero l’artefice di quell’omicidio non fosse la qui presente accusata. Vi siete chiesti come mai, nonostante sia un’attrice famosa, nessuno sia venuto a testimoniare a suo favore? Vi chiedo dunque di fare uno sforzo e aprire i vostri orizzonti, cominciando a credere nel progresso e in quello che la scienza è arrivata a poter fare nel corso degli anni. Se è possibile creare un farmaco in grado di cambiare l’età fisica di un individuo, allora è altrettanto credibile a maggior ragione che dietro a un volto noto a tutti gli Stati Uniti possa celarsi l’identità di un’assassina e di una criminale. Chris Vineyard si è macchiata di diversi crimini ed è da considerarsi un pericolo per la nostra nazione e anche per altre, dal momento che ha agito anche sul territorio giapponese. Ho concluso-
 
Un discorso breve ma che concentrava in sé l’essenza di tutte le parole che erano state spese. Un discorso che lasciava accesa quell’ultima, debole speranza di ottenere la tanto agognata giustizia che bramavano. Lo voleva lei, lo voleva James, lo voleva Hidemi, lo volevano tutti coloro che negli anni avevano sacrificato tante cose per quel caso che si stava finalmente concludendo.
Il pubblico ministero tornò al suo posto lasciando spazio all’avvocato difensore.
 
- Membri della giuria, vi chiedo di essere obiettivi per un momento: quanti di voi credono realmente nell’esistenza di un farmaco con simili capacità? Immagino nessuno ed è comprensibile: non si può credere a simili fantasie. Se davvero esistesse un farmaco del genere, perché l’Organizzazione lo avrebbe tenuto nascosto invece di approfittarne per guadagnarci? Non è possibile fermare il tempo, un essere umano non può smettere di invecchiare. Chris Vineyard è pronta a scontare la sua pena per essere entrata in quella banda di criminali, ma non è lei l’assassina del padre dell’agente Starling. A commettere quell’omicidio è stata sua madre, Sharon Vineyard, ormai deceduta: una persona completamente diversa. Capisco il desiderio della signorina Starling di fare giustizia alla morte di suo padre, ma la vera colpevole ha ormai pagato con la vita e non è più possibile fare nulla. Chris Vineyard e Sharon Vineyard sono due persone distinte, non è giusto che l’errore commesso vent’anni fa da una madre ricada sulla figlia. Vi chiedo dunque di essere il più obiettivi possibile nel vostro giudizio. Grazie, ho concluso-
 
Strinse i pugni, cercando di contenere la rabbia. Aveva cercato di prepararsi anche a questo, ma solo allora si rese conto che forse non sarebbe mai stata pronta. Sapeva sin da subito che pur di non uscirne da perfetto perdente, l’avvocato avrebbe cercato di aggrapparsi anche al più piccolo appiglio per ridurre le colpe e dunque la pena della sua assistita: l’unica cosa su cui poteva attaccarsi era proprio il fatto che Chris non potesse essere Sharon. Se la giuria avesse creduto alle sue parole, per suo padre non sarebbe stata fatta giustizia. Alla fine lei sarebbe stata l’unica ad uscire da quell’aula a mani vuote, derisa dalla sua nemica storica che continuava a sorridere nella sua tuta arancione come se la vicenda non la riguardasse affatto.
Terminate le due arringhe, il giudice informò la giuria sulle leggi più appropriate al caso in questione e su cosa avrebbero dovuto fare per raggiungere un verdetto. Sapevano tutti che la decisione sarebbe stata difficile e che l’esito sarebbe potuto non piacere a qualcuno: nei processi federali, infatti, la giuria deve essere d’accordo all’unanimità perché il giudizio possa risultare valido; un solo parere discordante e tutto il processo sarebbe dovuto riprendere da capo con una nuova giuria. Era l’opzione che tutti temevano di più, considerando quanto fossero provati da quella situazione. L’ultima cosa di cui avevano bisogno era di entrare in un circolo vizioso senza uscita.
Ormai in possesso di tutte le informazioni necessarie, la giuria si ritirò per deliberare, spostandosi sotto gli occhi ansiosi di tutti in una stanza adiacente al tribunale. Cominciò dunque una snervante attesa che durò ore, fino a quando uno dei membri della giuria ricomparve nell’aula del tribunale, ma solo per comunicare al giudice che per quel giorno non avevano raggiunto un accordo. Quest’ultimo si vide dunque costretto a rimandare nuovamente il verdetto finale al giorno successivo. Per la seconda volta in quell’aula risuonarono  le parole “la corte si aggiorna domani”, esasperando gran parte dei presenti, i quali tuttavia si chiusero in un mesto silenzio.
 
 
Il giorno successivo non fu diverso dal precedente: entrarono in aula, si sedettero e aspettarono in silenzio, pregando che quella tortura finisse al più presto. Attesero per ore, ore e ore, fino a quando vinti dallo sconforto si prepararono ad udire quella maledetta frase uscire dalla bocca del giudice per la terza volta. Fu allora che la giuria, con grande sorpresa di tutti, comunicò di essere pronta ad emettere un giudizio. Si alzarono tutti in piedi, trattenendo il fiato con gli occhi fissi su quel gruppo di persone da cui dipendeva l’esito di una lunga battaglia. Uno dei membri consegnò il foglio piegato con su scritto il verdetto al giudice, il quale lo aprì e lo lesse lentamente ad alta voce:
 
- La giuria concorda nel ritenere la signorina Chris Vineyard colpevole di aver fatto parte di una pericolosa organizzazione criminale e di aver commesso dei crimini durante quel periodo; tuttavia, nonostante un’attenta riflessione, non è riuscita a raggiungere un verdetto unanime sull’omicidio dell’agente dell’FBI Ryan Starling e sulla questione del farmaco ringiovanente. Per questi motivi la giuria ritiene necessario punire la signorina Chris Vineyard solo per i crimini commessi relativi all’Organizzazione-
 
Quella sentenza fu come un pugno nello stomaco per lei, un colpo ben assestato e devastante. Sentì di aver fallito e di aver deluso se stessa, James e suo padre in primis. Vermouth non poteva farla franca, non poteva non pagare per averle portato via la sua famiglia e la sua infanzia. Non poteva davvero finire così, non era giusto che fosse l’unica a non aver ottenuto niente.
Il giudice continuò, emettendo la sentenza finale:
 
- Ringrazio la giuria per il loro lavoro. La corte si aggiorna: tenendo conto della volontà della giuria e delle prove riportate, dichiaro la signorina Chris Vineyard colpevole dei reati commessi in quanto membro dell’Organizzazione. Tuttavia, non avendo raggiunto un accordo unanime sull’omicidio dell’agente federale Ryan Starling, come previsto dalla legge verrà effettuato un nuovo processo con una nuova giuria. Pertanto, fino a data da stabilirsi, l’imputata Chris Vineyard resterà nella prigione federale di New York. Il caso è chiuso-
 
Abbassò la testa come se fosse lei quella ad essere appena stata giudicata, come un colpevole al patibolo che concede il suo capo all’ascia del boia. James e Hidemi, rispettivamente seduti alla sua destra e alla sua sinistra, si voltarono a guardarla con profondo rammarico. Non fu in grado di vedere questo sentimento dipinto sui loro volti (e in ogni caso non avrebbe comunque voluto vederlo, non aveva certo bisogno della pietà della gente in quel momento), così come non vide il sorriso malizioso che si era dipinto sulla faccia trionfante di Vermouth.
 
- Coraggio figliuola, usciamo dall’aula- la invitò a lasciare quella grande stanza diventata improvvisamente troppo piccola James, passandole delicatamente una mano sulla schiena in un gesto paterno.
 
Si alzò con un gesto quasi meccanico, come se il corpo e la mente non fossero più coordinati fra loro, incamminandosi verso l’uscita come un fantasma che trascina le proprie catene. Sentiva le forze venire meno, traballava ad ogni passo e per questo accettò il braccio di James che delicatamente la sorreggeva. Forse lui era l’unico a poter capire quello che stava provando, anche lui non era riuscito ad ottenere giustizia per il suo vecchio amico. Teneva la testa basta per non vedere tutti quegli occhi che sentiva puntati su di lei, quelle espressioni di rammarico che in quel momento le avrebbero solo dato sui nervi. Non si voltò nemmeno per guardare Vermouth che, ammanettata, veniva portata via dalle guardie: ormai non le importava più.
Varcò la porta dell’aula e uscì, continuando a camminare lungo il corridoio per allontanarsi sempre di più da quel posto. Dietro di lei James e Shuichi, che li aveva raggiunti, la seguivano ad ogni passo come due angeli custodi che però non avevano il potere di fare nulla.
Si fermò all’improvviso, non sapeva nemmeno più dove stesse andando e da cosa stava fuggendo: tutto nella sua testa era annebbiato. James si mise di fronte a lei e le poggiò delicatamente le mani sulle spalle.
 
- Fatti forza Jodie, non è ancora finita. Non abbiamo perso, dobbiamo solo avere pazienza e aspettare ancora un po’ per avere la nostra vittoria. Faremo altre ricerche, troveremo nuove prove e riusciremo a incastrare Vermouth!- le disse, cercando di mostrarsi più convincente possibile.
 
Non sapeva se credesse veramente a quello che stava dicendo o se fosse solo un modo per farla sentire meglio; di certo però quelle erano le ultime parole che voleva sentirsi dire. Non in quel momento, no. Non avevano senso, erano vuote come la coscienza di chi aveva creduto all’innocenza di quell’assassina.
 
- Certo, troveremo anche una pillola che fa invecchiare precocemente, così manderemo tutti quelli della giuria all’ospizio dove dovrebbero stare!!!- urlò, alzando finalmente il volto e fissandolo con una cattiveria che non aveva mai osato mostrare fino a quel momento e che non le apparteneva - Guardiamo in faccia alla realtà James, nessuno crederà mai che una persona possa smettere di invecchiare grazie ad una pillola, specie considerato che non troveremo un solo resto di quel farmaco creato dai coniugi Miyano! Come possiamo dimostrare l’esistenza di qualcosa che non esiste?!-
 
James e Shuichi restarono a fissarla senza parole: di certo quello sfogo era la conseguenza del suo stato d’animo che aveva superato il livello di disperazione consentito; tuttavia per loro doveva essere come trovarsi di fronte a una Jodie che non aveva niente della persona che conoscevano. Ma a lei non importava nemmeno di quello, se volevano considerarla un mostro erano liberi di farlo.
 
- Non dire così Jodie- cercò di rassicurarla James - Magari la prossima giuria sarà più propensa a credere a quella storia, visto che anche in questa c’è comunque qualcuno che ci ha creduto. Se fosse così assurda come dici, nemmeno una persona su dodici si sarebbe fatta convincere-
 
Scosse il capo, guardandolo negli occhi seria ma al tempo stesso demotivata, come il suo animo fosse stato prosciugato di tutte le emozioni.
 
- Sai James, ho scelto di fare questo lavoro perché avevo abbastanza fiducia nella giustizia da pensare che un giorno o l’altro l’assassina di mio padre avrebbe pagato le sue colpe. Ma oggi non so se ci credo ancora-
 
Pronunciò queste ultime parole, parole che avevano determinato la sua sentenza. Adesso era James la vittima e lei il giudice che gli aveva detto l’unica cosa che non avrebbe voluto sentire.
Senza aggiungere altro, s’incamminò fino all’uscita e lo lasciò lì con gli occhi sgranati ad accusare il colpo.
 
- Aspetta Jodie!- cercò di fermarla quando si riprese, ma lei non lo sentì, era ormai troppo lontana.
- Lasciala andare, James- lo bloccò Shuichi, rimasto in silenzio fino a quel momento - Adesso non è il caso che vi mettiate a discutere, è troppo delusa e non è disposta ad ascoltarti. Ci penserò io ad assicurarmi che stia bene, non preoccuparti- abbozzò un sorriso.
- D’accordo- annuì arrendendosi - Grazie Akai-
 
Salutato il suo capo, Shuichi la raggiunse fuori dal tribunale, trovandola nel parcheggio seduta in macchina a piangere. Gli venne da sorridere se pensava alla cattiveria di poco prima, paragonata a quelle lacrime che la rendevano vulnerabile come il cucciolo che avevano comprato a Shiho. Si avvicinò cercando di non farsi notare, per poi entrare in macchina e sedersi a fianco a lei. Colta di sorpresa, si asciugò velocemente le lacrime: non le era mai piaciuto mostrarsi debole ai suoi occhi. Voleva che la considerasse una donna forte.
 
- Cosa vuoi?- gli chiese, quasi scocciata e con la voce ancora rotta dal pianto.
- Ti va di parlare?-
- Non adesso- lo liquidò.
- Se ti arrendi prima che la battaglia sia finita hai perso in partenza- sentenziò, con il suo solito fare da glorioso generale che guida il suo esercito.
- La battaglia è finita-
- A me sembra che il giudice abbia detto che è solo rimandata-
- E che differenza fa? Sarà sempre la stessa storia-
- No, se perfezioni gli errori che hai commesso-
- Oh, ci mancava la lezione di vita del grande agente dell’FBI che non ne sbaglia mai una! È facile parlare quando si sta seduti in fondo all’aula con la bocca chiusa! Tu hai ottenuto quello che volevi, il tuo nemico è sottoterra e hai avuto giustizia per i tuoi cari, perciò non puoi capire!- tuonò.
 
Sembrava un serpente pronto a sputare veleno in faccia a chiunque le si fosse avvicinato. Se si fosse guardata allo specchio in quel momento, non si sarebbe riconosciuta.
 
- Pensi che sia stato facile per me ottenere quello che volevo?- la fissò serio e forse anche un po’ ferito.
- Non ho detto questo, ma di certo non ti sei trovato ad affrontare un processo-
 
Ci fu un attimo di silenzio nel quale nessuno dei due osò aprire bocca, probabilmente entrambi sapevano che avrebbero finito per litigare bruscamente se quella conversazione si fosse prolungata più del dovuto.
 
- Forza, vieni che ti accompagno a casa- le disse infine il collega.
- Non serve, aspetto James e torno con lui- declinò l’invito.
- Credo che ne avrà ancora per un po’, visto che sei stanca è meglio se vai a riposare. Gli ho già detto che ti avrei riaccompagnata io- mentì.
 
Sospirò, priva delle forze necessarie per opporre resistenza a quel pezzo di ghiaccio dalle sembianze umane. Così si arrese, scendendo dalla macchina di James e chiudendola a chiave con la copia che lo stesso James aveva fatto per lei. Non era ancora riuscita a ricomprarsi un’auto nuova da quando era tornata negli Stati Uniti.
Seguì Shuichi fino alla sua auto e salì, senza mai aprire bocca. Stessa cosa fece il suo compagno, il quale mise in moto l’auto e si allontanò da quel posto che, quel giorno, le aveva portato via tutto ciò in cui credeva.
 
 
 
Solo dopo diversi chilometri si accorse che Shuichi non la stava portando al suo appartamento. La strada le era familiare, ma non era quella che portava a casa sua.
 
- Shu, guarda che per di qua non si arriva al mio appartamento- ruppe finalmente il silenzio.
- Lo so, infatti stiamo andando al mio- rispose con naturalezza.
- Perché?- alzò un sopracciglio - Non so che intenzioni hai ma io sono stanca e ho bisogno di riposare-
- Tranquilla, voglio solo offrirti un goccetto. Credo che tu ne abbia bisogno-
 
Non replicò, effettivamente forse un po’ di alcol l’avrebbe aiutata a rilassarsi.
Arrivati a destinazione, Shuichi parcheggiò la macchina mentre lei si guardava intorno. Presero l’ascensore e salirono al quarto piano. Entrati nell’appartamento, Shuichi la invitò ad accomodarsi sul divano mentre lui preparava due bicchieri di Bourbon con ghiaccio. La raggiunse poco dopo, sedendosi a fianco a lei e porgendole un bicchiere.
 
- Vuoi che ti prepari qualcosa o preferisci ordinare da asporto?- le chiese.
 
Era così persa nei suoi pensieri che non aveva nemmeno notato fosse già ora di cena.
 
- Non ho fame- rispose, bevendo un lungo sorso di liquore.
- Coraggio, devi mangiare qualcosa- insistette.
- No Shu, davvero, non mi va- storse la bocca.
- Ho capito, ci penso io-
 
Si alzò dal divano e tornò in cucina, lasciandola lì a roteare gli occhi: lo amava ma quando faceva così lo trovava insopportabile.
Ritornò dopo una decina di minuti con due piatti contenenti ciascuno un tramezzino semplice con la lattuga e qualche fetta di prosciutto cotto al forno. Sembravano appetitosi, anche se il suo stomaco non era dell’idea di introdurre cibo.
 
- Tu non capisci la parola NO, vero Shuichi Akai?- lo rimbeccò.
 
In tutta risposta, l’uomo le sorrise e si sedette nuovamente accanto a lei. Diede un morso al tramezzino e lo scoprì delizioso nella sua semplicità. Cominciarono dunque a mangiare, guardando un film da quattro soldi alla TV.
Finita la cena, Shuichi si allontanò per prendere il suo PC portatile, che posizionò sul tavolino di fronte al divano.
 
- Cosa devi fare?- gli chiese, preoccupata che volesse parlare di lavoro.
- Devo guardare la diretta di una partita di shoji che si sta tenendo in Giappone- spiegò mentre cercava il sito - Gioca una persona che conosco bene-
- E chi?-
- Mio fratello minore-
- Tu hai un fratello?!- strabuzzò gli occhi - Non me lo avevi mai detto! -
 
Shuichi non rispose, era troppo occupato a sintonizzarsi sulla diretta. Quando ci riuscì la partita stava per cominciare, quindi non ci fu tempo di parlare di questo misterioso fratello. Si misero entrambi a guardare con attenzione quel match, ciascuno per i propri motivi. Per lei non fu difficile individuare chi dei due fosse il fratello minore di Shuichi, dato che l’altro giocatore era chiaramente più vecchio. Quando lo inquadrarono in primo piano, avvicinò talmente tanto la faccia allo schermo che sembrava quasi volesse entrarci dentro. Lo fissò a lungo, fino a quando l’inquadratura cambiò.
 
- Che c’è?- le chiese Shuichi.
- Non vi somigliate molto- scosse la testa.
- Mio fratello somiglia di più a nostro padre, io invece a nostra madre- spiegò.
 
Dopo quella breve conversazione tornarono in silenzio a guardare la partita, fino a quando il sonno non venne a farle visita e la sua testa si posò delicatamente sulla spalla del collega. Non si accorse nemmeno quando Shuichi le mise un braccio intorno alle spalle per farla stare più comoda.
 
 
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Quando sentì la testa di Jodie posarsi contro la sua spalla, si girò a guardarla: nonostante fosse rilassata, l’espressione sul suo volto era stanca e triste. In quel momento gli sembrò una bambina indifesa che aveva solo bisogno di credere ancora nella magia del mondo. Forse non era lui la persona più adatta a ridarle la positività, ma voleva comunque aiutarla a suo modo. Sorrise, passandole delicatamente un braccio dietro alle spalle e stando attendo a non svegliarla. La lasciò dormire rannicchiata al suo petto per tutto il tempo della partita, sperando che al suo risveglio si fosse sentita meglio.
Anche quando la partita terminò con la vittoria del fratello, non vi prestò particolare attenzione: era troppo concentrato a trovare la maniera migliore di mettere in atto quel piano che aveva progettato fin dall’inizio, in previsione dell’esito sfavorevole del processo. Perché sì, in cuor suo sapeva già che Jodie non avrebbe ottenuto quello che desiderava al primo tentativo: la strada per chiudere i conti con il passato era ancora lunga.
 
 
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Quando riaprì gli occhi si rese conto che era già mattina. Non aveva nemmeno realizzato di essersi addormentata durante la partita di shoji. Si strofinò gli occhi e cercò vicino al letto, tastando con la mano, il comodino dove dovevano esserci i suoi occhiali. Li mise indosso e cominciò ad osservarsi intorno: fu lì che realizzò di trovarsi nel letto di Shuichi. Trasalì, pensando subito al peggio: forse il Bourbon e la disperazione le avevano dato alla testa e aveva finito col commettere un errore madornale. Alzò le lenzuola per controllare la situazione e realizzò di essere vestita; questo la confortò non poco, smontando la sua tesi di poco prima. Inoltre, Shuichi non si trovava lì accanto a lei.
Si alzò dal letto e si diresse lentamente in cucina, dove lo trovò seduto al tavolo a bere caffè e leggere il giornale. Più che un giovane nei suoi primi trent’anni, le sembrava un uomo alle soglie dell’anzianità coetaneo di James.
 
- Buongiorno- la salutò lui, accortosi della sua presenza - Hai dormito bene?-
- Come mai mi trovo ancora a casa tua e per di più nel tuo letto?- rispose alla sua domanda con un’altra domanda.
- Ieri sera ti sei addormentata di colpo, si vedeva che eri molto stanca e così ti ho lasciata dormire. Mi spiaceva svegliarti- spiegò.
- Ma se io ho dormito nel tuo letto, tu dove hai dormito?- chiese, non ancora del tutto convinta del fatto che non fosse successo niente.
- Ovvio, nel mio letto- replicò senza il minimo imbarazzo.
 
Si sentì avvampare, doveva aver assunto un colore purpureo sul volto. Davvero aveva condiviso lo stesso letto con Shuichi e non se lo ricordava? In ogni caso, poteva (forse) stare tranquilla: Shu non era certo il tipo che avrebbe approfittato di lei in un momento come quello, lo confermava il fatto che si stava divertendo a guardare la sua faccia imbarazzata.
Si avvicinò e si sedette al tavolo, osservando ogni suo movimento mentre le versava una tazza di caffè appena preparato.
 
- Vuoi che prepari qualcosa o preferisci fare colazione in un bar?- le chiese, porgendole la zuccheriera.
- Il caffè è sufficiente, grazie- sorrise in risposta.
 
Aveva ancora lo stomaco chiuso, una notte di sonno non era sufficiente per mandare giù l’amaro sapore della sconfitta. In tutta onestà, non sapeva se sarebbe mai riuscita a mandare giù quel boccone. Forse era questo che aveva provato Shuichi alla morte di Akemi, solo ora riusciva a capirlo con esattezza.
 
- Allora ti riaccompagno a casa, così puoi cambiarti e prepararti per andare al lavoro- interruppe i suoi pensieri il compagno.
- Non credo ci andrò- scosse la testa - Non ne ho la minima voglia-
- Sicuramente si parlerà del processo, James vorrà preparare una nuova strategia- cercò di farle capire che la sua presenza era indispensabile e che non era la sola a desiderare ardentemente la vittoria contro il nemico.
 
In tutta risposta, si limitò a stringere le spalle, come se la cosa non la riguardasse. Sapeva benissimo che anche James desiderava fare giustizia e che di certo non si sarebbe dato per vinto, ma in quel momento James aveva una cosa che lei, invece, aveva perso lungo il cammino: la forza di rialzarsi e combattere.
 
- D’accordo, allora ti riaccompagnerò a casa e resterai lì a riposarti per oggi. Però dovrai telefonare a James per spiegargli come mai oggi sarai assente al lavoro. Ricordati che è il tuo capo oltre che essere preoccupato per te a livello personale- concluse, alzandosi dal tavolo e portando le tazze nel lavello.
- Lo farò- annuì.                                                                          
 
Si alzò anche lei e andò fino al bagno, dove si sciacquò il viso. Restò per qualche istante a fissare la sua immagine riflessa nella specchiera: la totale assenza di trucco, le occhiaie abbozzate e quell’espressione da cane bastonato la rendevano piuttosto sciatta, alla pari di quelle ragazze con cui nessuno vorrebbe uscire. Si era lasciata andare e non riusciva a trovare la motivazione per fare anche solo il minimo sforzo e reagire. Non era certo un atteggiamento da agente dell’FBI, ma quel giorno lei aveva deciso di non essere un agente dell’FBI.
 
- Sei pronta?- sentì la voce di Shuichi fuori dalla porta del bagno.
- Sì, arrivo-
 
Fu così che lasciarono l’appartamento di Akai, dirigendosi verso il suo che si trovava nemmeno troppo distante.
Quando furono arrivati, scese dalla macchina e si girò un’ultima volta verso quello che da sempre considerava il suo angelo custode.
 
- Grazie di tutto Shu. E scusami se sono stata sgradevole ieri fuori dal tribunale- abbassò lo sguardo.
- Non ti abbattere, Jodie. Se persino un agente dell’FBI perde fiducia nella giustizia, il mondo è destinato a crollare-
 
Il vecchio e saggio Akai… aveva sempre la frase giusta al momento giusto. Come ci riuscisse era ancora un mistero, anche dopo tutti quegli anni trascorsi insieme. Si sorrisero a vicenda, senza aggiungere altro. Poi Suichi la salutò con un cennò del capo, alzò il finestrino e partì diretto alla sede dell’FBI.
 
 
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Parcheggiò la macchina, entrò e si diresse con passo tranquillo ma non troppo lento verso l’ufficio di James. Lo trovò, come previsto, alla sua scrivania, intento a leggere fascicoli e scartoffie molto probabilmente legate a Vermouth.
 
- Posso entrare?-
- Oh, Akai, buongiorno. Vieni pure-
- Volevo solo comunicarti che Jodie non verrà al lavoro oggi. Ha detto che ti avrebbe chiamato lei, ma mi riservo il dubbio che possa non farlo-
- Lo immaginavo- rispose semplicemente il suo superiore, togliendosi gli occhiali e stringendosi gli occhi rispettivamente con il pollice e l’indice - Come sta?-
- Ha visto giorni migliori. Il suo umore potrebbe fare concorrenza persino al mio- cercò di sdrammatizzare.
- Non so come comportarmi con lei- ammise James.
- Che ne dici di concedere a Jodie un po’ di ferie? Visto tutto il duro lavoro degli ultimi mesi e lo stress accumulato, forse staccare la spina le farebbe bene- suggerì.
- Potrebbe essere una buona idea- accettò - Vedrò di comunicarglielo stasera o al più tardi domani. Tuttavia non credo che qualche settimana di vacanza basterà a rimettere a posto le cose-
- Ti riferisci a quello che ha detto ieri in tribunale?-
- Non avrei mai creduto di sentirla parlare così… Proprio lei, che voleva essere un agente dell’FBI fin da bambina-
- Non dare troppo peso alle sue parole, in questo momento non è lucida. Dalle tempo e tornerà- lo rassicurò.
- Spero sia come dici tu-
 
Si congedò con un cenno del capo, chiudendosi la porta alle spalle. Fino a quel momento il suo ruolo era stato abbastanza marginale nella preparazione del processo contro Vermouth, il suo compito era stato semplicemente quello di fornire informazioni raccolte durante i suoi anni come infiltrato. D’altra parte non era mai stata Vermouth il suo principale obiettivo, perciò aveva preferito lasciare tutto in mano a Jodie e James. Ora che però il filo che li legava sembrava essersi in qualche modo spezzato, era arrivato il suo turno di entrare in scena. Anche se quella donna non era il suo obiettivo, era pur sempre l’ultimo tassello che restava di quell’Organizzazione che gli aveva portato via un padre e che aveva costretto la sua famiglia a nascondersi. Era arrivata l’ora di chiudere i conti una volta per tutte.
Ignorando anche il povero Camel che lo chiamava dal corridoio per salutarlo, si diresse nell’archivio, l’unico posto dove era possibile fare una telefonata senza che troppe orecchie sentissero. Cercò il numero in rubrica, premette il tasto verde e attese in linea.
 
- Pronto?- rispose infine la voce dall’altro capo.
- So che ti sembrerà strano, ma avrei bisogno del tuo aiuto. O meglio è Jodie quella che ne ha bisogno. Te la senti di darmi una mano?-
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
Ciao a tutti! Spero vi ricordiate ancora di me, è passato quasi un anno dall’ultima volta che ho postato un capitolo di questa storia (e che ho pubblicato storie in generale)! Mi scuso per l’enorme ritardo e per essere sparita, ma purtroppo tra lavoro, fidanzato, mancanza di voglia e ispirazione e tante altre cose, non ho avuto modo di pubblicare prima. Non so se riuscirò a postare un altro capitolo in tempi più brevi, non mi sento di promettere nulla, ma spero che ci sia ancora qualcuno che si ricorderà e leggerà la mia storia.
Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate se vi va!
Grazie a tutti! ♥
Place
   
 
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