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Autore: Alicat_Barbix    10/09/2018    2 recensioni
In un universo alternativo, in cui i cuori di ognuno interagiscono con i loro proprietari, Sherlock Holmes, brillante consulente investigativo, e John Watson, disperato medico militare in congedo dall'Afghanistan, si incontrano e i loro cuori non riusciranno mai più a tacere. Ma a volte, i fatti presenti sono irrimediabilmente influenzati da sentimenti e decisioni passate...
Dal testo:
(...)
“Su questo tavolo c’è una boccetta buona e una cattiva. Il suo scopo, signor Watson, è quello di scegliere una delle due boccette, sperando di non aver preso quella velenosa.”
(...)
“La boccetta cattiva. Voglio sapere qual è.”
(...)
“E’ il suo cuore il problema, non è vero?”
(...)
“La boccetta.”
Con un fluido movimento della mano, spinge avanti una delle due boccette, un sorriso ferino sulle labbra.
(...)
Chiudo gli occhi e mi avvicino alle labbra la morte. Addio vita. Addio mondo. Addio cuore che non ho più.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IN A HEARTBEAT
 
by Alicat_Barbix
 
CAPITOLO 8
 
Sherlock sanguinava. Non nel vero senso della parola, ovviamente. Ma dentro, sentiva che una profonda e turpe ferita gli dilaniava il cuore. La notte era ormai solito svegliarsi in un bagno di sudore, con le lacrime agli occhi e un dolore lancinante al petto. Nei momenti di profonda solitudine, quando era il silenzio il solo, vero padrone, poteva sentirlo piangere, il suo cuore. Non credeva sarebbe stato così. Non credeva avrebbe fatto così male. Aveva smesso di mangiare, di dormire, di uscire nonostante le vacanze estive. Era diventato l’ombra di se stesso. Gli occhi di Mycroft lo guardavano pietosi, pietosi, mentre si spegneva lentamente. Perché Sherlock era così che si sentiva: spento. L’unico barlume di luce che avesse mai illuminato la sua intera esistenza, era stato proprio quel sorriso, quello splendido sorriso candido e quei ciuffi di capelli che parevano essere fatti di raggi solari. Ogni volta che pensava a lui – il suo nome era ormai diventato un taboo – si dava del cretino per essere ancora in grado di fare il poeta. Lui se n’era andato. E non era giusto. Non era giusto che l’avesse lasciato solo, che l’avesse tradito, che ora fosse Sherlock a soffrire così tanto. Non era giusto perché le ricerche degli esperti, a proposito dei cuori, sostenevano che la percentuale di amori veri in età adolescenziale fossero così bassi da poterli considerare una vera e propria rarità. E Sherlock c’era cascato. Proprio lui che si era sempre guardato bene dal provare emozioni. Lui si era innamorato, anzi no, lui aveva amato. E amava tutt’ora.
In una tersa mattinata di agosto, alla fine di lunghi e strazianti mesi di vacanze estive, Sherlock tornò in quella scuola che aveva assistito allo sbocciare del suo amore. Era tremendamente stanco, gli pareva di essere diventato un vecchio ingobbito dai rimorsi di una vita intera, capiva di essere come una di quelle ombre proiettate sull’asfalto – l’attimo prima c’era e quello dopo, chissà. Nel cortile, un capannello di studenti formicolava confusamente, senza schemi o ordine, muovendosi come zombie privi di volontà proprie. E Sherlock, fra quegli zombie, col suo squarcio interiore, spiccava come una farfalla bianca sulla parete di una ciminiera industriale. Furono in molti a voltarsi, a trattenere il fiato, ad emettere versi di sorpresa, e un’immobilità unanime si tese al suo passaggio. Sapeva che cosa sarebbe successo. Ne aveva la certezza. Certezza che andò a consolidarsi nel sentire il terreno, sotto i suoi piedi, tremare lievemente all’arrivo di tizi dal passo quasi marziale.
“Frocio strambo Holmes! Pensavo non avresti fatto più vedere la tua faccia da checca dopo le vacanze!” esclamò fintamente entusiasta la voce di Jackson e Sherlock non dovette neanche alzare gli occhi per avere la conferma che fosse lui con la sua banda. Senza degnar loro di alcuna attenzione, proseguì il suo calvario col capo chino, ma quando fu ad un soffio dal superarli, la presa di Jackson lo tirò brutalmente indietro, facendolo cadere rovinosamente a terra. Un coro di risate animò il cortile, mentre la maggior parte degli studenti lo accerchiavano, come a voler celare quello spiacevole incontro a occhi indiscreti. “Che fai, frocetto? Non mi saluti?”
Sherlock si rialzò, riaggiustandosi i vestiti, e cercò una seconda volta di evitare l’inevitabile, ma ovviamente, si ritrovò ancora a terra, stavolta oppresso dal peso di uno dei tirapiedi di Jackson che col piede lo schiacciava al suolo. “Che ne è delle tue brillanti deduzioni, frocetto?”
“Sì, deduci chi mi sono scopato ieri sera!”
“Di sicuro non era un maschio!”
“Dio, che schifo, Roger!”
“Ma guardatelo, il frocetto non ci degna della sua attenzione!”
“Gioca a fare il lord, lui!”
“Ma come cazzo si veste? Sembra mio padre!”
“Tuo padre fa il gestore di un bordello, Tim!”
“Appunto, fa soldi, lui!”
“Allora, frocetto, nessuna deduzione?”
“Dov’è il tuo principe azzurro, strambo?”
Voci. Grida. Versi. Erano animali. Solo e soltanto stupidi animali privi di cervello dotati di istinti primitivi come quello di dimostrare inutilmente la loro superiorità fisica. Sherlock se ne stava lì, immobile, gli occhi persi tra la folla senza realmente vederne i volti. Che gli importava? C’era differenza? Dio, avrebbe voluto così tanto tornare su quel tetto… Voleva sentire il vento ululare fra i suoi capelli, le urla di una scuola intera raggiungerlo ovattate ed insignificanti. Voleva essere padrone della sua vita.
Sherlock, no.
Ma quella vocina era così flebile e spezzata, appena un rantolo di sangue. Le uniche volte in cui Sherlock ascoltava il suo cuore, ormai, erano quelle in cui piangeva e, di conseguenza, piangeva anche lui. C’era stato persino un periodo in cui si era, forse stupidamente, detto che sarebbe passato, che la pace e la serenità sarebbero ritornate, che gli eventi accaduti, prima o poi, gli sarebbero parsi privi di importanza… E invece, eccolo lì, sconfitto, umiliato. Ma non gliene importava niente. Potevano sfotterlo quanto volevano, potevano picchiarlo, ficcargli la testa nel cesso, riempire il suo armadietto di carta igienica, ormai non contavano più nulla.
Cercò di scansare quel piede, ma un pugno improvviso gli colpì la faccia e un crack sonoro gli giunse alle orecchie. Naso fratturato. Sangue. Amen. Di nuovo, si divincolò da quella presa con stoica placidità, senza disperazione o paura, ma rassegnazione. Un nuovo colpo. E poi un altro. Dolore alle costole, alle gambe, alle parti basse. Dopo alcuni secondi si contorceva a terra come un riccio investito da una macchina, gli occhi che si muovevano impazziti intorno a sé, in cerca di una fottuta via di fuga perché l’unica cosa che voleva era andare avanti con la sua vita di merda e sparire da quella stupida di quegli individui.
Fu allora che accadde. Fu allora che lo vide. Un volto fra tanti. Un volto che a differenza degli altri, non era ottenebrato dal suo subconscio, no. Era chiaro. Cristallino. Luminoso. Era John. John che ora lo fissava con occhi sgranati e labbra semiaperte. Com’era cambiato, John. Era pallido, aveva messo su parecchi chili e anche lui pareva essere solo l’ombra di quel ragazzino folle e divertente.
“John.” articolarono mutamente le sue labbra, mentre in petto il suo cuore accelerava i battiti, la ferita sembrava fare male di meno e di più al tempo stesso, ormai solo un dolore fra tanti altri che gli scuotevano il corpo. E John lo vide. John vide quel nome pronunciato. John, di fronte a quel nome, scappò.
E fu come essere risucchiati da una voragine. Sherlock si rese conto troppo tardi di quello che stava accadendo. Sempre troppo tardi. Il suo cuore si palesò di fronte ai suoi occhi e, a quanto pareva dalla sorpresa che paralizzò tutti gli altri studenti, anche a quelli degli astanti. Quello, aleggiando come un uccello dalle ali ferite, si muoveva a zig zag, sofferente, sanguinante. Probabilmente, fu la visione peggiore che un uomo avrebbe mai potuto scorgere. Il capannello si divise per lasciar passare quell’esserino, persino Jackson e la sua banda si ritirarono, come atterriti da quell’apparizione.
Sherlock cercò di levarsi in piedi, strisciò per alcuni metri, ma quando vide il suo cuore aumentare di velocità, diretto verso l’ingresso della scuola, riuscì ad alzarsi e a trascinarsi in quella direzione. Piangeva. Gli occhi gli bruciavano e il suo intero corpo inviava continue scariche di dolore a causa delle percosse accusate. Nessuno provò a fermarlo, ma ebbe l’impressione di avere l’attenzione di tutti addosso. Non poteva permettere che quel cuoricino ingenuo raggiungesse la sua destinazione. Doveva riprenderselo.
Ultima fase. Il cuore è ormai impregnato d’amore e non può più essere contenuto. Gli occhi di chiunque sono in grado di scorgerlo. Il suo segreto è ormai noto a tutti. L’amore è inarrestabile così come il cuore che cerca sollievo nella persona per cui batte.
Ma il suo cuore era tanto folle quanto debole. Non avrebbe retto alla vista di John. Lui non avrebbe retto. Così si mise a correre, nonostante la sofferenza e i lividi e il sangue. Corse su per i gradini che conducevano dentro il college, arrivò nella hall, il suo cuore ormai vicino e là, fermo di fronte alla bacheca dei trofei scolastici, vide John. John accanto ad una ragazza dai capelli biondi. John accanto a Mary. La stessa stronza che lo aveva tradito. La stessa stronza per cui John aveva smesso di credere nell’amore. A fianco a lui.
“No…” mormorò in un singhiozzo a malapena trattenuto. “Fermati…” implorò senza più forze a quel cuore che ormai si tendeva verso John. “NO!” urlò, infine, con tutto il fiato che aveva in corpo e scattando verso quello, la mano protesa per acchiappare quell’insulso cuore che troppi problemi gli aveva arrecato.
Quando le sue dita si chiusero sull’esserino, cercò di tirarlo indietro per proteggerlo, ma quello era già aggrappato alla felpa di un John confuso e terrorizzato alla vista dell’ormai vecchio amico. “Sherlock?”
Sherlock ingoiò un groppo di lacrime e riprese a tirare con forza, mugolando in tono sconfitto: “Ridammelo.”
Ma il suo cuore era ormai testardo nella presa, caparbio nel pigolare poche parole. “Amami, John.”
E John, a quelle parole, si paralizzò sul posto. Sherlock lo osservò ricercare in se stesso la risposta a quella preghiera e dentro di sé quasi supplicò che rispondesse di sì, che lo accettasse, che lo amasse. L’illusione, di nuovo, lo dominò.
“John…” sussurrò senza energie, crollando in ginocchio, il sapore di sangue in bocca. “John…”
Ma quello, come risvegliato da un sogno ad occhi aperti, rispose. Bastò un passo, un piccolissimo passo all’indietro e le pressioni esterne al cuore furono così forti che una crepa si disegnò sulla sua superficie rossastra. Un secondo crack sferzò il silenzio, quella mattina. Non un osso, non un vaso. Un cuore.
Sherlock osservò impotente ciò che rimaneva della creaturina che gli aveva abitato il cuore fino ad allora giacere inerme fra le sue mani. Tremante se l’avvicinò al petto, singhiozzando, e infine si alzò, uno sguardo carico di odio a deturpargli il volto.
John s’irrigidì sotto quegli occhi che urlavano vendetta e sangue e, forse, capì. “Sherlock…” mugugnò allora, provando a fare un passo avanti, ma proprio in quel momento un tonfo leggero ma perfettamente udibile attirò la sua attenzione. La seconda metà del cuore di Sherlock era lì, abbandonata ai suoi piedi, silente e immobile. Si chinò su quel frammento che pareva quasi un pezzo di vetro e lo raccolse fra le sue mani, gli occhi improvvisamente traboccanti di lacrime. Alzò lo sguardo sul moro che, ancora, lo fissava con disprezzo e dolore. “Mi dispiace.” ebbe solo la forza di dire.
Sherlock scoppiò a ridere con amarezza e svilimento, gli occhi che sanguinavano di lacrime copiose e le mani che stringevano un frammento di cuore ormai spento e perduto per sempre. Corse via. Si volse e partì. Superò tutti quelli che avevano appena assistito alla sua fine, quelli che l’avevano perseguitato, quelli che lo avevano odiato, quelli che lo avevano compatito in silenzio per paura. Via. Tutti loro. Scappò lontano. Attraversò il cortile a grandi falcate, finché le gambe non gli cedettero e si ritrovò disteso per terra, il corpo scosso da affannosi singulti e le mani con ciò che rimaneva del suo cuore strette al petto.
Non seppe quando avvenne il cambiamento. Percepì il dolore scemare lentamente via dal suo corpo. Non seppe nemmeno come. Parti di sé che non fece in tempo ad identificare scivolarono via da lui. Fu come sentire l’acqua di una doccia scorrere lungo il suo corpo, per poi ricadere al suolo. Dopo un paio di minuti, Sherlock Holmes si ergeva statuario e terribile nella sua bellezza in mezzo al giardino. I suoi occhi erano due feritoie che avevano esaurito ogni lacrima. Non sentiva niente. E non è un’iperbole. Davvero non sentiva niente. Era come essere in modalità sordina.
“Mycroft?” sussurrò con voce fredda, distaccata al telefono su cui aveva appena composto il numero del fratello. “Manda una macchina a prendermi. Non tornerò più in questo gabbia di decerebrati.”
Il suo cuore, nel frattempo, l’aveva fatto scivolare con noncuranza nella tasca dei suoi pantaloni, come un mazzo di chiavi. Ricordava a malapena quello ch’era capitato. Ma la cicatrice del dolore era lì, ferma e presente. L’odio verso quel bastardo di John Watson anche. Ma l’indifferenza… l’indifferenza batteva ogni altra cosa. Si sentiva forte. Si sentiva se stesso. Si sentiva, finalmente, libero del suo difetto chimico.
 
John’s POV. Sono passate due settimane da quando Baker Street è avvolta dal silenzio. Sherlock è scomparso. Sono andato così tante volte a Scotland Yard, a fare appello a Greg, ma pare che anche lui non lo senta da giorni interi e, a detta sua, nemmeno Mycroft ha la più pallida idea di dove il minore si trovi. Probabilmente è una bugia. Mycroft è bravo a mentire, lo è sempre stato. Greg no, quindi è probabile che Mr Governo sappia perfettamente dove io possa cercare. La signora Hudson non fa che sospirare alla vista della poltrona nera orfana del suo padrone. E i suoi sospiri si accentuano ancora di più quando i suoi occhi si posano su di me.
“Sei così sciupato, John caro.” mi ripete quasi ogni mattina e so che è vero. Vorrei solo avere il coraggio e la forza di alzarmi in piedi e contemplare il mio riflesso allo specchio, ma ho troppa paura di vedermi sbattuta in faccia l’immagine del me stesso di tanti e tanti anni fa.
E’ proprio in un 221B vuoto e oscurato dalla penombra del mattino prestissimo, che ripenso a quel giorno, a quel fantasma ricoperto di calci, a quel cuore spuntato all’improvviso che mi si è attaccato addosso, a quel frammento solitario e triste che ho fissato per giorni interi. Quella mattina fu l’ultima volta che vidi Sherlock di persona, ma di certo non l’ultima che lo vidi, perché il suo cuore, da allora, è sempre stato con me, riposto in una scatola di cartone, al sicuro dal mondo e, principalmente, da me stesso. L’ho portata all’accademia militare, l’ho portata al Barts, l’ho portata in Afghanistan e l’ho anche qui, a Baker Street, nascosta sotto i miei vestiti peggiori.
Non so come sono arrivato di fronte al mio armadio, so solo che ora sto stringendo quella scatola. Non la apro da quando vi ho messo quel frammento e mi sono ripromesso di non farlo. Ma ora… ora che sono certo dei sentimenti che provo per l’uomo che possiede questo cuore, non posso più tenerlo chiuso in una scatola. Tolgo il coperchio. Tengo gli occhi chiusi per alcuni momenti. Infine… E’ qui, sotto il mio sguardo triste e nostalgico, riposa in silenzio, forse morto. Tanto tempo fa, mi chiese di amarlo. Forse non è molto, ma… oggi lo amo. Lo prendo in mano con cura e me lo porto alle labbra, depositandoci un bacio dolce e nostalgico. Dio, quanto fa male…
Improvvisamente, un dolore lancinante al petto. Mi trovo in ginocchio, boccheggiante, le labbra aperte in un grido muto. Tremo da quanto è forte la scossa che mi pervade, serro gli occhi per trattenere le lacrime. Faccio appena in tempo a rialzare le palpebre, che scorgo il mio stesso cuore volare via dalla finestra. Mi rialzò in piedi a fatica, il cuore di Sherlock nuovamente nella scatola. Che cazzo sta succedendo?
Corro in strada e scruto il cielo, in cerca di una traccia, e infine lo vedo, volare via sulla cresta del vento. Le gambe si muovono da sole mentre mi fiondo per le strade del centro di Londra come un ragazzino sprovveduto, evitando pedoni e rischiando di finire sotto una macchina. Tutto quello a cui riesco a pensare è corri, anche se a volte tale pensiero è sostituito da imprecazioni disperate. No, dannazione, no!
Quando sbuco a Manchester Street lo scorgo entrare in una finestra aperta da cui proviene una struggente melodia pronunciata dalle corde di un violino. Dio, no… Una vecchietta sta uscendo in questo momento dal blocco di appartamenti, così mi affretto verso l’ingresso, urlandole di non chiudere e la scanso con quanta delicatezza riesco a recuperare nella foga. Merda… merda, merda, merda… Non lo deve sapere. Non può sapere. Non voglio che sappia.
Sfreccio su per le scale, seguendo la melodia del violino che continua a cantare, indisturbata, e una volta che arrivo alla porta giusta la percuoto con bussate brusche e disperate.
Fa’ che non l’abbia visto. Fa’ che non l’abbia visto. Fa’ che non l’abbia visto.
Non devo aspettare molto prima che la porta si apra, rivelando quella figura che tanto amo. Mi osserva prima con sorpresa, poi, però, lo stupore si scioglie in indifferenza. “Che cosa vuoi?” sibila con acidità.
“Spostati.” rispondo con secchezza allungando l’occhio all’interno, alla ricerca del mio cuore.
“Perché?”
“Devo riprendermi una cosa.”
Sherlock inarca un sopracciglio. “Non mi sembra di averti preso nulla da Baker Street.”
“C’è una cosa che mi hai preso, invece. Fammi passare.”
“Ho detto che non puoi. Ho un ospite.”
Mi imprimo in volto un’espressione carica di ironico stupore. “Ah sì? Una delle tue relazioni da una botta e via? Dev’essere una cosa seria se hai cominciato a dedicargli dei brani col violino. Se vuoi di’ al tuo amichetto di vestirsi e che ci metterò mezzo secondo.”
Lo sguardo di Sherlock si assottiglia, infine, scoppia, brillando di luce propria. “Oh. Si tratta del tuo cuore, non è così? E’ venuto qui.”
“Non sono affari che ti riguardano, Sherlock.”
“Direi che lo sono, dal momento che il tuo prezioso e inaccessibile cuore è a casa mia.”
Scoppio a ridere, scuotendo la testa. “Hai perso ogni diretto di fare dell’ironia sui miei sentimenti quando te ne sei altamente fregato due settimane fa. E ora spostati e fammi riprendere ciò che è mio.”
“Solo se tu ridai a me ciò che è mio.”
M’irrigidisco appena a queste parole. Non pensavo avrebbe ritirato fuori la questione. Sono mesi che conviviamo eppure non mi ha mai posto alcuna domanda a proposito del suo cuore. E ora pretende che dopo tutti questi anni io glielo ridia? “No.”
“No?”
“Non ti appartiene più, Sherlock.” sibilo con rabbia e veleno, preoccupandomi solo del senso di malessere che provo nel ripensare al modo in cui se n’è andato e mi ha abbandonato in quel resort, solo.
“Se è per questo, direi che neanche il tuo cuore ti appartiene più.”
Faccio per ribattere quando i miei occhi captano un movimento alle sue spalle e allora lo vedo, il mio cuore innamorato che assiste alla nostra discussione con tristezza. Devo preservarlo. Devo riuscire in ciò che Sherlock, anni fa, ha fallito. Non permetterò al mio cuore di spezzarsi. Non per colpa di errori che ho commesso da ragazzo e per cui mi sono pentito già largamente.
Avanzo, incurante del suo corpo che blocca l’intero uscio, e cerco di superarlo, allontanandolo con una spallata, ma lui mi anticipa e, in una frazione di secondo, mi ritrovo contro la parete, Sherlock schiacciato contro di me per bloccarmi.
“Lasciami andare.”
“Solo se prima lo fai tu.”
In questo momento, mi rendo conto che gli sto stringendo i fianchi, probabilmente un movimento istintivo dettato dall’addestramento militare per allontanarlo, ma qualcosa, in petto, mi opprime. Osservo le mie mani serrate sulla sua figura, osservo i suoi occhi immensamente calmi, osservo le sue labbra vicine alle mie.
“Lasciami andare, John, e io farò altrettanto.” riprende lui con voce così calda e grave da farmi rabbrividire per l’emozione.
“Non posso.”
“Perché?”
Sorrido mestamente. “C’ho provato per vent’anni a lasciarti andare, Sherlock. Oggi non è un giorno diverso dagli altri.”
I suoi occhi tradiscono una luce di dolcezza mista ad una punta di timore, ma non si stacca. “E allora, se non altro, ridammi il mio frammento di cuore e io ti permetterò di prenderti il tuo.”
“Non posso.”
“Perché?”
“Perché il mio cuore non mi appartiene più.” sussurro con voce tremante a causa dell’ondata di amarezza che mi pervade. “Non è più mio, capisci? E’ tuo, Sherlock. Lo sarebbe stato anche vent’anni fa se non avessi avuto troppa paura di quello che gli altri avrebbero potuto pensare. Sherlock, lo capisci che non siamo più padroni di niente? Lo capisci che siamo solo due pedine mosse da due dei peggiori scacchisti che esistono, a quanto pare?”
Sherlock sorride debolmente alle mie parole e lo vedo deglutire. “E chi sarebbero?”
“I nostri cuori, Sherlock.” rispondo in un mormorio, avvicinandomi appena al suo viso, le fronti a contatto, i nasi a sfiorarsi, le bocche a cercarsi. “Ti amo, Sherlock.” E lo bacio, libero di ogni pensiero che finora mi ha tenuto incatenato al suolo, libero da stupide preoccupazioni, libero da inutili convenzioni sociali, libero dal passato, libero dagli errori… Solo io e Sherlock. E so che mi scanserà e che riprenderà ad odiarmi una volta rientrato in casa, ma ora non importa. “Ti amo, cazzo.” sussurro ancora sulle sue labbra, mordicchiandogli quello inferiore per introdurmi nella sua bocca e baciarlo meglio, con più passione di quanta non ne stia già usando. Vorrei che mi concedesse solo questo. Solo un bacio. Poi potrò anche strisciarmene nuovamente a Baker Street, senza cuore e dignità. Solo un bacio.
Ma Sherlock mi ghermisce il volto e mi spinge ancora di più contro di sé, aprendo la bocca e inondando la mia con il suo caldo sapore e la sua saliva, la lingua che si intreccia alla mia in un bacio disperato, mentre entrambi respiriamo scompostamente la stessa aria calda e consumata. Le sue mani scivolano alle mie natiche e spingendomi contro in muro mi incoraggia ad aggrapparmi a lui, così gli circondo la vita con le gambe e, sorretto dai suoi palmi, continuo a baciarlo con foga, spostandomi poi alla mascella e poi ancora al collo, strappandogli un gemito arrochito. A quel punto, con la sola forza delle braccia, mi porta nel suo appartamento, richiudendo la porta con un calcio e mi deposita sul divano inginocchiandosi su di me e sbottonandomi la camicia. Quando le sue labbra mi mordicchiano il capezzolo, mi lascio sfuggire un mugolio strozzato che Sherlock si affretta a raccogliere nella sua bocca famelica che non sembra avere intenzione di darmi tregua.
In un frangente, ogni cosa viene sconvolta. Si scansa, gemendo di dolore, una mano al petto e crolla sul pavimento, i denti digrignati.
“Sherlock? Ehi? Che ti succede? Sherlock?” farfuglio confusamente accorrendo verso di lui e prendendogli delicatamente il viso, uno sguardo apprensivo sul viso. “Sherlock?” Poi, da sotto la camicia bianca, scorgo un brillio tenue, appena visibile, che pian piano diventa sempre più nitido e deciso. Quelle di Sherlock, ora, sono urla raccapriccianti e il suo corpo viene scosso da tremiti incontrollabili.
“John… John… Cristo, John, fa male.” geme afferrandomi per la giacca e annaspando in cerca di aria. “Il… il cuore. Il mio cuore, John… Lo sento.”
A quelle parole sgrano gli occhi, ma non ho tempo di elaborare ciò che ha appena detto, perché dalla finestra irrompe improvvisamente una scheggia impazzita. Quella scheggia. L’altra metà del cuore di Sherlock. Sul suo petto, si palesa di colpo ciò che ha conservato da quella mattina, il brillio ora è una luce quasi accecante che sembra richiamare a sé ciò che gli spetta.
“John… Non vedo niente… Che succede?”
Ma mi rendo conto che non vi sarebbe discorso per descrivere quello a cui sto assistendo. Il cuore di Sherlock, come due frammenti di vetro che coincidono perfettamente, si ricuce assieme, e la luce rosa divampa attorno a noi, inonda ogni cosa, costringendomi a serrare le palpebre mentre un vento imperioso anima l’appartamento, scuote le tende, sparge gli spartiti.
Quando tutto questo cessa, io e Sherlock riapriamo gli occhi contemporaneamente e tratteniamo il fiato. Sul suo petto, fluttua serenamente il suo cuore animato da una tenue luce rossastra. Non c’è più la spaccatura, e neanche la ferita, nemmeno l’ombra di una cicatrice.
“Sherlock… il tuo cuore…”
Lui mi sorride con sollievo, radioso come un bambino. “Anche il tuo…”
Quando abbasso lo sguardo su di me, mi rendo conto che il mio cuore galleggia placidamente di fronte a me, anch’esso contornato da un’aura rossastra. Io e Sherlock ci scambiamo un’occhiata sognante, ma improvvisamente una vocina ci fa sobbalzare entrambi.
Sherlock, se tu lo vuoi sarò tuo per sempre, abiterò in te come se fossi il tuo stesso cuore, ti porterò la luce nelle tenebre e il calore nel gelo. Sarò sempre con te, in te, ovunque andrai. Sarò John. E sarò per sempre al tuo fianco. Mi amerai, Sherlock?
Riconosco immediatamente il pigolio deciso ed impertinente del mio cuore e mi trovo a sorridere con imbarazzo a quelle parole, pieno di pudore. Cerco gli occhi di Sherlock e al contempo vorrei sfuggirne, ma un calore inaspettato alla mano mi fa sussultare. Le sue dita mi accarezzano delicatamente e il suo sorriso è quanto di più bello e dolce io abbia mai visto.
“Sì, ti amerò per sempre.”
John, non ho intenzione di ripetere quell’inutile giuramento. Sarà come ha già precisato il tuo cuore, perciò non ribadirò l’ovvio. La domanda devo comunque portela, anche se, tempo addietro, l’ho già fatta, in un certo senso.
Una stilettata mi colpisce il petto al ricordo di quella mattina di maggio e mi trovo a scuotere convulsamente il capo di fronte all’espressione mesta di Sherlock. “Quella volta non conta. Non più. E’ cambiato tutto.”
Bene, allora… mi amerai, John?
E allora annuisco freneticamente, mentre un sorriso esplode sulle labbra di Sherlock. Osservo i nostri cuori scambiarsi e, silenziosamente, saluto il mio che si rifugia nel suo petto e do il benvenuto al suo che entra nel mio. Solo adesso ritorniamo a baciarci, stavolta con delicatezza, sfiorandoci e accarezzandoci pieni di premure.
“Ti amo, John.” soffia tra un bacio e l’altro.
“Dillo di nuovo.”
“Ti amo, John Watson, ti ho amato da quando ero un ragazzino e nonostante tutto ho continuato a farlo senza neanche saperlo. Ti amo e sono pronto ad amarti fino alla fine dei miei giorni.”
Scoppio a ridere di sollievo mentre lui ricade a terra supino e io continuo a baciarlo con dolcezza e amore. “Non ti abbandonerò mai più, Sherlock, e non ti negherò più il mio amore. Morirei, piuttosto che farti soffrire.”
Improvvisamente, però, mi stacco dalle sue labbra e lo guardo con confusione.
“Ma in casa… Voglio dire, il tuo ospite…”
“Oh, no, non c’è nessuno. Era una scusa per farti ingelosire.” mi risponde seraficamente lui, un debole ed imbarazzato sorriso a stirargli le labbra. “Mi dispiace, non volevo fare lo stronzo… I-io…”
Ma non gli permetto di continuare. Riprendo a baciarlo con trasporto, ridendo dentro di me per questo Sherlock che ora ho ritrovato, così simile a quel ragazzino eppure così perfettamente uomo. Ci siamo fatti tanto del male, abbiamo finito per torturarci reciprocamente, ma il nostro amore, ne sono certo, dura da una vita intera. Il suo cuore è in me, lo sento battere, lo sento sussurrarmi ti amo, e sono certo che per lui è lo stesso. Non ho mai sentito niente di simile a proposito dei cuori. Dicono che la sinfonia perfetta è ardua da trovare, ma che quando due cuori sono in armonia tra loro allora riescono a sintonizzarsi costantemente, ovunque e sempre, ma dello scambio fra cuori…
Che cosa siamo, io e te, Sherlock Holmes? Eravamo solo due ragazzini inconsapevoli, imperfetti, e ora siamo diventati due uomini ancora più imperfetti, ma ci amiamo. Ti amerò per sempre, Sherlock Holmes. Ti ribadirò il mio amore ogni giorno della mia vita, anche a costo di diventare melenso e puerile. Nella mia imperfezione ti prometto che proverò a diventare perfetto, solo per te, per meritarmi il tuo amore, il tuo cuore. E io ti chiedo di custodire i miei sentimenti, il mio cuore, perché è sempre stato tuo, Sherlock, sempre, sin da quando ti ho visto in bilico su quel tetto. Non ho mai creduto nel destino, di certo nemmeno tu, ma ti giuro che quando ti ho scorto… ho avuto la certezza che sarei stato legato a te indissolubilmente. Per questo ti ho trascinato via dalla morte. Per egoismo. Per paura. Perché sapevo, in un istante di folle fantasia, che senza di te la mia vita non avrebbe avuto senso. Il mio cuore era tuo già da allora.
Ti amo, Sherlock.
Ti amo, John.

SPAZIO AUTRICE
Bene. Allora. Boh. Ammazza, che loquacità, eh. No, sul serio, non ho idea di cosa dire. Cioè, aver concluso questa long-fic, la mia seconda - tra l'altro - dopo Cuore sul grilletto, mi provoca un senso di vuoto incredibile. Comunque, forse non dovrei dirlo, soprattutto conoscendo la costanza della mia voglia di scrivere *eheheheh*, ma ho già le mani su una nuova long-fic che, se devo essere sincera, è molto particolare (parliamo sempre di una AU) e che PROBABILMENTE pubblicherò già da questo Sabato - la verità è che non c'ho voglia di combattere con quella brutta cosa chiamata rientro a scuola e quindi preferisco darmi una smossa. 

Ad ogni modo, ciancio alle bande - era così?. Vi invito a guardare il video d'animazione da cui ho preso in parte spunto, perché, mi spiace dirlo, se non l'avete ancora visto siete delle persone orribili (vi lascio il link: https://www.youtube.com/watch?v=2REkk9SCRn0). G-U-A-R-D-A-T-E-L-O!!!! 

Lasciate pure una recensione, se avete tempo, se no cavoli miei che vivrò nell'eterna ignoranza dei vostri pensieri peggiori verso di me e il mio lavoro *sigh* e un'ultima cosa.... COME DIAVOLO SI CARICANO IMMAGINI?? Ho provato a fare il mondo per riuscirci ma puntualmente non ce l'ho mai fatta. Quindi, se un'anima pia volesse dare un aiuto piccino piccino a questa decerebrata, ve ne sarei davvero grata.

E... Va beh, direi che ho finito. Spero che abbiate apprezzato la storia e che continuerete a seguirmi numerosi come siete stati (grazie davvero, ve ne sono immensamente grata) e vi auguro tutto il bene del mondo fino alla prossima - poi vi augurerò tutto il male del mondo. UN BACIONE GIGANTE, CIAUUU!!!

​Alicat_Barbix

 
   
 
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