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Autore: Giada_wx    11/09/2018    1 recensioni
Niente rabbia, niente tristezza. Non me ne importava nulla che i miei diciotto anni di vita fossero ridotti a dieci inutili scatole. Mi chiedevo se fosse normale, o quando era stato il momento esatto in cui avevo smesso di lottare e avevo iniziato a sopportare. Poi l'immagine di quella stanza buia e umida tornava, il dolore lancinante che avevo provato al ventre si fece così vivido da dover trattenere un urlo. E mi servirono da risposta.
«Dov'eri finita, Ashlie? »
«Dove sapevo che non mi avresti trovata. »
☀ ☀
"Quello che abbiamo sofferto in passato ha molto a che fare con ciò che siamo oggi."
Qualunque analogia con fatti, luoghi o persone reali, esistenti o esistite, è del tutto casuale. Il carattere dei personaggi famosi descritto in questa storia non coincide con la realtà.
Questa fan fiction è un'opera di fantasia.
Tutti i diritti riservati.
Copyright © 2018 di Giada_wx
[La medesima storia è in corso anche su Wattpad, postata sempre dalla sottoscritta sotto il nome di Giada_Me.]
Genere: Malinconico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un prato che non riconosco, un passo dopo l'altro, i piedi scalzi a contatto con l'erba fredda.
Risate, la mia risata. Poi una rosa bianca. Altre risate. Poi un grido, la rosa bianca perde alcuni petali che diventano rossi. Vedo la mia mano tremante afferrarne uno e subito dopo un rivolo di sangue scende dal mio indice fino ad arrivare al palmo della mia mano. 
Un'ombra mi segue ed inizio a correre, sento una voce chiamarmi ma non posso girarmi. Devo scappare. Corro veloce, ma non basta. Qualcosa, o qualcuno, mi afferra per la caviglia ed io inciampo. Chiudo gli occhi nell'attesa dell'impatto contro l'erba verde, ma non arriva mai. Li apro e mi guardo cadere dentro una voragine, con la voce incastrata in gola e le lacrime agli occhi. Cerco qualcosa da afferrare, un ultimo appiglio, ma il buio continua ad inghiottirmi, mentre una voce grida il mio nome. 

Mi sollevo di scatto, madida di sudore nonostante il freddo. Le coperte a terra, il mio respiro pesante, il battito del cuore accelerato. Porto una mano al petto, per paura che possa uscire da un momento all'altro. Riprendo a respirare, il battito si regolarizza ma sento la testa dolorante e gli occhi mi bruciano, soprattutto quando entrano in contatto con la flebile luce che entra dalla finestra.
Sposto lo sguardo sul comodino, la sveglia digitale segna le 17:00 e il mio respiro si ferma per un po'. Ho dormito tutta la giornata. 
Provo a pensare alla serata precedente, però la testa fa davvero male, sento le labbra screpolate e la bocca secca. Mi sforzo e una serie di immagini attraversano la mia testa: io e Kyla in discoteca, i diversi shot di assenzio e vodka, le risate, poi Luke, Luke che balla con me, Luke che mi prende per mano e mi porta via.
Vorrei ricordare dell'altro, vorrei ricordare dove siamo stati dopo, ma le pulsazioni nella mia testa si fanno sempre più forti e ad un tratto mi accorgo che non sono solo lì. C'è qualcuno che bussa alla porta della mia camera, con molta foga. Così scalcio via quel che resta delle coperte, i miei piedi toccano il pavimento freddo e non appena mi metto in piedi sento il mio stomaco contorcersi, intenzionato a rigettare l'alcol della sera scorsa. Ignoro il bisogno repellente di correre al bagno e vado ad aprire la porta, in parte per far sì che questo rumore assordante che non fa altro che peggiorare il mio mal di testa cessi. 
Faccio appena in tempo ad aprire la porta che due braccia forti mi intrappolano in una presa ferrea. Sento il profumo di Axel solleticarmi le narici, e mi sembra di avvertirlo un po' più forte del solito, ma non ho la forza di spostarmi, così poso la testa sul suo petto. 
Sento il suo respiro pesante e il battito del suo cuore tornare pian piano ad un ritmo regolare.
Mi chiedo cosa lo abbia ridotto così, ma sono troppo stanca per arrivarci da sola. Mi lascio cullare ancora un po' tra le sue braccia, mentre sussurra il mio nome. 
D'improvviso però sento lo stomaco bruciare e sento di non poter rimandare più; mi stacco bruscamente dall'abbraccio di Axel e corro in bagno, chinandomi appena in tempo sul water prima che l'alcol torni su. 
Il mal di testa aumenta e il dolore alle tempie è insopportabile. Le lacrime agli angoli degli occhi e la gola in fiamme. Sento i passi di Axel raggiungermi, si china su di me e senza esitare raccoglie i miei capelli tra le sue mani. Lo fa piano, con movimenti delicati, e inevitabilmente ritorno a tanto tempo fa, a quelle sere in cui l'alcol alleviava il dolore ma al risveglio la realtà era peggiore del giorno prima. Ma Axel era sempre lì, a raccogliere i miei pezzi e tenermi la fronte.
Tiro lo sciacquone e mi accascio nel pavimento bianco e freddo, contro la ceramica. 
Lui mi lascia andare i capelli ed io lo guardo. Lo vedo prendere un asciugamano e piegarlo in più parti. Lo tiene sotto il getto dell'acqua per un po' e poi torna da me. Si china e posa il panno bagnato sulla mia fronte, lo strofina delicatamente. Poi sotto gli occhi, nelle guance, per finire sul collo. Chiudo gli occhi e mi godo il sollievo che l'acqua fredda da al contatto con la mia pelle accaldata. 
«Hai un aspetto di merda » dice all'improvviso. Il suo tono è duro ma non riesce a nascondere quel velo di preoccupazione. Si sta forzando di mantenere la calma, posso avvertirlo. Apro gli occhi e torno a guardarlo, mi sembra di vederlo per la prima volta da quando è arrivato. 
La barba copre la sua pelle solitamente liscia, gli occhi sono cerchiati da ombre nere e lo sguardo è stanco. Il viso sembra pallido e i suoi occhi azzurri sono di un blu carico di tante cose messe insieme. Rabbia, risentimento, paura. 
«Anche tu » ribatto, e lui ride. Una risata amara che risuona forte tra le pareti della mia testa. Stringo gli occhi per un secondo, poi torno a guardarlo. 
Sono stata io a ridurlo così? 
«Cosa ci fai qui, Axel? »  
Il suo sguardo, prima rivolto al soffitto bianco del bagno, saetta su di me. Sul suo volto la stanchezza è quasi palpabile, così come la rabbia. Rabbia nei miei confronti. Perché?
«Cosa ci faccio qui? Davvero Ashlie?! » Alza la voce e il panno che prima teneva tra le mani adesso è dentro al lavabo. Mette le mani sui fianchi, fa un giro su sé stesso, ma non serve a calmarlo. Il suo petto si alza e si abbassa velocemente, vedo il suo sguardo stanco trasformarsi in furioso.  «Due fottutissimi giorni che non ti sento. Non ti vedo. Davvero mi stai ancora chiedendo, cosa ci faccio qui? Non una chiamata, un messaggio. Niente di niente! », da' un pugno alla porta e sobbalzo. Non è solo a causa del colpo che ha appena assestato contro il legno, ma per la consapevolezza. Ho ignorato ogni chiamata di Axel, ogni suo messaggio, dall'arrivo di quella lettera. Però vorrei dirgli che non ha nessun diritto di comportarsi così, di venire qui e urlarmi contro, che non sono più la bambina indifesa che la notte andava a nascondersi nel suo letto durante un temporale. Ma non lo faccio. Non lo faccio, perché quello che ho davanti è un ragazzo distrutto dalla paura, dai sensi di colpa. Distrutto da me
Mi alzo da terra, ignoro la mancanza di equilibrio e la spossatezza, e mi avvicino a lui. 
Prendo la sua mano tra le mie, ha del sangue sulle nocche. Afferro il panno con cui lui prima ha aiutato me, ma quando lo avvicino alla sua ferita lui si ritrae.  
«Pensavo fossi in pericolo. O che fossi sparita di nuovo », sono parole dure che rivolge a me, ma senza guardarmi. Il suo sguardo è puntato nella parete di fronte, sulle piastrelle turchesi.
«Ma non è così. Sto bene. »
«Bene è una parola grossa, per una come te », mi guarda e adesso vorrei non lo avesse fatto. Vorrei non le avesse dette, queste ultime parole. Parole molto simili a coltelli affilati che entrano ed escono ripetutamente dal mio petto. «Ti comporti da egoista. »
Lo so, Axel. Perdonami.
«Siamo davvero tornati a quel punto, Ashlie? » Al punto in cui l'alcol era il mio anestetizzante. Al punto in cui della mia vita poco m'importava perché non era più mia. Al punto in cui sentivo di aver perso tutto, e perdere me stessa non m'importava. Al punto in cui Axel a tarda notte doveva venire a prendermi per strada e portarmi a casa incosciente, fino all'indomani.
«Non è come credi- »  
«Non è mai come credo! » Urla, io indietreggio. «Ti comporti come se in questo mondo a nessuno importi di te, ma la verità è che la persona a cui non importa di nessuno, sei tu. »
Inerme, mi ripeto che queste sono le sole parole che merito di sentirmi dire. Perché alla fin fine, è la pura verità. Lascio che dentro di me si sgretoli qualcosa, ma lo faccio in silenzio. 
Lo guardo accasciarsi allo stipite della porta, le sue spalle si curvano e quasi mi sembra di vedere la rabbia abbandonarlo. Davanti ho di nuovo un ragazzo stanco, spaventato. Ferito, più di ogni altra cosa. 
«Axel », faccio un passo in avanti, per dirgli che davvero non è come crede. Che non ho fatto passi indietro, che non scapperò via da quel che resta della mia vita, che non lo lascerò di nuovo solo. Ma lui alza lo sguardo e lo punta su di me, congelandomi sul posto. Lo fisso, ancora inerme, mentre il suo sguardo carico di delusione mi ferisce più di qualsiasi altra parola abbia potuto sputare fuori fino ad ora. 
«Non c'è altro da dire, Ashlie. »   

Quando Kyla attraversa lo stipite della porta fuori ormai è buio, l'unica fonte di luce nella camera sono le lampade sulle nostre rispettive scrivanie. L'orologio digitale segna le 20:00 ed io non ho nessuna intenzione di abbandonare le coperte sotto le quali mi sono rifugiata subito dopo che Axel è andato via sbattendosi la porta alle spalle. 
«Non ti sei ancora ripresa? » Il suo tono risuona divertito tra le pareti della nostra camera, ma io non le rispondo. 
«Ashlie? » 
Ancora silenzio.
«Ashlie, sto per aprire la luce. » La sento posare la borsa, sento il rumore delle chiavi. Poi la sento spostarsi.
«Non farlo, per favore », la mia voce si sente appena nonostante il silenzio regni sovrano. «Sono sveglia. » 
Kyla però apre lo stesso la luce, che colpisce appieno i miei occhi sensibili portandomi a chiuderli in fretta. 
«Perché lo hai fatto? » Mi copro il volto con il piumone, ma lei si avvicina e mi scopre quel tanto che basta per far sì che i nostri occhi si trovino.
«Perché sei ancora a letto? Il post sbornia dovrebbe già essersi placato da un pezzo », adesso non è più divertita. E' preoccupata.
«Sto bene. »
«Bene è una parola grossa » dice, ed io sgrano gli occhi che presto sento riempirsi di lacrime. Anche Axel lo ha detto, poco prima. 
Ingoio il fastidioso nodo in gola e mi metto seduta. Immagino i miei capelli disordinati, le borse sotto gli occhi e la pelle pallida, ma non m'importa. 
«Kyla, devo chiederti una cosa », lei annuisce e si siede sul suo letto, di fronte a me. Aspetta che io parli. «Cos'è successo ieri sera? »
«Qual è l'ultima cosa che ricordi? » Si toglie una scarpa, poi lascia cadere anche l'altra. Tira su le gambe e le incrocia sul letto. Passa una mano tra i corti capelli scuri, li disordina un po' e in fretta risistema la frangia che le ricade sugli occhi.
«Io e Luke sulla pista da ballo. »
«Siete andati via. »
«Via dove? » Le chiedo, ma so che lei non ha nessuna risposta da darmi. Lo leggo nei suoi occhi pieni di scuse, che mi implorano di perdonarla. Scuoto la testa e abbasso lo sguardo.
«Almeno dimmi che non ti ho lasciato da sola », lei scuote la testa e sento il peso sulle spalle alleviarsi appena.
«No », sorride e continua a scuotere energicamente la testa.  «Ero con Michael, quel tipo dai capelli blu. Un amico di Luke. »
Io annuisco, e mi lascio cadere di nuovo sul letto.
«E' successo qualcosa? » Mi chiede, sento di nuovo la sua voce velarsi di premura e preoccupazione.
«Niente di grave », credo. Ma lo tengo per me. In realtà non credo che Luke abbia fatto niente di male. Voglio solo ricordare cosa ho fatto io, piuttosto.    
Resto a fissare il soffitto, con le parole di Axel che mi suonano ancora in testa e la delusione sul suo viso che non riesco a togliermi dalla mente. 
Non lo avevo mai visto così. 
Non mi aveva mai guardata così.
«Ashlie », Kyla mi chiama ma io non la guardo. Mi limito a risponderle con un suono molto simile ad un mugugno. «Sei sicura di stare bene? »   
Faccio appello alle mie ultime forze e mi volto a guardarla. Lei però mi da le spalle, impegnata a ripiegare con cura alcuni vestiti nei suoi cassetti.
«Sì, perché? »
«Perché è come se tu fossi qui, ma non qui. » 

   
 
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