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Autore: Ksyl    11/09/2018    1 recensioni
Dopo gli spari della 8x22
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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3.

Dovette aspettare più a lungo del previsto. Quando era giunta l'alba si era convinto che il suo desiderio stesse per realizzarsi. Invece, non era andata così.
Aveva trascorso una notte insonne, arrovellandosi su che cosa volesse dire, di preciso, coma farmacologico? Non che non lo sapesse a grandi linee, aveva fatto delle ricerche per uno dei suoi romanzi, e si trattava pur sempre di qualcosa di cui la gente aveva almeno un'idea di base.
Non bastava. Voleva conoscere tutta la letteratura medica a riguardo e anche qualcosa di più, se solo gli avessero concesso di usare il suo cellulare, che non aveva idea di dove fosse. O almeno fornirgliene un altro che potesse usare per fare delle ricerche.
Sapeva bene di non avere abbastanza energie mentali per concentrarsi a lungo su uno schermo, ma a quanto pareva non erano disposti a concedergli nemmeno qualche minuto di connessione alla rete.
Era costretto all'impotenza, gravato dalla maledizione di una mente iperattiva che non gli dava tregua. Non poteva muoversi nel letto, ma doveva rimanere supino, fissando il soffitto. Aveva i muscoli dorsali indolenziti.
Sopportava stoicamente il dolore del taglio chirurgico – gli avevano spiegato sommariamente quali parti del suo corpo erano state lacerate dal proiettile, dove era situato il foro di entrata, e quale tipo di intervento aveva subito.
Li aveva ascoltati con poco interesse, a lui importava unicamente delle condizioni di Kate. Erano passati diversi giorni dal loro precipitoso arrivo in ospedale, come era possibile che non avesse ancora ripreso conoscenza? Era normale? Gli stavano nascondendo qualcosa? La sua mente vorticava intorno allo stesso punto cieco come una trottola priva di controllo.

Non aveva chiesto altre informazioni ai medici che si occupavano di lui, perché immaginava che non fosse di loro competenza. Aveva quindi passato molte ore in attesa che Allison venisse a prenderlo, perdendo progressivamente le speranze.
Si trattava forse di un'altra delle idee illusorie alle quali si aggrappava? In realtà non c'era nessun motivo logico per cui dovesse essere proprio lei ad accompagnarlo. Poteva arrivare qualsiasi estraneo a scortarlo al piano di sotto, magari lei non era di turno.
Sperava però che si trattasse del loro "angelo", come aveva iniziato a chiamarla.
Forse stava peggio di quanto credeva, se arrivava a pensare a cose tanto stucchevoli.

Le sue richieste vennero esaudite. Subito dopo pranzo, che in ospedale veniva servito quando le persone sane stavano ancora facendo colazione, una testa bionda fece capolino dalla porta, cogliendolo di sorpresa. Non c'era nessuno con lui, che si era ormai rassegnato a un lungo pomeriggio di attesa.
"Pronto, Rick?". La voce era piena di calore, proprio come la sera precedente.
In quell'occasione indossava un camice bianco. Castle si chiese perché si fosse cambiata e se c'era un significato che gli sfuggiva. Probabilmente la seconda ipotesi, si rispose. Iniziava a vedere complotti ovunque volgesse lo sguardo.
Con molta cura e attenzione lo aiutò a mettersi seduto sul letto – lui avrebbe preferito fare da solo, per mostrarle di essere forte e indipendente, ma lei non volle sentire ragioni – e lo trasferì sulla sedia a rotelle.
Non sarebbe mai riuscito a camminare fino al piano di sotto. Aveva tentato di fare qualche passo di nascosto, ma la mossa non si era rivelata molto saggia. Aveva quasi rischiato di cadere e aveva temuto di non riuscire a tornare in tempo alla sicurezza del suo letto.

Rimasero in silenzio, mentre attraversavano lunghi corridoi, aspettavano con pazienza l'arrivo dell'ascensore ed entravano in un reparto sconosciuto. Molto più silenzioso di quello in cui era ricoverato lui, e molto meno luminoso.
Non gli piaceva, d'istinto. Kate non poteva essere finita in un posto così desolato. Nessun vociare in corridoio, nessuna televisione accesa o il tipico cicaleccio tra pazienti – da cui si era volontariamente astenuto, preferendo la solitudine, ma che, lo notava solo ora, l'aveva aiutato a non sprofondare in pensieri ancora più cupi. Non si era mai sentito solo.
A confronto il suo reparto era un inno alla vita.
Non incontrarono quasi nessuno e quelle poche persone sedute in corridoio che alzarono lo sguardo incuriosite al suo passaggio lo resero ancora più depresso. Erano più che tristi, o preoccupate. Avevano perso la speranza.
Gli spiacque per loro, ma a lui non sarebbe successo. Stava andando a trovare sua moglie, che aveva sposato solo un anno e mezzo prima e che si sarebbe ripresa. Presto. Nessuna alternativa era contemplata. Avevano davanti ancora molti anni da vivere insieme.

Si fermarono di fronte alla stanza di Kate. C'era scritto il suo nome sulla porta. Castle era ansioso – gli sembrava di non aver mai provato altro stato d'animo che non l'incessante e perpetua afflizione per la sorte di sua moglie. Non ricordava come ci si sentisse a stare bene, ad alzarsi il mattino senza temere il peggio. Com'era non avere un pensiero al mondo? Davvero era mai stato spensierato? Davvero le aveva detto che temeva sarebbero diventatinormali?
Voleva essere normale, voleva annoiarsi. Voleva sua moglie.

Si era aspettato che Allison gli facesse un lungo discorso su come doveva comportarsi, su quello che poteva o non poteva fare, informandolo con severa autorità sui minuti che gli erano concessi, prima di permettergli finalmente di entrare.
Non fece niente di tutto questo.
Si chinò su di lui, lo guardò dritto negli occhi e gli disse soltanto: "Non cerchi di svegliarla".
Si stupì, ma rimase in silenzio.
"So che vorrà provarci, e lo capisco. Ma non è in coma in senso classico visto che siamo noi a gestirlo, quindi, la prego, non metta in pratica tutte quelle idee che ha sicuramente pensato per farle aprire gli occhi. Ok?".
Si sentì colto in fallo come un bambino e senza che i suoi soliti modi scanzonati gli venissero in soccorso. Sarebbe mai tornato a essere la persona di prima?
Aveva ragione, aveva riflettuto su come agire per farla tornare cosciente. Sarebbe bastata la sua voce? O il tocco delle sue dita? Poteva canticchiare qualcosa? Raccontare la storia del loro amore? Ci sarebbe voluto del tempo, avrebbe dovuto scegliere con cura gli aneddoti.
Annuì, accettando le sue condizioni. Purché si sbrigasse ad accompagnarlo dentro.

Entrarono e si avvicinarono al letto dove Kate giaceva immobile. La stanza era poco illuminata, i suoi occhi faticarono ad abituarsi all'oscurità.
Allison lo aiutò ad accomodarsi su una poltrona lì accanto, per farlo stare più comodo. Ogni spostamento gli provocava dolori in tutto il corpo. Strinse i denti.
Gli raccomandò di suonare il campanello, in caso di bisogno, se si fosse sentito debole, o avesse avuto qualche capogiro, rassicurandolo che lei sarebbe stata nei paraggi. Castle cominciava a spazientirsi.
Finalmente se ne andò. Rimase solo con sua moglie. Si sentiva intimidito. Peggio. Aveva una paura dell'altro mondo.
Osservò la sua mano, abbandonata inerte vicino al suo corpo, libera da aghi. Era diversa, in qualche modo. Capì soltanto dopo che era perché mancava la fede nuziale. Gli venne un tuffo al cuore. Dove era finita? L'aveva persa prima di salire sull'ambulanza? Era... deglutì... era un cattivo presagio?
No, non doveva inseguire pensieri funesti. Avrebbe danneggiato l'energia della stanza, che doveva rimanere positiva e piena di ottimismo. Era venuto per quello. Per farla guarire.
Avevano detto che era fuori pericolo. Era l'unica cosa che importava.

Ci volle qualche tempo perché trovasse finalmente il coraggio di alzare gli occhi sul suo viso. Aveva cercato di prepararsi, perché sapeva che non poteva essere la stessa Kate. Aveva subito un intervento, perso sangue, c'erano state altre complicazioni a lui ignote, e da giorni giaceva in quel letto, senza aver ripreso conoscenza.
Temeva il momento della verità. Temeva di non essere in grado di sopportare di vedere una versione che non assomigliava alla sua Kate. Quella sorridente, tesa, concentrata, divertita. Quella che si svegliava al mattino con lui a fissarla in fondo al letto e lo trovava dolce e non bizzarro. Quella che rideva ancora alle sue battute. Quella pronta ad ascoltarlo e a sostenere le sue idee balzane.
Quando si decise a farlo, scoprì che aveva avuto ragione. Non era pronto, non lo sarebbe mai stato. Si trovò di fronte un bellissimo viso di marmo, che ampliava orribilmente il significato di "esangue".
Non volle ammettere con se stesso che il primo pensiero ad attraversare la sua mente fu che era proprio così che sarebbe apparsa da... non voleva pronunciare la parola. Doveva smettere di indugiare in fantasie inaccettabili. Non facevano bene a nessuno.
Non era morta. Respirava. Quasi impercettibilmente, ma il suo torace si sollevava, con regolarità. Gli occhi erano chiusi, nessun guizzo sotto le palpebre. L'unico tocco di colore era dato dai profondi cerchi violacei sotto agli occhi.

Le labbra erano più sottili, screpolate e quasi cineree. Si spaventò nel vederle. Non era così che le ricordava. Non era le labbra che aveva baciato, solo qualche giorno prima... Quando, di preciso? Non lo ricordava. Andò in panico. Se fosse... se non fosse sopravvissuta, come avrebbe potuto accettare l'idea di non sapere quando si erano baciati l'ultima volta? In ascensore, prima di rientrare al loft, ignari del pericolo? Quando le aveva detto che l'amava? Al telefono? Perché non glielo aveva ripetuto ogni minuto della loro vita? L'avrebbe fatto, se lo ripromise.

"Kate", mormorò stringendole la mano. Era molto fredda. Fu percorso da un brivido.
Controllò se qualcuno si fosse accorto che aveva già infranto le regole. Parve di no.
Non voleva svegliarla, solo farle sapere che non era da sola. Che c'era lui, con lei.
"Sono io. Sono qui".
Nessuna risposta. Solo il sibilo delle macchine e il suo respiro lieve.

   
 
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