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Autore: Ksyl    11/09/2018    1 recensioni
Dopo gli spari della 8x22
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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6.

Castle entrò per l'ultima volta nell'edificio imponente dove aveva trascorso la maggior parte del suo tempo nelle ultime settimane. Kate sarebbe stata dimessa di lì a poco. Il cuore martellava esultante fin dal mattino, all'idea che quel capitolo si sarebbe chiuso in modo definitivo.

Quei giorni tutti uguali, scanditi dalla regolarità inflessibile degli orari ospedalieri, gli erano parsi eterni da vivere, quando si erano presentati uno dopo l'altro in un esercito di cloni impietosi. Dando un'occhiata alle sue spalle, adesso che poteva concedersi il lusso di ammettere che era finita,davvero finita, si chiedeva dove fossero fuggiti, persi in una confusione indistinguibile.

La sua vita si era riprodotta con un ritmo sempre identico, perfettamente divisa a metà.
C'erano state le ore passate al fianco di Kate, durante la sua lunga convalescenza, che avevano vissuto nella piccola stanza diventata il loro rifugio, spettatrice affettuosa di visite, chiacchiere e risate. Ma anche di momenti pieni di silenzio e di paura, di mani cercate a chiedere conforto e rassicurazione. C'era stata rabbia intensa, qualche volta.
E quelle in cui aveva dovuto salutarla, con il cuore gonfio che si rifiutava di abbandonarla di nuovo, promettendole che sarebbe tornato l'indomani. Separarsi da lei si era rivelato ogni volta più insopportabile, anche se sapevano entrambi che niente l'avrebbe trattenuto dal presentarsi puntuale e sorridente il mattino seguente.
Strappato dal cerchio dei loro abbracci, Castle sapeva, con la certezza di chi non può aspettarsi nessuna grazia, che a casa lo attendevano lunghe notti solitarie e insonni, con il suo corpo irrequieto a bramarla accanto a sé.

Gli avevano ripetuto tutti, a più riprese, che doveva riposare, pensare alla sua salute, riguardarsi. Conosceva a memoria le loro litanie. Era stato ferito anche lui, aveva subito un intervento serio, doveva darsi il tempo di riprendersi. Non era saggio consumarsi al capezzale di sua moglie.
Aveva voluto gridare, ma non se l'era permesso. Aveva chiuso gli occhi e stretto i pugni, soffocando le risposte irate che gli erano salite alle labbra. Capiva che fossero preoccupati per lui e che stessero agendo a fin di bene (il bene di chi?). Avrebbe solo preferito che se ne fossero stati zitti, tutti quanti.
Non aveva mai avuto la minima intenzione di starsene a casa a poltrire quando Kate aveva bisogno di lui. Non che avesse preteso la sua perpetua compagnia, o che non avesse tenuto in conto le sue necessità, accusa, questa, che era trapelata nei grandi discorsi retorici che gli avevano rifilato quasi giornalmente. Lui sapeva bene che era stata anzi lei una delle voci più insistenti perché si risparmiasse un po', non c'era bisogno che si presentasse tutti i giorni, perché non ti prendi una pausa, Rick, c'è mio padre, sono in ospedale, sapranno cosa fare, se dovesse succederci qualcosa.

Nonostante fosse l'unica persona a non irritarlo con le sue premure, non le aveva mai dato retta. Il motivo era molto semplice e cioè che nessuno sarebbe stato in grado di prendersi cura di lei come sapeva fare lui. Non ne aveva mai fatto mistero nemmeno davanti ai medici, ai quali riconosceva qualche abilità superiore per via dei loro studi, ma nulla di più.
La sua famiglia, quella che aveva rischiato di perdere, era confinata in quelle quattro mura, e per questo motivo non gli era possibile immaginarsi altrove. Era la sua priorità. Tutto il resto avrebbe aspettato.

Era stato lui l'unico testimone delle ombre scure che erano scese puntuali ogni sera sul volto di Kate, quando il brutto orologio appeso alla parete di fronte al letto, che l'aveva fatta impazzire con il ticchettio inesorabile, aveva annunciato lieto e beffardo che si era fatto tardi. L'orario delle visite è finito. Castle era convinto che li odiasse, proprio loro due. Non solo quello specifico esemplare salvato dalla discarica, ma tutti gli orologi del mondo, riuniti nel comune intento di correre a perdifiato quando era con lei e muoversi pigri e svogliati quando era costretto a starle lontano.
Kate sembrava condividere il suo stesso punto di vista. Non che pensasse che il tempo si restringesse o dilatasse capricciosamente, non l'avrebbe mai ammesso. La scienza, la logica, la mela che cade in testa a Newton, i treni che si incontrano partendo da stazioni diverse, eccetera.
Aveva solo espresso un commento vago su quanto le sarebbe piaciuto avere a portata di mano un lanciafiamme per fermare quelle dannate lancette esasperanti, così il tempo avrebbeimparato. Castle aveva sorriso divertito, fermandosi subito, quando aveva ricevuto una delle sue leggendarie occhiate. Ma poi si era messa a ridere anche lei e gli aveva offerto metà del suo budino che sapeva di plastica e lui aveva accettato di finirlo, ma solo per amore.

L'ascensore era in ritardo, Castle decise per una strada alternativa. Aprì con un colpo secco la porta che l'avrebbe condotto alle scale, con l'abilità indotta dalla pratica. Gradino dopo gradino gli sfilarono nella mente le memorie delle altre circostanze in cui era passato di lì, e tutta la gamma degli stati d'animo che aveva sperimentato. L'entusiasmo e la voglia di vederla che l'avevano sospinto leggero verso l'alto, anche se quattro piani di scale erano superiori alle sue deboli forze. Prima di fare il suo ingresso in reparto si era dovuto fermare qualche minuto per placare il cuore impazzito e nascondere alle varie spie, dislocate nei posti più impensati, la mancanza di fiato, che l'aveva fatto aggrappare al corrimano mentre i suoi polmoni si dilatavano in cerca di aria. Entrava solo quando gli sembrava di aver raggiunto una certa compostezza da persona sana.
Altre volte era sceso con il passo appesantito dalle brutte notizie ricevute, permettendosi di trasudare la tristezza che non poteva esprimere davanti a Kate. Con lei si era sempre mostrato coraggioso e ottimista, anche quando gli era servita tutta la sua forza per farlo.
La placenta non si era attaccata bene - era stato uno dei primi rospi da ingoiare, arrivato a tradimento quando erano convinti che non sarebbe mai più successo niente di brutto. Si erano meritati un po' di serenità, se non almeno di felicità. O era chiedere troppo, Universo?
Kate aveva afferrato la sua mano, negli occhi lo sguardo pieno di angoscia che Castle aveva imparato a riconoscere, insieme all'interrogativo che nessuna frase, nessuna ragionevole considerazione, avrebbe mai sradicato dalla sua mente. È colpa mia?
Non lo era, ma lei non se ne convinceva. Non importava quante volte le ripetesse fino a diventare fastidioso alle sue stesse orecchie che era già un miracolo che fossero vivi entrambi e che il bambino fosse ancora tra loro. A lei non bastava mai.
A quel punto era dovuto ricorrere a strade più fantasiose.
Le aveva raccontato, in più puntate, la storia di un bambino che aveva scelto, tra tutte, proprio la loro famiglia.
Dove, Castle? Nel paradiso dei bambini non ancora nati? Quello in cui scelgono su un catalogo i genitori e prenotano le cicogne?L'aveva rimbeccato aspramente, stringendogli però di nascosto la mano, perché proseguisse. Le sue parole la curavano, lo sapevano entrambi. Non si era fermato.
E questo bambino, il loro, non solo si era appuntato il loro indirizzo, ma aveva specificatamente indicato lei come madre, facendone precisa richiesta sul modulo da compilare – qualche volta si era incartato sui dettagli pratici -, perché era così insopportabilmente maniaco del controllo che non se lo sarebbe preso nessun altro.
Vuole proprio te, Beckett, io lo so. Sono cose che si sentono.
Quindi, no, non se ne sarebbe volato via, si sarebbe anzi aggrappato alla vita con tutta la forza di quelle manine non ancora formate, dato che era la sua unica occasione di trovare un passaggio per questa dimensione e lo sapeva benissimo, nella sua coscienza di bambino non ancora nato, ma già dotato della logica ferrea di sua madre.

Kate aveva ascoltato con attenzione mista a incredulità e, quando aveva finito, si era messa a ridere, minacciandolo di colpirlo con un cuscino. Però si era rasserenata. Castle era molto orgoglioso della sua versione, rispetto alla solita: "Ha una fibra forte, è sopravvissuto alla sparatoria, vedrete che ce la farà", che la incupiva e basta, perché riportava alla sua mente l'orrore del trauma recente.
Era già costretta in un letto senza poter uscire a prendersi una boccata d'aria fresca e tutto intorno a lei le ricordava quanto successo. Non c'era bisogno di farle presente, anche se era certo che il pensiero risiedesse stabilmente nella sua mente, che era stata incinta senza saperlo mentre si imbarcava nella loro ultima – sperava – avventura mortale.
Era sicuro che non se lo sarebbe mai perdonato, ma ci avrebbero pensato in un altro momento. Non era umanamente possibile sciogliere quella matassa ingarbugliata di senso di colpa e abissi di sofferenza. Poteva solo farla ridere e guarirla, un passo per volta.

Avevano superato anche quell'emergenza e all'ecografia successiva era parso tutto normale. Castle aveva respirato in pace per la prima volta da giorni, ripagato dal sorriso esultante che lei gli aveva indirizzato.
Aveva osservato quell'immagine confusa in bianco e nero, che testimoniava la reale consistenza del loro bambino, non l'idea mentale intessuta di sogni che lui aveva costruito senza saperlo, percependo qualcosa di sconosciuto agitarsi dentro, timidamente.
Si era accorto che sotto lo strato di preoccupazione, tristezza ed energie in caduta libera da riequilibrare, era già presente un indissolubile legame con quel cuore pulsante.
Si era sentito inondare di amore per lei, per la vita insperatamente concessa loro e per quella nuova esistenza, che avevano contribuito a creare. Si era trattenuto con grande fatica, per non mostrarsi troppo sentimentale, quasi vergognandosi all'idea di aver abdicato per un istante al ruolo autoassegnatosi di pilastro della famiglia.
Aveva solo chiuso gli occhi, imponendosi di riprendere il controllo di sé. Kate gli aveva accarezzato la guancia e lui aveva appoggiato la mano sopra la sua, grato che lei l'avesse compreso senza bisogno di spiegazioni.
Doveva portarla a casa al più presto.

   
 
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