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Autore: Ksyl    11/09/2018    1 recensioni
Dopo gli spari della 8x22
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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7.

Castle raggiunse la stanza dove Kate lo stava aspettando. Entrando, la vide seduta sul letto a dargli le spalle, impegnata a radunare i numerosi oggetti sparpagliati sul comodino di metallo, il cui cassetto si apriva a fatica, cigolando.
Si chiese come avessero potuto resistere così tanto in un luogo privo di qualsiasi attrattiva, circondati da pareti dipinte di un insulso verde menta che, nella mente disturbata di arredatori sottopagati, doveva contribuire a ravvivare l'umore dei ricoverati.
A lui aveva sempre fatto venire in mente l'acqua sporca di un mare inquinato.

Sentendo la porta aprirsi, Kate si voltò ad accoglierlo, salutandolo con un sorriso.
Castle la sottopose all'esame istantaneo che aveva perfezionato in molti giorni di ininterrotto scrutinio delle sue condizioni. Diede una rapida scorsa al colorito del viso, ai segni sotto agli occhi, e al suo aspetto generale, alla ricerca di sintomi che li avrebbero costretti a rimandare le dimissioni. Era stato quello il tarlo che l'aveva accompagnato negli ultimi tempo, fin da quando Allison gli aveva annunciato, in termini vaghi perché non si illudessero, che stavano pensando di permetterle di tornare a casa, a breve.

Gli aveva dato la notizia in un pomeriggio piovoso, uno dei tanti. Era una primavera insolitamente fredda. Castle vagava in corridoio irrequieto, aspettando Kate mentre veniva sottoposta a un esame a cui non aveva potuto assistere.
Allison l'aveva incrociato e si era fermata a chiacchierare con lui, come faceva quasi quotidianamente, spesso bevendo l'orribile caffè che l'ospedale metteva a disposizione. Castle traeva conforto da quei minuti trascorsi con lei, durante i quai cercava di carpire la verità sulle condizioni della moglie, convinto com'era che i medici non gli dicessero tutta la verità. Sperava che almeno Allison fosse leale con lui, con loro.
Sapeva, in qualche punto che non aveva ceduto all'irrazionalità, che non avevano nessun motivo per mentire – oltre al fatto che avevano l'obbligo di essere sinceri con i pazienti -, ma non poteva fare a meno di cercare continue rassicurazioni. Allison, pazientemente, gli ripeteva le stesse cose di cui l'avevano già informato ma che, dette da lei, da sempre loro alleata, gli sembravano vere e, soprattutto, meno spaventose.
Andava tutto bene. Non c'era motivo di preoccuparsi, Rick, non è più in pericolo.

Castle annuiva, la ringraziava, si scusava perfino, ma, non appena se ne era andata, tornava a dilaniarlo il timore che sarebbe successo qualcosa di imprevedibile che avrebbe fatto precipitare la situazione, anche se non c'era nessun motivo ragionevole per cui dovesse accadere.
Era oscuramente consapevole che, a un certo punto, avrebbe dovuto affrontare i demoni che infestavano i suoi momenti di quiete, ma preferiva dedicarsi al compito di dissipare le paure di Kate.

L'esame sommario lo lasciò soddisfatto. La trovò in forma, nei limiti delle possibilità di una persona che aveva trascorso un lungo periodo in ospedale.
Ne fu sollevato, perché significava che avrebbe potuto riportarla a casa. Doveva solo aspettare che si cambiasse, che raccogliesse le sue cose, e infine avrebbero potuto lasciarsi alle spalle lo spiacevole soggiorno, augurandosi di non fare più ritorno.
"Ti sei fermato a parlare con la tua prossima moglie?", gli chiese Kate, tornando a occuparsi dei suoi oggetti personali.
Kate era al corrente, grazie al suo fiuto investigativo, dei suoi incontri giornalieri con Allison. L'argomento era sempre stato fonte di spietate prese in giro nei suoi confronti, che Castle aveva accettato divertito, senza dar loro nessuna importanza.
Dopo un certo numero di ripetizioni, che andavano sempre a finire nella stessa direzione, si era allarmato. Possibile che le sue frasi nascondessero qualcosa di più serio? Via, si trattava di lui. Non guardava una donna da quando l'aveva incontrata. Non poteva avere dei dubbi sul suo amore.
Le aveva spiegato più e più volte che lui non aveva nessuna intenzione di sposare nessun'altra perché aveva già una moglie, che sarebbe rimasta al suo fianco per molti anni a venire.
E se per caso la moglie in oggetto avesse voluto lasciarlo per scomparire nella notte a bordo della sua moto fiammante, appena rimessa a nuovo, lui avrebbe miseramente trascorso i suoi giorni nel rimpianto, amandola di imperituro amore, immerso nella sofferenza. Poteva bastare?
Aveva scherzato – non intendeva certo permetterle di andare in giro per il mondo senza almeno fare il possibile per fermarla – ma Kate era sembrata aver bisogno di quelle rassicurazioni. Non era da lei.
Forse la tragedia che avevano vissuto, di cui non avevano mai parlato, neppure una volta, neppure una parola detta per sbaglio, l'aveva resa più vulnerabile. O forse erano gli ormoni.
Ogni tanto dimenticava, quando veniva investito da recriminazioni e scoppi di nervosismo ingiustificato, che non si trattava solo delle umane reazioni di una persona inquieta, imprigionata da troppo tempo in una squallida camera di ospedale, ma che il suo intero mondo umorale era in subbuglio. Dovevano ancora prendere le misure della loro nuova vita.

Le si avvicinò, girando intorno al letto fino ad affiancarla. Le strinse delicatamente le spalle con un braccio, baciandola piano tra i capelli, legati in un nodo provvisorio, che fece attenzione a non sciogliere. Aveva ancora molto chiari in mente i rimbrotti con cui l'aveva investito perché non era stato in grado di aiutarla a raccoglierli con un semplice elastico, visto che lei non riusciva a farlo da sola.
Capiva che era frustrante, per una persona come lei, orgogliosa e indipendente, farsi aiutare nelle minime incombenze della cura della sua persona, ma più di una volta aveva desiderato darci un taglio. Letteralmente. Ma poi cosa avrebbe accarezzato piano mentre dormiva, attento a non svegliarla?

Kate si appoggiò contro di lui, per un breve istante di saluto e di conforto, prima di farsi dare la borsa che le aveva portato, per controllare il contenuto.
Castle si sedette sulla poltrona che aveva ormai memorizzato l'impronta del suo corpo e si preparò ad attendere che finisse di prepararsi. Non si era reso conto che con il tempo si fosse accumulata tanta roba da arredare un intero appartamento. Il colpevole principale era stato lui. Anche se aveva smesso di portarle fiori perché "siamo in un ospedale, non in una serra", non era mai arrivato da lei a mani vuote e i risultati erano visibili.
Aveva amato vederla strappare con gioia infantile la carta che avvolgeva i suoi doni quotidiani. Che male c'era a viziarla? Era viva, ed era più di quanto avesse sperato. Le avrebbe comprato l'intera città, se glielo avesse chiesto.

Non gli aveva mai permesso di acquistare nessun oggetto per il bambino, non solo perché era troppo presto e, secondo la saggezza popolare, avrebbe portato male. Con tutto quello che avevano affrontato uscendone indenni, erano moralmente al di sopra di ogni rituale scaramantico.
Era stata però una sua precisa richiesta, quella di non dire alle loro famiglie e ai loro amici che avrebbero avuto un bambino, finché non fosse tornata a casa. Lui aveva perfino il dubbio che non avrebbe voluto comunicarlo ad anima viva finché non fosse nato. Forse intendeva convincerli che avessero trovato un neonato sulla soglia di casa, non che sarebbe stata un'eventualità così remota, trattandosi di loro.
Kate si disinteressò della borsa, abbandonandola accanto a lei sul letto, fissando un punto sul pavimento senza vederlo.

"Va tutto bene?". Si sporse verso di lei, un po' inquieto, credendo che si trattasse di un repentino cambio d'umore. Sperava non fosse qualcosa di più serio.
Lo colse di sorpresa allacciandogli le braccia intorno al collo e appoggiando la testa sulla sua spalla. Lasciò andare un lieve sospiro, abbandonandosi contro di lui.
Le strinse con cautela il corpo esile. Era troppo magra. Il soggiorno in ospedale, soprattutto per colpa del cibo insapore che si sforzava di mangiare solo per puro senso del dovere, le aveva fatto perdere peso. Era uno dei problemi che lo angustiavano. Era ovvio che dovesse mettere su qualche chilo, viste le sue condizioni. Sentì le ossa sotto le mani, quando gliele fece scorrere sulla schiena, per darle il conforto che desiderava e che non era mai stata molto brava a chiedere. Poteva perfino contarle le costole.
"Sei nostalgica all'idea di andartene?", le mormorò all'orecchio. Gli rispose con uno sbuffo che le sollevò la cassa toracica. Gli sembrava di avere tra le braccia un uccellino.
"No, non vedo l'ora di andarmene". Lo ripeteva da giorni. "È solo che...".
Alzò la testa per guardarlo negli occhi. "Se mi succede qualcosa?".
"Non ti fidi delle mie doti di infermiere?". Tentò di buttarla sull'umorismo, ma lei non colse.
"Qui basta suonare il campanello e arriva qualcuno che sa cosa fare".
"Non abitiamo nel deserto. In cinque minuti siamo qui".
Non aveva nessuna intenzione di riportarcela, per la cronaca.
"Ma non succederà niente. Altrimenti non ti lascerebbero andare con tanta facilità".
Lo fissò dubbiosa. Era sempre stato così poco credibile ai suoi occhi?
"Vuoi che facciamo il giro dell'isolato per tutto il giorno, così da non allontanarci troppo? Possiamo affittare un camper, se ti fa sentire più tranquilla, per rimanere parcheggiati qui sotto, senza farci notare. Oppure puoi metterti al collo uno di quei dispositivi per le persone anziane, così se stai male puoi allertare tutti gli ospedali della città, premendo solo un pulsante".
Lo zittì mettendogli una mano davanti alla bocca. Lui le morse piano le dita.
"Ho capito, Castle, non c'è bisogno di continuare. Usciremo di qui tra cinque minuti e non sarà necessario tornare. Giusto?".
"Proprio così", annuì soddisfatto. Gli era andata meglio di altre volte.

L'aspettò mentre si cambiava senza, come era prevedibile, accettare il suo aiuto. Vederla in abiti civili lo colpì più del previsto. Sembrava essere tornata la vecchia Beckett, solo un po' meno vivace del solito e molto più pallida. Seguirono saluti, abbracci e raccomandazioni di non farsi più vedere lì dentro fino al momento della nascita, quando invece avrebbero voluto essere avvisati tutti, anzi perché non li avvisavano in tempo reale quando fosse entrata in travaglio? Il reparto maternità non era molto lontano, se li avessero mandati a chiamare avrebbero potuto assistere.
Castle grugnì in silenzio, già sudando all'idea di tutte quelle persone riunite intorno a sua moglie partoriente, di lì a qualche mese.
Che bella idea, così intima, perché non ci aveva pensato?
Capiva che, per via del fatto di aver salvato lei e il bambino ed essersi occupati della loro famiglia, si sentivano un po' tutti i genitori del piccolo in arrivo, ma avrebbe preferito che fosse chiaro chi potesse rivendicare il titolo di padre e chi no.

Non voleva inoltre che si stancasse troppo, proprio quel giorno che sarebbe stato così pieno di emozioni, quindi le fece scudo con il suo corpo, tagliando corto e traghettandola oltre il gruppo di persone piene di buone intenzioni, ma troppo rumorose, per raggiungere la relativa tranquillità dell'ascensore.
Fu lì che incontrarono Allison, che li salutò visibilmente commossa. Abbracciò prima Kate, dandole appuntamento di lì a qualche giorno – era stato deciso che sarebbe rimasta il suo medico per tutta la gravidanza – e poi si volse verso di lui con gli occhi lucidi. Di quel passo si sarebbero messi a piangere tutti. Anche se da un punto di vista professionale si era occupata solo di Kate, era stata di grande aiuto nel guarire anche lui, rendendogli meno pesante il suo fardello, con i suoi modi amichevoli e la grande comprensione. La strinse forte, pensando che era la prima volta che avevano un contatto così personale, e mormorò un grazie sommesso, con il quale sperava di riuscire a renderle tutta la gratitudine per quello che aveva fatto per loro, fin da quando era stata l'unica a trattarlo con simpatia e umanità. Non riuscì a fare di meglio, ma sapeva che non erano necessarie tante parole.

Finalmente furono liberi. Avevano concesso loro di uscire da un'uscita secondaria, visto che la notizia del doppio ferimento di un capitano di polizia e del marito, famoso scrittore, non era passata inosservata. L'ospedale li aveva protetti con grande determinazione dall'assalto dei giornalisti e lui era riuscito ad andare avanti e indietro passando inosservato, cosa che aveva facilitato la sua vita in molteplici modi. Non avrebbe avuto la forza di preoccuparsi anche della stampa.
Kate fece qualche respiro profondo. Castle era stato preoccupato che il passaggio dalla calma silenziosa dell'ospedale al caos della città fosse troppo brusco.
Kate sembrava non esserne infastidita, anzi, era felice, forse per la prima volta da settimane. Aveva già cambiato aspetto, il colorito era più acceso e le brillavano gli occhi. Castle provò un'improvvisa sensazione di calore e di fiducia, convinto, per la prima volta, che sarebbe andato tutto bene. Non si trattava più delle vuote affermazioni che aveva usato per convincerla che il peggio era passato, ma l'irragionevole certezza che il loro futuro sarebbe stato luminoso come era sempre dovuto essere, come se la loro vita potesse ricominciare esattamente da dove si era fermata quel giorno di maggio.
"Fermiamoci da qualche parte", gli propose Kate, mentre tentava invano di aiutarla a prendere posto in auto.
"Dove?", domandò titubante. Aveva programmato di accompagnarla a casa e tenercela per sempre, probabilmente. Era l'unico posto in cui poteva farla stare al sicuro, dopo l'ospedale, e non aveva nessuna intenzione di esporla ai rischi di una città pericolosa.
"Ho voglia di caffè", gli rispose dopo qualche istante di riflessione.
Castle non disse niente. Avrebbe desiderato con tutto il cuore darle quello che desiderava, ma era più importante la sua incolumità.
"Voglio solo sedermi a un tavolino all'aperto con mio marito. Come le persone normali. Solo per cinque minuti?", lo blandì, sporgendosi con un po' di fatica verso di lui per baciarlo piano sulle labbra, permettendogli di affondare le mani nei suoi capelli e spettinarglieli, senza lamentarsi.
Al diavolo la cautela. L'avrebbe portata ovunque volesse.

   
 
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