Serie TV > Castle
Segui la storia  |       
Autore: Ksyl    11/09/2018    1 recensioni
Dopo gli spari della 8x22
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

8. Beckett

Era stata Kate a volere che si sedessero all'aperto, anche se il clima avrebbe piuttosto suggerito di rifugiarsi all'interno.
Aveva bisogno di respirare aria nuova e di sentire il vento tra i capelli. Sentirsi viva, sentirsi parte di un mondo da cui era stata strappata a forza.
Aveva scelto lei quel piccolo locale sconosciuto, indicandolo dal finestrino dell'auto, mentre erano fermi a un semaforo. A caso.
Ancora non lo sapeva – c'erano così tante domande che preferiva non porsi, per il bene di tutti – ma quel gesto nascondeva la voglia di crearsi nuove memorie, una nuova vita.
Non era pronta a tornare nei luoghi familiari, che un tempo avevano fatto parte della loro quotidianità e che avevano costruito le fondamenta di quello che erano stati e che non erano più.
Era tutto diverso, tutto cambiato. Sarebbe venuto il momento di curare le ferite, di riannodare fili spezzati, ma adesso era troppo presto.
Adesso voleva solo prendere confidenza con la donna che era diventata, quella in cui era stata costretta a trasformarsi. Voleva farlo con suo marito e nessun altro.
Voleva fingere che fossero due estranei in una città che non sapeva niente di loro. Due vite anonime su cui il destino non si era accanito, rischiando di lasciare solo detriti alla deriva.
Almeno per qualche minuto.

Castle la fece accomodare con troppa premura. Anche quello era un argomento da chiarire molto in fretta, ma per il momento gli sorrise grata per le sue attenzioni. Il punto non era che fosse troppo soffocante nel prendersi cura di lei. Al contrario. Lei lo amava anche di più per questo.
Il punto era che anche lui aveva bisogno di essere compreso e aiutato a lenire la sua sofferenza, quella personale, quella che non riguardava lei. Anche lui aveva subito un trauma.
Ma se conosceva suo marito, anche solo un po', non avrebbe mai permesso a nessuno, neppure a se stesso, di scorgere quel lato di sé, quello ferito, quello che gli causava incubi notturni di cui non le aveva mai parlato, ma di cui lei indovinava l'esistenza, con l'istinto affinato da anni di crescente vicinanza.
Lo attese, mentre entrava a ordinare due caffè, osservando il traffico del pomeriggio, il marciapiede ingombro di persone che si muovevano nervose per correre al prossimo appuntamento delle loro vite frenetiche.
Era New York al massimo della sua nevrosi, e le era mancata. Era felice di essere tornata a far parte di quell'umanità indaffarata che sembrava convinta di avere a disposizione tutto il tempo del mondo. Non era così. Ma presumeva che fosse vero che l'istinto alla sopravvivenza fosse più forte dell'altro, quello oscuro, quello sotterraneo. Nessuno riuscirebbe davvero a vivere, se sapesse che è giunto il suo ultimo giorno.

Castle tornò da lei appoggiando con cautela due tazze colme di caffè sul tavolino in disparte che lei aveva scelto senza pensarci. Non sapeva se l'aveva fatto perché la vita cittadina era ancora poco gestibile, nelle sue condizioni, o se un'intuizione inconscia l'aveva portata a preferire una posizione più defilata, per non essere un facile bersaglio.
Abbandonò i pensieri cupi quando sentì le labbra di Castle muoversi piano sul collo. Trasalì spaventata. Era la sua reazione primaria quando qualcosa, o qualcuno, le si faceva troppo vicino, invadendo lo spazio che definiva la sua incolumità. Cercava di controllarsi per dissimularlo, soprattutto a Castle, perché non voleva dargli il dispiacere di credere che perfino in sua presenza tenesse la guardia alta. Era una reazione istintiva, che non riusciva a gestire.

Allison l'aveva rassicurata che era del tutto normale. Era stato il suo medico a chiederle in più occasioni come si sentisse e Kate aveva capito che non si stava riferendo solo alle sue condizioni fisiche. Si erano guardate da sopra le lenzuola bianche ben tirate che sapevano di disinfettante e avevano comunicato senza parlare. Kate aveva compreso, grazie al suo sesto senso, di trovarsi davanti a una persona che, se pure provvista di grande sensibilità, non si sarebbe fatta ingannare dalle sue doti elusive.
Quando Kate non aveva risposto, Allison aveva continuato spiegandole, come se si fosse trattata di una lezione di medicina, che se il corpo tende naturalmente a riprendersi, occupandosi nel frattempo di un'altra vita al suo interno, proprio come stava facendo il suo con grande impegno, la mente poteva aver bisogno di un po' più di tempo per fare i conti con l'enormità di quanto successo.
Perché è enorme, Kate. Deve permettersi di accettarlo. Non deve fare l'eroina a tutti i costi.
Rischiare di morire insieme al proprio marito, dentro alla loro casa, rifugio d'elezione, e svegliarsi incinta, beh, semplicemente non capitava tutti faticoso perfino da immaginare, non era forse così? Come se fosse qualcosa di troppo grande perché il cervello riuscisse a contenere l'intero quadro.

Potevamo morire. Sono felice che siamo tutti vivi, aveva risposto Kate decidendo che quella sarebbe stata la sua versione standard e politicamente corretta. Non doveva essere grata che avessero battuto le statistiche, anche quella volta? Era quello che dicevano tutti e che si aspettavano che lei pensasse. Eccoli accontentati.
Allison aveva ascoltato il suo bel discorso preconfezionato sulle gioie di essere ancora tutti al mondo, con la benedizione di un membro in più, per dare inizio a quella famiglia la cui creazione aveva inconsapevolmente rimandato per anni, senza farsi impressionare.
Si era seduta accanto a lei sul letto, l'aveva guardata con grande attenzione e le aveva fatto solo una domanda. "È arrabbiata, vero, Kate?".
Non era riuscita a rimanere impassibile di fronte a quel dispiegamento di grande comprensione. Era per colpa di quei maledetti ormoni, che la facevano piangere in ogni occasione. Qualcuno la capiva. Qualcuno sapeva come si sentiva. Non era lei a essere strana. O ingrata.
Perché era proprio così, naturalmente. Era arrabbiata. Era così furibonda che avrebbe voluto alzarsi e rompere tutti gli oggetti che avesse incontrato sul suo cammino. E si sentiva triste, molto spesso. E colpevole perché, ovviamente, era tutta colpa sua. Di chi, altrimenti?
Era sgorgato tutto da un punto inaccessibile dentro di lei, come la piena di un fiume lungamente trattenuta da argini pericolanti. Non era stata meglio per magia. Allison non le aveva regalato facili soluzioni. L'aveva ascoltata in silenzio, senza toccarla per esprimere vicinanza e conforto. Kate l'aveva apprezzato, perché non l'avrebbe sopportato.

Era un sollievo poter parlare con qualcuno che non si aveva timore di ferire e che non sarebbe andato via con l'animo appesantito dalle sue confessioni. Lei non voleva far star male nessuno. Ma non poteva impedirsi di essere confusa e ricolma di emozioni ingestibili.
Kate aveva continuato a fissare la porta con apprensione, temendo che Castle arrivasse nel bel mezzo del suo sfogo e se ne facesse carico. Dalla determinazione di Allison, e dalla sua notevole calma, era convinta che avesse dato disposizioni perché lo trattenessero altrove, forse mentendogli. Era sicura che dietro a quei modi garbati battesse un cuore d'acciaio pronto a tutto. Forse avrebbe dovuto assumerla al distretto.
Era stata una novità piacevole non sentirle dire, come avevano fatto tutti - Lanie, suo padre, perfino Esposito in modo un po' brusco e imbarazzato -, che doveva essere lieta di avere un marito che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei e che l'avrebbe aiutata a superare tutto. E che lei, anzi, doveva farlo per lui, sforzarsi di stare meglio in modo da uscire da quel letto e tornare alla vita di prima. Kate aveva avuto voglia di vomitare, e non solo per la nausea da gravidanza. Quella era leggera e compariva solo al mattino. Più le ricordavano quanto fosse splendido lo spirito di abnegazione di Castle nei suoi confronti, più voleva gridare a tutti che anche lui aveva bisogno di conforto e cure, se ne rendeva conto solo lei? Costretta in quel letto senza poter fare nulla per lui? Potevano stare tutti zitti?!

Le chiacchierate con Allison erano andate avanti in modo casuale, senza appuntamenti fissi, senza che diventasse un altro degli obblighi ai quali Kate era sottoposta quotidianamente. Obbligarsi a mangiare, alzarsi dal letto, provare a fare qualche passo, stare su di morale, non far preoccupare Castle. Avevano parlato di molte cose, spesso senza toccare apertamente l'argomento del suo equilibrio emotivo, ma ogni volta Kate aveva fatto un passo in più verso l'accettazione degli eventi.

"Un penny per i tuoi pensieri".
La voce di Castle la riscosse dalle sue riflessioni. Le capitava spesso di distrarsi, perdendo contatto con la realtà circostante. Lui andava sempre a prenderla, ovunque lei fosse. Era il suo Orfeo, ma lui non si sarebbe voltato indietro.
Gli sorrise, stringendo tra le mani la tazza di caffè che si stava rapidamente raffreddando. Aveva desiderato così a lungo berlo che voleva ritardare il piacere il più possibile.
"Se questo fosse una frase da primo appuntamento, me ne sarei già andata. Niente di più originale, scrittore?".
Sapeva che lui si tranquillizzava, quando lei se ne usciva con il suo solito sarcasmo. Pensava che stesse tornando la solita Beckett. Lei era felice di renderlo felice. Si riduceva tutto a quello ed era così semplice, a pensarci.
"Stiamo di nuovo facendo quel gioco in cui fingiamo di esserci appena incontrati e io voglio uscire con te? Perché a me va benissimo".
"Oddio, no, Castle. Questo significherebbe che devo ancora nascondere per anni il fatto di volerti portare nel mio letto?".
La reazione che gli si disegnò sul volto fu quasi comica. Era così ingenuo.
"Lo stai ammettendo, finalmente? L'ho sempre saputo che mi hai desiderato fin dall'inizio, bugiarda. Puoi ripeterlo? Devo registrare l'evento".
Tirò fuori il cellulare per documentare la sua rivelazione.
"Piano, Castle. Ti volevo solo carnalmente. E solo per una volta. Per vedere... come sarebbe stato...".
"Immagino non ti sia dispiaciuto, se hai finito con lo sposarmi e avere bambini a tua insaputa".
Gli indirizzò un'occhiata ammonitrice.
"Non toccherei quel punto se fossi in te. Non ti ho ancora perdonato. Ho solo lasciato cadere la questione".
"Ti ripeto per l'ennesima volta...".
L'avevano fatto spesso. Lei lo accusava di essere il colpevole e lui cercava di difendersi dal ruolo di fecondatore virile. Li faceva stare bene. Li faceva pensare al futuro. Era l'unica cosa che li aveva fatti andare avanti, in certi momenti.

Fu lei a cercare le sue labbra, perché aveva sempre la sensazione che Castle la ritenesse troppo fragile per permetterle di uscire dalla campana di vetro in cui voleva tenerla a forza. La trattava da reliquia sacra e, sospettava, questo significava che era troppo riguardoso per osare qualche approccio un po' più spudorato di tenerle la mano o accarezzarle i capelli.
Castle le rifilò un bacio delicato sulle labbra, predisponendosi automaticamente alla solita resa, ma lei gli dimostrò che non era quella che desiderava. Era stanca di averlo sempre a rispettosa distanza. Non avevano forse imparato a non sprecare la loro vita in inutili attese? Chissà, magari se fossero tornati indietro, quella prima sera avrebbe accettato di uscire con lui. Non l'avrebbero mai saputo.
Fu un conforto quando le sue barriere cedettero, dopo un'iniziale resistenza, in cui l'aveva dovuto trattenere quasi a forza e sentì la lingua farsi strada tra le sue labbra, come un tempo. Si sentiva viva per la prima volta da settimane.
Non ebbe modo di chiedersi come dovevano apparire visti da fuori, una coppia sposata che si baciava al tavolino di un bar, così ansiosi di ritrovarsi da dimenticare il caffè che nessuno dei due aveva ancora bevuto.
Si fermarono solo quando fu evidente che non si sarebbero trattenuti dallo strapparsi i vestiti, con le mani ansiose già a cercare la pelle nuda.
Si ricomposero, simulando indifferenza. Per fortuna nessuno li stava guardando. Era pur sempre New York. La gente era troppo impegnata con le proprie vite per occuparsi di loro. Si sorrisero complici su una nota vagamente isterica.
"Smettila di fissarmi le labbra, o non riuscirò a impedirmi di ricominciare", le sussurrò all'orecchio, minando la minima compostezza che stava faticosamente ostentando.
"Non lo sto facendo!", protestò indispettita.
"Bugiarda. Lo fai sempre. L'hai sempre fatto. Soprattutto quando sapevi che non rischiavi di doverti assumere le tue responsabilità".
"Vuoi dire che io ho sempre tentato di sedurti? Queste fantasie sono estreme anche per te, Rick". La cosa le stava sfuggendo di mano. Come si era finiti con lei colpevole e ammaliatrice?
"Chi ha appena tentato di farlo in pubblico, signora Castle?".
Cercò di impressionarlo con una delle sue occhiate. Non funzionavano, in quei momenti.
"Coprirò di indifferenza le tue uscite blateranti, uomo che ho sposato per sbaglio". Gli fece una linguaccia e si concentrò finalmente sul suo caffè. Avere la sua mano sul ginocchio non stava aiutando a tornare alla normalità.
Ne bevve un sorso, che quasi sputò.
"Castle", lo fissò inorridita. "Non ricordi più i miei gusti? Che cos'è questa brodaglia?".
Non solo era quasi freddo, e già per quello imbevibile, ma aveva un gusto strano. Che qualcuno stesse cercando di avvelenarli? No, doveva stare calma e smetterla con quelle paranoie. Nessuno voleva far loro del male. Non più.
Lo assaggiò anche lui.
"È sempre il solito caffè, esattamente identico alle migliaia che ti ho portato ogni mattina, da otto anni a questa parte".

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Castle / Vai alla pagina dell'autore: Ksyl