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Autore: Ksyl    11/09/2018    1 recensioni
Dopo gli spari della 8x22
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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9.

"Beckett, c'è una cosa che devi sapere".
Castle la trattenne per un braccio, quando era già quasi fuori dall'ascensore. Era stanca, più di quanto volesse ammettere e, per quanto si fosse goduta i primi preziosi istanti in compagnia di suo marito, dopo settimane di isolamento forzato, tutto quello che desiderava in quel momento era tornarsene al loft.
Le porte si richiusero, Kate raccolse tutta la pazienza che le era rimasta, prima di voltarsi verso di lui.
"Che cosa c'è, Castle?". Fece un profondo respiro, per calmare un'improvvisa vertigine. Doveva almeno sedersi. La voce tradì tutto il suo sfinimento.
"Ho dimenticato di dirti una cosa".
"È una rivelazione che può attendere? Perché voglio solo entrare, cambiarmi e mettermi comoda". Gli si fece più vicina, abbassando il tono della voce, e anche lo sguardo. Gli lisciò pieghe invisibili del colletto della camicia, fissandolo da sotto le ciglia.
"Che ne dici di tu, io, il divano e la carbonara che mi hai promesso?".
Castle scoppiò a ridere forte. "Hai ancora fame, dopo tutto quello che hai appena mangiato?". Lo disse compiaciuto e orgoglioso. Kate sapeva che il suo appetito era in cima a tutte le preoccupazioni di Castle relative al suo benessere. Era una lunga lista.

Dopo il fiasco del caffè imbevibile, anche se Kate era ancora convinta che si fosse trattato di una miscela sbagliata o l'inesperienza di chi l'aveva preparato, aveva ripiegato con decisione su qualcosa di commestibile da mettersi nello stomaco.
Castle le aveva elencato l'esigua scelta che il locale offriva, prendendo in prestito un menu stropicciato che mostrava i segni delle molte mani che l'avevano toccato.
Disgustato, l'aveva maneggiato con un tovagliolino di carta, facendo buon viso a cattivo gioco. Doveva odiare l'idea di starsene seduto lì, al di sotto dei suoi soliti standard.
Aveva optato per un frullato – era sano, conteneva frutta, era un concentrato di vitamine. Non era quello che avrebbe fatto felici tutti? Si era fermata perplessa quando si era trattato di comunicare come desiderava che glielo preparassero. Non ne aveva idea. Cioè, sì, ovviamente sapeva come ordinarlo. Ma il piccolo sarebbe stato d'accordo? O l'avrebbe fatta di nuovo passare attraverso spiacevole esperienza di trovare disgustoso qualcosa che un tempo le era piaciuto molto?
Saltò fuori che, per fortuna, baby Castle condivideva le sue stesse preferenze per i frutti esotici. Non le si rovesciò lo stomaco, né ebbe voglia di versare il frullato nel primo vaso di fiori, senza farsene accorgerne. Al contrario, le risvegliò un grande appetito, stimolato anche dal passaggio di un'omelette, destinata a un altro cliente. La voleva anche lei. Non c'era nient'altro al mondo che bramasse tanto quanto quell'omelette.

Era stato a quel punto che Castle le aveva chiesto se non volesse anche un piatto di ravioli. Perché non una carbonara? A quell'ora del pomeriggio era l'ideale. Aveva aggiunto che di quel passo sarebbe dovuto uscire a fare la spesa più spesso del previsto, o non sarebbe riuscito a star dietro alle sue richieste.
Davanti all'evidente presa in giro, Kate aveva arricciato il naso, che lui aveva baciato, facendola sentire sciocca e felice. Era così che avrebbero dovuto impiegare la loro vita, di lì in avanti. Dovevano comportarsi come una giovane coppia in amore. Avevano sprecato troppo tempo dando la caccia a cose di nessuna importanza, che li avevano quasi fatti ammazzare. Dovevano rivedere le loro priorità. Doveva cambiare tutto.
Castle le aveva promesso di cucinare la carbonara per cena, vantandosi di essere il miglior cuoco del mondo, non solo per quello specifico piatto, e lei aveva ribattuto che lo sapeva benissimo, non l'aveva forse sposato per questo? In più amava quando cucinava per lei.

L'effetto violento e straniante di quelle parole, mormorate nell'euforia dei loro amorevoli scambi da ragazzini innamorati, l'aveva gelata di colpo. In un repentino cambio d'umore si ritrovò qualcosa in gola che rischiava di farla soffocare e gli occhi gonfi di lacrime, pronte a traboccare. Aveva faticato a ricacciarle indietro tutte, ma era necessario che lo facesse. Non c'era nessun motivo per cui dovesse rovinare il primo bel momento trascorso insieme a Castle, finalmente liberi.
Lui era rimasto altrettanto scosso dalle sue parole, il ricordo di quel mattino che aveva cambiato tutto ancora vivo e terribile.
Kate aveva guardato lontano, oltre la strada, per chiudere le emozioni nel cassetto inaccessibile da cui minacciavano dispettosamente di fuggire più spesso del previsto.

Castle l'aveva fatta voltare verso di lui. Era rigida, chiusa dentro il suo recinto protettivo. L'aveva presa tra le braccia. Kate aveva sentito parte del grumo di sofferenza sciogliersi a contatto con il calore del suo corpo.
"Caleb è morto. LokSat è in prigione. E noi siamo qui a goderci un normale pomeriggio qualunque. Nessuno ci farà più del male".
Le sarebbe piaciuto credere a quel bel quadretto di vita familiare, ma non era pronta a farlo. Da qualche parte era già nascosto il prossimo pericolo, ne era certa. Avevano rischiato troppo quella volta, per riuscire a scrollarsi di dosso la paura come se si fosse trattato di un vecchio cappotto passato di moda.
Però era sempre piacevole essere avvolta dal suo abbraccio. Non ne aveva mai abbastanza. Doveva toccarlo, per accertarsi che fosse vivo. Forse era un bisogno che le stava prendendo la mano, forse stava diventando maniacale, ma aveva ancora inciso nella mente l'attimo di orrore in cui l'aveva visto sul pavimento e si era convinta, istantaneamente, che sarebbe morto. Ne era stata sicura mentre cadeva a terra, colpita. Non aveva pensato alla propria, di morte. Sapeva che le ferite potevano essere gravi, ma non aveva temuto per sé. Era riuscita a pensare solo a Castle, al modo di raggiungerlo e pietosamente, farsi portare via insieme a lui.

"Hanno organizzato una festa a sorpresa per il tuo ritorno".
Non se lo era aspettata e non era decisamente qualcosa in cima alla lista dei suoi desideri in quella circostanza. Kate aprì la bocca per commentare la notizia, ma non venne fuori niente. Castle sembrava aspettarsi una scenata che non arrivò. Non aveva le forze. Voleva solo stendersi nel loro letto, nella quiete della loro camera e lasciarsi andare, con lui accanto. Voleva parole sussurrate e tocchi lievi. Ne aveva bisogno. Invece doveva stamparsi un sorriso di circostanza, tirar fuori energie che non sapeva dove recuperare e affrontare un affettuoso gruppo di persone festanti che volevano solo il suo bene.
"Di chi è stata l'idea?", lo interrogò, pratica. Non era il caso di mostrare la sua insofferenza, visto che non avrebbe cambiato la situazione.
"Mia madre... ?". Castle era sempre ripiegato su se stesso in posizione di difesa, in attesa dell'imminente scoppio della bomba. Che cosa pensava che sarebbe successo? Che si mettesse a urlare in ascensore?
Perché no, in effetti?
"Tu lo sapevi?", glielo chiese per offrirgli la possibilità di salvarsi. Forse l'avevano appena avvisato con un messaggio e ne era stato ignaro fino a quel momento.
Castle annuì, capendo di aver perso la partita, ma non potendo mentirle.
"Se è così, perché mi hai portato in giro per la città? Sono qui da ore, immagino. E, soprattutto, se è una festa a sorpresa, perché me lo stai spiattellando?!".
All'improvviso le era venuto da ridere, sempre a proposito di sbalzi umorali. L'idea di lei che mangiava l'omelette più buona da che avesse memoria - a parte quelle che le preparava Castle -, mentre a casa loro amici e parenti attendevano sempre più impazienti il loro arrivo, aveva qualcosa di comico.
"Perché sono generoso e voglio offrirti una possibilità di fuga. Possiamo andarcene in albergo".
L'idea era allettante, ma sfortunatamente non attuabile. Non avrebbe mai potuto fare niente del genere al gruppo di persone riunite apposta per festeggiare il suo ritorno. Si trattava della loro famiglia allargata. Tutti, a modo loro, erano stati presenti e disponibili per loro. Non poteva andarsene, non era giusto.
Castle era invece molto più propenso a portarla via di lì, glielo leggeva negli occhi.

"Non è che ne non sia felice, Castle. È solo che non so se sono in grado di reggere la fatica". E nessuno sapeva del bambino. Doveva annunciarlo in quella circostanza? Si strinse i lembi della giacca intorno al corpo, in un istintivo gesto di protezione. Non sapeva se era pronta a comunicare la notizia del nuovo arrivo. Le sembrava di riuscire a proteggerlo meglio dai pericoli reali o immaginari, se nessuno era al corrente della sua presenza. Nasconditi, se vuoi essere felice.Si rimproverò. Erano solo delle stupide superstizioni a cui lei non aveva mai creduto.
La sicurezza del suo bambino non dipendeva certo da quello.
"Visto che sono tutti qui credi che potremmo... dovremmo dirglielo?", gli domandò pensierosa, valutando la situazione. Forse sarebbe stato meglio affrontare la questione una volta per tutte. Del resto non poteva tenerlo nascosto per sempre. "A meno che tu non voglia dirlo prima ad Alexis, voi due da soli". Sì, era più giusto così.
Aveva il diritto di saperlo in via privata, e non insieme a tutti gli altri che, se pur legati alla loro famiglia, non sarebbero diventati i fratelli maggiori di nessuno. Questo avrebbe inoltre ritardato la confessione comunitaria. Era un bel sollievo.
Castle non rispose, e questo fece suonare un campanello d'allarme in lei.
"Credo di doverti dire anche qualcosa d'altro".
Si stizzì. Basta segreti. Ne aveva fin sopra i capelli e non era nelle migliori condizioni di spirito.
"Alexis lo sa già. Gliel'ho detto stamattina. Pensavo fosse più giusto così".
Kate si rilassò, ma solo un po'. Certo, era ovvio che si fosse comportato nel modo più corretto. Solo che... provava comunque la sgradevole sensazione che avesse agito alle sue spalle. Non dovevano deciderlo insieme? D'altro canto si trattava pur sempre di sua figlia. Forse era lei a essere ipersensibile sull'argomento. O forse questo la obbligava a dirlo subito agli altri. Si sentiva messa alle strette e non era qualcosa che di norma le piacesse. A chi, del resto?
"Va bene. Come vuoi. Adesso è meglio uscire da qui, comincia a mancarmi l'aria e non voglio farli aspettare più del previsto".
"Kate".
Gli aveva già dato le spalle, anche se era stata certa che non le avrebbe permesso di uscire di lì, se prima non avessero chiarito il malumore.
"Ci pensiamo dopo, Castle".
"Cinque minuti in più o in meno non cambieranno le cose".
La costrinse a voltarsi di nuovo. C'era qualcosa di innaturale nello stare in ascensore ai ferri corti con il proprio marito, con una festa in suo onore ad attenderli.
"Non potevo non farlo. Se l'avesse saputo da altri?".
"Da chi, Castle? Lo sappiamo solo noi".
È il nostro bambino, Castle.
"Ok. È colpa mia. Non volevo lasciarmelo sfuggire senza pensarci. E volevo che lo sapesse. Vorrei che lo sapessero tutti, perché è una bella notizia e non succederà niente di male, se il mondo verrà messo al corrente del lieto evento, come sembri pensare tu".
"Non penso affatto a una cosa del genere", si lamentò vivacemente, allontanandosi da lui per quanto le consentiva lo spazio ristretto.
"È così e lo sai. E lo capisco. Ma non potevo non dirlo ad Alexis il prima possibile. Sarebbe stato ingiustificabile da parte mia lasciarla all'oscuro".
Aveva ragione, non era così irragionevole da non capirlo.
"Questo non toglie che dovevamo deciderlo io e te,prima,non esserne messa al corrente in questo modo. Perché non me ne hai parlato? Sarei stata d'accordo". Forse.
"Per proteggerti". Il tono solenne e le labbra che non riuscivano a trattenere il sorriso le fecero deporre le armi e alzare bandiera bianca.
Solo lui poteva scherzare su una cosa del genere. E lo faceva perché lei non riusciva a resistergli, quando se ne usciva con qualcosa di così clamorosamente irriverente da fargli meritare il carcere a vita.
"Vorrei abbandonarti ammanettato in un vicolo deserto", lo minacciò.
Castle la chiuse in un angolo, ignorando le sue proteste. "Se è una delle tue fantasie, Beckett, sai che io sono disponibile. A tutto".
Nella confusione che seguì riuscirono a premere inavvertitamente il pulsante che sbloccava le porte dell'ascensore. Fu proprio in quel momento che, probabilmente richiamati dalle loro voci ridacchianti, vennero sorpresi dall'intero gruppo di persone riunite a casa loro, apparso sulla soglia.
La frase "prendetevi una stanza" riecheggiò nel silenzio stupefatto, facendola arrossire e vergognare moltissimo.
Il miglior ritorno a casa di sempre.

   
 
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