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Autore: Iryael    12/09/2018    1 recensioni
6 Giugno 5402-PF, Galassia Solana, Marcadia.
Indigo Blackeye, il vertice della più grande associazione criminale della Federazione, ha un piano che coinvolge Capital City e la sua Accademia della Flotta. Sono mesi che lo progetta e finalmente è ora di metterlo in pratica.
Jack, Linda, Nirmun, Reshan e Ulysses sono allievi come tanti altri, e come tutti gli altri finiscono loro malgrado coinvolti in quello che sarà un battesimo del fuoco brutale e sanguinario. Con una variante, però: quella di finire fra gli ingranaggi del piano di Indigo.
Il giovane Blackeye ha ragione: il 6 giugno aprirà un nuovo capitolo nelle vite di molte persone. Quel che non può prevedere è chi si metterà sulla sua strada.
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[Galassie Unite | Arco I | Schieramento]
[Personaggi: Nuovo Personaggio (Altri, Indigo Blackeye, Nirmun Tetraciel, Reshan Jure, Ulysses Yale)]
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ratchet & Clank - Avventure nelle Galassie Unite'
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[ 01 ]
Cadetti
29 giorni dopo, 3 giugno 5402–PF
Accademia della Flotta di Capital City (Marcadia)
Campus, dormitorio ovest
 
Reshan entrò in camera mentre la lancetta lunga scattava a segnare le 14:30. Slacciò il colletto della divisa e materializzò dalla polsiera il memo delle cose da fare. Si disse che la voce di Patologia III poteva cancellarla e che il tema di Diritto necessitava solo di un ultimo controllo. Lingue, però, gli avrebbe preso un mucchio di tempo. Lui e il Quinto Ceppo erano cognitivamente incompatibili; ne aveva preso atto molto tempo prima.
Prima di tutto avrebbe dovuto occuparsi dell’unica voce assente sul memo: il dossier Blackeye. O all’istruttrice Donno avrebbe presentato solo fatti a metà, e come minimo si sarebbe visto revocare le credenziali della piattaforma.
Sì, quella è la priorità; Lingue la studierò dopo. Magari chiederò aiuto a Nirmun. No, senza magari: da solo ci metterei il doppio del tempo. Okay, suona come un piano. Va bene, mi rinfresco il viso e comincio.
Mentre si asciugava la faccia incrociò il suo sguardo allo specchio. Lo faceva spesso; gli piaceva il punto d’azzurro delle sue iridi. Peccato solo che i geni l’avessero appaiato a un vello rosso vivo: tanto visibile quanto improbabile, almeno su uno xarthar pipistrello.
Okay Reshan, basta futilità. La signora Donno non sente scuse. Piuttosto... – rimise a posto l’asciugamano e tornò a scrutare il vuoto in camera – Sul serio Lys non c’è?
Era quanto meno curioso: di solito il venerdì, al rientro, lo trovava alla VG. Però, date le circostanze, sarebbe stato perfetto se il suo compagno di stanza fosse stato fuori. Lo sarebbe stato ancora di più se ci fosse rimasto a lungo, perché il dossier Blackeye era un segreto fra lui e l’istruttrice. Perciò controllò minuziosamente in ogni dove: scoprì uno dopo l’altro tutti i nascondigli e, quando infine si convinse d’essere solo, si mise al computer.
 
La piattaforma della Flotta lo accolse con la sua home page blu e argento, austera secondo ogni cliché militare. Se l’era chiesto, qualche volta, perché la grafica trasmettesse un tale senso di ostilità. Aveva raggiunto due ipotesi plausibili: o il designer era nuovo del mestiere o si era sentito pesantemente sottopagato.
Senza indugiare oltre accedette all’archivio dei rapporti e filtrò l’enorme massa di dati attraverso le parole “Razziatori” e “Blackeye”.
Più di trecento rapporti in tre giorni. Però! È quasi il record! – Con un gesto entusiasta materializzò la sua banca dati personale. – Oggi avrò un mucchio di cose da leggere.
* * * * * *
Un paio d’ore più tardi
Dormitorio ovest, secondo piano
 
Era metà pomeriggio e nella mente di Jack Steel figurava un’unica parola: tragedia.
La stanza era in completo disordine. Non era così, di solito, ma quella volta era semplicemente un casino. La sua carriera da ingegnere della Flotta – e probabilmente anche la sua vita – erano condannate a una fine atroce se il faldone non fosse riemerso.
Con lui, nella stanza che sembrava implosa, non c’era il suo coinquilino. Il pusillanime aveva intuito una tempesta e si era defilato alla svelta, lasciandolo col suo boia: Linda Jork, compagna di corso e – nello specifico – di lavoro. Ritta davanti a lui, mani strette sui fianchi, sembrava seriamente intenzionata a fargli del male.
«Fammi capire meglio» sillabò, voce acuta e tono tagliente. «Fra tre settimane c’è la consegna e tu hai perso il progetto?»
Il colletto si fece troppo stretto. Il giovane cazar sentì la bocca asciutta. «Non lo trovo» ammise sottovoce.
E la coscienza gli fece eco cantando: Trageediaaa!
«Sei un idiota! Ti rendi conto che non abbiamo digitalizzato nulla per evitare che ce lo clonassero?» trillò lei, calcando appositamente sul nulla. «E adesso tutti i calcoli, le relazioni... è andato tutto!»
«È... aspetta» era pronto ad accampare una scusa quando ricordò. «Ieri ho svolto qualche esercizio con Yale. Sai, il pilota che..–»
Non ebbe bisogno di spiegare oltre, lo lesse nella sua espressione. Così tornò al discorso precedente. «Il faldone era fuori, in mezzo al resto. Magari l’ha preso e non me ne sono accorto.» O almeno prego che sia così.
La kerwaniana spostò le mani dai fianchi a una posizione incrociata sul petto. «E dove sta Yale?» domandò, imperiosa.
Per un istante nei suoi occhi brillò una luce strana, quasi come fosse divertita. Jack immaginò che alla sua egocentrica collega piacesse vederlo mortificato. Indicò l’armadio con un debole cenno di mento, sentendosi bastonato due volte. «La stanza di fianco.»
Linda lo trascinò senza mezze misure. Bussò, e oltre allo schiocco delle nocche sul legno, i braccialetti al polso tintinnarono. Collane e orecchini non erano vietati, per la gioia di molte ragazze, ma alle mani erano concessi solo le polsiere fornite con la divisa. Jack glielo avrebbe ricordato se il suo cruccio non fosse stato così pressante.
Perdere il progetto. L’intero progetto. Mesi di lavoro di Meccanica degli Armamenti. A tre settimane dalla consegna. Solo il cielo sapeva cosa sarebbe successo se non fosse riapparso.
 
La porta fece clack. Tutte le sue speranze si concentrarono sull’uscio... salvo poi dissolversi all’istante. Sulla soglia non c’era il lombax, ma lo xarthar suo coinquilino. Vello rosso e livrea grigia: non avrebbe potuto scambiarli nemmeno volendo.
Sentendosi a un passo dalla fossa, il giovane cazar gemette.
«Jure!» esclamò invece Linda, sorpresa, cambiando umore in un battito di ciglia. «Non pensavo dormissi qui!»
«E invece...» rispose lui, mostrando un sorriso di cortesia. «Posso esservi d’aiuto?»
Jack riassunse la situazione in poco più di due frasi, inserendo una supplica nel tono. Reshan, come sperava, fece mente locale, ma alla fine scosse la testa. «Se l’ha preso lui ce l’ha ancora nella polsiera. Mi dispiace.»
L’espressione del vicino si fece terrea. La voce tenorile della coscienza diede fiato alle corde: TRAGEEDIAAA!
Lo xarthar intuì la dimensione del suo guaio e si affrettò ad aggiungere: «Però fra mezz’ora dovrebbe tornare. Se volete lo spedisco da voi.»
Le labbra sottili di Jack si allargarono in un sorriso scornato. Disse «Sì grazie» nello stesso momento in cui Linda rispose «No grazie.»
Reshan li guardò con aria interrogativa.
«È una faccenda nostra, ce la dobbiamo sbrigare noi. Torneremo.» decretò la kerwaniana. «Comunque... apprezzo l’offerta.» aggiunse, addolcendo il tono.
«Nessuna offesa. Mi dispiace solo che Ulysses la butterà sul ridere e non vi chiederà scusa, se davvero ha il vostro progetto.» replicò, prima che le grandi orecchie ogivali fossero scosse da un leggero fremito. Jack se ne accorse, e questo lo portò nuovamente a coagulare le speranze intorno all’arrivo del pilota. Ancora una volta fu deluso.
«C’è un’ispettrice.» informò lo xarthar, rivolgendosi a Linda. «Sarebbe meglio se togliessi i braccialetti. Sono graziosi, ma ti costerebbero un’ammonizione.»
«Ah! Hai ragione!» la giovane portò una mano fra i riccioli voluminosi, mentre le guance assumevano una sfumatura rosata. «Sarebbe un richiamo formale, stavolta...» mentre l’ultimo di essi si smaterializzava nella polsiera, un lampo di vivacità si fece strada nelle sue iridi scure. «Posso offrirti un caffè per sdebitarmi?»
Le orecchie dello xarthar scattarono impercettibilmente, stavolta verso la stanza. «Con piacere. Facciamo domani?»
Linda cinguettò un assenso felice. Nello stesso momento la silhouette robotica di un’ispettrice fece capolino dietro l’angolo. I due ingegneri tornarono nella stanza di fianco, decidendo di passare quella mezz’ora a cercare di nuovo il faldone col progetto.
* * * * * *
Reshan chiuse la porta e pensò allarmato al dossier aperto sullo schermo. Doveva chiuderlo subito. Il passo dell’ispettrice in corridoio poteva essere un caso, ma certi rumorini in camera gli facevano credere il contrario. Lo scorrere della finestra, il fruscio leggero di una zip: li conosceva troppo bene per ignorare cosa stava per succedere.
Guardò il suo letto; guardò le coperte grigie che cadevano ordinate fino a terra. Pensò al sacco a pelo che celavano e dalla sua bocca uscì un semplice: «Sei qui, vero?»
Non ricevette risposta. Il tacchettio in corridoio si fece più deciso. Lo xarthar tornò al computer ma non si sedette. Fece appena in tempo a coprire il tutto con il tema di Diritto, prima che dalla porta arrivassero colpi di nocche. Meglio aprire, prima che la proprietaria dei tacchi invocasse il regolamento e forzasse la porta.
 
Stavolta, venti centimetri più in basso, trovò lo sguardo ramato di un’androide in tailleur verde. Come immaginava. Salutò con garbo mentre l’occhio corse in automatico alla sigla stampata come un badge sul petto metallico.
13-Tl. Thallia. Uhoh.
L’ispettrice gli rivolse un sorriso affettato. «Salve allievo Jure. Riesce a indovinare perché sono qui?»
Domanda retorica. Erano tre anni che quella scena accadeva con regolarità, e c’era una sola invariabile risposta a quella domanda: Ulysses Yale.
Le sue spalle calarono impercettibilmente, e quando parlò il suo tono espresse un misto di rassegnazione e fastidio.
«Cos’ha fatto stavolta?»
«Mi faccia entrare.» tagliò corto lei.
Quando la robot lo scansò per avanzare nella stanza il pipistrello non poté fare a meno di deglutire. Era sicuro che l’amico fosse in camera, anche se prima non gli aveva risposto. Ciò che non poteva sapere era se Thallia avrebbe seguito o meno il protocollo ispettivo: questo, come ogni volta, gli causò un senso di allarme. Se l’avesse bypassato e avesse guardato sotto il suo letto sarebbero stati guai per entrambi. Il sacco proteggeva da tutti i filtri possibili meno che dalla vista comune.
«Apra il suo armadio, prego» l’interruppe Thallia, raggiungendo con poche falcate il guardaroba del lombax. Lo xarthar si limitò ad obbedire: imitò il suo gesto e mise in mostra la scarsa gamma di abiti in suo possesso. Sgarrare non sarebbe stato saggio; non dopo che un allievo era stato scoperto a foderare le ante dell’armadio con un isolante forte. Cosa ci volesse fare era un mistero, ma da allora le contromisure si erano irrigidite.
Thallia si portò al centro della stanza. La sua testa si sollevò di qualche centimetro; poi, lentamente, roteò di 360 gradi. Reshan provò un moto di sollievo. Scansionava la stanza, riconobbe. Seguiva il protocollo.
«Si sente teso, allievo?» domandò l’ispettrice. «I sui valori biometrici lo indicano. Se lo desidera sa che sono aperta alle confidenze.»
Confidenze. Un modo galante per chiamare le confessioni.
«È normale stress.» mentì lui. «Siamo alla fine dell’ultimo anno e i professori tirano tutti i fili tutti insieme.» Poi, con una calcolata nota di sarcasmo, aggiunse: «Forse potrei anche dormire, se la giornata fosse di trenta ore.»
«Normale stress, capisco.» ripeté la robot, vagliando la risposta. «Immagino che il suo coinquilino le dia da fare, oltretutto.»
Ecco che ricominciava. Quando Thallia ispezionava la camera per causa di Ulysses, conduceva con lui una sorta di battaglia navale per sondare se, quanto e come fosse coinvolto nelle trasgressioni del lombax.
«Non è a me che dà da fare.» replicò con naturalezza. «Parli con il nostro vicino: è lui quello tribolato.»
«E in che modo?»
Lo xarthar riassunse ciò che il cazar gli aveva detto. Thallia alzò gli occhi al cielo e scosse appena la testa.
«Tipico dell’allievo Yale. Troppa leggerezza.»
Il suo tentativo era chiaramente fallito. Era il momento giusto per una tattica più diretta. «Il suo coinquilino è fuggito da una punizione di gruppo. Dovrebbe essere a pulire i poligoni, invece ha eluso la sorveglianza.»
«Di nuovo???»
Non riuscì a mantenersi compassato. Non ci riuscì proprio. La sera prima aveva speso venti minuti a chiedergli un’ultima settimana priva di “attività extra”. Lo aveva praticamente pregato. Solo a pensarci si accese per l’irritazione.
«Potrei sapere cos’è successo di preciso?»
«Oh, un dispetto tra allievi che è degenerato. Nulla che non sia routine in un branco dove tutti si sentono maschi alfa.»
Un dispetto... degenerato? – immaginò senza sforzo il coinvolgimento diretto del suo coinquilino. Fu carburante per l’irritazione.
La robot richiuse l’armadio e raggiunse la porta del bagno. Da lì ricontrollò l’alloggio, ma l’unica macchia di colori caldi aveva la sagoma del pipistrello. Reimpostò la visione senza filtri e si avvicinò alla porta.
«Le auguro una buona giornata, allievo Jure. E se dovesse vedere l’allievo Yale...»
«Chiederò asilo a Xartha, non abbia timore.»
L’ispettrice si fermò sull’uscio. «Prego?»
«Violerò una dozzina di trattati sul traffico d’organi. E poi traslocherò su Xartha.»
Un sorrisino comparve sul volto di Thallia. «Niente estradizione per gli xarthar. Scelta intelligente.»
«La ringrazio.»
«Saprò dove venire a trovarla, allora.»
«Sarà mia premura offrirle una tazza d’olio bollente. Buona giornata anche a lei, ispettrice.»
 
Una volta rimasto solo, nella stanza scese una quieta immobilità. Durò pochi secondi; il tempo necessario perché la robot si allontanasse.
«Esci fuori. Subito
Silenzio.
Puntò le iridi color cielo sulle coperte, che scendevano ordinatamente dal fianco del letto. Una cortina grigia che nascondeva il più speciale dei nascondigli che avevano architettato.
«Ulysses Yale, ingrato degenere, sto parlando con te.»
Silenzio.
Era strano che l’amico non gli rispondesse... e che non l’avesse fatto neanche prima. Non poteva essere una questione di rumore: essendo telepate, avrebbe potuto comunicare senza curarsene. Che si fosse sbagliato? Che si fosse ingannato, e che quelli sentiti fossero solo rumori di un campus nei suoi ultimi giorni di studio?
Meglio controllare. Ma prima, per sicurezza, diede un giro di chiave alla porta.
Quando avevano sistemato i mobili, all’inizio dell’anno, lo xarthar aveva chiesto che nell’angolo della stanza non ci fosse il letto, ma il comodino. L’aveva fatto passare per un capriccio e nessuno ci aveva dato peso. In realtà il piccolo corridoio fra muro e letto era un punto cieco per chi non si sporgesse appositamente a guardare, cosa piuttosto utile quando si trattava di tirare Ulysses fuori dal sacco. Come in quel momento.
Il pipistrello allungò un braccio sotto la rete. Non dovette sforzarsi per raggiungere la maniglia laterale del sacco a pelo.
«Sono io» annunciò, tirando con forza la striscia di stoffa. Dalle coperte emerse metà di un bozzolo di tela grigia, opaca e ruvida al tatto. Più o meno all’altezza del petto c’era ricamato il logo delle industrie KiJu e, sotto, la scritta PROTOTIPO. Da come pesava era evidente che fosse pieno. Lo aprì con impazienza.
Ed eccolo: Ulysses Yale, a occhi chiusi e bocca spalancata, che apparentemente dormiva. Il gel stava cedendo e ciocche nere cadevano in disordine sul vello grigio, appena davanti le grandi orecchie da lombax.
Reshan gli scoccò uno sguardo sconcertato.
Non ci credo.
Lanciò un’occhiata intorno: al letto sfatto del lombax, alla mobilia, alla scrivania col computer acceso. Tornò a fissare l’amico. Nella mente si affacciarono le parole di Thallia: un dispetto tra allievi che è degenerato.
Li conosceva bene, lui, i dispetti di Ulysses. E se lui era davvero coinvolto in prima persona e se quello era il risultato...
Materializzò all’istante lo scanner medico. Le dita corsero velocemente sui filtri. La sua espressione si mantenne concentrata finché comparvero i risultati. Semi coscienza dovuta a lieve commozione cerebrale. Contusioni di varia gravità sugli arti superiori e inferiori.
Il suo lato di medico subentrò a quello di amico. Tirò il sacco completamente fuori dall’ombra del letto e trasferì il lombax sul materasso con l’ausilio di un raggio trattore. Poi raggiunse il bagno e ne tornò indietro con un hypospray dal contenuto color topazio.
Cercò subito Ulysses con lo sguardo, come aspettandosi che non fosse più lì. Non sarebbe stata certo la prima volta! Ma il lombax giaceva esattamente come l’aveva lasciato, con la maglietta che si muoveva impercettibilmente a ogni respiro.
Ti hanno proprio messo fuori gioco, eh?
Lo xarthar gli tastò il collo con due dita e, trovato il punto giusto, sparò il contenuto della siringa.
L’amico rientrò al posto del medico, portando con sé tutte le sue incertezze. Il manuale dice che la sostanza deve agire per almeno un’ora. Se lo lascio riposare secondo i suoi tempi dovrebbe essere a posto. Dovrebbe. Lo controllerò di tanto in tanto per sicurezza.
Parzialmente convinto se ne tornò al computer, dove la piattaforma digitale della Flotta lo attendeva. Aveva letto più di metà dei rapporti trovati, ma non aveva trovato nulla di rilevante. Come sempre la maggior parte erano rapporti di falsi avvistamenti. Come sempre, almeno nell’ultimo mese, Indigo Blackeye era uscito dai radar.
E questo potrebbe essere un dato in sé. Un dato dalle prospettive terrificanti, ma un dato. Se non trovo altro, al prossimo incontro con la signora Donno lo farò presente.
Sempre meno convinto di tutte le faccende in corso, riprese a leggere.
* * * * * *
Tre ore dopo, 19:40 circa
Dormitorio ovest, secondo piano
 
Sentiva la mente leggera, quasi che non ci fosse. Meno male; prima di chiudere gli occhi era così pesante...
La schiena e le spalle erano indolenzite. I lividi erano sicuri; magari avrebbe guardato se nella cassetta medica c’era il belletto. Però n’era valsa la pena. Insomma: arrivare a uno scontro diretto con la Donno non era mica roba da tutti i giorni!
Ridacchiò tra sé, e la stanza gli rese l’eco della sua voce arrochita. Solo allora si accorse di essere a letto e non più nel sacco.
Inorridito, si tirò velocemente a sedere.
«Re?» chiamò. Non ottenne risposta. Sentì come se l’avessero schizzato con l’acqua gelida. Thallia era passata di sicuro. Se lui era lì era perché l’aveva scoperto? Aveva scoperto che Reshan era suo complice?
Allargò la mente con prudenza, fino a coprire la stanza. Era solo. Non era un buon segno. Però la sveglia proiettava sul soffitto ch’era ora di cena.
Sarà in mensa – si rincuorò, pensando di raggiungerlo e spiegargli cos’era successo. Non ci voleva un genio per immaginare che l’improvvisata gli avesse scombussolato i programmi. Però se gli racconto della figura di merda di Genedo come minimo se la ghigna abbastanza da dimenticarsi di me!
Allargò di nuovo la mente, stavolta oltre i limiti della stanza. Puntò direttamente al piano terra, lì dove i due dormitori si univano in un basamento comune. La mensa si apriva proprio lì, con il suo enorme ambiente soppalcato e gremito di gente. Ulysses si trovò dinnanzi a un ribollire di impronte mentali piene di soddisfazione, indifferenza e irritazione in tutte le loro sfumature. Abituato a simili percezioni, spinse la sua mente proprio nel centro di quel marasma. Identificò quasi subito Linda Jork, e subito un sorriso malizioso prese campo sulle sue labbra.
Chissà se oggi ha avuto fortuna. Scommetto che Re le ha fatto notare i braccialetti. Spero che abbia notato anche lei! Mondo infame! C’è chi venderebbe la nonna per andarci a letto, e lui non si è accorto che lo punta da mesi! Bah!
Lasciò Linda alle sue chiacchiere e sgusciò abilmente fra pensieri e ricordi, alla ricerca dell’impronta mentale che in quel momento gli serviva. Di Reshan, però, non c’era traccia. Poco male: c’era un altro posto in cui controllare, prima di temere il peggio.
Si concentrò e spinse la propria percezione verso sud, verso l’edificio che l’amico apprezzava di più: la biblioteca. Della sua storia e delle sue glorie ne aveva sentito parlare un milione di volte, ma non gli era mai interessata un granché... salvo per certi testi davvero utili ma davvero introvabili. Testi sulle più celebri tecniche di volo e sulle capigliature più strane della storia (anche se avrebbe spergiurato di non aver mai visto quei titoli in vita sua).
Una volta in biblioteca la sua ricerca proseguì senza più alcun metodo, secondo un procedimento frettoloso che lo portò a saltare senza logica da un piano all’altro. Desiderava solo scovare il suo amico, avere conferma di averla scampata con Thallia e fiondarsi fisicamente in mensa.
Lo trovò nella sala dedicata alle lingue e ai dialetti. Qualunque cosa lo xarthar stesse leggendo o facendo lo assorbiva completamente: approfittando di ciò Ulysses si tuffò fra i suoi pensieri.
Dunque, i fatti di oggi...
Non fu una ricerca particolarmente lunga. Confermò che Thallia non li avesse scoperti. Scoprì che la visita di Linda e Jack si era conclusa come lui e Linda avevano pianificato. Vide che la sua defezione – e la conseguente visita di Thallia – l’avevano irritato fino a farlo meditare contro di lui. Ma vide anche che, nonostante avesse minacciato di venderlo organo per organo, quando aveva aperto il sacco si era preoccupato per le sue condizioni.
Tutto normale, insomma. Non restava che restituire il faldone a Jack e fare quattro chiacchiere con Linda. L’obiettivo di incontrarsi a tu per tu l’aveva raggiunto, no? Ora c’era da programmare il passo successivo. Una conversazione brillante, magari un confronto tecnico: qualcosa che li facesse sentire come se fossero in un mondo che appartenesse solo a loro, così da renderli complici. Dopotutto lei era ingegnere e lui biomeccanico!
Facile, no?

 

   
 
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