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Autore: diphylleia_    13/09/2018    1 recensioni
"Da che avesse memoria, Scarlett non aveva mai provato vere emozioni, o un solo brivido che le scuotesse il cuore e le portasse gioia [...] Il suo spirito somigliava di più a un giorno d’autunno dal cielo grigio e pesante, in cui la pioggia non si mostra e tutto resta uguale a se stesso, in attesa." Nel tentativo di superare il proprio disagio esistenziale, Scarlett si getta a capofitto in attività edonistiche; proprio quando è a corto di idee per provare emozioni forti, la sua migliore amica Sky la invita in campeggio con dei suoi amici, dove le conoscenze che Scarlett farà la porteranno ad esplorare nuovi lati di se stessa.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Max, Scarlett, Sky, Trent, Un po' tutti | Coppie: Alejandro/Heather, Bridgette/Geoff, Duncan/Courtney
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale
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Scarlett aprì cautamente la porta di casa, guardandosi attorno prima di entrare. Non sembrava esserci nessuno: i suoi genitori erano in ufficio e non rincasavano mai per l’ora di pranzo; suo fratello era fuori città con il suo gruppo di amici, per festeggiare la fine delle superiori. Quel ragazzo aveva sempre concepito quella scuola e quella città come una prigione: quando erano piccoli, raccontava spesso alla sorellina di come sarebbe scappato da quel tugurio e sarebbe diventato un attore a Hollywood. La rossa non poteva dargli torto, data anche la facilità con cui le cose le venivano a noia.
Mosse qualche passo all’interno dell’abitazione e si chiuse la porta alle spalle. Infilò la chiave nella serratura e la girò due volte, prima di gettarla in fondo alla borsa.
Doveva fare tutto con un certo ordine.
Girò a destra, verso la cucina. Si affacciò appena, col corpo già pronto ad affrettarsi sulle scale per il piano di sopra: sul tavolo da pranzo giaceva un piatto fondo, coperto da una pellicola trasparente, su cui giocavano i raggi di sole che filtravano svogliatamente attraverso la veneziana chiusa.
La giovane non si prese nemmeno la briga di controllare cosa ci fosse nel piatto e si gettò subito sulla scalinata. Arrivata al primo piano praticamente di corsa, si guardò nuovamente attorno, sporse la testa nella camera dei genitori e in quella del fratello; la porta del bagno era aperta, non poteva esserci nessuno all’interno, quindi Scarlett evitò di controllare.
Finita la minuziosa perlustrazione, fece il suo ingresso nella propria stanza. Ragionava con la fredda precisione di un computer, una macchina perfetta e priva di cuore: elencava nella mente congelata tutte le possibilità di essere scoperta e calcolava senza sforzi il numero di modi di eluderle.
Lasciò la borsa sul letto e si precipitò a chiudere finestra e persiane. Localizzò un bicchiere di plastica sul comodino, aggrappandovisi con gli occhi come se fosse stato un amuleto, e lo collegò con lo sguardo ad una bottiglia d’acqua mezza vuota sulla scrivania. Lanciò un’ultima occhiata alla porta e la chiuse di malavoglia: inconsciamente sperava di essere scoperta, fermata e sgridata, e di piangere ed essere arrabbiata per questo, come tutti gli altri riuscivano a fare.
Perché lei non poteva. Nemmeno in quella situazione provava ansia o rimorso.
Estrasse dalla borsa, con un gesto meccanico, una bustina. Rivolse l’involucro verso la finestra, ponendo il suo contenuto in controluce, come se volesse accertarsi della sua autenticità (o della sua stessa esistenza): una beffarda pillola rossa con una linguaccia incisa sopra si lasciava ammirare e invitava, con il suo aspetto sgargiante, a essere nascosta il prima possibile, schiacciata contro il palato.
Scarlett si mordicchiò il labbro e appoggiò il contenitore di plastica sul comodino, accanto all’abat-jour, che accese distrattamente. Con la stessa distrazione si alzò, prese la bottiglia e si riempì con dell’acqua il bicchierino. Era arrivato il momento, e la rossa sapeva esattamente cosa fare. Introdusse le dita esili della mano sinistra nella bustina e afferrò la pillolina, che posò senza esitare sulla punta della propria lingua. Aveva capito che, se non avesse fatto tutto tempestivamente, si sarebbe fermata e l’avrebbe buttata. Per aiutarsi a deglutire, ingerì il contenuto del bicchiere più in fretta che potesse.
A quel punto si fermò. Si prese del tempo per realizzare di aver ingerito una sostanza stupefacente per il solo gusto di provare qualcosa. Lo stesso motivo che aveva spinto un’amica di Sky (e, per proprietà transitiva, anche sua) a procurargliene una.
 
Quella mattina, Scarlett era stata avvicinata da Heather verso la fine della giornata scolastica. La mora, con il suo solito fare civettuolo, l’aveva afferrata per un polso, applicando sulla pelle della rossa una pressione più forte del previsto, come tacito segnale che qualcosa stava per accadere. Dunque l’asiatica la invitò, senza farsi troppo notare, a saltare l’ultima ora di lezione: - Tanto siamo entrambe brave in matematica. Usciamo prima. - Tagliò corto. Quella ragazza aveva un talento eccezionale nel mandare messaggi in codice.
Scarlett acconsentì, senza stupirsi. - Perfetto - Commentò in tono mellifluo la sua interlocutrice, e la portò sul retro dell’edificio scolastico.
Aspettarono di vedere la folla di studenti diradarsi e sciamare verso le aule; quando l’esterno dell’istituto fu occupato solo da loro due e qualche granello di polvere, Heather tirò fuori un fazzoletto di seta piegato su se stesso e lo porse alla compagna di scuola. - Non ti scomodare per i soldi. - Sibilò altezzosamente. - Me li ridarai quando sarà il momento. - Sorrise infine, socchiudendo gli occhi fino a ridurli a due fessure, ancora più assottigliate dal trucco. Alla mora piaceva vantarsi implicitamente del proprio benessere economico, e regalare pasticche a una sua amica di facciata era un modo più che efficace per compiacere il proprio ego. Allora la rossa prese tra le mani il pregiato pezzo di stoffa e lo tastò con i polpastrelli. Sentiva il sottovuoto creato da una bustina. Sollevò un lembo del quadrato di tessuto e inquadrò velocemente il suo brillante contenuto. Rassicurata, ripose in una tasca della propria borsa il “regalo”. - Grazie - Le sorrise educatamente, ma senza troppa convinzione, per poi congedarsi.
 
Ripensando agli avvenimenti di poco tempo prima, la ragazza si lasciò cadere di schiena sul materasso e iniziò a fissare il soffitto. Sapeva di dover aspettare prima di percepire gli effetti della sostanza, ma non sapeva per quanto tempo. Un minuto. Cinque. Dieci.
Dopo venti minuti, l’unica cosa che sentiva era una forte nausea. Si mise lentamente seduta, per farsi sorprendere da un’improvvisa, dolorosissima fitta allo stomaco. Cadde a terra, sbattendo con la spalla contro il comodino, e si ritrovò piegata su se stessa.
Si portò la mano sinistra alla bocca. Il suo cuore batteva selvaggiamente contro la cassa toracica, e il sangue schizzava in ogni angolo del suo corpo con la brutalità di un’onda tempestosa. Deglutì a fatica: iniziò ad avvertire male alla testa.
Cadde in avanti, carponi, sul pavimento freddo. Le girava tutto intorno. Aprì le palpebre indolenzite e provò a esaminare l’ambiente circostante: tutto le appariva sfocato e assumeva colori strani; ogni cosa vibrava, dondolava. Gattonò fino alla porta, che aprì frettolosamente aggrappandosi alla maniglia, e proseguì così fino al bagno. Si trascinò oltre il suo ingresso, fino al gabinetto. Non si sentiva più le gambe e pensava che, se si fosse messa in piedi, sarebbe morta.
Rimase ferma, con la testa sopra la tazza e respirando a fatica, per pochi minuti, per poi rimettere. Una pausa di qualche altro minuto, e vomitò di nuovo. Questo calvario continuò per qualche minuto, finché la ragazza, esausta, non si mise a fatica in piedi, appoggiandosi al muro, e tirò lo sciacquone. I suoi nervi erano fuori uso: rantolò e si accasciò a terra, appallottolata su se stessa, mentre il suo corpo era scosso da tremori febbrili.
Pochi secondi, un vuoto d’aria, e il nero. Era svenuta.
 
Da che avesse memoria, Scarlett non aveva mai provato vere emozioni, o un solo brivido che le scuotesse il cuore e le portasse gioia, come il vento primaverile che scuote le fronde degli alberi e ne accarezza le gemme. Il suo spirito somigliava di più a un giorno d’autunno dal cielo grigio e pesante, in cui la pioggia non si mostra e tutto resta uguale a se stesso, in attesa. Su di lei pesava una nube di tristezza e disgusto, che influiva sulla sua personalità e le aveva sempre impedito di sbocciare.
Non passò molto tempo, prima che si accorgesse che qualcosa le mancava. Era diversa dagli altri: era più sveglia rispetto alla media ma sbrigativa e poco empatica. Tendeva a stare sempre sulle sue perché, pur volendo, semplicemente non riusciva ad avvicinarsi a nessuno.
La cosa peggiore era che, nel corso della sua vita, aveva fatto l’abitudine a questo stato. Crescendo e osservando gli altri (soprattutto all’inizio della propria adolescenza), ormai rassegnata a non trovare mai sollievo dalla morsa che teneva il suo animo prigioniero, aveva capito che sarebbe stato meglio per lei adattarsi, fingere di essere simile ai suoi compagni di scuola, di non soffrire, e farsi degli amici.
Proprio in quel periodo incontrò Sky.






((CIAO! Metto un messaggio da parte mia di fine capitolo. Questa è la mia prima FF in assoluto, ed è un lavoro molto personale per questo. Un paio di indicazioni: ogni capitolo avrà come titolo il nome di una canzone, quindi vi suggerisco di ascoltarle nella lettura. La musica sarà molto importante durante questa ff. Al primo episodio allego la canzone di Daughter "Numbers". Enjoy!))
   
 
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