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Autore: koan_abyss    13/09/2018    2 recensioni
Lestrade e Mycroft Holmes si incontrano inaspettatamente in Tribunale, e per quanto la cosa sia piacevole, Lestrade è alle prese con il divorzio e un caso complicato. Non ha le forze nè il tempo neanche di pensare a conseguenze e aspettative dopo uno strano mercoledì pomeriggio. O almeno così crede.
CaseFic
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sally Donovan, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Al secondo giro di giostra (avevo ancora un po' di paura)'
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Capitolo 2



Lestrade rientra nel suo appartamento che sono quasi le quattro, ma la nottata, per quanto difficile e provante, è stata fruttuosa.
Lestrade e Donovan hanno passato un’ora a bussare casa per casa per raccogliere deposizioni e cercare di scoprire l’identità del morto, quando dallo Yard arriva una segnalazione: Margareth Clarke, in Irene Road, aveva denunciato il mancato rientro del marito, che non rispondeva alle sue chiamate, neppure. La casa è a un quartiere di distanza, e senza la chiamata dalla centrale Lestrade e Donovan avrebbero continuato a cercare per almeno altre due ore.
Mentre sono in compagnia della donna, l’agente Davies chiama per riferire che hanno trovato un cellulare: reso inservibile dall’acqua, almeno finché i tecnici non vi avranno messo mano, ma che corrisponde al modello che appartiene a James Clarke, assente da casa dalle sei del pomeriggio. Assieme a una descrizione sommaria dell’uomo e degli abiti che indossava quand’era uscito, è sufficiente ad identificarlo senza ulteriori dubbi.
Vedere una donna ricevere conferma a mezzanotte della cosa di cui ha avuto più paura al mondo nelle ultime ore non è mai facile, e Lestrade preferirebbe non lasciarla fino all’arrivo dei parenti, ma poco dopo arriva un’altra chiamata dal team che procede con le ricerche, e non appena due agenti possono dare loro il cambio nell’attesa di qualcuno che possa condividere con Margareth Clarke il suo shock e il suo dolore, Lestrade e Donovan lasciano Irene Road per tornare la parco e addentrarsi questa volta ancora di più tra gli alberi, fino a una pozza di sangue ed erba smossa.
Cento metri più avanti, verso il luogo del ritrovamento dei corpi, gli agenti ormai fradici e Lestrade (che non sente più le mani e sta morendo di fame) trovano altre tracce di sangue e segni di trascinamento.
I due siti vengono recintati e fotografati, ma che ci sia qualcosa di utile per l’indagine, lì, oltre a uno spunto per ricostruire la dinamica dell’azione, è piuttosto dubbio.
“Va a casa, boss. Abbiamo tutto sotto controllo,” gli dice Donovan dopo che hanno guardato portare via i corpi.
Attorno a loro, il turno è già cambiato una volta: gli uomini arrivati a mezzanotte resteranno fino alle sette, la squadra della scientifica sta impacchettando tutto. Lestrade è certo che Donovan non se ne andrà finché non saranno davvero tutti ai loro posti, diretti a casa o pronti a presidiare la scena e a difenderla da eventuali intrusi.
Scuote la testa: “Non ti lascio, Sally.”
Donovan è il suo Sergente da quasi due anni ormai, ma Lestrade non ama quando lei lo fa sentire vecchio. Anche se lo è. È antico, in confronto a lei.
“Andiamo. Ti eri preso il pomeriggio, e io te l’ho rovinato,” insiste Donovan, e Lestrade cede.
“Difficilmente potrei dare la colpa a te, per due omicidi. Ma domattina controllo il tuo alibi. Grazie, Sally.”
Donovan sorride appena e Lestrade torna a casa.
Nel frigo non ha niente di sano che sia commestibile nei successivi quaranta secondi, così apre un pacchetto di patatine e della birra che aveva preparato per una serata di programmi sportivi e che avrebbe con tutta probabilità ingollato già quel pomeriggio leggendo i documenti che gli ha inviato l’avvocato di Becky, se la giornata non avesse preso una piega inaspettata in Tribunale.
Se fosse rientrato a casa alle quattro del mattino quattro mesi prima o appena prima di Natale, quando lui e Becky avevano deciso di riprovarci, nonostante i tradimenti, Lestrade avrebbe trovato in frigo gli avanzi della cena, e avrebbe fatto i salti mortali per non svegliare Becky e le bambine.
Ma Natale era arrivato, Sherlock gli aveva svelato (di nuovo) che sua moglie lo tradiva e Lestrade rientra in un piccolo e squallido appartamento vuoto ormai da metà gennaio (aveva fatto finta di niente ancora per tutte le feste, perché le bambine potessero godersi un Natale relativamente tranquillo). Quella notte per la prima volta lo colpisce il pensiero che sia una fortuna, vivere solo: se gli succedesse qualcosa, Becky e le bambine non rischierebbero di scoprirlo in piena notte, non c’è nessuno che possa svegliarsi e rendersi conto che Lestrade non c’è, non è rientrato e non risponde al telefono. Se gli succedesse qualcosa, loro avrebbero ancora qualche ora di tranquillità, perché con gli orari assurdi di Lestrade hanno deciso che sia lui a farsi sentire e a chiamare quando ne ha il tempo, e Lestrade non chiama spesso quanto dovrebbe perché è ancora arrabbiato e poco lucido, e se non vuole dire cose di cui potrebbe pentirsi è il caso di limitare le opportunità di farlo.
Dopo mangiato si spoglia del resto dei suoi abiti fradici e si butta sotto la doccia, calcolando che potrebbe riuscire a dormire addirittura tre ore, se si sbriga. Il getto d’aria calda è paradisiaco e Lestrade si lascia andare a un sospiro che è quasi un gemito, mentre lo scroscio ritmico sulle piastrelle e il vapore rallentano i suoi pensieri, smussano gli angoli della sua ansia.
L’inaspettato sollievo dell’appartamento vuoto perde il suo contorno di paura e la sua mente gli ricorda che quel pomeriggio non lo era affatto: c’era Mycroft Holmes, con lui. Dio, ha invitato Mycroft da lui. Si è fatto una sveltina con Mycroft.
Il concetto è piacevole ed esilarante, ora, complice la stanchezza, probabilmente.
Il concetto gli manda anche una scarica di eccitazione dallo stomaco dritto fino all’inguine. È stato un incontro breve e frettoloso, tra due uomini che non hanno alcuna confidenza dal punto di vista fisico: Lestrade non si è preso del tempo per toccare, stringere, accarezzare, non ha lasciato succhiotti, crede di non averlo baciato neanche più dello stretto necessario, e Mycroft a sua volta non è stato particolarmente espansivo, ma al ricordo del pomeriggio Lestrade si ritrova improvvisamente duro.
Il fascino sta nel fatto che è stato veloce, soddisfacente e senza conseguenze: “Non c’è niente di questo piccolo arrangiamento di oggi a cui lei debba pensare, se non vuole,” ha detto Mycroft.
Ma se Lestrade vuole può ripensarci, decide, appoggiando una mano alle piastrelle del muro della doccia e prendendosi il pene con l’altra, mentre il getto d’acqua lo colpisce tra le scapole. Può ripensare a come Mycroft si è aggrappato alle sue spalle mentre Lestrade incombeva su di lui, sfregando il suo cazzo contro quello di Mycroft, mentre li stringeva e masturbava entrambi, inchiodando l’altro al letto col suo peso e con la mano che gli affondava nel fianco…Nella doccia, Lestrade affonda nel suo pugno ripensando a com’è venuto sul petto di Mycroft, a come la sua presa si è fatta più scivolosa e veloce, quando Mycroft ha posato la sua mano su quella di Lestrade per chiedergli di accelerare e finire a sua volta.
L’orgasmo gli strappa un grugnito soffocato. Il suo sperma macchia le piastrelle, ma è un disastro a cui è facile porre rimedio.
Quel pomeriggio, dopo essere venuto, Mycroft si è districato da Lestrade, e si è chiuso in bagno per ripulirsi. Ne è emerso in meno di cinque minuti e si è rivestito con cura.
Tutto lì. Pulito e senza pensieri.
Lestrade si lava in fretta, esce dalla doccia e barcolla a letto. Niente potrebbe tenerlo ancora sveglio.

Mentre entra allo Yard con due enormi tazze di caffè in mano, Lestrade riflette che è allo stesso tempo come se non ci mettesse piede da giorni e come se ne fosse appena uscito: il caos controllato alle scrivanie, il continuo andirivieni di agenti e civili sono immutati, ma Lestrade non mette effettivamente piede nel suo ufficio da più di 24 ore, e di quei tempi è un evento raro come vedere Sherlock senza John.
Manca ancora qualche minuto alle 8, ma Donovan è già alla sua scrivania.
Lestrade scuote la testa, allungandole il suo caffè: “Perché non sono sorpreso di trovarti?”
Donovan lo afferra continuando a battere sulla testiera con una mano sola: “Perché sai che fantastico poliziotto sono e quanto sei fortunato ad avermi.”
“Giusto. Ti apprezzo quanto meriti?”
“Neanche lontanamente. Ma ci arriveremo,” risponde Donovan, e fa finalmente una pausa per prendere un sorso di caffè.
“Novità?” domanda Lestrade, appoggiandosi alla scrivania e sbirciando lo schermo del computer.
Donovan scuote la testa: “Niente di rilevante. La scientifica vuole tornare sulla scena più tardi, e penso che dovremmo aggregarci. Vedere se con la luce salta all’occhio qualcosa di nuovo…”
“Buona idea. Le autopsie?”
“Nel tardo pomeriggio, si spera. Non prima.”
Lestrade sospira: non sono i soli ad essere sovraccarichi di lavoro, e al St. Bart si fanno sempre in quattro per la loro divisione (soprattutto Molly. Soprattutto per via di Sherlock), quindi non hanno davvero di che lamentarsi.
“Chi sta lavorando al cellulare di James Clarke?”
“Jeff, ma solo da stamattina. E con da stamattina intendo dalle 11...aveva la faccia da torneo online,” fa Donovan con espressione eloquente.
Lestrade trattiene un ghigno.
“Tu invece che fai qui dall’alba?” domanda poi, accennando allo schermo, anche se se ne già fatto un’idea.
“Controllo le denunce di persone scomparse, per vedere se la ragazza salta fuori. Nessun risultato, finora.”
Lestrade si stringe nelle spalle: “Nessuno di noi si aspettava che fosse facile, giusto? Può essere troppo presto perché qualcuno abbia notato la sua scomparsa, specie se viveva da sola.” Non è affatto inaspettato, che non siano ancora riusciti a scoprire nulla sulla ragazza ma il pensiero brucia sgradevolmente nella mente di Lestrade. “Controlleremo di nuovo più tardi. Niente di utile dalle deposizioni di ieri sera? Nessuno che l’ha incrociata? Chi se n’è occupato?”
“Davies e Tennyson. Ma siamo solo all’inizio,” risponde Donovan.
Lestrade annuisce: “Certo. Fatti mandare dal Bart una foto della ragazza da far vedere in giro e rimandali a Fulham.” Sospira e finisce il suo caffè. “Procurane una anche a noi.”
“Sicuro.”
Un’ora dopo, di nuovo a Parsons Green, Lestrade guarda Anderson e gli altri della squadra e si domanda se il loro zelo sia del tutto slegato dalla necessità di riuscire a risolvere il caso senza Sherlock, per una volta che il consulente investigativo non è coinvolto; se il caso non sia diventato un punto d’orgoglio; o se invece la moglie di Anderson sia di nuovo fuori città e lui stia cercando di far colpo su Donovan dimostrandosi stakanovista quanto lei.
Il pensiero ne richiama un altro e poi un altro ancora, e in un attimo Lestrade sta ripensando a tutte le volte che lui era fuori città, o bloccato allo Yard o in qualche appostamento interminabile mentre Becky…
Per fortuna Donovan lo costringe a concentrarsi sul lavoro: “Sappiamo che entrambi i corpi son ostai spostati. Nel quadrante 4H c’è la macchia di sangue più grande, che corrisponde a dove è morta la ragazza.” Donovan indica i cartellini gialli e i fili che sezionano il parchetto. Alla luce del giorno sembra ancora più piccolo e spoglio. “In 12C invece abbiamo tracce di sangue di James Clarke, fango smosso e segni più profondi di trascinamento.”
“James Clarke era più pesante, l’assassino l’ha trascinato per un tratto più breve,” commenta Lestrade.
“Lei invece era ben nascosta, anche se le distanze non sono poi granché,” aggiunge Donovan.
All’assassino, sotto la pioggia, al buio, con il terrore di essere scoperto devono essere sembrate interminabili, invece.
“Ok. Quindi l’assassino accoltella lei alla gola, James Clarke fugge. Viene inseguito e ucciso qui.” Lestrade si sposta veloce verso il punto che Donovan ha indicato. “L’assassino si accanisce sul corpo, poi lo posta dietro il dosso.”
“Poi sposta anche lei, le svuota le tasche, prende la borsa…”
“Compone il cadavere e le copre i capelli,” finisce Lestrade. Fissa Donovan: “L’assassino la conosceva, Sally. Ne sono certo.”
“Dici che è venuto per lei, e James Clarke ha assistito per caso? Non spiega, boss: questo tizio ha infierito sulla faccia di Clarke.” Donovan scuote la testa. “E la ragazza non è dei dintorni, che ci faceva qui?”
Lestrade, che si è accosciato per studiare l’erba rovinata, si rialza: “Senti qui: entrambi i delitti presentano dettagli che li fanno sembrare passionali, no? Una cosa personale. E se lo fossero entrambi? Se Clarke e la ragazza si conoscessero?”
“Credi che avessero una relazione?” chiede Donovan.
“Non lo so. Credo che dovremmo parlare ancora con Margareth Clarke,” risponde Lestrade, senza guardare il suo sergente.
Fa una smorfia mentre lo dice, e una parte di lui non vorrebbe nemmeno dirlo, come se evitare di menzionale l’adulterio altrui potesse portare del buono a lui. Oh, dio, e se non riuscisse più a pensare ad altro? Se il modo in cui Becky ha distrutto la sua fiducia l’avesse reso paranoico e fissato? Solo due minuti fa adocchiava Anderson con sospetto…
“Possiamo provare a indagare in quella direzione,” replica Donovan piano, sbirciandolo.
“Che c’è?”
“Mi sembra solo strano che tu proponga di chiederlo alla moglie di Clarke. Un po’ brutale. Molto poco da te. Molto da Sherlock.”
“Non intendo entrare in casa della vedova come una furia sventolando la foto di un cadavere strillare ‘suo marito la tradiva con una ragazza con la metà dei suoi anni e forse è morto per questo!’ Pensi che io tra tutti non capisca la necessità di un po’ di tatto riguardo l’infedeltà?” sbraita quasi Lestrade.
Serra gli occhi, si stringe la base del naso tra le dita. Dov’è finita tutta la rilassatezza di quella mattina?
“È un tentativo di identificare la ragazza,” riprende, con tono forzatamente calmo. “L’unica cosa che abbiamo chiesto alla signora Clarke è se il marito aveva appuntamento con qualcuno, ieri notte. Dobbiamo andare più a fondo, su di lui.”
“Anche se quei due avevano una relazione, la moglie potrebbe non saperne niente,” obbietta Donovan.
“Cominciamo da qui,” fa Lestrade, “e quando avremo accesso al cellulare di James Clarke vedremo se c’è dell’altro.”
“D’accordo, boss. Anche se non capisco che hai da strillare, ti ho dato ragione,” risponde Donovan avviandosi alla macchina scuotendo la testa.”
“Scusa, Sally.”
“Hai dormito poco,” fa lei con fare conciliante.
“Sono state 48 ore strane,” corregge Lestrade. “Andiamo.”
Margareth Clarke sembra a malapena padrona di sé, e Lestrade si ripromette di ritardare il più possibile il momento in cui le permetteranno di vedere i resti del marito: faranno l’identificazione ufficiale tramite le cartelle mediche, se sarà necessario.
Ma almeno la donna non è da sola, oggi. L’hanno raggiunta la sorella e il cognato e nel pomeriggio arriverà il resto della famiglia, spiega a lui e Donovan la sorella stessa, che ha un figlio adolescente e una piccola a scuola, in questo momento. Lestrade le assicura che faranno il possibile per fare in fretta e non turbare Margareth Clarke più del necessario, e lui e Donovan sono ammessi al cospetto della donna nel soggiorno.
Margareth Clarke tiene una tazza di tè tra le mani malferme e ha lo sguardo perso. Il cognato sembra molto sollevato che qualcuno li abbia raggiunti: il pover’uomo non ha probabilmente idea di cosa dire. E che l’avrebbe, si dice Lestrade. Non è che capiti spesso di dover affrontare una morte violenta, grazie a dio. La maggior parte delle persone non è mai neppure sfiorata, da un evento così inconcepibile. Poi ci sono le persone come lui e Donovan, che ormai potrebbero scrivere uno di quei pamphlet della divisione Risorse Umane su come approcciare le vittime e le loro famiglie. Ci sono le persone come Lestrade, a cui sembra sempre che finisca per importare un po’ troppo.
“Signora Clarke, sono l’Ispettore Lestrade, si ricorda di me? Questo è il Sergente Donovan…”
Margareth Clarke alza uno sguardo liquido e vuoto su di lui, poi annuisce.
“Siamo immensamente spiacenti per la sua perdita…e le assicuro che faremo tutto quanto è in nostro potere per scoprire chi fatto del male a suo marito. So che il pensiero è inconcepibile, che non sembra reale e che quando lo sarà sembrerà impossibile da affrontare, ma non sarà lasciata sola.”
“Un assistente sociale vi contatterà al più presto, per aiutarvi a gestire questo difficile momento e per fare da collegamento tra voi e l’Ispettore Lestrade,” interviene Donovan.
“Ma ci sono cose che abbiamo bisogno di sapere al più presto, per cominciare l’indagine,” riprende Lestrade scivolando in avanti sul divano che gli hanno offerto, piegandosi verso Margareth Clarke. “Può rispondere a qualche domanda per me? Se la sente?”
Margareth Clarke chiude gli occhi brevemente.
“Sì…sì, Ispettore. Qualunque cosa,” risponde dopo un attimo, con voce flebile e roca. “Tutto quello che vi serve sapere.”
“Grazie, signora Clarke. Ci sta già aiutando molto,” le dice Lestrade, poi scambia una breve occhiata con Donovan. “Ci ha detto che suo marito era proprietario di un locale, una caffetteria Chelsea, in Dovehouse Street. Ieri non è andato al lavoro?” domanda lei.
Margareth Clarke scuote la testa: “No, il mercoledì è giorno di chiusura. Di solito James si occupa dei contatti con i fornitori, ma ieri non…non aveva impegni.”
“Dovehouse Street è in una bella zona. Gli affari andavano bene?” chiede Lestrade.
“Oh, be’, potremmo dire di sì. Pensavamo di…” Margareth Clarke si interrompe e sopprime un singhiozzo per pura forza di volontà. Chiudi di nuovo gli occhi a raccoglie le forze, prima di continuare: “Pensavamo di comprare un’altra casa, più vicina al locale.”
“In effetti Chelsea non è vicinissima…”
“Prima la caffetteria era da queste parti. James ha aperto quella in Dovehouse Street un anno e mezzo fa. Un posto nuovo, un nuovo nome, nuovo personale. Tranne David, lui si è spostato con James.”
Lestrade continua a prendere appunti: “David? David e di cognome?”
“Oh…io…in questo momento non riesco…”
La donna scuote la testa e pare davvero angosciata e Lestrade allunga un braccio per farle cenno che va tutto bene: “Non si preoccupi. Appena le verrà in mente lo appunterà da qualche parte e mi farà sapere.”
“Ci servirebbe in ogni caso una lista dei dipendenti della caffetteria, signora Clarke, anche di quelli del vecchio locale,” interviene Donovan. “Pensa che li troveremo nei documenti di suo marito?”
Margareth Clarke annuisce: “Sì, sì, certamente. James…era molto ordinato. Ma gli altri due dipendenti del vecchio locale erano solo due, Clive e Angelica, il figlio di mia cugina e la sua fidanzata. Clive ha cominciato a lavorare con James già ai tempi della scuola,” sorride timidamente.
Lestrade si muove sul divano, ignorando lo sguardo significativo del suo Sergente. Un dipendente fedele lasciato a casa quando gli affari si sono ingranditi?
“Perché il figlio di sua cugina e la sua fidanzata non lavorano più per suo marito?”
Due membri della famiglia che si vedono preferire un terzo collega, un estraneo?
Margareth Clarke si stringe nelle spalle: “Solo la vita, sa, Ispettore? Ora sono sposati, volevano trasferirsi. Vivono nel Dorset.”
“Arriveranno stasera,” annuncia la sorella di Margareth Clarke entrando con un vassoio e del tè per Lestrade e Donovan. “Clive ha appena chiamato, Maggie. Stanno volando qui.”
“Davvero?” chiede Margareth Clarke, coprendosi la bocca con una mano, e stavolta comincia a piangere.
“Sshht,” fa la sorella, togliendole di mano la tazza.
“Credete che potremmo parlare con loro?” domanda Lestrade. “Forse potrebbero aiutarci meglio di altri, riguardo i contatti lavorativi di suo marito, signora Clarke…”
Quando Margareth Clarke si ricompone e risponde con uno sforzo che non vede problemi (la sorella aggiunge che hanno preso entrambi dei giorni di permesso e intendono fermarsi almeno fino a sabato), Lestrade si schiarisce la gola e si prepara.
Donovan gli passa discretamente la foto della ragazza scattata su un tavolo del Bart, e Lestrade comincia a parlare con cautela: “So che glielo hanno già accennato…c’è stata un’altra vittima, oltre a suo marito. É sicura che lui non avesse appuntamento con qualcuno?” Margareth Clarke scuote il capo. “Ok. Stiamo avendo un po’ di difficoltà ad identificare l’altra vittima. Sarebbe disposta a dirmi se la conosce, se io le mostrassi una sua foto?
Margareth Clarke pare per un attimo atterrita dalla proposta, poi intreccia strettamente le dita e annuisce: “Se c’è un pazzo che se ne va in giro ad ammazzare la gente in un parco…qualunque cosa, Ispettore”
Lestrade annuisce a sua volta e la ringrazia. Gira la foto, le dice di non avere fretta, di pensare con calma.
Margareth Clarke prende la fotto dalle sue mani e impallidisce: “Dio. É…fatta in un obitorio. Anche James…quando credete che potrò…”
“È troppo presto, temo,” le risponde Lestrade. “So che è difficile, ma le chiedo di avere pazienza.”
“Riconosce la persona nella foto?” chiede Donovan.
Margareth Clarke abbassa di nuovo gli occhi, strappandoli dal viso di Lestrade.
“È così giovane,” commenta. “Mio dio. No…no, scusate, non la conosco. Non posso aiutarvi,” risponde alla fine.
“Ci sta aiutando,” le ripete Lestrade.
Quando sono fuori dalla casa scrolla le spalle, non appena avverte lo sguardo di Donovan sulla schiena: “Era un tentativo. Aspetteremo il cellulare di James Clarke dai tecnici.”
“Però sono venute fuori cose interessanti,” risponde Donovan, affiancandolo verso la macchina. “Il figlio della cugina. Magari nonostante il trasferimento covava rancore, per essere stato licenziato quando Clarke ha deciso di aprire un locale più fighetto.”
“E decide di ucciderlo dopo più di un anno e mezzo?” replica Lestrade, dubbioso. “Poi stanno nel Dorset…Controlleremo i loro alibi, ovviamente, ma qualcosa mi dice che resteremo delusi.”
Ma almeno Margareth Clarke non perderà un altro pezzo di famiglia.
“Torniamo allo Yard?” chiede Donovan.
“Ci fermiamo per il pranzo?” propone Lestrade.
Il suo ultimo pasto completo (si fa per dire) sono state le patatine e la birra della notte precedente. Avrebbe bisogno di un pranzo vero, un riposino e una sigaretta. Sospira. Si farà andar bene uno su tre.
   
 
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