Fanfic su attori > Coppia Cumberbatch/Freeman
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Autore: ChiaFreebatch    14/09/2018    6 recensioni
Fanfiction scritta per l’evento “Happy Birthday Martin” Indetto dal gruppo Facebook “Johnlock is the way…” ( Tre capitoli conclusa)
Trama : C’è un cottage nascosto nei boschi di Frensham,la spiaggia di Pond a pochi passi, il rumore ed il profumo del mare giungono sino lì. Martin vi si è recato in preda alla nostalgia di quello che un tempo era stato il rifugio segreto in cui trascorreva giorni felici con Ben. Giorni d’amore al riparo da occhi indiscreti. C’è rabbia in Martin, tristezza e dolore, per una storia mai decollata, per un rapporto naufragato. E c’è Ben. Ben alle prese con un matrimonio tutt’altro che felice. Ben che ha bisogno di tornare a Frensham… Perché le voci del fidanzamento di Martin lo hanno colpito come una coltellata ed ha necessità di ritrovare la pace in quel luogo testimone del loro amore passato…Passato?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Benedict Cumberbatch, Martin Freeman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                “It’s always you…Martin Freeman”

 

Ciao a tutte^^ eccomi qua con il secondo capitolo, spero possa piacervi, buona lettura

Chia <3

 

CAPITOLO DUE

 

Un forte tuono squarciò il cielo su Frensham.

Martin Freeman si destò con un sobbalzo.

I palmi posati sulla coperta dal tessuto scozzese.

Batté le palpebre ripetutamente cercando di capire che ore potessero essere.

Il buio aveva avvolto la piccola camera da letto.

Si mise a sedere arruffandosi i capelli sulla nuca per poi sporgersi verso il comodino.

Strabuzzò gli occhi infastidito dalla forte luce dello schermo del cellulare.

Le sei della sera.

Inarcò un sopracciglio stupendosi d’aver riposato così a lungo.

Nella propria mente riaffiorarono lesti gli eventi di poche ore prima.

Il ricordo di Ben uscito per una passeggiata con la promessa del rientro per recuperare il proprio cappello.

Si morse il labbro inferiore.

Un altro tuono squarciò il cielo.

Martin raggiunse il salottino.

La coppola ancora posata sul tavolo.

Un mano corse al mento. Lo massaggiò meditabondo.

Una sorta di preoccupazione lo pervase.

Si avvicinò alla finestra e scostò la tenda.

La pioggia scrosciava incessante.

“Ah Cristo Ben, dove ti sei cacciato?” Batté un palmo sullo stipite.

Sbuffò con forza e prese a girare per la stanza.

Il sentiero che costeggiava il mare era piuttosto lungo ed impervio, Benedict lo conosceva come le proprie tasche tuttavia quel maltempo avrebbe messo in pericolo anche il più esperto escursionista.

Erano trascorse diverse ore e Martin sperò con tutto se stesso che avesse trovato riparo.

Rammentò la piccola grotta a picco sul mare ma non seppe dire quanto potesse essere sicura.

Imprecò e si chiese perché Cumberbatch non avesse seguito il proprio istinto evitando quella passeggiata.

Scostò nuovamente la tenda.

La pioggia scemò un poco.

Freeman levò gli occhi al cielo.

La lingua scivolò lesta sulle labbra e dopo l’ennesima imprecazione infilò un paio di scarpe ed afferrò l’ombrello.

Si chiuse con un gesto secco la porta alle spalle .

“Vento di merda…” Ringhiò scendendo gli scalini.

Alzò il colletto della felpa nera sino al collo e con le mani già bagnate dalla pioggia portò la cerniera lampo sino a sotto il mento.

Imboccò il vialetto per poi immergersi nel fitto del bosco.

La strada sdrucciolevole in discesa.

Proseguì cauto scorgendo i primi scorci di mare tra gli alberi.

Provò a chiamare Cumberbatch a gran voce.

Non ottenne risposta.

Proseguì inspirando con forza, scosse il capo umido di pioggia nonostante l’ombrello.

Il vento agiva cattivo, la pioggia lo colpiva lateralmente.

Si passò la manica della felpa sugli occhi.

Colse poco distante un grosso masso , punto di riferimento per svoltare verso sinistra.

Vi appoggiò un palmo e scavalcò una grossa radice che non rammentava di aver mai visto prima.

Evitava quel sentiero come se fosse peste da quando si erano lasciati ed era plausibile che in quasi quattro anni il bosco fosse cambiato.

All’ennesimo richiamo si accorse di avere la gola secca.

Deglutì a fatica.

Riprovò.

Un suono lo fece sussultare.

Se fosse realtà o illusione non seppe dirlo ma tanto bastò a fargli accelerare il passo e virare in direzione della presunta voce.

Assottigliò lo sguardo ed urlò di nuovo.

Il viso all’insù verso la piccola cunetta erbosa oltre la quale scorse la figura fradicia di Ben.

Sorrise.

Sorrise ed imprecò.

Oltre la pioggia colse distintamente l’espressione felice sul volto dell’altro.

“Cristo Ben dove cazzo eri finito?!” Gli urlò tendendogli una mano.

Cumberbatch la afferrò e con un salto scese sul sentiero.

Si infilò sotto l’ombrello rabbrividendo.

“Ti avevo detto che si sarebbe messo a piovere” Sorrise.

Freeman levò i propri occhi blu così dannatamente vicini al viso dell’altro.

Non lo abbracciò.

Gli costò fatica, ma si impose di non farlo.

Si accorse del proprio cuore, di quanto battesse veloce.

Veloce per la preoccupazione.

Veloce  per il sollievo di averlo trovato sano e salvo.

Veloce nell’ averlo così maledettamente vicino.

Troppo.

Tanto dal poterne percepire il suo profumo misto a quello della pioggia.

Deglutì con forza e si decise a replicare per non apparire un folle con lo sguardo perso su quelle labbra piene.

“Fanculo Ben se lo sapevi dovevi startene a casa!” Si schermò un poco acido distogliendo lo sguardo” Sei fradicio, IO sono fradicio!”

 L’altro si grattò nervosamente la nuca annuendo.

“Oggi ti ho proprio rovinato la giornata” Gonfiò e sgonfiò le guance.

Freeman tornò a fissarlo e scuotendo il capo lo afferrò per un gomito spingendolo a proseguire lungo il sentiero.

“Bah chiudi il becco” Prese a camminargli accanto.

La pioggia rallentò un poco.

Proseguirono silenziosi per qualche minuto.

Vicini, sotto l’ombrello giallo di Martin.

“Potevi ammazzarti su questo cazzo di sentiero, l’acqua lo rende una trappola”

“Esagerato” Replicò appoggiandosi ad uno steccato per non scivolare. “Mi sono riparato alla grotta ma si stava facendo sera e non accennava a smettere così ho deciso di rientrare nonostante la pioggia”

Martin gli strinse con forza l’avambraccio e scosse il capo.

“Io esagerato, tu esci come un ragazzino viziato sotto il temporale ed io devo venirti a cercare nemmeno fossi tuo padre cazzo!”

“Beh potevi lasciarmi li!” Si indispettì scostando le fronde di un grosso albero .

“Si vabbè…” Replicò “ Così poi saresti finito dritto giù dalla rupe della scogliera, ho già troppi casini senza ritrovarmi la tua morte sulla coscienza” Borbottò.

Ben si fermò scrutandolo severo “Come vedi sono vivo e vegeto, quindi puoi continuare ad ignorarmi come hai fatto da quattro anni a questa parte, la tua coscienza è salva!” Si divincolò dalla presa ed accelerò il passo.

Freeman restò con la bocca spalancata e l’ombrello tra le mani.

Ritto come un fuso al centro del sentiero sempre meno impervio.

Cumberbatche procedette lesto.

Martin scosse il capo mordendosi la lingua e quasi dovette rincorrerlo rischiando un ruzzolone.

“Non fare la Drama Queen” Lo afferrò nuovamente per il gomito riportandolo sotto l’ombrello.

“Lasciami” Grugnì.

“Sei già sufficientemente zuppo, vuoi rischiare una polmonite?” Ringhiò tirandolo a sé.

Il viso puntato verso l’alto.

Il collo teso.

Ben incupì lo sguardo.

Le iridi limpide parvero farsi scure.

Non replicò.

Si limitò a procedere accanto all’altro.

Percepì ogni singolo dito di Martin stretto al proprio avambraccio.

La presa salda.

Quasi l’avvertì scottare.

Non una parola venne detta da ambo le parti sino all’arrivo al cottage.

Freeman richiuse l’ombrello gettandolo malamente sotto la tettoia.

Si infilò in casa, seguito a ruota dall’altro, che senza troppi indugi, raggiunse il tavolo recuperando il cappello.

“Bene, grazie per la disponibilità” Osservò neutro “ Io andrei”

Martin inarcò un sopracciglio e sorrise per metà.

“Sei serio?”

“In che senso?” Strinse la coppola tra le dita.

“Dove cazzo vuoi andare conciato così” Indicò interamente la figura dell’altro.

Ben batté le palpebre ripetutamente.

Un’espressione confusa sul bel viso.

“Beh me ne torno a Londra” Replicò ovvio scrollando le spalle.

“Non essere ridicolo” Borbottò “ Stai allagando il soggiorno! Vuoi fare settanta chilometri ridotto così?”

Cumberbatch chinò lo sguardo fissando le proprie scarpe zuppe.

Martin lo osservò e parve accorgersi solo in quel momento di quanto la camicia fradicia gli aderisse come una seconda pelle.

Distolse lo sguardo schiarendosi la voce ed evitò di scacciare dalla propria mente la linea dei pettorali dell’altro.

“Senti, il bagno sai dove sta, vai a farti una doccia…” Gesticolò in direzione della porta per poi dileguarsi in cucina.

Ben si grattò nervosamente una guancia.

Si morse un labbro e sorrise.

“Grazie” Sussurrò.

Flebile.

Freeman percepì quel ringraziamento chiaramente.

Attese di udire il suono della porta del bagno chiudersi prima di lasciarsi andare sulla sedia.

“Ah Cristo Martin…” Borbottò passandosi una mano nella barba bionda “ Che situazione…” Si accomodò meglio.

Tese le gambe dinnanzi a sé.

La felpa umida lo infastidì.

Se la tolse con un gesto deciso gettandola sulla sedia accanto.

Levò gli occhi al soffitto.

La luce vacillò per un istante.

L’ennesimo tuono.

Un borbottio del proprio stomaco gli ricordò che fosse ora di cena.

Si morse l’unghia dell’indice pensieroso.

Avvertì chiaramente lo scrosciare dell’acqua nella doccia.

Inspirò ed espirò con forza prima di levarsi in piedi e realizzare che nella stanza accanto c’era Ben.

Ben nudo.

Sotto la doccia.

Chiuse gli occhi ed impose alla propria mente di non rimestare nei ricordi.

Scosse il capo con forza e pensò a cosa poter cucinare.

Sì.

Doveva distrarre il proprio cervello macchinoso.

Con scarsi risultati ,ammise ,ma ci avrebbe provato.

Benedict uscì dalla piccola doccia.

Scorse lo specchio appannato e vi passò una mano come era solito fare.

Vide il proprio riflesso.

Ne colse il sorriso.

Un sorriso che nemmeno si era reso conto di avere stampato su volto.

Alle orecchie gli giunse il suono delle pentole.

Martin stava cucinando.

Incrociò nuovamente le proprie iridi cristalline.

Il sorriso si fece più ampio.

Sapeva di non poter sperare troppo.

Aveva fatto troppi errori.

Troppi e grossi.

Dannatamente grossi.

Ma il solo fatto che Martin lo avesse chiaramente invitato a restare era un passo enorme per il loro rapporto così fragile.

Avrebbe fatto tutto ciò che era in proprio potere per cercare di recuperare almeno l’amicizia che li legava un tempo.

Doveva riconquistarsi la sua fiducia ed avrebbe fatto carte false per poterlo fare.

Si guardò intorno e riconobbe l’armadio della biancheria pulita.

Lo aprì e ne estrasse un accappatoio blu.

La sua mano tremò nello sfiorare la spugna soffice.

Lo portò al viso e vi affondò il volto inspirando a fondo.

Riconobbe il delicato profumo del detersivo che Martin era solito utilizzare.

Martin già.

Perché era sempre stato compito suo gestire la lavatrice.

Piccoli gesti che nei loro soggiorni al cottage li riportavano alla normalità.

Alla quotidianità di una qualunque coppia felice.

Lo indossò.

Era decisamente corto ma non vi dette importanza.

Era di Martin e lo avrebbe indossato anche sotto la pioggia.

Rise.

Rise di sè passandosi un asciugamano sulla testa rasata.

Rise della propria vena romantica.

Sfiorò la maniglia della porta inspirando profondamente.

Chiuse un istante gli occhi.

Li riaprì.

Uscì cauto e a piedi nudi raggiunse il salottino guardandosi attorno alla ricerca dell’altro.

Arricciò il naso colpito dal profumo di quello che con tutta probabilità era sugo al pomodoro.

Virò verso la cucina.

La mano posata sullo stipite.

Sbirciò all’interno.

Freeman stava chiaramente mettendo a bollire dell’acqua per la pasta.

Non si accorse subito degli occhi felini dell’altro fissi su di sé.

“Che profumino”

La voce profonda di Benedict vibrò nella piccola cucina e nel corpo di Martin.

Si morse la lingua voltandosi piano.

Serrò un’imprecazione tra i denti.

Perché Ben in accappatoio sulla soglia della cucina, con le braccia incrociate ed il sorriso impresso su quella bella bocca piena  era chiaramente illegale.

Inspirò a fondo e espirò in quel modo che fece sorridere l’altro.

Perché Ben sapeva, sapeva di essere dannatamente attraente ai suoi occhi.

Ed era consapevole che il vederlo in accappatoio lo aveva  sempre mandato fuori di testa.

Deglutì con forza e rammentò a se stesso di essere un attore.

Un bravo attore.

Uno dei migliori su piazza.

Non sarebbe stato difficile simulare indifferenza.

Recita Martin, recita!

“Ah sei qui” Afferrò uno strofinaccio asciugandosi le mani già asciutte.

“Sì, sai che sono piuttosto veloce nel farmi la doccia” Si grattò la nuca.

Freeman annuì sin troppo rigido.

“Già, senti, avrei bisogno di una doccia anche io, riusciresti a non farmi bruciare il sugo mentre mi lavo?” Indicò i fornelli.

“Ci provo” Sorrise avvicinandosi alle pentole.

Martin si scansò con sin troppa velocità.

Cosa che fece sorridere l’altro.

Lo superò e puntò il bagno.

“Vedi di fare il possibile perché sennò resti senza cena!” Gli urlò prima di sbattere con forza la porta.

Cumberbatch ridacchiò afferrando un cucchiaino ed assaggiando il pomodoro.

“Ottimo, come sempre” Sospirò.

Si guardò attorno recuperando poi il proprio cellulare.

Spiccavano tre chiamate di Sophie.

Arricciò il naso infastidito e lo spense.

Quando Martin uscì dalla doccia con il cervello sovraccarico e l’indecisione a fior di pelle, osservò il proprio riflesso nello specchio, inspirò a fondo.

Afferrò il pettine rigirandolo tra le mani un paio di volte prima di passarlo sulla cute con gesti decisi.

Storse le labbra in un ghigno rammentando quanto piacessero a Ben i suoi capelli bagnati e pettinati all’indietro.

Afferrò un asciugamano e lo legò alla vita.

Ulteriore dettaglio che sapeva colpire il suo ex adeguatamente.

Ridacchiò di quella ripicca infantile. Se Benedict aveva osato presentarsi in accappatoio ben sapendo quanto la cosa lo colpisse, beh, gli avrebbe reso pan per focaccia.

Uscì dal bagno ed istintivamente annusò l’aria temendo per la propria cena.

Nessun odore allarmante giunse alle sue narici.

Attraversò il salottino notando la tavola apparecchiata.

Il suo cuore accelerò il battito ed un senso di nostalgia lo colpì con decisione.

Deglutì scuotendo il capo e raggiunse la cucina.

Ben se ne stava sulla sedia, un ginocchio al petto, gli occhi fissi su un libro.

Martin si morse il labbro inferiore e prese parola.

“Vedo che ai ritrovato le tue cose…” Lo additò.

“Sì, mi stupisco che tu non te ne sia liberato” Sorrise sfiorando la propria t-shirt.

Sollevò gli occhi cristallini e sussultò vistosamente.

Freeman si godette appieno quel sussulto e trattenne una risatina tra sé e sé.

Cumberbatch posò il piede a terra e si sedette compostamente.

Non riuscì ad impedire ai propri occhi di radiografare la figura di Martin.

Figura più nuda che vestita.

Imprecò mentalmente mordendosi la lingua captando quei capelli che tanto amava resi più scuri dall’acqua.

Il suo ex lo fissava.

Con le mani ai fianchi e quel sorrisetto stampato in viso.

Lo trovò in forma.

Più di quanto ricordasse.

Si perse un istante ad osservare i sottili peli biondi che sfioravano l’ombelico.

Arrossì distogliendo lo sguardo e riportandolo sul libro.

I gomiti sul tavolo.

La postura rigida.

“Se vai a vestirti nel frattempo butto in acqua la pasta” Borbottò fingendosi interessato al romanzo.

L’altro si avvicinò lentamente al tavolo.

Una mano corse decisa alla spalla di Ben, la spinse appena invitando l’altro ad appoggiarsi allo schienale.

Lo occhieggiò dall’alto in basso.

Analitico.

Storse un poco il capo analizzando prima la t-shirt poi i pantaloni blu della tuta.

“Adesso ci nuoti in questa roba” Inarcò un sopracciglio.

Cumberbatch con il viso ancora un poco arrossato si passò una mano sulla nuca.

Le dita scivolarono poi sul collo in un gesto un poco nervoso.

 “Si ho perso un po’ di peso” Replicò.

“Un po’ tanto “ Lo ribeccò l’altro storcendo le labbra.

Ben non seppe come rispondere.

Si limitò ad arricciare le labbra in una smorfia d’assenso ed incrociò le braccia al petto.

Freeman non aggiunse altro, gli dette le spalle regalando all’altro la visione perfetta della propria schiena pallida.

“Butta la pasta” Gli urlò dalla camera.

Rimasto solo inspirò a fondo svariate volte prima di decidersi ad alzarsi in piedi e raggiungere i fornelli.

Afferrò una piccola bilancia dalla mensola e pesò il quantitativo di pasta da cuocere.

Non aveva mai considerato sensata un’azione del genere.

Non prima che Martin glielo avesse spiegato.

Da allora non aveva mai perso quell’abitudine.

Sorrise gettando gli spaghetti nell’acqua e si infilò poi le mani nelle ampie tasche dei pantaloni.

Chinò lo sguardo osservando la coulisse slacciata.

Si chiese come mai Freeman non avesse cestinato i propri vestiti.

Nell’armadio in camera aveva trovato due cassetti in perfetto ordine carichi di felpe magliette e quant’altro era solito utilizzare nei loro brevi soggiorni al cottage.

Lo interpretò come un segnale positivo.

Si morse il labbro.

Sì, doveva sperare.

La cena si svolse inizialmente in un clima piuttosto silenzioso.

L’imbarazzo era palpabile ed entrambi consumarono quel pasto nel timore di mal gestire le proprie azioni.

Ben timoroso di parlare a sproposito, troppo felice di quella situazione inaspettata e Martin in conflitto con se stesso. In bilico tra l’ostentare un’indifferenza acida ed il cedere a quella sensazione di gioia che gli stava riempiendo il cuore nonostante faticasse ad ammetterlo.

Al termine della propria porzione di spaghetti al pomodoro, Martin si pulì le labbra con un tovagliolo e si alzò in piedi.

Ben deglutì il proprio boccone osservandolo incuriosito.

Ne osservò la figura di spalle, intenta ad aprire le antine del mobile sotto la tv.

Freeman si inginocchiò a terra chinandosi un poco a sbirciare una piccola parte della propria collezione di vinili.

La t-shirt nera aderì alla schiena delineando la colonna vertebrale.

Ben bevve un generoso sorso d’acqua osservandolo e sorrise nel ritrovare per l’ennesima volta un gesto della propria passata quotidianità.

Martin parve soddisfatto della propria scelta e si rialzò chiudendo l’antina con la punta del piede nudo.

“Direi questo…” Si rigirò la custodia tra le mani con un gesto lesto.

“Betty?” Azzardò l’altro riconoscendo la copertina con il viso della cantante.

Freeman sorrise portando le proprie iridi blu in quelle acquamarina.

Quel sorriso colpì dritto al cuore Ben.

Un sorriso dolce, soddisfatto , che in quella giornata non gli aveva ancora concesso.

Gli era così tanto mancato, Dio se gli era mancato!!

“Esatto, la cara Betty Wright” Distolse lo sguardo dirigendosi al giradischi.

Scostò la puntina e posizionò il vinile.

Gesti semplici, che portarono a Ben il sorriso sulle labbra.

Le note soul di Clean Up Woman riempirono la stanza.

Freeman si girò con un gesto fluido, quasi a ritmo di musica.

Sparì in cucina per tornare poco dopo con una piccola ciotola carica di frutta.

“Dubito volessi mangiare altro” Sbirciò in direzione di Ben posandola al centro del tavolo.

“Oh no, la frutta va più che bene” Allungò una mano ed afferrò una mela verde.

Martin annuì tagliando a spicchi una pesca.

La splendida voce di Betty riempì il loro silenzio.

La canzone finì.

La puntina si staccò.

Martin addentò l’ultimo spicchio prima di rovistare tra la frutta alla ricerca di un’albicocca.

Si voltò distratto verso il giradischi conscio del fatto che quel vinile recasse una sola canzone per lato.

Ben si alzò da tavola.

Conosceva molto bene quel disco.

“Vuoi risentirla?” Gli chiese Freeman indugiando con il frutto tra le mani.

“No, voglio sentire il lato b” La voce grave vibrò tra le pareti.

Martin fissò la schiena dell’altro.

Deglutì con forza inspirando a fondo.

Entrambi sapevano quale fosse la canzone gemella.

Le mani grandi di Benedict si mossero delicate sfiorando la puntina.

Sospirò leggendo il titolo stampato sulla carta giallo limone al centro del vinile.

“I’ll love you forever”

Sussurrò a voce così bassa che l’altro quasi non lo udì.

Si morse nervosamente le labbra.

La musica attaccò.

Silente ritornò a tavola e non gli riuscì proprio di terminare la mela.

Martin si rigirò l’albicocca tra le dita, le sopracciglia corrugate.

Non emise fiato.

Le note scivolarono corpose nella stanza, la voce calda vibrò.

Ben bevve un sorso d’acqua e si asciugò le labbra ripiegando il tovagliolo in maniera maniacale.

Freeman lo guardò di sottecchi dopo istanti infiniti.

L’altro non ebbe il coraggio di sollevare i propri occhi.

Li tenne fissi sul tavolo.

L’indice sfiorò la buccia verde della granny smith con movimenti circolari.

Betty terminò il proprio pezzo.

La puntina si staccò.

Martin strinse con forza l’albicocca.

La schiacciò.

Serrò un’imprecazione tra i denti pulendosi poi nervosamente la mano con il tovagliolo.

Cumberbatch sussultò, il cuore in tumulto.

“Faccio un po’ di tè” Mormorò alzandosi da tavola.

Martin annuì senza fiatare mentre l’altro si dileguò in cucina.

Prese a trafficare alla ricerca di due mug.

Scorse quelle di Sherlock e John e scosse il capo evitando accuratamente un azzardo del genere.

Non le avrebbe utilizzate ma il suo cuore fu ben felice di rivederle nella credenza.

Mise l’acqua a bollire ed attese, posando i palmi sul tavolo.

Gonfiò le guance sgonfiandole poi ed emettendo un buffo suono.

“Questo vinile è l’originale del 1971, il mio anno di nascita…”

Sussultò violentemente alla voce di Martin.

Lo vide fermo sulla soglia.

Il disco tra le mani.

“Lo so” Sussurrò annuendo.

“Lo sai?” Inarcò un sopracciglio avanzando di un passo.

“Lo trovasti a Portobello in una piccola bancarella malandata e non credesti ai tuoi occhi, me lo ricordo come se fosse ieri Martin, lo portasti sul set il giorno seguente e me lo mostrasti come se fosse la cosa più preziosa al mondo” Sorrise incrociando le braccia al petto.

Si appoggiò al frigorifero.

Freeman serrò le labbra in una linea dura.

Fu solo per pochi istanti.

La bocca si piegò poi in un sorriso, un bel sorriso.

“E’ vero”

“Certo che è vero!” Annuì Ben voltandosi poi a spegnere il bollitore.

Un tuono squarciò il cielo.

“Merda! Di nuovo? Ha smesso da quanto? Mezz’ora??”Recuperò il latte in frigorifero.

“Continuerà tutta notte…” Posò il vinile sul tavolo sbirciando oltre la tendina.

“Non ci voleva….” Borbottò posando l’occorrente su un vassoio.

Martin si voltò osservando l’altro destreggiarsi con lattiera e zuccheriera.

Si appoggiò con la schiena alla parete e prese a massaggiarsi la barba bionda.

Ben sentendosi osservato si voltò.

I loro occhi si legarono.

Restarono a fissarsi per svariati istanti, poi la voce di Martin vibrò bassa nel cucinino.

“Resta”

La mano di Benedict tremò un poco.

Il cucchiaino tintinnò contro la zuccheriera.

Lo lasciò cadere sul vassoio.

“Restare?” Sussurrò corrugando le sopracciglia.

“Sì”

“M…Martin non vorrei darti fastidio e…” Si grattò la nuca nervosamente.

“Non mi dai fastidio” Arricciò le labbra “ Il divano è libero” Lo superò lesto recuperando il disco “E adesso muoviti e porta il tè che ho un po’ di musica da farti sentire, la tv è inguardabile” Sparì in salotto.

Cumberbatch restò al centro della cucina.

Battè le palpebre incredulo.

Il respiro un poco corto.

Un sorriso sulle belle labbra piene.

….

Martin si rigirò nel proprio letto sbuffando sonoramente.

Pallidi raggi di luna filtravano dalle persiane.

Strisce di luce sul suo viso.

Imprecò serrando gli occhi e portandosi il lenzuolo sin sopra il capo.

Non riusciva a dormire.

Era turbato da quella giornata.

Turbato in senso positivo e la cosa non gli piacque per nulla.

Voleva imporsi nei confronti di Benedict, portare avanti un atteggiamento risoluto, stizzito.

Voleva farlo soffrire, con i propri modi bruschi e scostanti.

Non ci era riuscito.

Ci aveva provato per qualche ora, tuttavia con il trascorrere della serata si era ammorbidito, troppo.

Non che fosse mai stato capace di tenergli il muso, non avendolo davanti agli occhi con quell’aria da cucciolo bastonato.

La distanza lo rendeva forte e cattivo, abile nel gestire il dolore e sputare veleno.

La vicinanza no.

Quei dannati occhi acquamarina, quell’espressione contrita, quell’aria sottomessa, avevano il potere di farlo capitolare in un soffio.

Imprecò di nuovo, contro se stesso.

Contro la propria scarsa capacità di gestire le proprie emozioni quando c’era Ben di mezzo.

Scostò malamente la coperta mettendosi a sedere.

Le mani corsero al viso.

La barba bionda sotto i polpastrelli che presto corsero alla palpebre.

Le premette.

Inspirò a fondo e si alzò.

Aprì lentamente la porta, il piccolo disimpegno buio.

Scorse una luce nel salottino.

Inarcò un sopracciglio e lentamente raggiunse la stanza.

Ben si era addormentato con l’abat-jour accesa.

La piccola lampada da tavolo in stile francese era uno dei tanti acquisti fatti a Portobello.

Uno dei loro primi acquisti fatti insieme, rammentò mordendosi un labbro.

Si avvicinò silenzioso sfiorando il paralume in stoffa bordeaux.

Traballò un poco.

La luce calda che illuminava il volto addormentato di Ben vacillò a quel tocco.

Ombre scure su quella pelle pallida.

Martin si mise ad osservarlo sfacciatamente.

Era bellissimo, come sempre.

Troppo magro, ma bellissimo.

Si passò rapidamente la lingua sulle labbra per poi portare indice e pollice alla radice nasale.

Inspirò serrando gli occhi in quel gesto consumato, che i suoi fan avevano imparato ad attribuire a John Watson.

Cercò la calma oltre le proprie palpebre abbassate.

Un mugugno lamentoso lo fece sussultare.

Aprì gli occhi lesto.

Le iridi blu rese scure dalla scarsa luce.

Cumberbatch si agitava nel sonno.

Freeman colse distintamente il disagio di quella posizione scomoda.

Era rannicchiato su un fianco, il divano a due posti decisamente troppo piccolo per la sua lunga figura aggraziata.

Tese la mano verso la sua spalla indeciso.

La ritrasse, lasciando vagare il proprio sguardo sulla clavicola scoperta dalla t-shirt troppo grande.

Serrò i denti con forza e riprovò.

Riprovò a sfiorarlo, con la mente indecisa ed il cuore in tumulto.

Cristo Martin sembri una cazzo di donnicciola! Muoviti!

 Sbuffò.

Spinse le dita contro la spalla.

Un tocco leggero che ebbe uno scarso risultato.

Ben non si destò, anzi, mugugnò infastidito stendendosi supino.

I polpacci posati sul bracciolo del divano con  i lunghi piedi tesi.

Freeman ridacchiò scuotendo il capo, si chinò un poco e lo chiamò tastando con decisione il suo avambraccio.

L’altro si svegliò sussultando vistosamente per poi voltare il viso lesto.

Gli occhi spalancati.

“Martin! Mi hai spaventato” Si stropicciò le palpebre.

 “Ti lamentavi parecchio” Arricciò le labbra in un mezzo sorriso.

“Mi lamentavo?” Domandò, la voce così grave.

Freeman rabbrividì rammentando solo in quell’istante quanto fosse ancor più bassa la voce di Ben appena sveglio.

Si morse il labbro inferiore retrocedendo di qualche passo.

“Quel divano è uno schifo, è rigido come una panchina, ti avevo detto che non avremmo dovuto comprarlo” Lo additò “ Ma a te piaceva tanto questo cazzo di design moderno…” Seguitò polemico.

“Non è poi così male” Si mise a sedere grattandosi un fianco.

“No infatti, non eri tu che ti stavi lamentando fino a due minuti fa…” Si mise la mani sui fianchi.

Cumberbtach levò i suoi occhi felini verso quelli così grandi ed espressivi dell’altro.

Lo fissò silente per qualche istante poi inspirando piano prese parola.

“Mi hai svegliato solo per rinfacciarmi l’acquisto del divano o c’è dell’altro?” Inarcò un sopracciglio.

“Ti lagnavi, ti ho sentito sino in camera!” Si schermò attaccando.

“Ma smettila” Sbuffò con un mezzo sorriso “ Ho solo…” Mugugnò alzandosi “ Mal di schiena”

“Il che conferma la mia teoria sulla scomodità di quel cazzo di divano…” Incrociò le braccia al petto.

“Dio M! Che palle! Sono le tre di notte!” Spalancò le braccia.

“Appunto! E io non riesco a dormire coi tuoi maledetti lamenti che arrivano fin di la! Quindi muovi il culo e vieni a letto!” Gli dette le spalle allontanandosi.

Benedict battè le palpebre ripetutamente.

Le braccia tese lungo i fianchi.

Il capo inclinato.

Un’espressione incredula sul viso.

“Sei serio?” Urlò.

Freeman risbucò in salotto.

Solo per metà.

Il capo oltre la soglia, una mano serrata allo stipite.

“Da che mi conosci, ti sembro uno facile allo scherzo quando è insonne?”

“No”

“Già, quindi… Muovi.Il.Culo.” Ribadì il concetto ritornando sui suoi passi.

Ben deglutì sonoramente e a passo lento raggiunse la camera da letto…

 

Fine capitolo due.

Eccoci qua, il prossimo sarà l'ultimo capitolo, grazie a tutte quante per aver dedicato del tempo alla mia storia, un abbraccio

Chia

 

   
 
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