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Autore: Fabio Brusa    14/09/2018    0 recensioni
Un giovane xenobiologo va alla ricerca dei segreti nascosti nelle profondità lunari.
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Con la radio impossibilitata a comunicare non c'era speranza di far conoscere la fortunata scoperta ai colleghi dell'istituto a Minoi. Perlomeno non prima di tornare nei pressi della città. La paura di Edwin era che il sogno che stava vivendo si sarebbe vaporizzato in una bolla di sapone. Preferì rimanere, piuttosto che perdere ore ed ore per chiedere un supporto, e procedere in autonomia allo studio della carcassa. Nel bagagliaio del rover portava analizzatore chimico, bisturi laser, campionari, torcia e una sonda lunga dieci metri: tutto ciò che poteva servire per una raccolta dati d'emergenza. Aveva imparato a tenersi pronto e zelante sul lavoro, anche se fino a quel giorno i compiti di esploratore si erano rivelati alquanto noiosi e privi di emozioni. La felicità nello scoprire un cratere insolito o una piana stranamente geometrica nella regolite erano nulla in confronto a ciò che il fato gli aveva finalmente parato di fronte. La gloria sarebbe stata sua.
Per prassi cominciò col descrivere al registratore digitale l'aspetto del vermetalpa, con dovizia di particolari. Purtroppo ad essere visibile, seppur lunga diversi metri, era solo la testa, il che rendeva impossibile la valutazione della metameria dell'animale. Edwin lo toccò di nuovo, poi lo prese a pugni, rendendosi conto dell'effettiva durezza dell'epidermide. Riflettendo, aveva poco senso tentare di analizzare il wormant come se fosse stato fauna terrestre. Non esisteva una procedura standard per lui, né una casistica antecedente che fungesse da faro nell'oscurità delle idee. Sarebbe stato un lavoro genuino, a discrezione dello scienziato. Nessuno avrebbe mai potuto recriminare, dopotutto.
Acceso il bisturi, asportò per prima cosa uno dei probabili bulbi oculari. La massa molliccia grande quanto un pugno si deformò, cadendo nel porta campioni plastico, imbrattando in parte i guanti di una sostanza scura e melmosa. Edwin ringraziò di non poterne sentire l'odore, richiuse il primo contenitore e proseguì nella raccolta campioni. Era come potare le rose, un compito delicato che richiedeva precisione al fine di ottenere un risultato mirabile, solo che un vermone cadavere in questo caso aveva preso il posto dei fiori nel giardino lunare. Le bocche, scoprì Edwin, erano sproporzionatamente piccole rispetto al resto del corpo, pur riempite di denti piatti e lamellari. Capire come facesse una creatura di tali proporzioni a nutrirsi grazie ad un apparato grande quando il palmo di un uomo avrebbe richiesto ulteriori approfondimenti.
Edwin aveva asportato solo pochi denti quando sentì l'allarme intermittente nelle cuffie. Tornò rapidamente al rover, lottando contro la fievole gravità, per dare un'occhiata agli schermi e scoprire di avere a disposizione meno tempo del previsto. Sulla mappa veniva segnalata la presenza di un terraformer nelle vicinanze, cioè a meno di quindici chilometri di distanza, il limite standard sul quale erano impostati tutti i segnalatori per veicoli esterni sul suolo lunare. I terrafomer si muovevano con una notevole lentezza, meno di dieci chilometri per ora. Era così estremamente semplice evitarli: l'avviso era solito giungere, calcoli alla mano, un'ora e mezza prima del loro arrivo. Normalmente un tempo più che sufficiente per lasciare la zona e non rischiare di essere travolti dalla loro azione distruttiva, ma per Edwin questo rappresentava un vero pericolo. Necessitava di molto tempo per operare una raccolta meticolosa dei campioni e un'analisi quantomeno soddisfacente del wormant e, se non avesse fatto in tempo a scoprire il necessario, dopo il passaggio del terraformer di quel luogo sarebbe rimasto solo un vago ricordo.
Erano solamente due i terraformer in attività sulla Luna, più un terzo dismesso in fase di rimessa in opera. Macchinari titanici, veri paesi semoventi, con compiti oltre l'immaginabile: modificare strutturalmente l'ambiente del satellite per donargli la possibilità di sostenere un ecosistema. Spianavano valli, rivoltavano il suolo, preparavano la Luna alla fase tre e quattro della sua colonizzazione umana, che avrebbero riguardato atmosfera e acqua allo stato liquido. Al loro primo passaggio il deserto frastagliato e irregolare diventava improvvisamente lo scheletro già visto di una Terra brulla, pronto ad essere rivestito di un abito umido, verdeggiante e concimato. Edwin non era contrario per principio, solamente triste all'idea che un giorno la sua Luna avrebbe avuto un aspetto completamente straniero. Ora però i cingoli spietati del terraformer si stavano dirigendo nella sua direzione e, se non voleva gettare al vento l'unica vera grande occasione della vita, avrebbe dovuto sbrigarsi.
Per suggestione o per agitazione, sotto ai suoi piedi il suolo pareva impregnato di piccole scosse. Ciò che si stava avvicinando aveva un peso smodato e ad Edwin sembrò normale avvertire delle vibrazioni, anche a tale distanza. Cercando di evitare di fossilizzarsi nella paura di non avere tempo, tornò a sezionare il cadavere con i tagli netti e precisi tipici del laser. La calma era una virtù che lo aveva accompagnato dall'infanzia, quando sopportava angherie come ogni bambino intelligente, eppure ora a stento manteneva il controllo. Avrebbe voluto strappare via dal corpo morto il maggior numero di campioni possibili, senza ritegno né metodo, solo per assicurarsi un laboratorio colmo di brandelli sanguinolenti, da sottoporre a test analitici per i prossimi dieci anni. Ma non poteva farlo, se aveva veramente intenzione di compiere uno studio storico. Con poco tempo a disposizione, doveva scegliere ed agire con sicurezza.
Le vibrazioni d'un tratto aumentarono e lasciarono Edwin stranito. Non venivano diffuse dal terreno come si aspettava ma in qualche modo a lui sconosciuto provenivano dal vermetalpa. Fuori da ogni dubbio la creatura era morta, con il capo mutilato come se fosse stato assaltato dai roditori. Edwin sospettò un riflesso incondizionato, forse il gorgoglio di insondabili acidi gastrici, talmente ribollenti da poterne percepire il movimento. La curiosità divenne inarrestabile ed irresistibile. Puntato il bisturi, aprì uno squarcio dritto nella polpa gelatinosa dell'occhio, allargando l'apertura con le mani, dilaniando i tessuti fino ad avere un varco sufficientemente ampio da lasciar passare un uomo per le spalle. All'interno del corpo, oltre uno strato di pelle spesso almeno mezzo metro, qualcosa si muoveva.

Si diceva che gli elefanti, al sopraggiungere della vecchiaia o della malattia, percependo l'avvicinarsi della morte, intraprendessero un lungo viaggio verso un luogo comune dove trapassare al fianco dei propri antenati. Di cimiteri degli elefanti si era parlato per secoli, interrogandosi sulla fondatezza o meno di tali usanze, senza mai giungerne ad un capo. Probabilmente nessun animale tende a morire in un luogo preciso, soprattutto lontano dai propri simili o dalla propria casa. Allora per quale motivo quel vermetalpa, prima di morire, aveva puntato la superficie fino a forarla ed era spirato in un ambiente tanto dissimile dal proprio?
Notizie certe non se ne erano mai avute, ma Edwin riteneva, come gli altri esobiologi delle facoltà lunari, che i vermitalpa morissero esattamente dove erano vissuti, centinaia di migliaia di metri sotto la regolite lunare. Al termine del loro ciclo vitale, soprattutto, dato che non erano noti possibili fattori ambientali causa di decessi per la specie. Di predatori nemmeno si ipotizzava l'esistenza. Il motivo dunque che aveva spinto l'esemplare di Edwin tanto fuori rotta poteva essere infettivo. Una malattia, un batterio, un agente patogeno di strane origini che aveva condotto la bestia alla morte. Edwin pensò dapprima di spiegare in questo modo i bubboni ribollenti che vide una volta squarciate le carni del wormant, fetidi organi molli invasi da un male sconosciuto. Eppure il movimento dei tessuti era alquanto diverso dai classici spasmi nervosi.
Protetto dalla tuta, Edwin si sentì sicuro nell'allungare la mano per tastare le escrescenze. Si spinse all'interno della cavità da lui stesso creata con l'intero braccio, la testa e parte del busto, tanto aveva bisogno di andare in profondità. Si tese come una corda mentre sforzava l'altro braccio nel tentativo di non perdere l'equilibro. Quando arrivò finalmente a metter mano alle bolle pulsanti, un dolore lancinante ed indescrivibile fu, per alcuni secondi, la sola cosa che riuscì a percepire.
Si ritrasse urlando come un ossesso, sfilando il braccio e rotolando all'indietro. Cadde al suolo senza accorgersene, rallentato dalla bassa gravità, le sue urla pervase di dolore e paura rinchiuse all'interno del casco. Nella completa nullità del paesaggio, nessuno poteva sentirlo disperarsi per la mano lacerata. Una piccola creatura, non più grande del suo palmo, aveva conficcato una decina di punte acuminate e ricurve nella carne viva, oltrepassando il guanto ed ancorandosi saldamente alla mano.
Simile ad una roccia grigia, il carapace dell'animale era rigido come quello dei granchi, protettivo ed esteso su tutta l'ampiezza del corpo circolare. Otto zampette frementi si richiusero sull'addome come un fiore. Edwin perse ogni riferimento zoologico nel guardare una creatura di simmetria radiale, indistinguibile da un sasso lunare una volta raggomitolata in sé stessa. Eppure gli uncini affilati, estroflessi dal dorso coriaceo, erano profondamente affondati nella sua mano ed ogni doloroso tentativo di liberarsi non portava ad altro che allargare le ferite.
Edwin era assaltato da un vortice di pensieri, emozioni e sensazioni. In cosa si era imbattuto? Una nuova forma di vita sulla Luna totalmente sconosciuta all'uomo, un miracolo. Aveva fatto la scoperta nel modo peggiore possibile, dato che il suo incidente era ben più grave di quanto non pensasse a prima vista. Negli aperti spazi lunari privi di atmosfera, un'apertura nella tuta significava morte certa. Per piccole riparazioni sul rover portava sempre il kit d'emergenza, ma con l'intero palmo del guanto distrutto le speranze erano nulle. Ringraziò la sua buona stella e la sua nera ironia, perché l'animale che lo aveva ferito teneva il foro sigillato con il suo stesso corpo. La stretta era talmente potente che il carapace irregolare restava premuto intensamente alla mano, serrando i lembi stracciati. Forse, nonostante il dolore atroce, doveva lasciare l'esserino al suo posto.

Fino a che non si fosse staccato, Edwin avrebbe continuato a vivere.

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