Anime & Manga > Naruto
Segui la storia  |       
Autore: Happy_Pumpkin    18/09/2018    3 recensioni
“Vieni, Nemeo: ti aspetto, stronzetto!”
Quasi richiamato dalla provocazione, un enorme leone gli balzò addosso, ma Naruto fece una potente torsione del busto che si concluse con uno schianto della robusta mazza in legno contro la mandibola spalancata della creatura, pronta a divorare l’intero carretto.
Il leone finì nella polvere in un ruggito frustrato, per poi sparire in una pioggia di pixel dorati.
“Uno a zero per me, yeah!”
Sasuke, decisamente, non sapeva se essere più stupito per quello strike portentoso contro un leone volante, o se per il fatto che Naruto si fosse ricordato del leggendario leone Nemeo ucciso da Ercole in una delle sue fatiche. L’aveva pure soprannominato stronzetto, ma quelli erano dettagli.

Un archeologo, un tester di videogiochi... sopravvivranno?
[Fanfiction scritta per il raduno del gruppo SasuNaruFanfiction Italia | SasuNaruSasu]
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Madara Uchiha, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Quarto Capitolo




Sasuke e Naruto avevano seguito il percorso indicato dalle risposte al quiz posto dai Fondatori – o chi per essi – accorgendosi che l’inchiostro schizzato loro addosso scivolava via man mano che avanzavano, fino a riportarli a un sommario stato di pulizia. Inoltre, siccome più di altre volte Sasuke non sembrava dell’umore per parlare, avevano percorso le varie strade senza intrattenersi in elaborati dialoghi.

Ogni tanto si erano dovuti fermare per riparare eventuali bug, come la presenza di un sushi gigante con tanto di tridente al posto del Tritone dell’omonima fontana, o le api sostituite da farfalle. La Via Sistina era invece diventata un gigantesco corridoio a volte affrescate, molto belle sicuramente, ma purtroppo ben lontane dalla versione originaria.
Infine, arrivarono alla tanto sospirata Piazza di Spagna, con la fontana costituita, appunto, da una barca piena d’acqua e in procinto di affondare; in cima alla maestosa scalinata vi era Santa Trinità del Monte, con le sue terrazze e i lampioni che illuminavano i gradini con la loro calda luce dalle sfumature gialle.
Effettivamente, rifletté Naruto, gli indizi quella volta erano stati più semplici del solito, forse i tre spostati tenevano particolarmente a far fuori Madara, dopo che aveva scombinato decine e decine di mondi.
Anche se... come mai quella sottospecie di hacker aveva deciso di comparire solo in quel posto? Mai in nessun’altra realtà virtuale, considerando oltretutto che da almeno un anno vari team stavano lavorando per risistemare le cose.
Quando furono ai piedi della lunga scalinata che dava sulla piazza, scrutò di sottecchi Sasuke, domandandosi se avesse elaborato delle teorie a riguardo, per non parlare di quella strana frase tirata fuori forse per provocare la macchia d’inchiostro. Ma realizzò che l’archeologo guardava avanti, con le braccia incrociate e l’espressione un po’ cupa, eppure straordinariamente concentrata.
Chissà se è così bello anche dal vivo.
Accennò una risata, considerandosi stupido e pretenzioso nel farsi un interrogativo simile.
“Le scale hanno qualcosa di diverso.” Annunciò all’improvviso l’archeologo.
Infatti gli eleganti scalini in marmo avevano cominciato a inclinarsi uno dopo l’altro, con una serie di colpi secchi, quasi meccanici, fino a rendere la scalinata non solo in discesa e simile a una rampa, ma anche difficilissima da salire per via del marmo lucido e scivoloso.
Naruto infatti provò a muovere qualche passo, però senza troppi risultati perché le scarpe non avevano sufficiente aderenza; si ritrovò anzi ad andare all’indietro, persino quando provò a piegarsi per tenersi con le mani.
“Ma dobbiamo proprio salire fin lassù?”
Domandò alla fine, gonfiando le guance con disappunto evidente.
“I nostri indizi si fermano qui, purtroppo. Forse dobbiamo metterci a correggere il bug scalino dopo scalino.”
“Wow, che meraviglia, non vedevo l’ora, specie dopo tutto il lavoro fatto mentre arrivavamo fino a qui.”
Quando concluse la frase, però, si sentì un fischio sempre più acuto provenire da un punto indefinito del cielo, con le sue nuvole mascherate dalla luce serale successiva al tramonto, accompagnata dai lampioni e dai fari che illuminavano le strade come i monumenti.
Sasuke sollevò la testa verso l’alto, imitato dal compagno di viaggio, mentre l’intensità del fischio cresceva. A ben pensarci ricordava il suono di un colpo di mortaio intento a precipitare loro addosso, almeno in base a quanto l’archeologo aveva memorizzato dagli antichi filmati trasposti in digitale sull’evoluzione del modo di combattere nei secoli. Non ricordava come avesse ottenuto simili memorie e concetti, però non ebbe tempo per rifletterci ancora.
Trattenne infatti un istante il fiato, per poi gridare in modo da sovrastare il rumore:
“A terra!”
“Eh?”
Domandò l’altro, gridando a sua volta, ma Sasuke gli dette uno spintone e lo fece cadere sulle scale reclinate, mentre qualcosa precipitò in un fragore simile a una saetta capace di spaccare in due un albero.
In effetti, a pochi centimetri dai due c’era una sorta di lancia piantata nel terreno, crepato dalla violenza dell’urto, mentre si era sollevata una leggera polvere di marmo simile a talco che si disperse impalpabile nell’aria. Uno addosso all’altro e ansimanti per l’adrenalina dello scatto improvviso, i due guardarono l’oggetto, poi si fissarono e Naruto rise, esclamando:
“Sasuke, non pensavo che dopo un anno finalmente ti saresti deciso a saltarmi addosso!”
“Sta’ zitto, idiota, la prossima volta lascerò che tu venga passato da parte a parte.” Sbottò l’altro, scostandosi in fretta e con un certo disagio.
Il tester si sollevò in piedi, dandosi qualche pacca sui pantaloni, per poi bloccare ogni altro commento alla vista di ciò che era accaduto al resto della scalinata: numerose ulteriori lance erano infatti state scagliate a terra, disposte casualmente lungo tutta la superficie inclinata con articolate crepe che si diramavano intersecandosi, simili a strade antiche affossate nel terreno arido.
Quella volta il fischio fu propriamente umano e d’apprezzamento, non certo sinonimo di una pioggia imminente di lance-proiettili pronte a infilzarli come spiedini.
 “Possiamo usarli come punto d’appoggio per risalire, magari arriviamo fino alla terrazza prima della chiesa in modo da avere una prospettiva dall’alto.”
Commentò alla fine, valutando le varie distanze e la pendenza.
Sasuke suo malgrado dovette constatare: “Effettivamente non ci rimane molta altra scelta: giunti a questo punto, non ha senso tornare indietro.”
Così cominciarono ad arrampicarsi spostandosi da una lancia all’altra, a volte con una corsa insperata, altre con qualche salto improvvisato, per quando le distanze erano più ampie e meno a portata. Man mano che si spostavano, Naruto memorizzava i dati e, dietro la supervisione archeologica di Sasuke, rimetteva a posto i bug usando il suo pad: le lance scomparvero, lasciando posto ai gradini propriamente detti, con la giusta angolatura che nulla aveva a che fare con le rampe inclinate percorse fino ad allora.
In quel modo, anche se magari ogni tanto non riuscivano a calibrare bene lo spostamento e cadevano, non dovevano necessariamente partire dall’inizio, bensì dagli ultimi punti ripristinati correttamente, il che rendeva tutta quella faticosa procedura un po’ meno frustrante.
Quando giunsero alla terrazza prestabilita, aiutandosi a vicenda, Sasuke pensò che non aveva mai avuto così tanto contatto in rapida successione con Naruto; la cosa ben più imbarazzante era che, in fin dei conti, non gli aveva dato nemmeno fastidio.
Accaldati ma soddisfatti, si misero in piedi dopo aver sistemato l’ultimo bug; da quella posizione sopraelevata contemplarono il paesaggio sotto di loro: la magnifica piazza si espandeva circondata da edifici, mentre gli scintillii della fontana rifrangevano la luce delle lampade che la decoravano.
Sospirarono, con Naruto che aveva messo le mani sui fianchi e sorrideva orgoglioso per quanto avevano compiuto. Sasuke lo osservò un istante, studiando gli occhi azzurri, alla stregua dei capelli chiari che richiamavano le trionfanti e calde sfumature di giallo delle luci, riflesse sui marmi e sulle superfici d’acqua.
“Bellissimo.” Commentò Naruto, con voce che pareva vibrare nell’aria serale.
Sasuke guardò a sua volta avanti, smettendo di fissarlo.
“Devo dirti una cosa.”
Sentì, lo percepì con la coda dell’occhio, Naruto aveva preso a guardarlo, un po’ sul chi vive, forse persino curioso, come aveva dimostrato di essere in quell’anno passato fianco a fianco.
Quando si voltò, però, lo vide aprire la bocca e dire in una successione rapida di parole:
“Anch’io.”
Rimasero zitti entrambi.
Perché qualcuno, alle loro spalle, aveva cominciato ad applaudire.
“Ma che bravi!”
Si voltarono e rividero l’uomo dai folti capelli neri, il sorriso tagliente e gli occhi scuri folli, perennemente arrabbiati, come se non gli fosse rimasto altro che odiare, a quel punto.
“Madara.” Sussurrò Sasuke, gelido.
Io l’ho visto… altrove. Naruto deve sapere dei miei dubbi.
Il tester imbracciò il fucile, spostandolo da dietro la schiena per poi mettere il loro avversario in guardia:
“Siamo alla resa dei conti. Facciamola finita con tutti i tuoi indovinelli e i tentativi di ammazzarci!”
L’uomo li fissò, poi lo esortò:
“Avanti, allora. Spara!”
Sgranò gli occhi quando lo disse, sembrava persino divertito.
Naruto schioccò la lingua con disappunto, per poi replicare:
“Io non so se tu sia vero o meno. Quei fondatori dagli avatar strani, per esempio, lo sembravano e tu pure, nonostante tutto – puntò il fucile, ma non avvicinò il dito al grilletto – perché non la piantiamo con questa situazione ed eviti di farmi venire il dubbio con tanto di sensi di colpa?”
Parlò con quella che sembrava ironia, quando in realtà avrebbe davvero preferito salvare quel tizio piuttosto che ammazzarlo, per quanto fuori di testa.
“Spara!” ripeté semplicemente Madara, cominciando ad avanzare.
Non verso di lui, bensì verso Sasuke che, però, non indietreggiò; lo guardò cupo, persino oscuro.
Naruto, quella volta, mise il dito sul grilletto:
“Fermati! Che cazzo pensi di fare? Ho detto fermati!”
Madara però non lo ascoltò e compì anzi uno slancio, uno solo, portando indietro un braccio per caricare quello che era chiaramente un pugno, le dita contratte in una morsa letale. Saltò e si sollevò in aria: i capelli scuri, foltissimi e lunghi, ondeggiarono un istante.
Sasuke sollevò a sua volta un braccio per difendersi e fu allora, in quel perfetto frammento d’immobilità, che Naruto sparò. Perché sentiva che se Madara avesse colpito Sasuke, quest’ultimo non ne sarebbe uscito indenne; inoltre, alle sue spalle c’era la gradinata e le sue altezze, per colpa delle quali l’archeologo avrebbe finito per ammazzarsi.
Lo sparo partì.
E, lungo il tragitto capace di fendere l’aria in scie luminose, mutò forma: il metallo del bossolo si divise in tanti frammenti che ricordarono petali di un antico fiore dorato, i quali si sollevarono di più fluttuando un istante, fino a cadere a terra in una serie di morbidi tintinnii metallici.
Quando il primo petalo toccò il pavimento in marmo, Madara slanciò il pugno in avanti e... aprì le dita.
Le aprì, per afferrare la spalla di Sasuke. Non il collo, né il volto che avrebbe potuto graffiare, deturpare, persino accecare, bensì la spalla.
E Sasuke, d’istinto, lo prese a sua volta per il polso, come per scostare l’uomo da sé.
Naruto li guardò un istante, sconvolto, l’arma ancora tenuta in mano che nel frattempo si era trasformata in un enorme, profumatissimo mazzo di fiori dai mille colori sgargianti.
Poi, all’improvviso, tutti e tre scomparvero.
Naruto sentì infatti le proprie viscere venire agganciate dalla base del ventre, per poi essere trascinate in su, oltre la gola, mentre l’encefalo sembrò essere schiacciato e compresso nella scatola cranica, gli occhi in procinto di esplodere.
Quando atterrò, in piedi, credette di poter vomitare, gli organi frullati in un insieme di punti scomposti per tutto il corpo e la testa che vorticava. Impiegò diversi secondi per abituarsi, mentre sia Madara che Sasuke erano ancora vicini, artigliati l’uno all’altro.
Il tester si rese conto di continuare ad avere in mano la composizione floreale; in quell’istante soffiò un vento leggero, capace però di disfare il nastro che teneva uniti i numerosi gambi dei fiori, i quali s’involarono fino alla cima di un elevato tetto a cupola, coi petali che si staccavano l’uno dopo l’altro per poi discendere a terra, in una pioggia delicata di colori e profumi.
Dopo qualche secondo, Naruto avvertì nuovamente sulle spalle il peso di quello che riconosceva essere il suo fucile, tornato alla forma originaria; non cercò però di sparare: lo sentiva a pelle, se anche in quel momento avesse provato a usare l’arma, Madara l’avrebbe comunque ritrasformata senza fatica, vanificando ogni sforzo.
Per una questione di pochi istanti, quest’ultimo riuscì a schivare un pugno di Sasuke che sembrava intenzionato a ferirlo, siccome, a conti fatti, lui a differenza di Naruto poteva effettivamente toccare il proprio avversario.
Questi si difese, per poi indietreggiare di qualche passo. Naruto allora si prese un istante per cercare di capire dove accidenti fossero capitati: l’interno era una chiesa, con il soffitto costituito appunto da una cupola, una pianta non perfettamente circolare bensì ellittica e sei cappelle laterali che adornavano ai margini l’ampia e unica navata centrale, nella quale erano disposte in due file delle panche di legno dall’aria antica.
“Sasuke sai farti valere, finalmente. Dopo tutti questi anni.” Osservò Madara, in guardia, ma distante diversi metri da loro. Se l’archeologo avesse provato ad attaccarlo, sarebbe stato facile prevedere sulla lunghezza i suoi movimenti.
I due compagni di viaggio si guardarono. E Naruto lesse sull’espressione vagamente seccata di Sasuke quello che era un senso di colpevolezza crescente; ormai lo conosceva sufficientemente bene da capire quando il suo apparente malumore fosse solo un modo per difendersi da ciò che lo tormentava.
Madara rise, una risata roca e breve. Dopodiché domandò, con tono quasi asciutto:
“Non mi dite che non vi siete ancora parlati. Davvero non sapete la verità l’uno dell’altro? Dopo tutti questi mesi... ah, patetici e codardi. Ma coi sentimenti funziona così, giusto? Non sono nozioni da imparare a memoria, né bug da correggere. È tutto più difficile, quando si ha a che fare con gli esseri umani.
Se vi fiderete ancora l’uno dell’altro, ci vedremo dove un tempo c’era un pioppeto.”
Dopo aver parlato, Madara sparì.
Quando l’uomo scomparve, lentamente le nicchie cominciarono a ruotare in un rumore remoto di pietra che sfregava, sollevando nuvole di polvere antica. Le panche affondarono nel terreno, divenuto in quei punti improvvisamente liquido e mutevole, come acqua su cui fossero stati versati centinaia di barattoli di vernice dai colori più svariati.
Naruto smise di vedere Sasuke. E Sasuke, a sua volta, si trovò solo.
Seppur alte, le pareti si strinsero, illuminate solo da qualche luce sporadica; tutto il contrario dei marmi bianchi e lucidi della chiesa che lui aveva riconosciuto, allo stesso modo aveva riconosciuto il luogo in cui Madara li aspettava.
Si pentì di non averlo spiegato a Naruto, così come di non avergli rivelato, in realtà, ciò che lo stava tormentando. E quel posto, si rese conto man mano che il cunicolo si espandeva in tutta la sua claustrofobica lunghezza… realizzò  nuovamente di ricordarlo. Anche se non avrebbe dovuto.
Era una sua memoria? Era una falla del sistema?
D’altronde era un bene che ricordasse. Ricordare era un suo dovere, giusto?
Qualcuno lo chiamò.
Un uomo in camice bianco. L’archeologo non rispose, non sapeva cosa dire, all’improvviso aveva dimenticato persino come respirare. Ma sembrò andar bene ugualmente, perché la persona in camice aveva proseguito a passo rapido; era seguito da altra gente, vestita normalmente, agitata, ma con lo sguardo più fiero che Sasuke avesse mai visto.
Lo aveva già scorto in Naruto, quello sguardo; tempo fa, l’aveva visto anche in se stesso.
Seguì il gruppo, scrutando i volti che sembravano incapaci di vederlo. Più andava avanti, passo dopo passo, più cominciò a riconoscere ognuna di quelle persone.
Sì, la donna con i capelli raccolti in una coda di cavallo, Kate; Mike, lo prendevano sempre in giro per il suo pizzetto, poi Kaori, Jean-Baptiste, Miguel… sì, sì, quando si era dimenticato di loro? Perché gli era sembrata assurda la routine vissuta fino ad allora?
Sapeva chi fossero: erano i suoi colleghi. Con loro aveva visitato il mondo, scattato foto, archiviato documentazioni. Archeologi, storici, restauratori; tra loro c’erano classicisti, orientalisti, esperti egittologi e persino hittitologi. Il passato plurimillenario dell’umanità, immagazzinato in menti dotate di braccia e gambe che ora correvano perché la terra, in quel bunker, stava cercando in tutti i modi di resettare quella conoscenza, per sempre: una folata di vento su un mazzo di carte vincente.
Sasuke perse un battito. Tutte le sue memorie di quel giorno, la paura, la consapevolezza dell’annientamento lo colpirono come un’ondata d’acqua presa nel pieno della tempesta furente. Corse a sua volta. Il cuore incominciò ad andare a mille, impazzito.
Era una sala gigantesca, dalla ventilazione ormai scarsa, le luci che tremavano, poche, attorno alle quali il buio sembrava paradossalmente più forte. Dei macchinari ronzavano, disperati, collegati alla luce del sole immagazzinata in fotocellule progettate per durare centinaia di anni, se non fossero rimaste danneggiate dai crolli.
Sasuke ricordava anche quello, fu come imparare a respirare, un qualcosa di automatico.
“Dobbiamo fare in fretta. Non c’è più molto tempo.” Decretò l’uomo. C’erano altri tre colleghi, uno dei quali stava inserendo dei codici di programmazione.
Una serie di cabinati erano collegati da cavi robusti all’impianto principale, mentre ogni tanto dei frammenti d’intonaco si staccavano in polvere bianca dal soffitto, accompagnati dal sottofondo remoto della terra gorgheggiante che tremava.
Sasuke si accorse che quella gente, gli scienziati, come gli archeologi, stava… piangendo. Qualcuno farneticava, un’ultima preghiera, un saluto a cari ormai estinti.
Eppure tutti, nessuno escluso, entrarono nelle cabine.
La terra tremò con forza ancora maggiore. I sistemi ronzarono sovraccarichi e le porte a pressione dei cabinati si chiusero, in uno sbuffo gelido di quello che ricordava vapore.
Fu allora che Sasuke si vide.
Vide se stesso appoggiare il proprio palmo contro il vetro e guardare altrove, verso l’oscurità.
Poco distante, scorse Madara.
Si sentì pronunciare le prime parole che, da allora, non avrebbe mai dimenticato; mai più:
“La nostra memoria. Per il resto del mondo.”
Poi ci fu un boato tremendo: il soffitto crollò, una voragine affamata di calce e vita si aprì nel terreno, inghiottendo tutto il resto in un rombo cupo, un titano oscuro che, ingordo, parlava a tutti gli esseri umani del loro tempo e di ciò che avevano creato: la terra reclamava altra terra, capace di elevarsi fino al cielo in edifici maestosi.
Quando Sasuke aprì gli occhi, dovette portare un avambraccio davanti a sé per ripararsi dalla luce del sole: i raggi erano così luminosi da fare male, specie dopo tutto quel buio. Quando si abituò, scorse pile di macerie attorno a sé e venne investito da un odore di calce misto a terra umida, il vomito brullo del nucleo terrestre.
Sussultò, nel vedere un vecchietto davanti a sé chinarsi appena per tendergli la mano e aiutarlo ad alzarsi.
“Sei pallido, giovanotto. Non sembri stare molto bene.”
Sasuke accettò l’aiuto e si sollevò in piedi, ancora con la testa che sembrava fischiare.
“Dove siamo?”
L’uomo sorrise; anche con la schiena leggermente curva era ancora alto, il fisico non propriamente atletico ma che non necessitava di supporti.
Lo guardò un po’ perplesso e gli si accese un guizzo divertito negli occhi:
“Sulla Terra, mi sembra ovvio, Santa Gea! Dai, ti offro dell’acqua fresca e qualcosa da mettere sotto i denti.”
Sasuke lo scrutò brevemente, ma non disse nulla.
Si guardò attorno, passeggiando per le strade che non avevano traccia di macerie, sembravano anzi migliorate rispetto a come le ricordava, persino più moderne di quelle ricreate dalla sua immaginazione: macchine sopraelevate da terra viaggiavano rapide, mentre gli edifici dall’intonacatura di un bianco abbagliante erano leggeri – non sapeva come altro definirli, ma parevano capaci di piegarsi e rimettersi in piedi, come combattenti esperti che non cadevano mai veramente, pronti a difendersi. Le persone in giro, però, erano pochissime, per quanto ogni angolo fosse illuminato da innumerevoli luci accompagnate da ronzii meccanici.
“Sono tutti in casa, a portare avanti il loro lavoro virtuale, il loro sport virtuale, il loro amore virtuale. Anche io è raro che esca, ma sentivo che avevi bisogno di me.”
Precisò. Le rughe si contrassero, un oceano d’acqua increspato in frammenti di spuma bianca simili a ferite.
Sasuke non parlò. Era confuso. Avvertì con maggiore chiarezza l’impulso nutrito in quegli anni – non sapeva nemmeno quanti, il tempo gli era sembrato scorrere e al tempo stesso bloccarsi – quella consapevolezza di tante cose che gli mancavano e che non avrebbe più sperimentato, solo nel suo mondo virtuale di un sistema nel quale aveva viaggiato di simulazione in simulazione: come poteva, se era rimasto sepolto da tonnellate di macerie centinaia d’anni fa? Allo stesso modo, però, ebbe la triste impressione che chiunque fosse in quegli immensi, lucidi, perfetti edifici non stesse vivendo veramente.
Realizzò di essere meno spaventato di quanto avrebbe creduto; semplicemente, si ritenne più consapevole, come se in fondo avesse sempre saputo che qualcosa non tornava.
Si aprirono le porte d’ingresso automatiche di uno di quegli edifici. Seguì l’ometto fin dentro un appartamento: non era molto grande però era arioso, semplicemente perché, eccetto una cucina e una larga, comodissima – almeno a giudicare dall’aspetto ergonomico – poltrona, non c’era altro, dunque lo spazio pareva essere di gran lunga inutilizzato.
Scorse quello che sembrava un casco accanto alla poltrona, una tuta e un impianto dal quale non partiva alcun cavo.
In quel momento, Sasuke realizzò quanto silenzio ci fosse in quelle vie: nessun vociare, grida, clacson, rumori di vita.
Poi, scorse un angolo di parete, mentre l’anziano si era diretto verso la cucina; udì lo scrosciare dell’acqua e un morbido allarme musicale annunciare, pochi istanti dopo: il muffin alle Mille Delizie è pronto, signore.
L’archeologo scorse un’intera serie di quelli che sembravano riconoscimenti dalle scritte cangianti, coi caratteri che si illuminavano andando al passo con la lettura di Sasuke, poi dei disegni di personaggi, battaglie e sparatorie che si animarono, diventando tridimensionali e ricchi di colori vivaci, quasi pronti a staccarsi dalla copertina.
“Premio per il record mondiale di Virtual Zombicide.”
Lesse Sasuke, ad alta voce.
Deglutì. Il cuore, o quello che sentiva essere tale – perché era certo ci fosse un cuore, da qualche parte in quella miriade di dati digitali – perse un battito.
Spostò lo sguardo sull’anziano, il quale si bloccò, esattamente come quel cuore, con in mano dell’acqua e un muffin caldo.
“Naruto.” Mormorò alla fine Sasuke.
Riconobbe gli occhi azzurri, così azzurri. Anche senza i capelli del colore dorato che aveva invidiato, per come gli ricordavano il sole. Erano bianchi, ma rimanevano comunque più chiari dei propri.
“E così mi hai scoperto.” Ammise alla fine.
Sorrise. Posò entrambe le cose per terra, piegandosi un po’ a fatica perché la presa non era salda; non per via dell’età, almeno non quella volta. In realtà, non si era mai sentito così giovane.
Sasuke non parlò.
Fu Naruto a farlo al posto suo. Anche se le locandine, i riconoscimenti, i premi per essere uno stupido videogiocatore narravano i suoi anni, le sue esperienze, le realtà virtuali esplorate rimanendo seduto in quella poltrona un po’ usurata, perché non la cambiava da anni, ci era affezionato.
“Non so dove siamo, adesso. Probabilmente nel più grande bug mai sperimentato, ma allo stesso tempo... il più vero: questa è casa mia, la rispecchia fedelmente, e io... beh, sono io. Mi sono dipinto tanto meglio di quello che sono.”
“Quanti anni hai?”
Domandò Sasuke, diretto, quasi con uno scatto secco della voce.
Naruto aprì la bocca. Cercò di parlare, di dirglielo, di ammettere di aver passato almeno settant’anni della sua esistenza immerso in quella che, a conti fatti, era diventata davvero la sua vita. Mentre Sasuke sapeva così tanto grazie allo studio, il tester imparava da quello che virtualmente diventava, giorno dopo giorno, sperimentava, fingeva di sentire. Invece, ogni volta che usciva nel mondo reale, per prendere una boccata d’aria, per il sole, per sentire il vento nei capelli che diventavano sempre più radi e bianchi, mentre la pelle si ritraeva, seccandosi, beh... si sentiva vuoto e triste.
Perché nessuno usciva più, ci si incontrava altrove, nelle migliaia di mondi virtuali, tra birre artificiali, terme con acque dalle temperature perfette, caffetterie alla moda. Ciascuno si fingeva migliore, si toglieva i difetti, si perfezionava, ricreandosi.
Dei suoi amici di un tempo, Naruto nemmeno ricordava più le fattezze originali. E nel mondo vero, passeggiata dopo passeggiata, si sentiva sempre più solo e distante: i dottori erano digitali, facevano diagnosi da migliaia di chilometri di distanza, le operazioni erano eseguite con i laser, i film girati digitalmente, i vestiti creati da macchine perfette che non sbagliavano un punto e consegnati a domicilio da droni. Modelli tutti uguali, perché gli abiti che contavano, fatti per piacere e per piacersi, erano quelli dei mondi virtuali.
“Ottantatre.” Rispose. Il sorriso gli tremò di più, proprio da vecchio stupido.
Sasuke annuì, un cenno essenziale.
Camminò, raccolse l’acqua e il muffin, ammirando la perfezione del modello tridimensionale, le increspature dell’acqua, la proiezione splendida dei loro desideri. Appoggiò il tutto sul tavolino vuoto, infine si sedette sul pavimento, a gambe incrociate; non c’era un divano, inutile se non veniva mai nessuno.
Dall’alto, Naruto lo guardò. Lo osservò, osservò il movimento delle sue labbra sottili quando l’archeologo gli disse, fissandolo a sua volta per cogliere ogni battito delle ciglia stanche:
“Io ho centoquarantaquattro anni più di te. Duecentoventisette, per la precisione.”
Assottigliò le labbra: si sentì libero quando pronunciò quei numeri, libero da un circolo vizioso sempre uguale.
Naruto non scostò gli occhi da lui.
 “Esisti da prima della Pangea.” Mormorò.
Secoli, in quel corpo digitale.
Aprì la bocca e dopo un istante aggiunse: “Io pensavo...”
La richiuse.
Si sedette, con le gambe un po’ traballanti, portandosi di fronte a Sasuke.
Questi cominciò a parlare; le parole gli uscirono simili a un flusso spontaneo, un getto di disperati ricordi intrappolati da un sistema che lo stava schiacciando:
“Dato lo stato di emergenza e la realizzazione che non ci sarebbe stato modo di proteggere quello che l’uomo aveva costruito, sono stati riuniti i più grandi studiosi della Terra, ciascuna categoria in un bunker diverso. L’uomo infatti ha ritenuto opportuno tentare, almeno, di non perdere l’unica cosa davvero guadagnata in tutti i suoi millenni di storia: il sapere.
Sono state dunque immagazzinate in memorie cibernetiche, contenute in capsule resistenti, le conoscenze di fisici, matematici, astronomi, ma anche di letterati, insegnanti, scrittori, registi, musicisti, storici e... archeologi. Sì, c’ero anche io.
Abbiamo trasmesso la nostra memoria alla digitalizzazione. Io sono frutto di quella memoria: noi, come tanti altri umani, custodiamo le conoscenze.
Per il resto del mondo.”
Naruto lo guardò.
Vide i raggi del sole passare attraverso l’unica finestra e toccare la pelle chiara dell’altro, come se fossero davvero entrambi reali, lì, in quella casa simbolo della sua solitudine.
“Assieme al sapere, a tutte quelle date e a quei nomi infiniti che ricordavi senza un attimo d’esitazione, però, è stata memorizzata anche una parte di te, evidentemente. Perché in quest’anno io non ho avuto a che fare solo con un insieme di conoscenze; ho incontrato, ho parlato, interagito, vissuto con una persona, con tutte le sue sfaccettature.”
Sasuke prese un respiro. Gli mancava farlo, in tutti quei mondi costruiti digitalmente decennio dopo decennio, in tutti i viaggi della propria coscienza, o ciò che lui era, per ogni volta che qualcosa andava storto.
“Sembra di sì. Non... – si guardò le mani – dopo tutti questi secoli, non ho memoria del mio corpo. Della sensazione vera dell’acqua sulla pelle, del prendere fiato, del dolore o dello stare bene. Si vede che non era importante, forse è stato per errore persino la trasfusione di una parte di me all’interno del sistema. Non capisco cosa sia successo da allora, come io sia giunto a essere quello che sono.”
“Ma d’altronde, noi veniamo caratterizzati anche da quello che sappiamo. Come dividere ciò che siamo dalla nostra esperienza?”
Sasuke accennò un sorriso, amareggiato, nostalgico. Guardò la mano di Naruto, era nodosa; se l’avesse sfiorata avrebbe avvertito l’idea di forza e di giovinezza percepita in lui quell’anno passato assieme?
Non ricordava neanche come fare l’amore, a ben pensarci. Ma il calore, la vita, quello… per sempre.
Guardò altrove quando ammise: “Anche io posso dire di aver incontrato un uomo. Che rimarrà tale, a qualsiasi età.”
“Mi spiace averti mentito, Sasuke. Non essermi mostrato per chi ero.” Confessò alla fine Naruto.
Si portò una mano sugli occhi. Il sole era diventato più intenso e lui... un tempo credeva di poterlo guardare coraggiosamente negli occhi.
Allora gli toccò la mano diafana e gliela strinse, senza vergognarsi delle macchie per l’anzianità, della pelle sottile, della fatica stretta nelle giunture che ogni tanto lo facevano piangere.
L’archeologo lo strinse a sua volta – ricordava di averlo fatto tutte le volte che aveva amato, o desiderato qualcuno. Poche, forse per questo più facili da conservare rispetto ai monumenti, le date, la storia dell’umanità.
“Spiace anche a me. Mi mancava... vivere, dopo più di un secolo passato senza percepire realmente il tempo passare; sono stato sempre più confuso, su chi io fossi, sui miei ricordi, sulla mia umanità. Se non fosse successo tutto questo, forse avrei creduto di essere un uomo, un archeologo, che ha avuto il privilegio di poter viaggiare per il mondo con un compagno degno di questo ruolo.”
La luce si fece ancora più intensa.
Furono investiti da quei raggi, dal calore, dalla luce stessa.
Poi, essa lentamente si affievolì e, quando i due riaprirono gli occhi, realizzarono di essere tornati nella chiesa lasciata prima di quell’ulteriore viaggio: le panche, le nicchie, la cupola... ogni cosa era tornata al suo posto.
Anche Sasuke e Naruto erano tornati rispettivamente chi avevano conosciuto in quell’anno, giovani entrambi.
Il portone d’ingresso della chiesa si spalancò improvvisamente e una folata di vento trasportò terra, polvere e foglie dalle tinte dorate, arancioni, dai colori della terra stessa con la sue venature di vita.
Naruto tese la mano e fece un cenno: oltre la porta c’erano la luce e un viale, ricco di alberi verdeggianti. Udirono il fruscio delle foglie e il suono sereno del vento che trasportava odori di bosco.
Dopo un istante, Sasuke gli prese la mano: sentì la pelle liscia, ma ricordò le tracce dell’anzianità; fu felice, di non dimenticare più cose tanto importanti.
“Ho la sensazione che sarà l’ultima parte del nostro viaggio, questa.” Commentò Naruto.
“Lo credo anch’io. Mi fa piacere vedere gli alberi, alla fin fine.” Replicò l’archeologo.
“So anche che hai capito dove ci troviamo e dove dovremo andare, sei un compagno di viaggio...” non trovò le parole. Guardò davanti a sé.
Cominciarono a camminare, coi capelli smossi dal vento e le foglie che roteavano, sfiorando il pavimento, per librarsi ogni tanto più in alto, aspirando alla cupola e, oltre, al cielo.
“Una volta c’era un bosco di pioppi, ora c’è una piazza che, come noi, porta i segni del suo tempo: la piazza del pioppo. Un bel modo di concludere, in fondo.”
Passarono oltre la porta. Essa si richiuse. Le foglie, quiete, smisero di volteggiare, accartocciandosi sul bianco del marmo gelido.



Sproloqui di una zucca

Ormai ci siamo quasi <3 E' un mondo un po' triste, quello del futuro prospettato, in una realtà che è più fittizia di quella virtuale, in cui si è soli e non si esce, si vive dentro altri mondi chiusi in casa.
Allo stesso modo il legame tra Sasuse e Naruto, anche attraverso i secoli, è forte e intenso. Li ho trovati belli e struggenti, a modo loro.
Grazie per seguire questa storia: al prossimo capitolo!


   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Happy_Pumpkin