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Autore: Slytherin_Divergent    18/09/2018    1 recensioni
La loro relazione era sempre stata di sole due fasi. "Sconosciuti" e "odio". Invece, doveva continuare. Doveva continuare, e mancavano ancora tre fasi per concludere quel viaggio che stavano affrontando, che era iniziato quando Envy aveva visto per la prima volta Edward, e che non si sarebbe concluso con il suo suicidio.
Tratto dal testo: capitolo 1
"Una cavia preziosa, così lo avevano definito i militari giunti dall'alto. Un mostro, così lo aveva definito il colonnello Mustang. Naturalmente, ne aveva tutto il diritto. Non era stato proprio lui, in fondo, a uccidere il suo amico Hughes? E non solo lui. Quante persone aveva ucciso? Di quante vite si era appropriato? Quanti umani erano stati sacrificati, per colpa sua? Inutili esseri, continuava a definirli."
!!ATTENZIONE!!
Shonen-ai [EdwardxEnvy]; Het [EdwardxWinry]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Envy, Roy Mustang, Winry Rockbell | Coppie: Edward/Winry
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Envy non ricordava di essersi addormentato. E non ricordava nemmeno che lo avesse fatto anche Edward. Quando aprì gli occhi, si rese conto solo dopo del calore che sentiva sullo stomaco, e quando abbassò lo sguardo, il biondo aveva la testa posata lì, con il volto rilassato e rivolto verso di lui. Una mano era a penzoloni dal letto, mentre l’altra gli teneva bloccato il braccio.

Deglutì, e fece per alzarsi e spostarlo da quella posizione, ma la cintura di sicurezza che lo ancorava al letto gli premette contro lo stomaco, e lo fece piombare nuovamente sul materasso. Questo, forse per il forte colpo, staccò la sicura che teneva lo schienale alzato, e questo crollò verso il basso, stendendo completamente il ragazzo.Envy sgranò gli occhi all’impatto, e un rivolo di sangue gli uscì dalla bocca, quando crollò su letto. A differenza sua, Edward non pareva aver sentito nulla, e l’intento di spostarlo era completamente fallito. Nell’impatto, era scivolato sul suo petto, ed ora era a poca distanza dal suo viso. Mugolò nel sonno, e gli strinse la mano, facendo deglutire il ragazzo, e facendolo arrossire nel buio della notte.

Envy chiuse gli occhi, e voltò la testa di lato per non sentire il respiro di Edward sul volto. Sentiva le guance scottare, e percepiva chiaramente il cuore battere nel petto. Si chiese se anche Edward lo sentisse. Cercò di concentrarsi sul respiro regolare dell’altro, ma era quasi impossibile, con quella vicinanza.

Improvvisamente, Edward mugolò di nuovo, e la mano che penzolava dal letto scivolò sopra il suo stomaco, in una sorta di abbraccio, il ché non migliorò di certo al situazione. Envy prese a sudare freddo. Perché quelle sensazioni? Possibile che si stesse surriscaldando? Oppure, addirittura ammalando davvero? Deglutì, e in un qualche modo si addormentò, stringendo inconsciamente, dopo qualche secondo, la mano del biondo.

Venne svegliato da un urlo, e da un grosso strattone. In un primo momento non capì cosa stesse succedendo, poi il laccio stretto sullo stomaco gli fece spalancare gli occhi, mentre cercava disperatamente di inalare dell’aria. Tossì violentemente e prese a scalciare, nel tentativo di liberarsi da quella presa della morte. Sputò un grumo di sangue e gridò, in preda al soffocamento. Poi, il laccio volò via dal letto, e lui cadde a carponi sul pavimento, rantolante e tremante. Qualcuno si inginocchiò al suo fianco e gli posò una mano sulle spalle, dandogli qualche colpo sulla schiena, mentre lui riprendeva grossi respiri.

―...enti? E… i se… ti? … vy? … vy! EN…! … NTI? ENVY! MI SENTI? EHI! EHI!― Edward lo stava chiamando a gran voce, e una serie di medici erano entrati di corsa nella stanza, e li avevano circondati. Continuavano tutti a chiamarlo. Lui deglutì, e sussurrò.

―Ti sento...― Edward alzò una mano e rimase a guardare Envy. Lui continuò. ―Ti sento… ti sento...―

Strinse gli occhi e si voltò verso di lui, poi posò il mento contro la sua clavicola e osservò il muro dall’altra parte della stanza. ―Ti sento...― Edward sospirò di sollievo e si lasciò cadere sul pavimento, mentre i medici sospiravano di sollievo e uscivano dalla stanza, lasciandoli soli e placando il falso allarme nel piano. ―Ti sento… ti sento...― continuò a ripetere Envy.  Edward deglutì.

―Dì qualcos’altro, ti prego.― esclamò, portando timidamente le braccia attorno a lui e stringendolo in un abbraccio. L’altro affondò il volto nel suo petto e rimase in silenzio. Rimasero abbracciati per qualche decina di secondi, poi, quando il suo respiro si fu tranquillizzato, Envy si allontanò e deglutì. La porta venne spalancata di scatto, e Winry fece il suo ingresso assieme ad Al. ―Stai bene?― si inginocchiò al fianco di Envy, e lui annuì.

―Sì…― disse, per poi aggiungere, con più convinzione. ―… sto bene.―

Edward si alzò e gli porse la mano. Envy la afferrò, e con uno strattone verre tirato sù. Sentì le gambe tramare, e crollò nuovamente a terra, trascinandosi dietro Edward, a cui si era aggrappato. Quando si rese conto che Edward era caduto addosso a lui, avvampò, e si ricordò di essere arrossito anche quando aveva visto Edward dormire, appoggiato su di lui. Cercò di non farci caso. Alla fine, con il suo aiuto e quello di Alphonse riuscì a stendersi nuovamente sul letto, in cui però non venne fissato con la cinghia.

Improvvisamente, la porta fu aperta, e Winry fece il suo ingresso trascinandosi dietro una carrozzina. Sorrise, e la avvicinò al letto. ―Abbiamo avuto il permesso di portarti fuori!― esclamò con un sorriso. Envy annuì e si sforzò di ricambiare il sorriso. Nuovamente con l’aiuto di Edward e Alphonse, si lasciò cadere su quella sedia portatile e uscì, finalmente, da quella stanza.

L’aria di Central City era frasca, dato il venticello. O per lo meno, sul tetto di quell’ospedale la brezza era rilassante. Quando erano saliti, due guardie si era sistemate all’ingresso dell’ascensore, e tenevano le armi pronte a far fuoco. Winry era andata a prendere un tè assieme ad Edward, mentre Envy ed Alphonse erano rimasti sul tetto.

Il più piccolo sorrise al ragazzo e lo guardò. ―Senti, posso farti una domanda?― fece. Envy annuì.

―Mh-mh.― rispose.

―A te, per caso...― Alphonse si guardò in giro, poi si avvicinò al suo orecchio e sussurrò. ―… piace il fratellone?―

Envy sobbalzò, e arrossì, poi prese a muovere le mani in aria con imbarazzo. ―EEH?! N-no, che cosa vuoi insinuare?! N-non mi p-piace! Certo c-che non mi piace! C-come potrebbe piacermi u-uno come lui?!―

Alphonse rise, scuotendo la testa e indicandolo. ―Sei tutto rosso.― esclamò, indicandolo. ―E anche quando tu e il fratellone siete caduti eri rosso. E poi, stamattina stavate dormendo abbracciati.―

Envy spostò lo sguardo di lato. ―E’ solo una coincidenza. E poi, a lui piace la biondina, quella Winry!―

―Ma io stavo parlando di te, non di lui!―

―Ti ho detto che non mi piace!―

―Chi non ti piace?― la voce di Edward lo fece sobbalzare, e con sguardo quasi trasognato, il ragazzo arrossì e si voltò verso il biondo che si dirigeva verso di loro, da solo e con un sacchetto in mano. Alphonse agitò una mano in aria.

―Stavo chiedendo ad Envy se per caso gli piacev...― lo sguardo furente dell’altro lo fece zittire e poi scoppiare a ridere. ―Allora è vero!―

Envy scosse con forza la testa e portò le mani unite a mo’ di preghiera davanti al volto. Alphonse annuì, e fece finta di sigillarsi la bocca. ―Dov’è Winry?― domandò, per cambiare discorso.

―Ah.― Edward si appoggiò al parapetto e osservò la strada. ―L’hanno chiamata ed è corsa d’urgenza a Rush Valley. Sembra che siano state delle risse, e che svariati Automail siano andati in frantumi. Pare che avrà un bel po’ di lavoro da fare.―

Edward si voltò e porse ad Envy il sacchetto. ―Ha detto di dartelo. Ha pensato che ti sarebbe piaciuto aver qualcosa da fare nel tempo morto.―

Il ragazzo diede una sbirciata dentro al sacchetto, poi ringraziò, guardando il libro nuovo di zecca. Alphonse si sporse da sopra la sua testa e sorrise. ―Winry è sempre così gentile!―

―Già.― rispose il ragazzo, stringendo tra le dita la busta. ―Siete fortunati ad essere suoi amici.―

Alphonse gli diede un coppetto in testa, sorprendendolo. ―E’ anche una tua amica! L’ha detto mentre venivamo qui.―

Envy abbassò lo sguardo e sorrise di getto. ―Non l’ho nemmeno ringraziata per la torta.―

Edward sorrise. ―A questo ci ho pensato io! Ha detto che te la rifarà, una volta che l’avrai finita!―

La porta dell’ascensore si aprì di scatto, e un soldato corse a tutta velocità verso di loro. Per un attimo, il ragazzo temette che fosse lì per colpa sua, ma questo lo ignorò, e si rivolse ad Alphonse. ―E’ appena arrivata una chiamata per lei, signore! Ci sono delle persone che la aspettano alla stazione!― esclamò, la mano saldamente ferma sulla testa in un rigido saluto militare. Alphonse sobbalzò, e si scusò per il disturbo.

―Me n’ero completamente scordato! Scusatemi, devo proprio scappare! Ci vediamo domani!― sparì dentro all’ascensore assieme al soldato. Edward ed Envy rimasero qualche secondo in silenzio, poi il ragazzo guardò l’altro.

―Mi puoi aiutare?― domandò. Edward lo afferrò e, anche se con qualche incertezza, lo aiutò ad appoggiarsi alla ringhiera. ―Grazie, fagiolino d’Acciaio.―

Edward ringhiò, voltandosi verso di lui. ―Se non hai notato, tra i due sono più alto io.― esclamò a denti stretti, osservando il ragazzo da una decina di centimetri più in alto. Il biondo si piegò verso il suo volto e ghignò. ―Non vedi, fagiolino?―

Envy spostò lo sguardo e arrossì. Ancora, nuovamente. Perché non faceva altro che arrossire, con Edward attorno? Gli vennero in mente le parole di Alphonse. A te, per caso piace il fratellone? Sei tutto rosso. E anche quando tu e il fratellone siete caduti eri rosso. E poi, stamattina stavate dormendo abbracciati. Envy strinse gli occhi e scosse con forza la testa, mentre le guance diventavano di un color scarlatto abbastanza acceso.

―Non è vero!― esclamò, di colpo, portando le mani alla testa. Edward lo guardò sorpreso, aggrottando le sopracciglia.

―Cosa non è vero?― domandò. Envy lo guardò con occhi sgranati, e scosse la testa. Fece per indietreggiare, ma Edward lo teneva saldo in maniera tale che non potesse cadere. Il ragazzo fece per rispondere, ma non gli venne niente di sensato da dire. Ammettere che stava pensando a quello che Alphonse gli aveva domandato e svelare la fatidica domanda non gli sembrava un’idea geniale. Scosse con forza la testa e portò i piedi più indietro possibile, poi si voltò e cercò di spingere via il braccio di Edward.

―Ehi, ma che fai?!― sbottò quello, afferrandolo sulla vita e aumentando la presa. Envy scosse la testa e scosse i piedi, mentre i soldati li osservavano e iniziavano a dirigersi nella loro direzione. Edward allungò una mano verso il volto del ragazzo. ―Smettila! Che ti prende?―

Envy gli morse la mano. In realtà, non gli fece nemmeno tanto male. Fu lo stupore a far urlare il biondo, che lasciò di scatto la presa su di lui, come aveva fatto prima che fosse catturato. Envy crollò a terra, e si rialzò in tutta fretta.

Non seppe se a farlo crollare di nuovo fu il non poter camminare o la scossa elettrica di quell’aggeggio che teneva tra le mani uno dei due soldati. Per qualche secondo, il mondo si fece buio e silenzioso. Sapeva di star gridando, ma non si sentiva. Sapeva di aver gli occhi rovesciati, ma non riusciva a farli tornare al loro posto. Sapeva che la corrente elettrica gli stava attraversando il corpo tramite quel macchinario, ma non riusciva a muoversi. Crollò in ginocchio, quando quelle scosse si furono placate, e rimase lì per qualche secondo, a osservare il cielo azzurro, poi cadde disteso sul pavimento del terrazzo, mentre Edward e l’altro soldato gli correvano incontro, il primo per soccorso e il secondo con la pistola puntata contro di lui.

Il biondo si inginocchiò all’altezza del suo viso e disse qualcosa, qualcosa che Envy percepì come una frase confusa e senza senso. Con un lento movimento, alzò la mano sinistra e la allungò verso il ragazzo. Poi ci fu lo sparo, e il suo braccio crollò a terra, sanguinante appena sotto la spalla. Infine, il mondo prese ad oscurarsi a tratti.

Si svegliò mentre lo portavano d’urgenza da qualche parte. Edward lo teneva in braccio e correva per i corridoi. Si svegliò nuovamente con davanti il volto del dottor Robert, che stava urlando qualcosa, e teneva in mano un ago. Poi, durante l’operazione. Era sdraiato a pancia all’ingiù, ma nonostante sapesse che lo stavano operando, non sentiva niente. Non si sentiva nemmeno il braccio. Glielo avevano amputato, per caso? L’ultima volta che riprese conoscenza, Edward era al suo fianco e gli stringeva la mano, la mano sinistra. C’era ancora? Quindi aveva ancora il braccio? Poi, il buio s’impossessò di lui definitivamente, e svenne.

***

Erano passati quasi due mesi da quando aveva provato a suicidarsi. Erano passati quasi due mesi da quando era diventato umano. Erano passati quasi due mesi da quando i suoi compagni erano morti, tutti tranne uno. Quando gli avevano rivelato quel dettaglio, aveva faticato a crederci. C’era ancora un homunculus, nel mondo dei vivi? Un homunculus che non sapeva di esserlo, aveva affermato l'ormai Fuhrer Roy Mustang, che a quanto pareva aveva calmato le acque con lui. Poco prima che Selim Bradley venisse a fargli visita, era stato minacciato di isolamento se avesse provato a rammentargli qualcosa. E Mustang aveva anche affermato che non lo avrebbero tirato fuori dopo una settimana, quella volta.

Era stato strano vedere quel bambino, sempre se così si poteva definire, che non lo riconosceva. In fondo, anche se non ricordava, lui l’aveva visto nascere. Aveva visto il Padre crearlo. E poi era arrivato alla conclusione: ecco perché avevano creato quel farmaco. Non per prevenire il futuro. Era per lui. Era stato ideato tutto per impedirgli di scatenare una seconda guerra. Però era stato piacevole conversare. Gli avevano persino portato un secondo libro, per cui avevano sicuramente chiesto spunto ad Edward. Probabilmente lui, vedendo Envy rileggere per la terza volta quel volume che gli era stato regalato da Winry e continuare a fantasticare sul suo seguito, aveva proposto il secondo volume alla signora Bradley. Ottima scelta, si era ripetuto il ragazzo. Un’ottima scelta come quella di sedersi vicino al finestrino in treno.

Il vento gli scompigliava le ciocche corvine e rilegate in una coda, che ricadevano sulle spalle. Era stato Edward in persona a sistemargli la capigliatura che ricordava quella delle foglie di una mandragora, o di una palma, dipendeva dalla fantasia. Glieli aveva lavati, asciugati e pettinati quasi fino alla nausea, ed ora ricadevano sulle spalle come una chioma normale. Li aveva anche spuntati, sotto consiglio “dell’esperto”: continuava ad affermare che erano pieni di doppie punte, nonostante lui non sapesse cosa fossero. Aveva lasciato qualche ciocca a fungere da frangetta, ed erano proprio quelle le ciocche con cui continuava a giocare ininterrottamente da quando erano saliti sul treno.

Envy sbadigliò e posò una guancia sulla mano, poi spostò lo sguardo sul suo compagno di carrozza, lo stesso che si era nominato suo parrucchiere. Dormiva profondamente, steso sui tre sedili dal lato opposto della carrozza da sei posti. Nonostante oramai l’esercito si fidasse di lui, Mustang aveva insistito per far avere ai due una carrozza separata dalle altre, con due guardie fuori pronte ad intervenire in ogni momento. Non era di certo così stupido, aveva detto: era sicuro che se Anvy avesse voluto scappare, lo avrebbe fatto in un mondo di distrazione di Edward, se veramente fossero stati solo loro due, e una volta fuori dall’ospedale.

Quante cose erano successe, in quell’ospedale, in soli due mesi? Quanto era cambiato lui, sia fisicamente che caratterialmente? Gli sembrava che la testa gli esplodesse ogni volta che ci pensava. Erano troppi ricordi, ed erano tutti compattati, come se il suo cervello li ritenesse tutti troppo importanti per essere cancellati.

Ricordava quando lo avevano catturato, ricordava l’intervento, ricordava la reclusione. Ricordava quando lo avevano tirato fuori, la prima volta che Winry gli aveva fatto visita, e la confessione di Edward sulla sua cotta. Ricordava quando si erano addormentati abbracciati, quando era uscito sul terrazzo e Alphonse gli aveva domandato se gli piacesse suo fratello. Ricordava quando era stato operato per togliere il proiettile dal braccio e di come l’anestesia a quest’ultimo fosse durata ben sette ore. Ricordava la prima volta che si era andato a fare la doccia in quell’ospedale, osservandosi attentamente allo specchio senza vestiti. Non ci aveva mai fatto caso, anche perché, in fondo, non toglieva mai quel top e quella gonnella che portava sempre. Ricordava quando erano cominciati gli esercizi di riabilitazione, di quante volte era scivolato su quel freddo pavimento e di quanti lividi si fosse procurato con quegli strumenti che aveva definito, alla fine di un allenamento particolarmente duro, d’inferno. Ricordava quando aveva finito di leggere quel libro che gli era stato regalato, di come avesse voluto conoscerne subito il continuo e di come aveva incominciato a parlarne ad Edward, senza fermarsi più.

Ricordava di quanto, ogni volta che restavano soli, sentiva un gran trambusto dal suo cuore, e di come le parole di Alphonse gli tornassero sempre alla mente. Ricordava di essersene reso conto un giorno, osservando dalla finestra una coppia per strana, di star pensando a lui. Si era chiesto come sarebbe stato fare lo stesso con il suo amico biondo, e ricordava di essersi tirato un piccolo pugno in faccia, a quella domanda. Ricordava di come Edward fosse entrato nella sua stanza e di come fosse scoppiato a ridere a quella scena. E poi, ricordava di averlo baciato, una notte in cui la luna era particolarmente splendente. Come te, gli aveva detto, prima di unire dolcemente le loro labbra. Ricordava di come, lui, sorpreso, si fosse staccato da quel bacio tanto casto e di come fosse arrossito sotto la luce a led del lampadario e il suo sguardo sorridente. E poi ricordava di esser stato ricambiato. Si ricordava anche di come avesse trascorso più serenamente quelle ultime settimane. La visita di Selim, le risate, i sorrisi, le urla di rabbia improvvisa tra il colonnelli Mustang ed Edward.

Ricordava così tante cose, e gli tornavano in mente sempre tutte insieme, che temeva che prima o poi avrebbe fatto confusione e avrebbe scombinato quella memoria che gli funzionava come piccoli biglietti attaccati con lo scotch ad un filo che rischiava di ingarbugliarsi troppo facilmente.

Edward aprì gli occhi e si guardò attorno, poi sorrise e si alzò, osservando le campagne di Resembool che, oramai da minuti, scorrevano loro accanto. ―Ti piace molto il tuo paese, vero?― domandò Envy, di scatto. Edward sorrise di rimando e rimase a osservare i campi coltivati e i boschi che circondavano quella piccola pianura.

―Già. Vedrai, piacerà anche a te.― il treno si fermò con un fischio, e uno dei soldati bussò sul vetro della porta per avvertirli del fatto che erano arrivati. Edward si alzò, mentre Envy afferrava la sacca contenente i pochi averi. Il biondo si avvicinò a lui e gli prese il viso tra le mani, lasciandovi sopra un umido bacio. Envy sorrise.

―Ne sono certo.― affermò, mentre scendevano dal treno. A Resembool faceva caldo, più caldo di quanto non si fossero immaginati. Edward sbottonò la giacca marrone che indossava, mentre Envy slacciò il bottone del colletto della camicia.

Dal capo opposto della stazione, Winry Rockbell corse loro incontro, lasciando che i capelli biondi le scivolassero sulla schiena. Dietro di lei, Alphonse sorrise, smagliante, e le corse dietro. Li strinsero in un abbraccio unico, e incominciarono a raccontare loro come in quel mese d’assenza gli fossero mancati.

Edward si fermò al fianco di Envy, che osservava il paesaggio campagnolo di Resembool, sulla soglia della stazione. ―Sei pronto?― domandò il biondo, sorridendogli e avvicinando una mano alla sua.

Envy gliela strinse e fece incrociare le loro dita. ―Certo. Andiamo.― uscirono dalla stazione, dirigendosi verso Winry e Alphonse che, una decina di metri di fronte a loro, li aspettavano, impazienti.

Envy alzò lo sguardo al cielo, e sorrise. Una cavia preziosa, così lo avevano definito i militari giunti dall’alto. Un mostro, così lo aveva definito il colonnello Mustang. Naturalmente, ne aveva tutto il diritto. Non era stato proprio lui, in fondo, a uccidere il suo amico Hughes? E non solo lui. Quante persone aveva ucciso? Di quante vite si era appropriato? Quanti umani erano stati sacrificati, per colpa sua? Inutili esseri, continuava a definirli. Si, era così.

Un esperimento, così lo aveva definito Mustang. Aveva passato le pene dell’inferno, ma l’aveva fatto a testa alta, e ne era uscito vittorioso. Avrebbe continuato a vivere. Avrebbe vissuto per tutte le persone a cui aveva brutalmente strappato quella possibilità. E avrebbe ricominciato. Avrebbe ricominciato con una nuova vita, un nuovo compagno, dei nuovi amici. Da capo.

Avrebbe ricominciato per quell’esperimento, e per scontare la sua pena.

Era pronto a cominciare una nuova vita, assieme ad Edward.

 
   
 
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