Libri > Shadowhunters
Segui la storia  |       
Autore: The Custodian ofthe Doors    19/09/2018    3 recensioni
[ AU!Police| Seguito di Una pista che scotta| II| Detective!Alec| PoliceOfficer!Simon| SemiCriminal!Magnus| AlecSimonMagnus!squad]
Alexander Lightwood è un Tenente della Omicidi di New York City a capo di una squadra a dir poco particolare e se un tempo era famoso per la sua pazienza e la sua calma imperturbabile, oltre che per la sua sfortuna, ora lo è anche per aver risolto il grande Caso Circle a trent'anni dalla sua archiviazione.
Ma i problemi non sono finiti e non arrivano mai da soli.
Dopo il ritrovamento del quaderno del Circolo di Asmodeus vecchi mostri sacri della criminalità risorgono dalle loro ceneri, attirati dalla consapevolezza che il proprio nome risulti su quelle pagine assieme a tutti i loro segreti più grandi.
New York apre il sipario e mette in scena, per l'ultima volta, l'ennesimo atto di uno spettacolo che in troppi temevano di rivedere, in cui troppi saranno costretti a recitare di nuovo o per la prima volta.
I demoni stanno tornando, crimine e giustizia saranno ancora costretti a combattere assieme questa battaglia che nasconde più di quanto non possano credere.
La chiamata è stata fatta e nessuno potrà ignorarla.
Che gli piaccia o meno.
Genere: Azione, Commedia, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Simon Lewis, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo VIII
Topi di fogna.
-seconda parte-

 

 

 

 

 

La luce che inondava la stanza lo accecò senza pietà.
C'erano degli strani rumori attorno a lui ma quelle macchie bianche, come una vecchia pellicola incendiata, gli rendevano impossibile vedere alcun ché.
Se avesse dovuto tirare ad indovinare avrebbe detto che erano passi affrettati e lamenti soffocati, il suono del metallo che cozzava con altro metallo, ma di un tipo ben diverso rispetto a quello che era abituato a maneggiare lui.
C'era odore di disinfettante però, quello lo distingueva più che bene, e se sentiva proprio quel pungente e persistente olezzo di pulito voleva dire solo una cosa: era in ospedale.
Un fruscio al suo fianco lo fece muovere, ma ancora il mondo gli appariva sfocato e non riusciva ad aver senso.
<< Ti sei svegliato finalmente.>> gli sussurrò una voce bassa e roca. Pareva quella di qualcuno costretto per troppo tempo a star zitto, forse per sua volontà, forse contro questa.
Era solo una macchia sfocata e rossiccia, vicina ad un'altra bianca, pallida, bruciacchiata. Potevano le due cose coesistere?
Provò a parlare ma non uscì nessun suono dalle sue labbra secche, screpolate, tagliate e ricucite.
<< Stai tranquillo, è normale non riuscire a parlare, non subito.>> poi un verso sprezzante. << Lo senti io che cazzo di voce ho? E sono sveglio da un paio di giorni… >> continuò la macchia rossa.
Voleva chiedergli cosa fosse successo, perché la sua testa martellasse
in modo indecente, neanche un'incudine vi stesse battendo sopra, eppure ogni cosa pareva così faticosa…
<< Si è svegliato?>> chiese una terza voce, un accento più marcato, un timbro caldo e vagamente cantilenante. Pareva preoccupato, apprensivo, gli importava della sua salute. Perché? Chi era?
<< Sì, ma non credo sia del tutto con noi.>> rispose la macchia.
<< Il colpo è stato duro e anche se è forte è ancora giovane, forse troppo… >> bisbigliò
l'altro infine, quasi se lo stesse dicendo da solo, come un memo che non doveva dimenticare.
<< Ma ha fatto il suo dovere, molto meglio di quanto non abbiano fatto altri prima di lui.>>
<< Voi direste che è un eroe, no?>> chiese la voce calda.
<< Sì, diremo così… voi?>>
<< Noi no, anche se ormai è entrato anche nella nostra cultura il vostro ideale di eroe.>>
<< E allora cos'è?>> domandò ancora la macchia rossa con una nota triste a farle da sottofondo.
<< Un beato, infiammato dal fuoco di
Allah.>>

 

 

 

 

 

Essere convocati nell'ufficio del tuo Capo il giorno dopo che uno dei tuoi collaboratori, quello più problematico e che tutti guardavano con più apprensione per altro, se ne era andato indignato da una stupida lite infantile con l'altro tuo collaboratore, che nessuno si sarebbe mai immaginato in grado di tener testa all'altro -sciocchi che sottovalutavano Simon- non era proprio una delle cose migliori che ti potesse capitare.
Se a ciò ci si aggiungeva che la tua vittima corrispondeva, ma non ce ne era la certezza, ad un sicario che aveva tentato di uccidere il sopracitato collaboratore problematico, era logico e ovvio pensare che le cose fossero collegate.
Dall'equazione non bisognava eliminare la grande sfortuna dei Lightwood.
L'unica nota positiva di quella giornata era che il letto di Seth era una delle cose più comode e magnifiche di questo mondo, malgrado Alec ne ignorasse il motivo, e che dopo una notte passata lì sopra poteva anche andare in tribunale, per quanto lo riguardava. Forse avrebbe accettato la sempiterna proposta ad andare ad abitare con lui, sarebbe stata una convivenza felice e fruttuosa sotto ogni punto di vista, non poteva negarlo.
Con un colpo di polso scoprì l'orologio che segnava due minuti all'orario programmato.
Aveva lasciato Simon solo a cercare di ricostruire la possibile vita di quel Potter fino al giorno in cui era scomparso. Se il ragazzo si fosse azzardato a fargli un'altra battuta sul ben più noto Potter, come a suggerirgli che magari era introvabile perché in giro per le foreste inglesi in cerca di horcrux, si sarebbe beccato uno dei classici compiti da matricola: andare a bussare di casa in casa per chiedere se e quando avevano visto l'ultima volta la vittima. Una palla mortale visto che il novanta percento di quelle persone risultavano essere vecchietti che non vedevano l'ora di raccontarti qualcosa o gente che non si faceva gli affari suoi ma che di certo non si era fatta neanche gli affari che interessavano a te.
Alec aveva un enorme repertorio sui segreti di non sapeva lui neanche quante palazzine in tutta la città, alle volte sfoderava qualche storia che a confronto i migliori romanzieri del mondo si sarebbero solo dovuti vergognare.
La targhetta sulla sporta dell'ufficio di Blackthorn era lucida come sempre, Alec poteva scorgervi dentro immagini distorte di tutto l'ambiente. Era lucida quasi quanto quella dello studio del Dottor Lawson, da cui per altro sarebbe dovuto tornare a breve per il consulto mensile, quella di targhetta era proprio uno specchio.
Non sapeva perché la sua mente si stesse concentrando sulle targhette degli uffici e sulla loro lucentezza, ma ciò che era ovvio invece era che mancasse qualcuno all'appello per poter cominciare quell'incontro ed Alec sperava vivamente che questa persona non fosse Cristiano Santiago.
Il ragazzo si sgranchì un po' le gambe, allungandole nello spazio vuoto del corridoio quando dei passi pesanti, marziali, gli giunsero alle orecchie.
Con andatura sicura una figura alta e robusta si guadagnò la scena. Vestito con la divisa d'ordinanza della SWAT Alec non poté non riconoscere il Capo Andros Crouz, colui che dirigeva la sezione di suo fratello.
L'uomo era conosciuto da tutto il Dipartimento, le sue origini miste, padre portoghese e madre greca, gli avevano donato un incarnato abbronzato e caldo, come i suoi capelli neri e mossi e gli occhi verdi, adombrati dalle ciglia folte e dalle sopracciglia spesse. Era imponente, sia per la sua massa muscolare che per il suo portamento ritto e fiero, i pantaloni da combattimento e la maglia nera non aiutavano a mitigare le forme gonfie e prorompenti di quei muscoli ed Alexander si lasciò per un attimo il tempo di pensare che se ma si fosse ritrovato a dover sostenere un corpo a corpo contro quell'uomo avrebbe potuto vincere solo sparandogli in testa come era solito far lui.
Il Capo Crouz gli rivolse un cenno e gli sorrise, la mascella squadrata era ispida di barba corta ma curata, una patina perenne che rendeva le sue guance quasi rossicce per i riflessi che vi si potevano vedere.
Malgrado facesse ancora discretamente freddo l'uomo indossava solo quella semplice maglia nera a maniche lunghe con il logo della SWAT stampato sul pettorale sinistro, probabilmente era per colpa sua se Jace aveva deciso, da quando era stato preso in squadra anni prima, che anche lui doveva vestirsi leggero d'inverno, mettendo in mostra quei muscoli che troppo stesso Alec aveva trovato altri ad ammirare.
Un moto di stizza gli smosse la mente, lo infastidiva che la gente fissasse suo fratello, nessuno doveva farlo.
Si era reso conto con sua sorpresa, nel corso degli anni, che tollerava molto meno apprezzamenti volti verso Jace che quelli volti verso Izzy: che sua sorella fosse bella da togliere il fiato era vero, ma si circondava sempre di gente che poteva mettere al loro posto con facilità, senza contare che essendo una donna – e questo in parte gli dispiaceva ed in parte gli dava sicurezza, Alec se ne vergognava un po', ma era così- sapeva perfettamente quanto la gente potesse essere stronza, cattiva, volgare e pericolosa oltre che invidiosa fino al midollo. Isabelle, in parole povere, sapeva quando e come osare e quando e come fermarsi per non essere additata come “poco di buono”, cosa che l'aveva sempre fatta soffrire da piccola. Non era certo colpa di sua sorella se madre natura gli aveva dato delle curve da capogiro, ma lei le sapeva “dosare”, per così dire, malgrado quello che dicesse sua nonna sul fatto che non sapesse tenere le ginocchia unite.
A ben pensarci era un modo molto elegante di dire la cosa…
Rimaneva il fatto che si “fidava” molto di più di Isabelle sotto quel punto di vista e anche se la teneva comunque sempre sott'occhio, la ragazza si era guadagnata a suon di urla, accuse e rivendicazioni, tutta quell'indipendenza che crescere con due fratelli maggiori spesso toglieva.
Per Jace non era così, Alec lo sapeva e ancora una volta se ne vergognava.
Vedere le ragazze lanciare sguardi affamati in direzione di suo fratello, sentire i loro commenti, vedere le loro mani morte su di lui lo facevano andare in bestia come nessuno poteva immaginare.
Isabelle era un “Guardami. Ammirami, anche da vicino se vuoi, ma non mi toccare”.
Jace era un “Sono qui, bello come il sole. Guardami. Ammirami. Toccami”.
Alec era un “Vi spezzo le mani a tutti quanti”, ma questi sono dettagli.
Forse era perché Jace era il suo fratellino, il primo che aveva visto, che gli era stato presentato. Forse perché erano sempre stati insieme in ogni momento, avevano fatto insieme ogni cosa e vederlo rapportarsi con altri con la stessa intimità, la stessa vicinanza, che un tempo era stata solo per lui lo rendeva nervoso, di cattivo umore. Forse ne era solo terribilmente geloso.
C'era stato un periodo oscuro della sua adolescenza, i suoi sedici anni per la precisione, in cui tutta la sua vita era protesa nell'essere il più distante -fisicamente- da suo fratello. Era stato il terribile momento in cui gli avevano chiesto come sarebbe dovuto essere il suo ragazzo ideale ed in cui, riflettendoci dopo, da solo, nella sua camera, era sbiancato nel realizzare che moltissimi tratti che trovava piacevoli, interessante, intriganti, giusti, disegnavano la mappa perfetta che era la personalità e la presenza di Jace.
Non gli piaceva ricordarlo, non gli piaceva per niente, specie perché gli si chiudeva lo stomaco e si sentiva male, ma era successo. Era stato un lampo a ciel sereno, un terribile momento in cui Alec si era detto che suo fratello fosse il suo uomo ideale ed il terrore era sceso su di lui portandolo a vomitarsi anche l'anima piegato sul water del suo bagno.
Aveva passato ore interminabili, giorni lunghissimi, mesi infiniti a ragionare sul fatto. Gli batteva il cuore all'impazzata ogni volta che Jace lo sfiorava, sudava freddo se erano vicini, gli veniva la nausea se lo abbracciava e si rodeva di acida invidia verde di bile ogni volta che una qualunque ragazza guadagnasse anche solo un briciolo d'attenzione di suo fratello.
Vivere i propri sedici anni convintissimi di avere una cotta per il proprio fratellino, più piccolo di un anno solo, certo, ma comunque il suo dannatissimo fratellino, lo aveva logorato nel corpo e nella mente. Già si sentiva sbagliato di suo, già la società gli ricordava quanto fosse strano essere gay, quanto fosse solo un ruolo caricaturale da film comico o cabaret, doveva anche scadere nell'osceno con una cotta incestuosa? Davvero? Non poteva essere un po' più fortunato per una volta nella sua dannatissima vita?
Più di un anno, questo il tempo che gli era servito per rendersi conto che non era davvero innamorato di suo fratello, che ne era geloso perché lo amava sì, ma non in quel modo. Jace era semplicemente il suo Jace e la gente non doveva rubarglielo perché era quell'anima affine alla sua che da sempre camminava stringendogli la mano, guardando a lui con fiducia e con orgoglio perché Alec aveva deciso di tenerlo alla sua destra come il più fidato dei compagni.
Alla fine aveva capito che il fatto che Jace rappresentasse il suo modello di ragazzo ideale non era strano. Ad onor del vero glielo aveva fatto capire Isabelle quando, raccontandogli dei ragazzini che le facevano la corte in primo liceo, ammise di sentirsi insoddisfatta da quelle attenzioni perché ogni singola volta li paragonava a lui e Jace e trovava sempre qualche difetto.
Izzy guardava a loro due come modelli ideali perché erano i suoi fratelloni, gli “uomini” che gli erano più vicini, che le volevano bene, la conoscevano e la proteggevano pur senza opprimerla.
Così si era scoperto a non volere “Jace” o un ragazzo “come Jace”, ma qualcuno con cui avere lo stesso rapporto di fiducia e spensieratezza che aveva con il fratello.
Contorto e lunghissimo come ragionamento ma almeno c'era arrivato e non era morto di vergogna, imbarazzo e disgusto verso sé stesso.
Oh, ed era riuscito a tornare vicino a suo fratello come lo era una volta, quanto gli era mancato quello.
Batté le palpebre allucinato dalla velocità con cui la sua mente si era addentrata tra pensieri lontani e ancora dolorosi, ferite che probabilmente non si sarebbero mai rimarginate del tutto e avrebbero continuato a dargli quella terribile sensazione di viscido che lo aveva costretto troppe volte a nascondersi ed isolarsi.
Sorrise, o almeno ci provò, al Capo Crouz che lo guardava accigliato.
<< Tutto bene ragazzo?>> gli chiese con voce curiosa.
Alec annuì. << Sissignore, mi scusi, ho avuto un'illuminazione improvvisa a proposito di un caso. Ha per caso detto qualcosa?>> rispose educato come sempre.
Crouz scosse la testa. << No, ti sei solo bloccato a fissare il vuoto. Ti capita spesso? Questi lampi di genio intendo.>> anche l'uomo gli sorrise ma a differenza sua ci riuscì correttamente.
Diamine, forse era davvero fatto male, ma non per i suoi gusti sessuali, proprio prodotto male dall'inizio, che gli mancasse qualche muscolo per sorridere come la gente normale? Magari era rotto.
Provò a replicare il gesto. Niente, di nuovo un sorrisetto storto. << Ogni tanto, non quanto vorrei.>>
<< Beh, speriamo che sia stata una vera illuminazione allora. Su Tenente Lightwood, entriamo, stanno aspettando solo noi.>>
Quindi era Crouz quello che stavano aspettando? Perché il Capo della SWAT doveva incontrarsi con il Capo della Omicidi e con lui? Credeva che la convocazione fosse per parlare del suo caso attuale e di Magnus che se ne era andato e che, tra parantesi, non sentiva da quando gli aveva detto che poteva farlo.
Unire due Capi di due sezione diverse significava null'altro che un incarico congiunto, sperava vivamente che non si trattasse di un'operazione visto che aveva avuto a che fare di recente con una avvenuta trent'anni prima. Malgrado le sue speranze però, se Andros Crouz era lì significava che alla Omicidi sarebbe presto servita una squadra di sfondamento per risolvere qualche problema.

Magnifico, proprio quello di cui avevo bisogno ora.

Si alzò ugualmente in piedi e seguì l'uomo che aveva già bussato alla porta per poi aprirla.
All'interno dell'ufficio il Capo Blackthorn sedeva come sempre dietro alla sua scrivania ingombra di carte ordinate in pile la cui logica era conosciuta solo all'uomo.
Sulla sedia di sinistra, con lo sguardo puntato verso la finestra e le gambe accavallate stava un altro uomo che, malgrado Alexander lo conoscesse di fama, identificò per prima cosa come colui che lo aveva aiutato ad entrare al poligono lo scorso Novembre.
Il Capo Manchester, Hector se non errava, gli sorrise con cortesia ed Alec, di logica conseguenza, comprese che ciò che stava per sentire non gli sarebbe piaciuto sotto molti aspetti ma che sarebbe anche stato il suo primo incarico da Tenente, il primo serio, quello che aspettava per mettersi alla prova e dimostrare di essersi meritato il proprio titolo quella volta.
Dopotutto era un uomo che viveva di contraddizioni, lui.
Una sferzata di brividi gli calò lungo la schiena e con sua somma sorpresa Alexander riuscì ad identificarla con facilità. A quanto pare aveva sbagliato per tutta la vita: il piacere, l'attrazione viscerale verso i pericoli e le difficoltà non erano andati solo ai suoi fratelli.
Forse non aveva tutti i muscoli giusti per sorridere, ma se non fosse stato capace di controllarsi così bene, gli uomini presenti in quella sala avrebbero visto il ghigno pieno d'aspettativa che avrebbe teso le sue labbra.


 

<< Lascia che ti mostri come lavorano i grandi, ragazzino, forse un giorno toccherà a te.>>

 

A quanto pare era finalmente giunto quel momento.

 

 

 

In un modo che gli era tuttora oscuro, quel lato della città, quei vicoli per la precisione, erano sempre stati immersi nell'ombra più fredda. Persino d'estate lo erano, la gente del quartiere vi andava per trovare un minimo di refrigerio, vi si fermavano i camioncini dei gelati esponendo senza paura la merce all'aria pesante d'umidità e vi si ritrovavano quelli come lui.
Non era una cosa fatta di proposito, non era un titolo che si erano cercati e non era una cerchia in cui si entrava facilmente. Erano un gruppo di uomini e donne che si erano trovati accomunati da particolarità ed inclinazioni che gli altri non avevano, che fuggivano dal sole e dalla calca, che non amavano la folla ma poche persone selezionate con cura. Non tolleravano il popolo, la massa, ma solo coloro che più gli erano affini.
Offrivano servizi particolari, alcuni complementari agli altri, alcuni completamente volti al piacere personale, altri ancora alla sopravvivenza.
Era un buisness di esseri unici, era un'intera categoria, una specie, una famiglia, un Clan.
Li chiamavano Figli della Notte, perché la maggior parte di loro agiva quando la stella maggiore calava, meglio ancora se nel cielo neanche la luna splendeva.
C'era stato un tempo in cui anche il suo ex capo, Dracula, era stato definito parte del Clan, un tempo lontano in cui lui veniva chiamato “uccellino” e doveva sottostare ai comandi del suo “creatore”, una persona che poteva decidere qualunque sua azione ma che aveva anche il compito di istruirlo e proteggerlo.
Quello era stato il periodo in cui aveva conosciuto Alexei ed il suo Club, il Club del Clan, un ripetersi di suoni che gli avevano dato l'idea di uno stupido gioco a cui non voleva giocare.
Raphael voleva imparare il mestiere, voleva imparare a sparare, a capire quale fosse l'affare giusto, voleva imparare a diventare spietato come le persone che gli avevano portato via suo padre e vendicarlo: questo era tutto ciò che desiderava, ciò che i suoi fratelli non sembravano voler fare, non nell'immediato.
Era stato il momento in cui si era ritrovato davanti Pierre, con il suo sorriso morbido e lucente e la pronuncia arrotondata su ogni “r”, quelle “s” che scivolavano via tra i denti perfetti, del colore dell'avorio levigato. Nelle sue orecchie risuonava ancora l'eco di quella risata, il suo nome pronunciato come nessuno aveva più fatto in seguito.

 

<< Rafael? Qu'est-ce que tu es en train de regarder? Est-ce qu'il est quelque chose de beau?>>
<< Hermoso.>>
Il giovane rise spensierato, un suono chiaro e cristallino, forte e delicato al contempo.
<< Cos'hai detto? Sai che non parlo spagnolo.>>
<< Ed io non parlo francese.>>

 

Chiuse gli occhi poggiando le spalle contro il muro di quel vicolo che un tempo aveva ritenuto confortevole e salvifico. Quelli erano i giorni in cui arrivare in quel pezzo di strada divorato dai palazzi che vi incombevano sopra significava essere a riparo, significava esser tornato alla base.
Ma ora non c'era nessuno che si poggiava al suo fianco e gettava la testa indietro per riprendere fiato, nessuno che ansimasse tutto lo sforzo della corsa e mormorasse basse e quasi eleganti imprecazioni contro la canna ancora bollente della pistola che non poteva rimetter al suo posto, bloccata tra il bordo dei pantaloni ed i reni.
Non voleva aprire gli occhi, non voleva vedere ancora il vuoto, la desolazione che era condannato ad aver al proprio fianco.
Perché doveva sempre essere solo? Perché non rimaneva mai nessuno?
Era una maledizione, lo sapeva, aveva ragione sua madre: se vendevi l'anima al diavolo poi nessuno che ancora possedesse la propria voleva starti vicino. Ma la donna credeva anche che lui ancora avesse la sua, quindi forse non doveva darle troppo ascolto.
Con un gesto automatico, che non faceva più da moltissimo tempo, si portò una mano al collo, per poi farla scivolare lentamente sul torace. Lì sotto aveva portato per anni la collana con la croce di suo padre, ora vi rimaneva solo la cicatrice, l'ombra di un ferro bollente che lo aveva marchiato come le bestie.
Marchiato con il segno del Signore, ma sempre un marchio restava.
Aprì piano gli occhi, con la lentezza di chi non vuole abbandonare il sonno e gli ultimi strascichi di un sogno che si è amato, di una dimensione dove suo padre era vivo, Pierre gli sorrideva luminoso come la Stella Polare e Ragnor gli poggiava rassicurante una mano sulla spalla.
Era un'ironia terribile quella che lo vedeva perdere le persone più importanti della sua vita sempre con il sole e con il caldo. Ben pensandoci Raphael aveva cominciato ad odiare il giorno proprio per questo, perché era il momento in cui tutte le anime che lo circondavano s'assopivano in silenzio, senza che lui potesse far nulla.
Batté le ciglia cercando di non farsi prendere dai ricordi, di scacciare quei vecchi fantasmi -bellissimi ma ormai scomparsi- dalla vista.
Quando sentì il rumore dei tacchi che calpestavano il cemento duro e crepato del marciapiede gli parve di tornare a respirare, anche se solo per pochi secondi. Si godette l'ossigeno che gli riempiva i polmoni, conscio di doverne far scorta prima di incontrare quella figura che, involontariamente, gli avrebbe tolto il fiato.
Fu la scarpa di lucida vernice blu la prima cosa ad entrare nel liminare del suo campo visivo, poi la caviglia fine velata di grigio, la gamba lunga e la stoffa dritta e senza pieghe del vestito navy ed i lembi del cappotto color fumo. C'era una sciarpa di lana bianca a coprirle il collo fine, ma il viso perfetto e meraviglioso di Camille risaltava comunque su tutti quei toni cupi.
I capelli biondi erano lasciati sciolti sulle spalle, non acconciati alla perfezione come sempre, erano morbidi, erano liberi, erano come Raphael li ricordava, come ricordava lei ogni volta che gli veniva incontro e gli sorrideva, sempre da un passato che pareva lontanissimo ed invece non lo era.

 

Non per noi. Non per me. Per me mai.

 

Eppure come sempre furono gli occhi a fregarlo. Contornati da un trucco leggero, le ciglia chiare erano colorate di nero e donavano al suo sguardo una profondità ulteriore che a Raphael non sarebbe comunque servita. Era l'azzurro accecante delle iridi a stroncarlo ogni volta.
<< Rafael.>> pronunciò in quel modo tanto comune a tutti i francesi.
Il giovane si obbligò a sorriderle. << Camille.>>
Si dissero solo questo, poi rimasero a fissarsi per interminabili minuti.
Erano predatori che si scrutavano a vicenda, che cercavano di ricordare il loro avversario, di richiamare alla mente tutti i punti deboli e quelli di forza, le tattiche giuste per attaccare.
Se lui fosse stato un'altra persona a caso, tipo Magnus, la prossima massa sarebbe stato azzannare la preda dritta al collo. Ma malgrado ciò che dicevano i suoi amici, malgrado nessuno di loro avesse mai capito fin in fondo che genere di rapporto ci fosse tra loro due, di certo non era d'odio o di sfida, non erano nemici, non lo erano mai stati, ma erano risultato dello stesso ambiente criminale, non sociale, quello no.
Camille veniva dalla Francia, dalla sua amata, amatissima Francia, dove tutto era bello ed era arte, dove per le vie camminavano persone estasiate dalla storia che nascondeva ogni oggetto, una poesia ed una fama costruita sul nome di quella che molti reputavano la città più romantica al mondo.
Raphael veniva dai sobborghi del quartiere messicano, senza aver mai visto un solo lembo di quella terra che tutti gli dicevano essergli natia, cresciuto tra l'asfalto, il cemento ed i palazzi popolari.
Ma quanto erano simili invece.
<< Ti trovo bene.>> le disse per amor di verità.
Lei gli sorrise. << Anche tu, te l'ho sempre detto che i completi classici ti donano.>>
<< Un modo come un altro per dirmi che sono antiquato?>>
Camille si bloccò davanti a quel suo tentativo palese di scherzare e subito dopo si sciolse.
L'algida regina, o stronza puttana come la chiamava Magnus, lasciò il posto alla piccola ed impertinente Camille che aveva imparato a conoscere lui.
<< Sai che sono sempre elegante, anche quando insulto la gente.>> disse soddisfatta.
<< Oh, era un insulto? Mi spiace Belcourt, stai perdendo colpi allora, una volta eri più pungente.>>
Lei fece una smorfia teatrale. << Mh, è il jet lag.>> disse alzando il mento con fare altezzoso.
Una minuscola risata sfuggì dalle labbra del giovane che se ne pentì immediatamente quando l'altra gli si avvicinò a grandi passi, l'espressione trionfante.
<< Ma allora sai ancora come si ride!>> cinguettò allungando in fine le braccia verso di lui.
Raphael la strinse in un abbraccio leggero ma fermo, annuendo sommessamente.
<< Certo che lo so, Camillé.>>

 

 

 

 

 

<< È una situazione particolare, delicata anche aggiungerei.>>
<< Si tratta del mio caso, signore?>>
<< Proprio di quello ragazzo.>>
Il Capo Manchester aveva annuito con lentezza. << Lo scheletro di quell'uomo potrebbe essere quello di Trevor Potter e se così fosse questo significherebbe che è stato trovato un assassino.>>
<< Sta parlando dell'uomo che ha tentato di sparare a Bane?>> chiese Alec serio.
Da quando si era seduto la sua mente aveva cominciato a lavorare al doppio della velocità, una cosa che non gli succedeva più da tantissimo tempo. Quasi un anno, circa.
Non era stato difficile capire dove volessero andare a parare: trovavano i resti scheletrici di un uomo, probabilmente uno spacciatore, che riportava danni da morte violenta, omicidio di certo; tra le possibili identità dell'uomo c'era quel Potter, quello per cui Jace era andato a far domande a Raphael, quello che, a quanto dicevano i suoi superiori, Hodge aveva ammesso essere il sicario ingaggiato per uccidere Magnus.
Non lo avevano chiamato perché quel genio di Bane se ne era andato, neanche perché i suoi sottoposti avevano litigato furiosamente e lui era stato costretto a chiuderli entrambi nella sala riunioni. Lo avevano chiamato perché Alec aveva avuto ragione da vendere: avevano trovato il cadavere di Trevor Potter.
Poteva quindi facilmente dedurne che se c'era di mezzo anche l'Antidroga Potter avesse un giro d'affari che coinvolgeva tanto lo spaccio quanto gli omicidi su commissione.
Si domandava solo perché stessero coinvolgendo anche lui e non l'OCCB, che volessero semplicemente spiegargli le cose prima di togliergli il caso? Aveva seriamente sperato che quella fosse la volta buona per dimostrare chi era davvero.
Il suo lavoro rimaneva comunque quello di assicurare criminali alla giustizia e dar finalmente sollievo alle famiglie, se togliergli il caso era la cosa più giusta da fare, malgrado non gli andasse a genio, Alexander avrebbe stretto i denti e accettato.
<< Che ordini ho, signore?>> domandò subito mettendo in chiaro che avrebbe rispettato le direttive senza protestare.
Lo sguardo di Blackthorn gli gravò pesante sulle spalle eppure Alec seppe di aver detto la cosa giusta, che il suo capo era compiaciuto dalla richiesta d'indicazioni. Gli aveva detto che non avrebbe fatto di testa sua, che non sarebbe stata un cosa personale ma che se questa fosse stata invece la motivazione per cui lo avrebbero sollevato dal caso l'avrebbe accettata senza batter ciglio.
Al suo fianco Alec vide Crouz ridacchiare divertito e Manchester sorridergli bonariamente.
<< Il mio queste domande non le fa, dice solo come ha intenzione di agire e poi sparisce. Mi tocca sempre mandargli dietro qualcuno.>> disse con leggerezza Andros annuendo alle sue stesse parole.
Alec cercò disperatamente di non arrossire: stava parlando di certo di quella testa calda di suo fratello. Dio, riusciva a farsi riconoscere sempre.
<< Che Andrew abbia avuto la fortuna di prendere il Lightwood più pacato tra le sue fila non ci sono dubbi.>> rispose Manchester, << Per questo siamo anche convinti, tutti noi, che sarai in grado di gestire questo caso.>>
Sorpreso il ragazzo cercò con lo sguardo il suo Capo che annuì semplicemente, prima di lasciare che fosse l'altro uomo a continuare.
<< Starkweater ha ammesso di aver ricercato Potter in un giro specifico e non di averlo trovato tra i vicoli dei bassifondi.
Sappiamo perfettamente che a New York, così come in molte altre città, sono presenti reti di criminali organizzati che offrono i loro servigi al migliore offerente. Ne abbiamo presi diversi in questi anni ma in un modo o nell'altro chi rimane riesce sempre a nascondersi e a riorganizzarsi da qualche altra parte.>>
Un fastidioso prurito si generò sulle nuove cicatrici di Alec. Riuscivano sempre a scappare?
Prese un respiro profondo per porre quella domanda così scomoda. << Abbiamo un'altra talpa, signore?>>
Manchester scosse la testa. << Non come la intendi tu. Potrebbero essere agenti che alla fine del turno bevono un goccio e parlano troppo. Abbiamo avuto casi in cui un uomo che non era in servizio risultava esser appena entrato al Dipartimento quando invece decine e decine di testimoni potevano assicurare di averlo visto per tutta la serata alla festa del figlio. No, sono solo persone sveglie, capaci e ben organizzate che sanno come raggiungere i loro obbiettivi e non si fanno scrupoli. >>
<< Hanno usato il badge di un collega morto, una volta, non si pongono il problema.>> spiegò Crouz.
<< Con la scoperta del quaderno di Asmodeus però, moltissimi vecchi “membri” di questa rete stanno tornando in questa città e c'è la seria possibilità che riprendano le loro vecchie posizioni.>>
<< Gli ci vorrà però del tempo per riorganizzare il tutto e potrebbe essere la nostra unica chance di catturarli. >> continuò Blackthorn. << Essendo tuo il caso di Potter e dovendo tu indagare sulle cause della sua morte, anche tutto ciò che ne deriverà starà a te. Sappiamo com'è morto, chi lo ha ucciso e come, ma non sappiamo con chi lavorasse, da quanto, perché lo facesse, com'è entrato nel giro.>>
<< Parlando anche di traffico di stupefacenti avrai l'appoggio della mia sezione. Sarà un'azione congiunta, tu ti occuperai degli assassini e noi degli spacciatori, le due cose sono estremamente legate in questo caso.>>
Alexander li guardò attentamente senza perdersi una sola parola di ciò che avevano detto, ma il dubbio gli rimaneva.
<< Perché non è stata coinvolta l'OCCB se questo è un caso di crimine organizzato?>>
Non voleva che gli togliessero quell'opportunità, ma non poteva neanche ignorare la cosa.
Manchester gli sorrise di nuovo. << Questa è una giusta osservazione. Si tratta effettivamente di criminalità organizzata ma il buisness principale rimane quello degli assassinii su commissione e dello spaccio illegale. Il nome di Potter è uscito durante un mio caso e poi durante un vostro caso, se tirassimo in ballo anche l'OCCB ci sarebbe troppa confusione ed il Capo Garroway ha accettato con facilità di lasciarci tutte le beghe del caso. Ci forniranno comunque qualunque informazioni ci necessiti e a tal proposito… >> disse cercando una cartella su tavolo.
Blackthorn lo lasciò fare per un po', poi stanco di vedersi scombinare tutti i fogli gli fece cenno di ritirare la mano e prese lui, subito a colpo sicuro, ciò che serviva.
Porse al Alec una cartella ma non la lasciò subito, puntò gli occhi nei suoi e lo fisso serio.
<< Sappi che è stato scelto lui solo ed unicamente perché sono certo che saresti stato tu stesso a chiederlo. Alcuni pensano che non si dovrebbe avvicinare neanche lontanamente a questo caso.>> e così dicendo lanciò uno sguardo a Crouz che annuì infastidito.
Alexander fece un secco cenno con il capo e poi prese la cartellina marrone in mano.
<< Per qualunque cosa dovrai richiedere alla Crimine Organizzato sarà lui il tuo referente, ti aiuterà in tutto entro le sue possibilità. Non è un'operazione congiunta di tre sezioni, il Capo Crouz è qui perché ci ha aiutato con le domande su Potter fatte a Santiago e sarà di nuovo con noi per accordare eventuali irruzioni e blitz una volta scoperto il covo della rete criminale. Ricorda però che è un caso nostro. Stai indagando su un omicidio che si è rivelato essere più di ciò che non sembrava. Non dimenticarlo.>>

La storia della mia vita: è tutto molto più di quello che potrebbe sembrare.

Non aveva neanche bisogno di aprire il fascicolo, sapeva il nome ed i recapiti di chi avrebbe trovato e la cosa gli andava sorprendentemente bene.
<< Sissignore, non la deluderò.>>
Blackthorn sorrise finalmente da quando era iniziato quel colloquio.
<< Non credo tu ne sia in grado, Lightwood.>>

 

 

 

 

 

Seduta comodamente sul divano del salone del suo amico Camille fece girare pigramente il vino nel calice lucidato alla perfezione. Tra quanto era denso il liquido e quanto trasparente il vetro avrebbe potuto specchiarcisi dentro ma in quel momento il suo aspetto, stranamente, era l'ultimo dei suoi problemi.
Raphael era andato nel suo studio a rispondere ad una telefonata di lavoro e sebbene in altri casi Camille sarebbe stata felice di seguirlo e ridacchiare maleficamente di tutti i problemi che l'altro doveva affrontare, non si era mossa dal sofà e lui non aveva in nessuno modo replicato la cosa.
Da quanto tempo era che non entrava più in casa di Raphael? Da quanti anni?
C'era stato un periodo della sua vita in cui aveva creduto che ci si sarebbe trovata in continuazione, invitata o autoinvitata, un momento in cui non aveva neanche pensato che quella sarebbe stata la sua casa ma magari una villetta elegante e chiara, con un piccolo giardino sul retro in cui far crescere fiori esotici provenienti dalla Provenza.
Non era stato così, evidentemente.
Quando anni fa se n'era andata da quell'America bugiarda, che le aveva promesso tanto ma che l'aveva solo illusa, non aveva progettato di tornarvi così presto.
Certo, erano passati quasi sette anni, ma la cosa non cambiava.
Ne aveva otto la prima volta che era volata oltre l'Oceano per una vacanza, solo per godersi gli Hampton. Poi vi era tornata per altre fughe ricreative, come le chiamava sua madre, ed in fine vi era atterrata per rimanervi che di anni ne aveva diciassette. Era stato un periodo felice, in cui viveva la sua vita adolescenziale senza problemi e pensieri, protetta ancora dalla stessa campana di vetro che l'aveva ospitata a Parigi. Le avevano aperto le porte del Clan, aveva cominciato ad osservare lo Zio nel suo ambiente, mentre stringeva accordi per l'azienda di famiglia, quando ancora ignorava di cosa si occupassero per altro.
Erano stati i giorni in cui aveva conosciuto un piccolo Raphael Santiago appena quindicenne, quando lo chiamava uccellino e lui si arrabbiava ma non poteva dirle nulla, quando le fu messa per la prima volta in mano una pistola, in un campo pieno di bersagli e le fu detto di sparare dove volesse. Un revolver placcato di rosa, con il calcio ospitante proprio quello stesso fiore intagliato. Era la sua arma preferita, non se ne separava mai, neanche in quel momento, che giaceva al sicuro nella sua custodia nella borsa firmata che aveva lasciato sul tavolino.
Erano davvero dei bei tempi… andare alle feste con la sua Famiglia, incontrare Magnus Bane ed i suoi occhi scintillanti come pietre preziose… era così bello, erano stati così bene assieme. Glielo ripetevano tutti, siete bellissimi, tutti, dal primo all'ultimo.
Ma era solo una fiaba, troppo tardi Camille si era resa conto che la sua campana di vetro era trasparente e lucida, che faceva entrare la luce ed i colori ma non lasciava passare i profumi e rendeva ovattati i suoni, e quando era riuscita a sollevare la campana era di nuovo troppo tardi per rendersi conto che oltre la cristallina barriera risplendevano sfarzose sbarre d'oro.
Camille forse era in trappola prima ancora di nascere.
C'aveva creduto, doveva ammetterlo a sé stessa. Aveva creduto fino all'ultimo che vi fosse un lucchetto per aprire la sua prigione ma si era dovuta ricredere quando assieme al vetro era andato in frantumi anche tutto il suo mondo.
La fiaba si era incrinata e lei aveva scoperto che non esistevano i lieto fine.
Era tornata in Francia, a leccarsi le ferite e cercare di ignorare le sue colpe, quei fantasmi che l'avrebbero perseguitata per sempre, additandola come criminale, come il mostro che era diventata, come la sciocca che era sempre stata.

Quanto le fosse servito affinché il suo lago si calmasse e le acque tornassero ad essere placide e lisce come una tavola, sinceramente, non avrebbe saputo dirlo, non lo poteva quantificare. C'erano stati giorni in cui aveva creduto che tutto fosse tornato a posto e altri in cui vedeva solo tempesta.
Alla fine il cielo pieno di scie aree di Parigi l'aveva aiutata a rimettere i pezzi a posto, si era svegliata un giorno e aveva sentito che ormai non le importava più, ormai era tutto passato e non sarebbe mai cambiato nulla.
Allo stesso modo, dopo anni di pace, si era alzata una mattina e la sua domestica le aveva detto che era arrivato un pacco per lei.
Camille era in vestaglia, morbida seta color champagne firmata Chanel, quando la donna aveva portato quell'ingombrante scatola e le aveva chiesto dove volesse che la posasse.
Aveva buttato il tappeto su cui era stata depositata, a dirla tutta gli aveva proprio dato fuoco.
L'elegante quadrato decorato di carta rosea e dorata, in righe larghe e regolari, adornato con un fiocco lucente come tutte le scatole contenenti i suoi abiti e scarpe su misura, l'aveva tratta in inganno. Aspettava un borsa di uno stilista emergente, qualcuno che ben presto lei stessa avrebbe portato all'apice del successo e che poi le avrebbe dovuto eterna gratitudine ma non era certo suo il regalo.
Sciocca, ovviamente non aveva neanche controllato il mittente, ma ugualmente l'avrebbe burlata anche quel piccolo pezzo di carta.
All'interno del pacco aveva trovato carta velina chiara e vaporosa ma più ne toglieva, più scorgeva piccoli pois rossi, una trama apparentemente senza logica che la fece tentennare solo quando, voltatasi per poggiare altra carta sul tappeto, aveva visto come quei pois stessero lasciando il loro colore sugli intrecci beige della stoffa.
Solo allora aveva avvicinato il volto all'interno e aveva capito che il forte profumo che vi proveniva non era dovuto all'eleganza della spedizione ma serviva per coprire un altro odore, uno che Camille non avrebbe mai potuto scambiare per altro.
Aveva tirato via la carta rimasta con foga e più ne toglieva più le pareva pesante, zuppa di rossi decori che provenivano direttamente dal cuore del pacco.
Uno stupido gioco di parole visto che l'organo era proprio ciò che aveva trovato adagiato sul fondo della scatola.
Un enorme cuore gonfio e ancora sanguinolento, dalla cui arteria mozzata fuoriusciva un filo continuo e vischioso.
Non le aveva mai fatto impressione il sangue, anzi, Camille adorava il sangue, lo trovava poetico e terribile al contempo, vita e morte, cura e malattia. Aveva infilato le mani nella scatola senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla massa rossiccia o preoccuparsi di starsi inzuppando le maniche dalla vestaglia del sangue di qualcuno che neanche conosceva. Stringere le dita attorno alla carne ormai morta, come aveva fatto centinaia di volte prima, le era parso astratto ed alieno a lei, così come la sensazione di calore che irradiava, di solito gli organi che toccava erano freddi, tolti direttamente dal contenitore refrigerato o ancora lì adagiati, ma questo pareva appena cavato dal torace di qualcuno.
Quando lo aveva sollevato, facendolo scolare dentro il cartone, aveva notato che da quella che un tempo doveva essere la cavità arteriosa polmonare pendeva un sottile filo argenteo ora sporco.
Aveva abbassato lo sguardo prima sulla scatola e poi aveva cercato il suo coperchio, trovandovi nella parte interna una busta attaccata con lo scotch.
Leggere cosa vi era scritto dentro non l'avrebbe toccata neanche la metà di quanto l'aveva fatto afferrare la catenella con due dita, mentre il cuore stretto nell'altra mano colava le sue gocce scure dentro la manica larga sino ad arrivare al gomito bianco ed ossuto. Ne aveva tirato fuori una collana, una bellissima ed antica collana d'argento con un pendente impressionante che le aveva tolto tutto il fiato dai polmoni e le aveva spento il cervello.
Un rubino grande come una noce brillava inquietante e sanguinolento oscillando lentamente nella sua presa dopo esser stato liberato dal suo caldo e carnoso contenitore.
Non aveva avuto bisogno davvero di leggere la lettera per sapere chi gliel'aveva mandato e cosa volesse.
Era in fine giunto il momento di tornare dalla sua vecchia vita, era giunto il momento di tornare dalla Famiglia.
Il Clan l'aspettava e bramava quel sangue che una volta gli fu consacrato:
il suo.

 

 

 

 

 

Gli faceva male la testa, anzi, sarebbe stato più corretto dire che gli faceva ancora male la testa.
Catarina sembrava piccola e dolce, con quei suo capelli bianchi che ancora portavano le tracce scolorite delle tinta azzurra che si era fatta per le feste natalizie. Con le guance decorate da delicate e quasi invisibili lentiggini, quella pelle pallida come porcellana, che la faceva sembrare così delicata. Nessuno si sarebbe aspettato che quelle mani piccolo ed un po' callose, che tante vite avevano aiutato, fossero in grado di dare gli scappellotti più potenti e dolorosi della storia.
La sua particolarità era che Catarina riusciva a beccare con chirurgica precisione proprio quella fascia di nervi e muscoli che collegavano la testa al collo. Un dolore atroce, davvero.
Magnus si massaggiò la parte lesa e guardò con fastidio l'amica che marciava avanti e indietro per il suo salone, con un cucchiaino in mano con cui avrebbe dovuto girare il proprio tea ma che invece lei usava come una bacchetta. Gli era arrivato anche quello addosso, solo sulle falangi, ma faceva male lo stesso.
Borbottava come una ciminiera su quanto potesse essere stupido, sul fatto che si doveva decidere, che non poteva saltellare da una posizione all'altra – Magnus aveva provato a fare il simpatico e dirle che passare da una posizione all'altra era ciò che gli riusciva meglio. Era stata la motivazione della cucchiaiata sulle dita.­- che doveva fare l'uomo e anche domandandosi perché gli capitasse sempre gente così in mezzo ai piedi.
Dirle che non gli piaceva essere etichettato come “gente in mezzo ai piedi” era stato superfluo, Catarina lo aveva fulminato con lo sguardo e gli aveva ringhiato contro che doveva solo stare zitto e sentirsi anche la sua di sgridata.
Oh, certo, perché Magnus le aveva raccontato sia di quello che gli aveva detto Simon, entrambe le volte, sia di quello che gli aveva detto Raphael, oltre che quello che lui aveva detto a Lewis e anche a Lightwood… ringraziava il cielo che la sera prima fosse stato abbastanza impegnato al locale da non aver avuto l'opportunità di chiamare Malcom, se no sarebbero stati in quattro a fargli la paternale. Ora doveva solo ricordarsi di evitare Lily, la ragazza aveva preso fin troppo in simpatia Alexander, avrebbe rischiato di esser preso a pugni anche da lei e a differenza di Catarina, che era precisa, aveva la forza degli infermieri ma non ne era così propensa, della violenza Lily Chen ne aveva fatto la sua rosa all'occhiello. Quello avrebbe fatto davvero male.
<< Senti, ti fermi? Mi stai facendo venire il mal di mare.>> si lamentò interrompendo l'amica.
Catarina lo guardò malissimo. << Io non mi fermo per niente! Ti rendi conto che hai praticamente dato ai suoi superiori un motivo per toglierti dal suo comando?>> domandò inviperita riferendosi ad Alec.
Magnus alzò gli occhi al cielo. << Tutti in quel Dipartimento mi vogliono lì, non faranno nulla per mandarmi via… >>
<< Non puoi continuare a giocare per sempre sulla tua “importanza” Mags, anche perché mi risulta che attualmente non stai facendo quello per cui sei stato ingaggiato.>>
<< Questo perché quei coglioni si sono fatti fottere il quaderno di papà da sotto il naso.>>
<< Quei coglioni si sono fatti fottere il quaderno dall'FBI, non avevano tutta questa possibilità di scelta visto che Asmodeus ha ben pensato, nel corso della sua onorevole carriera, di andare a rompere le palle anche oltre confine.>> gli fece notare con stizza. << Dovevi litigare proprio con Alec e Simon? Non potevi farlo con un agente a caso?>>
<< Sai che litigo in questo modo solo per cose serie e con persone a cui tengo.>> nell'attimo esatto in cui finì di dire quella frase si morse la lingua, pentendosene amaramente.
Catarina alzò un sopracciglio e gli si avvicinò per sederglisi accanto. << Tesoro, lo senti cosa dici? Tieni a loro, gli vuoi bene… non credi che questo sia il motivo principale della vostra discussione? Ognuno di voi ha reagito in un dato modo perché vuole bene agli altri e non vuole vederli soffrire.>>
<< Non è che Alexander me l'abbia mostrato molto sai? Mi ha solo buttato fuori.>>
<< Gli hai dato dello sbirro e del piedi piatti, gli hai detto che non è il tuo lavoro e che mai lo sarà. Praticamente che stai lì solo per il diario di tuo padre e non perché hai piacere a lavorare con loro, perché ti piace e perché ti ci trovi bene. Lo hai ferito temo, anche se Alexander non è uno che lo da troppo a vedere. In più con quella storia della ragazza… >>
<< Hanna. Si chiama così ed è una ragazza deliziosa, sappilo.>> precisò subito.
<< Più deliziosa dei tuoi amici? Non pensare ad Hanna, pensa al fatto che se fossi stata io a farti quella scenata avresti solo borbottato che era quello di cui avevi bisogno e che lo hai fatto, mi avresti spiegato magari che ti manca qualcosa nella tua vita, magari un compagno su cui contare costantemente e sì- lo so che ci siamo noi, che siamo tuoi amici, però, Mags, non hai una relazione davvero seria da otto anni- >>
<< Non ricordarmelo o ricorderò anche quella stronza.>> Magnus si voltò sprofondando dei cuscini e Catarina annuì.
<< Però è stata lei la tua ultima storia importante, anche se è finita com'è finita.>>
<< Mi ha mollato, dopo tutto quello che era successo!>> strepitò indignato al solo pensiero.
<< Non entriamo nel particolare ora. Rimani concentrato sul presente: Hai litigato con Simon così furiosamente perché lui, come molti di noi presumo -e sappi che mi fa strano dire noi ed intendere anche i Lightwood e Clary- credevamo che presto o tardi tu ed Alec avreste finalmente deciso di darvi una possibilità seria e di smetterla di fissarvi da lontano. Simon mi disse che Alec era molto concentrato sul suo lavoro, che lo aveva preso “sotto la sua ala” come fa con le persone, ma sono sicura che un affetto in più non gli faccia schifo, che apprezzerebbe avere qualcuno come te al suo fianco.>>
Magnus sospirò rassegnato. << Perché pensate tutti così?>>
<< Sinceramente?>> domandò Catarina retorica, << Perché speriamo che finalmente abbiate entrambi qualcosa di bello nella vostra vita.>> disse dolcemente.
<< Ma io ho qualcosa di bello nella mia vita! La mia vita è bella!>>
<< Mags, per favore, hai capito cosa intendo!>>
L'uomo sospirò. Poi scosse la testa stranito, << Non lo so Cat, non lo so. Non ci voglio pensare, non mi va di- non lo so.>>
Catarina lo guardò tentennando. << Hai paura che possa succedere ciò che è accaduto con Camille? Magnus, quella di situazione era particolare, è stato un susseguirsi di eventi terribili, che nessuno avrebbe potuto gestire. Ed eravate anche più giovani, avevate ventidue anni- >>
<< Che sono giusto tre anni in meno di quelli che aveva Alec l'anno scorso, Cat.>> la bloccò subito. << So che era un momento critico e completamente diverso ma ti rendi conto che stiamo andando di nuovo verso un periodo simile? Quando lavoreremo sul diario… senti, davvero, ma non possiamo parlare d'altro? Tipo del tuo turno?>> provò con voce lamentosa.
Catarina sospirò. << Possiamo parlare di come chiamerai Simon per chiedergli scusa e poi di come andrai a scusarti con Alec per averlo mollato nel bel mezzo di un'indagine.>> propose.
L'altro annuì. << Mi sta bene.>> sentenziò cercando una posizione comoda. Poi si mosse di nuovo e si tirò a sedere. << Meglio ancora, ora chiamo Lewis e gli dico se vuole venire al Pandemonuim così ci prendiamo qualcosa da bere, ti piace come idea?>>
Sorridendogli dolcemente, in un modo terribilmente simile a quello di una madre con il proprio bambino, Catarina annuì piano e lo guardò andare a recuperare il telefono lasciato chissà dove.
Sospirò appena rimase sola nella stanza: non si era mai resa conto di quanto dovesse faticare Ragnor a gestire quel maremoto del loro amico, una volta potevano arginarlo in due ma tutte le volte che lei andava all'estero per qualche missione umanitaria era solo Rag quello che rimaneva a tenere in piedi la baracca.
Forse avrebbe dovuto chiamare Malcom e chiedere aiuto a lui.
Decise che quella era la cosa giusta da fare e recuperò il suo di telefono per scoprire di aver delle telefonate perse ed un messaggio.
Accigliata pigiò sulla cartellina gialla e la lista dei messaggi ricevuti apparve mostrando in prima posizione un numero che, malgrado non vedesse più da molto tempo, così tanto da non averlo più in rubrica, ricordava ancora perfettamente.
Nessun preambolo, nessuna frase di rito, quelle che il mittente era tanto solito usare, solo una parola semplice e spiccia:

 

Arrivato.”

 

 

 

 

Simon non aveva capito inizialmente la portata della notizia datagli da Alec finché non era entrato in una delle sale che vedeva sempre chiuse e si era ritrovato davanti un paio di lavagne lucide e bianche. Il tavolo spazioso che occupava la parte centrare della stanza ospitava già un paio di scatole contenenti i documenti più recenti riguardante il loro caso e altri che potevano essergli collegati.
La cosa si era fatta seria quando Alec aveva cercato di fargli capire quanto ampia sarebbe stata l'operazione, quando si fu scusato di averlo trascinato così presto in qualcosa di così impegnativo.
Seduto su una delle sedie lì presenti Simon digitava veloce alcune parole chiave per avviare una ricerca su vasta scala che comprendesse tutto il territorio della città di New York più alcune zone limitrofe in cui era probabile che fossero arrivati quegli uomini.
Con tutti i film e telefilm polizieschi che aveva visto, nonché con gli anni che aveva passato nel laboratorio informatico e per ultimo, ma non meno importante, il Caso Fell e l'Operazione Circle, si presupponeva che la sua mente fosse abbastanza bendisposta verso l'idea di reti criminali ad ampio raggio, ma rimase comunque sorpreso da quello che l'altro gli stava dicendo.
<< Potter faceva parte di una rete nascosta che opera per tutto lo Stato, forse ve ne sono altre, affiliate a questa o questa affiliata a quelle, che operano anche nel resto del territorio nazionale. Ben o male tutti i paesi hanno questo genere di bande, strutture organizzate in cui criminali di vario tipo si riuniscono per riuscire ad ottenere il massimo profitto dalle loro imprese. Vedilo un po' come un'associazione di più strutture per il cui servizio ci si rivolge ad un solo ente.
Ci sono dei capi ovviamente, gente che con tutta probabilità non si sporca mai le mani ma siede comodamente ad una scrivania. Questo genere di persone sono in un certo qual modo le più pericolose, poiché spesso occupano posizioni di spicco o comunque protette all'interno della società. Questi “capi” ricevono richieste di lavoro e le passano a chi di dovere, coloro che sono più adatti o anche semplicemente disponibili al momento. Con Potter dev'essere successa all'incirca la stessa cosa: Hodge si è rivolto a qualcuno del giro e ha chiesto un sicario che, semmai fosse sparito, non sarebbe interessato a nessuno.>>
<< Perché dici così? Pensi che lo abbia specificato?>>
Alec annuì. << Pensa solo alle implicazioni: se Potter dopo aver ucciso Magnus, o dopo non esserci riuscito come è poi successo, avesse scoperto che chi lo aveva ingaggiato era un Ispettore della polizia collegato al Vice Commissario o addirittura se avesse capito che Valentine stesso vi fosse implicato, quanto tempo avrebbe impiegato per andare da uno di quegli uomini ai piani alti e organizzarsi per ricattarli entrambi?>> domandò retorico, poi scosse la testa. << No, gli serviva qualcuno da far fuori non appena il lavoro fosse stato portato a termine, per eliminare ogni prova.>>
<< Niente assassino, niente colpevole, eh?>> disse sovrappensiero Simon annuendo. Digitò qualcosa sul pc e poi tornò a guardare Alec. << Quanto pensi che sia vasta questa rete? Di quanti anni stiamo parlando?>>
L'altro prese un respiro profondo, alzando le sopracciglia in un'espressione che sembrava voler dire “non possiamo saperlo con certezza”. Storse il naso e poi provò ad ipotizzare qualcosa.
<< Non credo che sia sempre la stessa, deve essersi modificata nel tempo, magari chi ne era a capo una volta ora è morto, si è ritirato o è in galera. Possiamo supporre che fosse un sicario che ha conosciuto uno spacciatore, o un altro sicario e che abbiano deciso di aprire un buisness, non posso dirti nulla di certo Simon, anche perché sono convinto che sia una struttura mutevole.
Manchester ha detto che nel corso della sua carriera ha arrestato moltissimi spacciatori che in un modo o nell'altro erano collegati tra loro non solo dal contrabbando di stupefacenti ma anche magari dal rifornitore o dai compratori, gente che spacciava nello stesso vicolo senza farsi la guerra. Alle volte riuscivano ad arrivare un po' più su del pesce piccolo, scoprivano chi era a dividere la merce tra i vari ricettatori, chi la importava o chi la produceva direttamente. Da lì scorgeva la ramificazione di questa organizzazione che, purtroppo, malgrado venisse lentamente distrutta riusciva sempre a riorganizzarsi e a tornare lentamente al proprio lavoro.>>
Simon annuì concentrato, immaginare una macchina del genere in moto faceva pensare che sicuramente chi era al potere erano sempre le stesse persone.
<< Perché non pensi che sia un solo “capo” che dirige da sempre tutto?>>
I tenente lo guardò in modo quasi accondiscendente e Simon arrossì, sospettando di aver appena chiesto la cavolata più grande del mondo.
<< Dopo tutti gli anni in cui ha lavorato qui, gli agenti riconoscevano in Asmodeus il capo della sua impresa?>> chiese gentile.
Il ragazzo fece un cenno d'assenso.
<< Se ci fosse un uomo che, da anni, dirige una rete di spacciatori e assassini, solo questi, e che non ha mai passato il testimone a nessuno, non credi che lo sapremmo? Che qualcuno pur di aver salva la vita avrebbe parlato? Che qualche informatore sarebbe riuscito a farci avere il nome o qualche agente sotto copertura anche. >> scosse il capo, allungando una mano per poggiarla sul piano del tavolo, giocando distrattamente con un angolo di carta. << Non è una struttura fissa, questa è una delle poche certezze che abbiamo.>>
<< Ma se non è fissa, come facciamo a sapere che è sempre la stessa?>>
<< All'atto pratico non possiamo saperlo, ma ci sono delle costanti, dei disegni, che si ripetono, passaggi che, gente come il Capo Manchester che lavora da una vita in questo settore, ha visto avvenire lentamente, evoluzioni basate sulla sconfitta di una tattica, su un arresto di massa. Non è la stessa di vent'anni fa, ma ne è sua diretta discendente. Vedila come un intera specie, una famiglia, che si evolve, che muta secondo le leggi della natura cercando di diventare l'esemplare meglio adattato e quindi più forte per il suo ambiente.>>
Simon sospirò. << Assassini e spacciatori… più che una specie in via d'evoluzione li vedrei meglio tutti come grossi topi di fogna, di quelli giganteschi che ti staccano una mano con un morso.>>
Alec si lasciò sfuggire un sorrisetto storto dei suoi. << I topi di fogna non ti possono staccare una mano, arrivano a mala pena a trenta grammi.>> disse sicuro.
L'altro alzò un spracciglio. << Amico, sei un poliziotto, hai visto dal vivo e non solo in tv come me, ciò che può esserci dentro una fognatura. Come puoi dire che arrivino massimo a trenta grammi? Sono giganteschi!>> gli fece notare scioccato.
<< Sì, ma non sono topi, non è il loro nome.>> continuò quello cocciuto.
<< Preferisci ratti?>>
<< I ratti vanno sino al mezzo chilo.>>
<< Pantegana?>> provò di nuovo Simon vagamente sorpreso dalla piega che stava prendendo quel discorso e dalla sicurezza di Alec che, sorridendo ancora – si stava divertendo, dannazione?- scosse ancora la testa.
<< Le pantegane sono sempre ratti, si chiamano Norvegicus e sono ancora più piccole dei ratti normali, fanno più impressione solo perché hanno un pelo scuro. Non sono gigantesche ed in grado di staccarti una mano, sono tipo chiwawa di dimensione, non hanno la bocca abbastanza larga ed i denti non- >>
<< Che vuol dire che sono come chiwawa? Questo vuol dire che sono davvero geneticamente modificate e che sono così grosse perché mangiano roba chimica che noi buttiamo!>> esplose allarmato Simon interrompendolo.
Ma Alec non sembrava per nulla toccato dalla cosa. Annuì brevemente concorde solo in parte con quel discorso sconclusionato. << Sicuramente l'alimentazione falsata per colpa dei rifiuti umani non aiuta a mantenere una buona forma fisica, i grassi gravano anche su di loro. Ma no, quelle non sono pantegane, i roditori giganteschi di cui parli tu sono le nutrie e possono arrivare anche a - >>
<< Non lo voglio sapere!>> Simon alzò le mani davanti alla faccia e poi guardò male l'amico. << Non voglio saperlo National Gerographic, grazie. Dio santo… ma Izzy l'ha presa da te la passione per le cose strane? Ma poi, non ti piacevano solo gli insetti?>> chiese allarmato.
Alec si strinse nelle spalle. << Tutti gli animali sono interessanti e fare questo lavoro ti porta a dover sapere tante curiosità che poi ti saranno utili per risolvere casi particolari.>>
Stettero un attimo in silenzio, il tempo che servì a Simon per cercare di elaborare quella sfilza di nome e pesi che il moro gli aveva appena elencato a memoria e proprio quando credette di poter tornare a parlare del caso, osservandolo di sottecchi, appena lo vide distratto, Alec se ne uscì a tradimento.
<< Le nutrie vanno dai dieci kg sino ai diciassette nei maschi adulti, sono tipo piccoli castori, lunghi una quarantina di centimetri. Loro hanno dei denti abbastanza grandi per staccarti un paio di dita, e poi hanno le zampe palmate, nuotano velocissimi e ti attaccano anche sott'acqua se credono che tu possa essere una minaccia. >> disse in fretta prendendo poi un foglio per cominciare a lavorare.
Simon lo fissò allucinato, battendo le palpebre, preso in contropiede.
<< Ti avevo detto che non lo volevo sapere!>>
<< Era solo un'informazione, magari dobbiamo entrare nelle fognature e così hai un minimo di nozioni utili per riconoscerle.>> fece l'altro calmo.
<< E no cavolo! Non ci torniamo proprio ora che mi hai fatto venire l'ansia! Diamine Aleeeec!>> piagnucolò il ragazzo. << Adesso oltre all'apocalisse zombie mi devo preparare anche all'attacco delle pantegane geneticamente modificate.>>
<< Nutrie, sono nutrie Simon, chiamale con il loro nome per favore.>>
<< Oh, mi scusi signore, può ripetermi il nome scientifico corretto? Credo di non averlo colto.>> disse ironico, perdendo il sorriso non appena Alec gli rispose con un distrattoMyocastoro Coypus”.
Il giovane agente batté le palpebre e poi scosse il capo. << No, basta, io ci rinuncio. Che ci fai qui al dipartimento? Dovresti andare con Bear Grylls a cercare animali pericolosi per il mondo o ad un convegno di Biologia circondato da altri nerd del settore. Perché non molli tutto e vai all'università?>>
Alec sbuffò. << Cosa c'è? Li chiami nerd solo perché sono più intelligenti di te e per una volta puoi disprezzare qualcuno perché studia più di quanto non abbia fatto tu? >>
<< Li chiamo “nerd” perché è quello che sono. La definizione della parola indica una persona completamente patita ed informata sull'argomento, tecnicamente.>>
<< Ma davvero?>> disse l'altro continuando a sfogliare documenti vari. Stava già cominciando a perdere interesse per la discussione e a concentrarsi sul lavoro.
<< Certo. Io per esempio sono un nerd dei pc, degli zombie, dei videogiochi. Ma si potrebbe dire anche che sono un nerd di “Clary” perché so tutto su di lei meglio di sua madre.>>
<< Questo è inquietante Lewis, sappilo.>>
<< Ma rende l'idea!>>
<< Quindi io sarei un nerd dei rompipalle.>>
<< Visto che sei cresciuto con Jace e Izzy… >>
<< E poi con te e Fray, certo. Ma ciò implicherebbe anche che sono un nerd dei salvataggi, delle parate di spalle, dei protettori e degli stupidi. Oh, e sono anche un nerd degli egocentrici vanesi narcisisti.>>
<< Stai parlando solo dei tuoi fratelli o c'hai messo in mezzo anche Magnus?>> chiese cauto.
<< Sono anche un nerd della pazienza, uno dei gatti e persino degli psicolabili, magnifico, lo scriverò sul curriculum.>> continuò però lui imperterrito senza dar ad intendere che lo avesse sentito.
Simon espirò scontento e si mordicchiò qualche pellicina sul labbro, poi prese coraggio e chiese:
<< Ma Magnus ci lavorerà con noi su questo caso o l'hanno buttato definitivamente fuori?>>
Nei minuti di silenzio che seguirono Simon ebbe il tempo di immaginare tutte le rispostacce e le brutte notizie che Alec avrebbe potuto dargli, ebbe persino il tempo di rimpiangere tutte le volte in cui lui stesso aveva creato suspance attendendo per dire le cose, tipo quando dovette dire ad Alec che Magnus non era davvero ferito ma lo avevano solo preso di striscio. Ecco, forse quello era il karma che lo ripagava con la sua stessa moneta.

 

Questo non è da contrappasso.

 

<< Dovranno passare sul mio cadavere prima di poterlo buttare fuori così facilmente.>> soffiò poi via il tenente. << Quel deficiente deve aiutarci a capire tutti i simboli sul dannato quaderno di suo padre, non può farsi espellere in questo modo, non per una cavolata del genere.>>
Simon annuì mesto. << Non hai parlato più con lui, vero?>>
<< No. Ma non sarò io a farlo per primo questa volta. Ha sbagliato, lo avete fatto entrambi, mischiando vita privata e professionale. Quando entrate in questo edificio, fin da quando varcate il cancello a dir il vero, e tu ed io, nello specifico, ogni volta che scatta il nostro turno o che è necessario il nostro intervento in qualunque modo, entriamo in servizio e dobbiamo lasciare tutti i nostri problemi fuori. >> smise di guardare i fogli ed alzò la testa verso l'amico, che si ritrovò inchiodato da quegli occhi blu così dannatamente intensi da fargli domandare come delle semplici iridi potessero trasmettere tutta quella fermezza e tutta quella forza.
Stupidamente, ma senza poterne fare a meno, richiamava alla mente quello stesso paia d'occhi, solo da una vita fa, quando a coprirli c'erano ciocche scure e lunghe, scompigliate e perennemente in mezzo; quando sotto le rime inferiori folte di ciglia fini e nere, vi erano profonde e violacee occhiaie che in contrasto con la pelle bianca e cadaverica del loro proprietario parevano scavate nella carne, lo facevano sembrare uno zombie.
Erano occhi attenti, scattanti, sempre sul chi va là, pronti a scorgere e affrontare una minaccia, che costantemente correvano a scrutare ciò che si lasciava alle spalle. Erano gli occhi insicuri e spaventati di qualcuno che non sapeva come affrontare la vita, che la temeva perché non era come quella che tutti vivevano, che tutti conoscevano, come la società gliela mostrava. Degli occhi blu come il vetro decorato, ma come quello fragile e forse già crepato. Simon si domandava se quelle crepe, quei profondi solchi che Alec aveva portato sulla pelle, cercando di nasconderli dietro a maglioni informi, un carattere schivo e scorbutico, dietro silenzi infastiditi e lunghe ore in cui usciva di casa e si allontanava da tutti, fossero stati colmati o fossero ancora lì.
Forse la risposta era scontata, dopotutto l'unico modo per aggiustare il vetro, per farlo in modo definitivo, era colarvi dentro altro vetro fuso e saldare le due metà assieme. La colla non sarebbe durata per sempre, avrebbe solo messo un tappo momentaneo, poi la pioggia ed il tempo, i sentimenti e la vita, l'avrebbero consumata e sciolta.
Osservò le spalle ampie e dritte, il capo eretto e quei capelli che malgrado cadessero ancora davanti al suo volto lo facevano in modo casuale, per venir rispinti subito indietro e non per nascondere qualcosa che gli altri non dovevano assolutamente scorgere. Lo guardò con attenzione e si disse che sì, probabilmente Alec era riuscito a colare vetro fuso in ogni sua crepa, le cicatrici rimarginate all'esterno erano specchio di ciò che si era rimarginato all'interno, ma saldare dei cocci rotti non avrebbe mai nascosto il fatto che una volta quelli erano stati tali: solo frammenti distaccati tra loro, che avevano perso schegge importanti che avrebbero riempito ogni vuoto e riportato la superficie all'originaria bellezza.
Guarire significava solo rendere ancora più visibili le vecchie ferite, ora cicatrici che spiccavano su una tela disegnata ad arte.
<< Mi dispiace… non volevo farti- farti star male.>> bisbigliò piano.
Alec scosse la testa. << Non me ne hai fatto.>>
<< Oh, non mentirmi! Okay, non sono bravo come te a capire la gente, ma ho una migliore amica donna ed una sorella, l'ho visto quello sguardo, è stato solo un attimo ma ha fatto tanto male a te quanto lo ha fatto a me.>> sbottò poi abbandonando i toni bassi.
<< Questo non è né il luogo né il momento per discuterne ancora Simon, lascia perdere, non è stato nulla.>> provò ad insistere quello, ma l'altro lo ignorò.
<< No invece! Alec se non ammetti queste cose, se non lo ammetti con me che sono tuo amico poi, con chi lo farai?>> chiese cercando il suo sguardo, quello che prima gli era parso tanto forte e in cui ora rivedeva l'ombra di quello vecchio.
Un attimo, solo un attimo, come sempre. Poi scompariva e tornava il duro Tenente Lightwood, quello coraggioso e pronto a tutto.
<< Simon, sto bene, non ne parlo perché non ne ho bisogno. Siamo una squadra appena formata e anche se siamo amici, anzi, soprattutto per questo era ovvio che prima o poi avremmo discusso per qualcosa, va bene? È logico, lo fanno tutti. Specie se ci sono delle personalità forti ed esuberanti come la tua o quella di Magnus.>> spiegò senza perdere quel classico timbro calmo che lo contraddistingueva.
<< Io ho una personalità forte ed esuberante? Alec ma ti senti? E tu come l'hai?>>
<< Calma e riflessiva. Annoiata spesso e disinteressata quasi sempre. Ti fa strano che qualcuno ti definisca “forte”? Mi pare che tu abbia affrontato egregiamente diverse situazioni difficili.>>
<< Assolutamente no. Quando abbiamo riesumato papà ho singhiozzato come un bambino, avrei avuto davvero bisogno di- che tu fossi li con me… non sapevo come aiutare Backy, anche se c'erano Clary e Luke, e Jace e Jocelyn. Rebecca ha fatto forza a mamma e io non sapevo che- >>
<< Mi dispiace.>>
Quella sola parola ebbe la forza di bloccare il suo sproloqui e costrinse Simon a battere le palpebre, come se non avesse capito cosa avesse detto l'amico.
<< Cosa?>>
<< Mi dispiace. Non so cosa tu abbia provato in quel momento, ma come amico, come responsabile del Caso che aveva portato alla riesumazione, avrei dovuto essere lì con voi. Non ti ho mai chiesto scusa per questo.>>
Simon continuò a sbattere le palpebre incredulo.
<< Jonathan aveva ragione.>> soffiò. << Ha detto che gli hai chiesto scusa per aver ucciso suo padre, che te ne sei preso la colpa anche se era l'unica cosa da fare per un mostro come lui… ora ti prendi anche questa di colpa? Di non essere stato lì? Eri in un letto d'ospedale a combattere contro il tuo stesso corpo… tu hai davvero un'idea falsata delle tue responsabilità.>> continuò concitato, quasi isterico, finché Alec non si sporse per mettergli una mano sul polso e bloccarlo.
<< Sono tuo amico, mi spiace di non essere stato lì. Tutto qui. Per quanto riguarda Morgerstern, ho pur sempre ucciso suo padre. Quando si toglie la vita a qualcuno, anche se è un qualcuno che se lo meritava, si dovrebbe sempre chiedere scusa.>> strinse leggermente la presa e poi la lasciò, abbozzando un sorriso storto ed incerto. << Come siamo arrivati a parlare di questo? Non discutevamo di topi e nutrie?>>
Simon deglutì a disagio ma annuì. << Di cretini a dirla tutta. Ti ho chiesto se Magnus sarebbe stato buttato fuori e tu- >>
<< Non succederà finché ci sarò io, non per una cavolata del genere.>>
<< E non dobbiamo mischiare vita privata e lavoro.>>
<< Mai, è uno degli sbagli più grandi che si possano fare. Niente sentimenti sul posto di lavoro, solo logica e deduzione.>>
<< Ma non lo chiamiamo? Magnus intendo?>> chiese Simon mordicchiandosi le unghie.
Alec si allungò una seconda volta per strappargli la mano di bocca e scoccargli uno sguardo ammonitore. << No. Quando si sarà calmato e avrà capito la portata della cavolata che ha fatto, quando si sentirà pronto per venire qui a chiederci scusa, o quando Catarina lo avrà preso abbastanza a calci, allora sarà reintegrato in questo caso.>>
<< Ma deve chiederci scusa.>> precisò il ragazzo.
<< Quello è d'obbligo.>> poi si ricompose. << Ora vogliamo tornare al Caso e smetterla di parlare di cose di cui non dovremmo parlare?>>
<< Hai cominciato tu con i topi.>>
<< Non ti ci azzardare Lewis, non è solo colpa mia. Io rispondo alle domande che mi fai.>>
<< Se ci fosse stato Magnus mi avrebbe fatto qualche battuta del tipo “topi come te Lewis, come fa Fiorellino a saperne di più sulla tua stessa razza?”.>> disse scimmiottando la voce dell'asiatico e strappando un sorrisetto ad Alec.
<< E avrebbe accusato me di traumatizzargli il “bambino”.>> annuì concorde.
<< Rimani comunque tu il mio papà preferito, che dicesse quello che vuole.>> disse in fine Simon alzando le mani in segno di resa.
Alexander lo guardò per un attimo e poi sorrise un po' di più.
<< Vorrei ben sperare.>>

 

 

 

Erano quasi cinque ore che stavano chiusi lì dentro ad esaminare fascicoli, dividere informazioni e confrontarne altre con quelle digitalizzare negli ultimi anni.
Avere un tecnico informatico tra le proprie fila era sempre una cosa utile, Alec aveva perso il conto di quante volte, negli anni passati, era dovuto scendere nei laboratori per chiedere questo o quello. Da quello stesso seminterrato però gli era arrivata anche, finalmente, la conferma che quello era il corpo di Trevor Potter, come se poi a loro servisse veramente. Era ugualmente una cosa in più, una cosa certa, da aggiungere alla lista. Sì, perché di certezze in quel caso ne avevano davvero poche, non materiali almeno.
Alec si era reso conto di come la maggior parte delle informazioni e delle supposizioni fossero del tutto astratte e che non trovassero nessuna applicazione pratica: era un castello di carte ben costruito, ben congegnato, fatto in modo e maniera che se qualche piano fosse caduto ce ne sarebbero stati altri a sostenerlo. Un sistema che mutava sé stesso in base all'evoluzione dell'ambiente circostante. Ma in quel momento il detective trovò azzeccate ed utili le sue conoscenze sul mondo naturale e animale, poiché ciò a cui si stavano approcciando era un gigantesco formicaio, formato da classi ben delineate e altre appena abbozzate e pronte a cambiare all'evenienza. Alexander odiava gli animali sociali, erano quelli più difficili da debellare e l'uomo ne era un esempio perfetto.
Simon, seduto davanti al suo pc, con una tazza di caffè fumante davanti al naso ed una busta di patatine di fianco, pareva ipnotizzato dalle lunghe stringhe che si rincorrevano sullo schermo. Aveva appena allungato una mano per ficcarsi una manciata di patatine in bocca quando il suo telefono vibrò brevemente. Non lo guardò neanche, si leccò le dita e lo afferrò alla cieca, sbloccandolo con l'impronta digitale e portandolo all'orecchio.
<< Se?>> biascicò masticando e facendo facce strane nel tentativo di togliersi un po' di poltiglia dai denti.
Malgrado si stesse occupando di altro Alec colse perfettamente il sussulto del compagno.
Lo vide alzare gli occhi dallo schermo e drizzare la schiena, rimettendosi seduto bene dalla sua posizione scivolata sulla sedia girevole.
<< Ehi.>> continuò quello deglutendo. << No, sono ancora in ufficio.>> attese una risposta e intanto cercò il suo sguardo. Non gli servì il sillabare muto del nome del suo interlocutore, Alec aveva già capito da sé che era Magnus.
<< Stiamo lavorando ad un Caso un po' particolare… sì, sempre quello della fogna ma si è, come dire, evoluto?>> chiese ad Alec guardandolo dubbioso. Il moro annuì e gli fece cenno di continuare a parlare con tranquillità, lui si sarebbe rimesso a lavorare nel frattempo.
Simon si spinse indietro con la sedia, girando sino a dare le spalle ad Alec e ritrovarsi davanti alle finestre della stanza: poteva vedere la strada circostante per un breve tratto, i palazzi illuminati gli coprivano la maggior parte della visuale ma a lui non interessava davvero, gli serviva solo una distrazione, qualcosa su cui concentrarsi senza vederla davvero.
Diamine, di solito litigava così male solo con Clary e l'ultima volta che l'aveva fatto erano dovuti intervenire Jace e Jonathan per farli riavvicinare, con l'albino sorprendentemente dalla sua parte che aveva preso di peso la sorella e l'aveva costretta chiarirsi con lui.
Sospirò. << Diciamo che si è ampliato. Abbiamo scoperto cose che non ci aspettavamo.>>
Dall'altra parte Magnus eruppe in un verso sorpreso, un po' troppo teatrale, come se stesse cercando di fingere che non fosse successo nulla.
<< Vi lascio per un giorno e scoprite cose assurde su un caso banale come quello?>>
<< Non è banale.>> lo contraddisse mordicchiandosi un labbro un po' in ansia, voltò la testa per cercare lo sguardo di Alec e chiedergli silenziosamente se poteva dirgli qualcosa. Il moro se ne accorse un po' dopo e annuì solo, stringendosi nelle spalle come a volergli dire che tanto, prima o poi, ne sarebbe venuto ugualmente a conoscenza. Simon annuì a sua volta. << Pare che la vittima fosse Trevor Potter. O meglio, non pare, è proprio così.>>
<< E questo nome dovrebbe essermi familiare perché?>>
<< Perché è il tipo che ti ha sparato a Luglio, Magnus.>>
Il silenzio che seguì quell'affermazione ebbe il suono del cigolio ininterrotto della chiamata, poi un sospiro.
<< Quindi ho fatto bene ad andarmene? Non mi avreste comunque voluto su questo caso.>> constatò l'uomo amaramente.
Quel “ ho fatto bene ad andarmene” pareva quasi definitivo, non gli piacque per niente.
Simon scosse la testa, poi si ricordò che l'altro non poteva vederlo e si affrettò a parlare. << No, non riguarda te, ormai è morto non c'è un conflitto d'interesse- >>
<< Sì che c'è, ma non è il nostro caso visto che non indagheremo proprio su di lui ma su altro. Se stessimo seguendo solo il caso Potter di per sé, quello riguardante la sua morte, Magnus non avrebbe potuto partecipare.>> lo informò secco Alec.
Il ragazzo deglutì. << Lo hai sentito?>>
<< Sì, l'ho sentito. Quindi non state indagando sulla sua morte?>> la sua voce si abbassò un po' arrivando strascicata alle orecchie del giovane.
<< No, sappiamo com'è morto, cos'è successo e chi è stato.>>
<< Scommetto il tuo ex capo.>> disse sicuro Magnus, una nota stizzita nella voce.

 

Neanche a me piace bello, non rompere le scatole.
 

Simon si passò una mano tra i capelli e poi prese un respiro profondo ed espirò. << Sì. Comunque non posso darti troppe informazioni se non rientri in servizio.>>
Cercò di essere più spontaneo possibile, di fargli capire che stava cercando di tendergli un ramo d'ulivo, fargli capire che lo rivolevano lì con loro.
Non era bravo in queste cose, ma Magnus tentennò dell'altro lato e gli parve quasi di sentire un fruscio. Che stesse annuendo anche lui?
<< Bene, allora mi toccherà tornare… Tu sei- uhg, sei impegnato? Per stasera intendo, sei libero o hai impegni?>> provò con voce incerta.
Magnus incerto?
<< Sì. Cioè, no. Oddio, sì perché non ho impegni, quindi no, non li ho. No, ecco, sono libero, perché?>> balbettò impappinandosi sulle sue stesse parole.
Dall'altra parte Magnus si morse la lingua cercando di ricacciare indietro l'orgoglio.
<< Okay, capito… >> non provò neanche a prenderlo in giro, neanche se ne era accorto. Si sentiva come un ragazzino che deve far pace con l'amichetto, no neanche: come quando si doveva far pace da adolescenti… Dio che schifo… << Allora… allora vieni da me, stasera? Sto al Pandemonium, sai, devo gestire il mio locale ogni tanto se no penseranno che sono morto.>> si lasciò sfuggire una risatina un po' tirata e Simon, che avvertiva il suo stesso disagio, replicò senza gioia.
<< Certo. Cioè, okay. Verrò volentieri. Tanto tra un po' stacco, passo prima a mangiare un boccone e poi vengo da te. Allora… a dopo?>> chiese titubante.
<< Sì, sì, con calma, come vuoi. A dopo, Simon.>>
<< A dopo, ciao.>>
Il ragazzo riattaccò e si voltò verso Alec. Il moro non lo stava guardando, leggeva documenti, li cerchiava a matita e poi appuntava qualcosa su un semplice foglio a righe.
<< Mi ha chiesto di andar da lui.>> soffiò fuori il ragazzo.
Alec annuì. << L'ho sentito, sembravate due adolescenti innamorati che cercando di accordarsi per la prima uscita.>> rispose quello atono.
Simon arrossì e spalancò la bocca. << Non è vero! Non lo sembravamo era solo- >>
<< Strano?>> Chiese allora il detective alzando un sopracciglio ma non il volto, << Lo era, ma almeno ha avuto il coraggio e il buon senso di chiamarti per organizzare un incontro e chiarire la cosa.>>
<< Dici che è per quello?>> borbottò poco convinto.
<< Non fare il ragazzino, certo che è per quello. Sembrava una discussione tra persone normali e non una telefonata tra logorroici incalliti, ti ha anche chiamato per nome, non ha organizzato un incontro all'ultimo sangue per decidere chi dei due ha ragione. Ha parlato con Catarina.>> continuò Alec sicuro.
<< Come puoi dirlo? Insomma, io speravo che ci fosse arrivato da solo, non che lo avessero spinto a farlo… magari è così.>>
<< Ha parlato ieri con Raphael e oggi con Catarina.>> ripeté l'altro. << Santiago mi ha chiamato per chiedermi se dovesse mandarmi suo fratello per discutere dell'accordo lavorativo e Catarina mi ha mandato un messaggio qualche ora fa dicendomi che il suo amico è un coglione ma che lo avrebbe fatto ragionare come si deve.>> Alzò finalmente la testa e lo guardò dritto negli occhi.

 

Dannati fari blu, ti scrutano l'anima e non gli puoi mentire, non gli puoi dire di no.

 

<< Se lo dici tu… >> tentennò comunque.
<< È così. Preparati e vai a casa, chiudo io qui. Goditi la serata e cerca di non peggiorare la situazione. Sei autorizzato a picchiarlo sia da me che da Raphael e Catarina.>>
Detto ciò abbassò la testa e tornò a lavorare, come se nulla forse.
Simon rimase per un po' a fissarlo, indeciso se seguire quel palese ordine o dirgli di no, che non poteva lasciarlo solo a mettere in ordine quella roba, perché sapeva perfettamente che sarebbe rimasto a lavorare fino a tardi e che probabilmente la mattina dopo lo avrebbe ritrovato nella stessa posizione.
Eppure voleva anche alzarsi e andare al più presto a chiarire quella faccenda. Se ci fosse riuscito per bene il giorno dopo, a sgridare Alec per non essere tornato a casa e a prenderlo in giro perché portava sempre lo stesso completo e quindi non si notava se si fosse cambiato o meno, sarebbero stati in due e questo, ad onor del vero, era qualcosa a cui teneva molto.
Nella sua onorevole vita da venticinquenne Simon aveva fatto parte di molti gruppi e in fondo di nessuno. Aveva la sua famiglia che si era sgretolata e poi ricomposta con membri diversi ed eclettici. Aveva incontrato i suoi amici, la sua vecchia band del liceo, Jordan e Maia; aveva fatto amicizia con Izzy e con Jace persino, poi con Alec e i suoi di strani e assurdi amici, ma non si era mai sentito parte integrante di qualcosa di più grande finché non era entrato al Dipartimento come un tempo aveva fatto suo padre. Quell'ultimo anno però gli aveva fatto capire che anche nel laboratorio informatico era parte di tutto e di niente. Certo: gli mancavano i suoi colleghi, le sessioni di ricerca lunghe giorni e il battere incessante delle dita sui tasti di plastica, ma anche lì non avevano un solo scopo, una sola missione, erano all'ordine di troppe cose tutte assieme e spesso tutte diverse.
Lavorare con Alec per un singolo caso, concentrarsi su quello e null'altro lo aveva fatto sentire come un ingranaggio utile ed essenziale, qualcosa che non poteva essere sostituito da uno dei suoi colleghi: era lui, solo lui e i suoi amici gli si affidavano con cieca certezza.
Magnus era un altro ingranaggio, uno diverso da loro ed inserito quasi per caso all'interno della macchina che erano diventati lui ed Alec, ma che si era dimostrato sorprendentemente in perfetta armonia con loro, che aveva funzionato e funzionato anche bene. Erano solo due giorni che non lavoravano più assieme eppure già gli mancava.
Forse era perché aveva visto troppe figure della sua vita andarsene o presentarsi a lui senza essergli legati da quel sottile filo che è il sangue. Forse era tutta colpa della mancanza di suo padre nella sua vita, Simon non lo sapeva ma sapeva invece che ogni volta che qualcuno se ne andava lui soffriva questa partenza più di quanto non facessero gli altri.
Quindi si alzò e sorrise apertamente ad Alec, che gli stava dando la possibilità di togliersi subito quel peso dalla coscienza e mettere in chiaro tutto con il loro amico.
Rimise le sue cose nello zaino e quando si avvicinò al compagno per salutarlo gli poggiò una mano sulla spalla.
Alec alzò la testa per regalargli uno di quei suoi piccoli e sorti sorrisi, condito con un “buona fortuna e divertiti” di rito, ma non ne ebbe il tempo perché Simon si abbassò e lo strinse in un abbraccio caldo e affettuoso.
<< Vado a mettere le cose a posto capo, domani ti riporterò anche quell'altro pazzo, te lo assicuro.>> Sorrise strizzando gli occhi e serrando la presa su quelle spalle da nuotatore.
Non si aspettava che Alec lo ricambiasse, sapeva che i suoi abbracci erano solo per le situazioni importanti, ma la mano che gli si poggiò sulla schiena e che poi risalì sino alla sua spalla per stringerla gli scaldò il petto come se lo avesse abbracciato a sua volta.
<< Non ne dubito Lewis. >> disse con voce bassa, << Ora fila a fare il tuo lavoro e lasciami fare il mio.>> terminò però con un tono più duro e perentorio.
Simon scattò sull'attenti e sorrise raggiante. << Sissignor Capitano!>>
<< Non ti dirò “non ti ho sentito bene”, quindi sparisci e porta quella stupida spugna lontana da me.>> con un verso stizzito Alec lo cacciò fuori dalla sala che ancora rideva.
Guardando quella porta richiudersi il giovane si sentì improvvisamente positivo e pieno di energie.

 

Andiamo a riprendere per le orecchie quel cretino!

 

 

Farsi una doccia, mangiare un boccone e poi andare al Pandemonium. Questo era il programma di Simon e arrivare a casa e trovare Jordan intento a preparare proprio la cena, con Maia seduta sul tavolo a leggere chissà cosa sul telefono, fu per lui un gran sollievo.
<< Vai a far pace con Bane?>> gli chiese il coinquilino.
La ragazza alzò un sopracciglio. << Perché avevate litigato?>> domandò curiosa.
Simon inclinò la testa cercando le parole giuste. << Diciamo che l'ho quasi beccato con una tipa e che lui ha cominciato a vantarsene… >>
<< Quando tutti sanno che sbava dietro ad Alexander per altro.>> precisò Kyle mettendo le verdure nei piatti. << Maia, scendi da lì e apparecchi? Io sto inpiattando e tu sei ancora lì a far nulla.>>
<< C'è Simon che apparecchia, vero?>> sbuffò la ragazza passandosi una mano tra i ricci folti e gonfi.
Il ragazzo ridacchiò e annuì. << Certo, ma cosa farete quando non sarò più qui? Toccherà a te apparecchiare se farai cucinare sempre Jordan, è questa la regola.>>
Maia si strinse nelle spalle. << Sono sempre stata una fan del “mangia direttamente dalla padella seduta sul divano”, lo convertirò.>> gli disse come se fosse un gran segreto facendolo ridere.
Kyle scosse la testa guardandola male. << Non ci provare, sai che ho dalla mai anni di lavoro con il Capo Garroway. Sono riuscito a far mangiare lui in modo decente, posso fare lo stesso con te.>>
Mentre i due continuavano a battibeccare Simon sorrise e prese il suo piatto, sedendosi dietro a Maia e godendosi quel piccolo show.
<< Comunque.>> disse poi la ragazza scendendo dal tavolo. << Se sbava dietro al Lightwood buono- >>
<< Ehi, non è che gli altri sono cattivi… >> protestò debolmente Lewis.
<< Come ti pare, lui è quello riuscito meglio, non come qui rompipalle dei fratelli. Ma se sbava dietro di lui, perché va con altre? E poi, Bane è bisessuale? Diamine, con un culo come quello di Alec io avrei rinunciato all'altro sesso!>> continuò sedendosi anche lei al suo posto.
Jordan la guardò accigliato. << Come scusa? Pensi che Alec abbia un bel sedere?>>
<< Perché? Tu no? Andiamo, è palese. Simon?>>
<< Concordo con Maia, scusa Kay. >>
Il ragazzo alzò le mani in segno di resa. << Basta, ci rinuncio, non vi voglio sentire. Diamine, ci sono stato in accademia con lui, è come se ci fossi andato a scuola insieme, non me le dite ste' cose.>> si lamentò poi.
<< Dovresti esserne ancora più cosciente invece! Lo avrai anche visto nudo.>>
<< Maia, sei la mia ragazza, pensiamo di andare ad abitare assieme e mi ti metti a parlare del sedere degli altri uomini chiedendomi anche come sono da nudi… >>
<< La mia è curiosità pura e semplice.>> si strinse nelle spalle con noncuranza. << Dopotutto Alec è un bel ragazzo. Peccato sia gay.>>
<< Maia...>> ripeté Jordan storcendo il naso, << Per favore, dai.>>
<< Come ti pare. Simon? Allora? Che combina Bane?>>
<< Il coglione. Perdonate il termine.>>
<< Sono un poliziotto, ho sentito di peggio… ma non mi pare strano che Bane faccia danni.>>
<< No.>> concordò Simon. << Oggi mi ha chiamato, finito qui vado da lui al Pandemonium e ci facciamo due chiacchiere.>>
<< Mh, come le bambine per bene.>> ridacchio Jordan beccandosi un pugno sulla spalla dal coinquilino. << Ehi! Non dico che sia un male. Ricordati che alla base di ogni buon rapporto c'è fiducia, fedeltà e sincerità. E sai che per qualunque cosa sono qui per aiutarti Sim, siamo amici.>>
Simon sorrise sinceramente al ragazzo e gli allungò una pacca sulla spalla.
<< Lo so, sei il mio Sponsor.>>
<< E non hai neanche dovuto sviluppare una qualche dipendenza e finire in riabilitazione.>> mugugnò Maia masticando tranquilla.
Il suo ragazzo alzò gli occhi al cielo. << Come sei drastica.>>
<< Però io ti ho conosciuto proprio così.>> sorrise Simon, << Nei gruppi d'ascolto.>>
Jordan si voltò verso di lui e annuì concorde, << Il caro vecchio Praetor Lupus.>>
<< Sì, bei tempi quelli… te li ricordi ancora Kyle?>>
<< Non siamo mica così vecchi, amico, non esagerare.>> il ragazzo rise e intimò all'altro di finire ciò che aveva nel piatto e sbrigarsi, o sarebbe arrivato al Pandemonium quando Bane sarebbe stato già bello che sbronzo.
Simon ingollò un bicchiere d'acqua e si alzò da tavola lasciando piatto e posate nel lavandino.
<< Poi li lavo io i piatti.>> provò a dire, ma Jordan scosse la testa e indicò la sua ragazza. << Tocca a Maia oggi.>>
<< Perché a me?>> domandò quella arricciando il naso e Simon li lasciò a battibeccare come facevano sempre, sicuro che dopo sarebbero stati entrambi lì, uno di fianco all'altra, con le mani nel lavandino zeppo di schiuma a parlare del più e del meno e schizzarsi a vicenda come due ragazzini.
Si infilò svelto in camera per darsi una sistemata e poi uscì con la stessa velocità, salutando gli altri a gran voce per superare le loro e ricevendo un “Fai attenzione e chiaritevi” da Kyle ed un “Divertiti e non far cazzate” da Maia.
Se non gli rispose “Sì, mamma, sì papà” fu solo ed unicamente perché sarebbero stati capaci di chiuderlo fuori casa per ripicca.

 

 

 

Il Pandemonium era gremito di gente come ogni sera da quando era stato aperto.
Quello era il locale che suo padre, anni ed anni fa, aveva regalato a sua madre, dicendole che era tutto per lei. All'epoca non erano ancora sposati e dietro a quel bancone era stata anche la madre di Malcom assieme a Malcom stesso, che prendeva i bicchieri vuoti e li lavava alla velocità della luce.
Ora c'erano affascinanti baristi vestiti di pelle e a torso nudo che servivano le bevande ed i cocktail, e seducenti bariste in gilet lucidi che facevano roteare bottiglie colorate sulle teste acconciate ad arte.
C'erano camerieri e cameriere più svestiti che altro, con pantaloni a vita bassa e gonnelline minuscole sopra i body viola e luccicanti in cui stringevano tutte le loro belle forme.
Magnus lo ammetteva senza problemi: per lavorare nel suo locale dovevi essere bello, fascinoso, sensuale e capace di gestire la gente che ti si avvicinava troppo.
Certo, i bodyguard alla porta e sparsi per ogni angolo strategico delle sale, nonché vicino al bancone, erano un buon deterrente per tutti coloro che credevano di poter tutto in quanto consumatori, ma lì non era il cliente ad aver sempre ragione, era solo lui.
Qualcuno lo chiamava “Boss”, ma a Magnus aveva sempre stonato, gli ricordava il modo in cui i tirapiedi di suo padre chiamavano l'uomo e la cosa, se da una parte gli faceva piacere perché lo faceva sentire al suo stesso livello, dall'altra lo infastidiva perché non voleva essere come lui, o meglio, non voleva i suoi stessi titoli. Magnus voleva essere di più, voleva superarlo, voleva essere chiamato come nessuno aveva mai fatto con suo padre.
Essere definito “Sommo Stregone” era stato uno dei suoi successi più grandi, anche perché, modestie a parte, era davvero in grado di procurarsi qualsiasi cosa volesse. Spesso era per vie traverse, no, non nel senso illegali, era ovvio che si procurasse tutte le sue merci sotto il naso della legge, ma con “vie traverse” intendeva che delegava ai suoi colleghi, ai suoi amici, ai suoi soci.
Era davvero da troppo tempo che non si occupava più personalmente di un ordine o di una spedizione, aveva chiesto al suo direttore di sala di occuparsene ma molto spesso chiedeva direttamente a Meliorn che, abituato alle commissioni assurde di Quinn, era in grado di sistemare tutto in pochissimo tempo.
Avrebbe dovuto fargli un regalo un giorno di quelli.
Adocchiò la finestra che dava sulla sala sottostante, dove centinaia di corpi si strusciavano gli uni contro gli altri al ritmo dei bassi potenti. Aveva fatto istallare le vetrate nel salotto dove riceveva i suoi ospiti, perché il suo ufficio era sacro e privato, solo per lui e nessun altro.
Si bloccò constatando che, a dirla tutta, Alexander c'era entrato subito in quel suo spazio personale, ce lo aveva portato lui stesso per ascoltare il messaggio di segreteria di Ragnor. Non lo aveva fatto passare per l'intermezzo della sala a vetri.
Poggiò il braccio contro il vetro e poi vi premette la fronte, avvertendo quel leggero fresco che gli diede un po' di sollievo. Che temperatura c'era nel locale? Forse avrebbe dovuto far abbassare l'aria o sarebbe scoppiato un incendio. Sperò che le ventole di raffreddamento della console e delle casse funzionassero a dovere.
Si perse con lo sguardo su quella marea di corpi in movimento, un'onda continua che saltava e si dimenava al tempo di musica, sino ad arrivare all'entrata principale dove entravano alla spicciolata poche persone, forse i clienti fedeli che non potevano esser lasciati fuori anche se si era arrivati al numero massimo di persone secondo i piani di sicurezza ed evacuazione. Mh, forse avrebbe dovuto aprire anche le altre sale, doveva parlare con Denzel e discuterne per bene.
Dalla porta nera a molla, su cui spiccavano dei grandi maniglioni antipanico, entrò poi una figura che pareva quasi fuori luogo.
Anche dalla sua posizione così lontana, Magnus poté vedere gli occhiali di Simon e distinguere una scritta bianca sulla t-shirt che si intravedeva sotto al giaccone aperto. Aveva rinunciato a sciarpa, cappello e guanti e l'uomo credette fermamente che dopotutto le sue continue lamentele su quanto quelli non fossero indumenti adatti ad una discoteca avessero fatto effetto. Un po', però, se ne dispiaceva quasi: Simon infagottato di tutto punto sembrava un bambino troppo cresciuto e Magnus, anche se non lo avrebbe mai ammesso, aveva sempre avuto un debole, un'inclinazione sarebbe stato meglio dire, per coloro che avevano bisogno del suo aiuto e che apparivano piccoli ed indifesi.
Deformazione professionale, sicuramente. E ancora più sicuramente derivante da Lily e da Catarina, che essendo più piccole di lui aveva sempre sentito il dovere di proteggere. Anche se poi Lily tirava fuori il suo bel coltellino a farfalla e ti apriva la pancia con un gesto solo al grido di “harakiri!”. Prima o poi avrebbe trovato al forza ed il coraggio di farle notare quanto fosse di cattivo gusto, ma quella ragazza era il cattivo gusto su due piedi quando si trattava di insultare, criticare e fare affermazioni scomode, quindi era una battagli persa in partenza.
Vide il buttafuori parlare accigliato con Simon ed indicargli proprio la vetrata. Quando il giovane alzò la testa gli fece cenno di salire da lui e si allontanò dalle finestrone.
Magnus si guardò attorno senza sapere cosa fare ed era così stupido visto che in vita sua aveva litigato con tantissime persone, con Raphael ci si era anche picchiato e quel nano messicano gli aveva rotto il naso con un pugno degno di un pugile. A ripensarci gli faceva ancora male.
Decise di sedersi su uno dei divani e aspettare che l'amico circumnavigasse tutta la folla e si arrampicasse fino a lì.

 

Quando la porta si aprì dopo un timido bussare Magnus si ritrovò a fissare Simon attraverso uno spiraglio socchiuso. Rimasero in stallo così a fissarsi, poi il giovane entrò e si richiuse la porta alle spalle.
<< Sei stupido, lo sai vero?>> chiese Simon a bruciapelo.
Magnus alzò un sopracciglio. << Quanto te?>>
<< Io sono solo un po' lento a capire le cose. Sei tu quello che fa le cazzate e poi si aspetta che gli altri applaudano.>>
Si guardarono ancora e poi l'uomo annuì sconfitto. << Questo è il momento in cui ti chiedo scusa, vero?>>
<< Questo è il momento in cui mi offri da bere, mi dici di mettermi comodo e ammetti di aver fatto schifo. Poi mi darai ragione e chiederai scusa.>> sorrise Simon avvicinandosi a lui e lasciandosi cadere sul divano.
Magnus alzò un sopracciglio. << Sei mi- >>
<< Non ci provare, Magnus. Sono un agente di polizia, non sono minorenne. Una vodka lemon, grazie.>>
L'asiatico sbuffò ma si alzò ugualmente per arrivare al ricevitore e ordinare i drink per entrambi.
<< Quindi… >> iniziò passando il peso da un piede all'altro. << Credo di aver esagerato, per come ti ho trattato.>> si fermò come se volesse sapere se stava andando bene e Simon annuì.
<< Sì, anche io ho esagerato. Ma mi è sembrato che tu stessi prendendo in giro Alec e non voglio che rimanga ferito ancora da qualcuno.>>
L'altro lo guardò curioso. << Ancora?>> chiese perplesso.
<< Non parleremo di Alec ora, ma di te che sei interessato a lui e nonostante questo ti fai altra gente.>> fece secco il castano.
<< Okay, ma ci torneremo. >> lo avvertì serio. << Ho esagerato, non ti dovevo urlare contro in quel modo e soprattutto non ti dovevo insultare.>>
<< Questa è tutta farina del tuo sacco o te lo ha detto Catarina?>>
<< Un po' mia un po' sua, lo confesso. Ma è vero. Ci credo seriamente. Ma capisci anche me, non credo che potremmo avere nessun tipo di rapporto- >>
<< Oh, non cominciare! Già ho Alec che dice che è difficile, non attaccare la stessa solfa. La verità è che dovreste parlarne con calma e capire cosa volete fare su questo fronte, perché che vi piacciate è ovvio.>>
<< Ma se non me lo fa mai capire!>>
<< Ma chi pensi di aver davanti? Alec non si butta a capofitto in una relazione, non flirta davanti a tutti e non ti ha complimenti su come sei bello oggi. Lo capisci che non è fatto per queste cose?>>
<< Dov'è il “non parliamo di Alec”?>>
<< Non ne sto parlando in quel senso. Magnus, ascoltami.>> fece il ragazzo sedendosi sul bordo del divano. << Alec non si imbarcherà mai in una storia che sente che potrebbe finire male, non lo farà se non vede interesse dall'altro lato- >>
<< Non vede interesse? Che diamine devo fare, scusa? Andare sotto casa sua a fargli una serenata? O appendere uno striscione melenso in cui gli dico che mi sono ancora l'unica notte di- >>
<< NO! No e non lo voglio sentire. È come se Backy venisse a raccontarmi delle sue avventure, non me lo dire dannazione!>>
<< È una cosa naturale perché ti fa così tanto effetto?>>
<< Tu non dirlo e basta, okay? E no, non devi dirgli che te lo sogni la notte. Penso che questo lo spaventerebbe un po'. Solo… perché non- sì, perché voi non… dannazione Mags, dovete mettervi a tavolo e conoscervi bene!>>
<< Ma lo conosco, diavolo! Insomma, so quanti tatuaggi ha, dove li ha, quando li ha fatto e perché anche! So persino perché il suo gatto si chiama Church! Che non gli piacciono i ghiaccioli agli agrumi, che detesta l'ananas e il mandarino soprattutto. Che si finisce sempre il cioccolato a gelato ma che se ha davanti un dolce composto se lo mangia tutto perché va mangiato così. Mi ha minacciato di spalmarmi la bavarese caffè e cioccolato in faccia se non me la fossi manata come si deve! E mette una quantità vergognosa di zucchero nelle bevande, ma poi se gliele dai amare se le beve comunque.>> cominciò a ruota libera l'uomo. Poi qualcuno bussò alla porta ed una bella cameriera con i capelli rossi ancheggiò sino a loro per portargli due grandi bicchieri decorati con scorse di limone.
Attesero in silenzio che la donna se ne andasse, anche se Magnus non si risparmiò i suoi soliti sorrisi e sguardi ammirati.
Quando la porta si richiuse aveva perso quella verve che lo aveva animato fino a quel momento.
Simon sospirò. << Sai cose che si imparano vivendo nello stesso ambiente, ma se ti chiedessi qualcosa di più personale?>>
<< Tipo la sua famiglia?>>
<< Tipo i suoi amici Mags, me ne sapresti nominare due?>>
Magnus batté le palpebre. << Perché? Alexander ha degli amici?>> chiese genuinamente colpito.
Simon alzò gli occhi al cielo. << Sì, gente che lo andava a trovare in ospedale ai normali orari di visita e che tu probabilmente non hai mai incrociato.>>
<< Allora come posso conoscerli?>>
<< Lui conosce i tuoi.>>
<< Ma io dei miei gliene ho parlato e glieli ho presentati, lui non lo ha fatto.>> gli fece notare piccato.
<< Magari perché in quel momento lui era il detective Lightwood e non aveva alcun motivo di presentarti i suoi amici?>>
Magnus rimase fermo a fissare l'altro, il bicchiere appena preso in mano era un freddo pungente ma che non lo toccava.
Deglutì. << Mi stai dicendo che non lo conosco. Che non posso interessarmi a lui finché non saprò chi è?>>
L'altro scosse ancora il capo. << No, certo che no. Succede a tutti di prendersi una sbandata per qualcuno che si conosce a mala pena, dico solo che… tu hai conosciuto Alec in un ambiente e uno soltanto, il suo, sì, ma lavorativo. Già vederlo a Natale dovrebbe averti fatto capire quanto possa cambiare da situazione a situazione.>>
<< Sì… era molto più tranquillo, quasi timido alle volte, spaesato quando giocava a carte e poi bam!, tornava ad essere l'Alexander perentorio che conosco i… o.>> la frase sfumò alla fine assieme alla realizzazione del concetto.
Magnus aveva conosciuto il detective e poi il fratello e amico protettivo, ma non sapeva nulla di come fosse Alec con i suoi amici, lontano da un luogo in cui doveva essere il più grande ed il più responsabile, in cui non doveva difendere tutti e prendere decisioni difficili ed immediate.
Prese un sorso del cocktale e lanciò uno sguardo di sbieco a Simon. Sentiva la matita sciogliersi con il calore della stanza.
<< Cosa consigli di fare, tu che lo conosci bene?>>
Simon gli sorrise felice di quella domanda. << Par- >>
<< Ah no! No! Non mi dire ancora “dovete parlare”.>> disse scimmiottando la sua voce con un ché di isterico. << Perché è la volta buona che ti picchio e sono cresciuto in mezzo a gente che sapeva fare a pugni!>> lo minacciò.
Simon sbuffò un verso sprezzante. << Sono sopravvissuto a Jonathan e poi ai Jace, ormai sono immortale.>> disse serio, poi bevve anche lui qualche sorso del drink, strizzando gli occhi al sapore forte della bevanda. << Ho detto vodka lemon, non vodka pura con decorazioni al limone!>> lo guardò male e Magnus si strinse nelle spalle.
<< La prova che sei ancora piccolo per queste cose.>>
<< Lo sono per gli alcolici ma non per darti consigli sentimentali? Diamine Bane, stai messo male.>>
Magnus grugnì. << Taci e dimmi che devo fare.>>
Il ragazzo sorrise e mandò giù un altro sorso. << Sii te stesso, interessati di più a lui- NO! Lo so che già lo fai, non intendevo quello. Dicevo, interessati di più alla sua vita, a lui-lui. >> Il suo sorriso si ampliò. << E chiedigli scusa per l'uscita sullo “sbirro”, ci rimane male quando la gente lo insulta con il suo stesso lavoro.>>
Magnus mugugnò qualcosa che pareva molto un verso insofferente ma alla fine annuì lasciandosi cadere sul divano e chiudendo gli occhi. Ne aprì solo uno e fissò male Simon.
<< Sto perdendo colpi. Prima Raphael e poi te… adesso mi ci manca solo Lily e poi ho fatto la scorta di gente completamente inadatta a dar consigli sentimentali che mi da comunque consigli sentimentali.>>
<< E che ci azzecca.>>
<< Questo è da vedere, non montarti troppo la test, Sonny.>>
<< Uh, mi hai chiamato con un nomignolo, allora mi vuoi di nuovo bene!>> il sorriso ampio del ragazzo contagiò anche l'altro che sbuffò ma sorrise a sua volta.
<< Assolutamente no, Steve, faccio solo il mio lavoro da genitore.>>
<< Preferisco Alec.>>
<< Non ti chiederò scusa dopo questa.>>
<< Oh, invece lo farai. Ora con me e domandi con Alec altrimenti te lo scordi il Caso Potter.>>
Un altro verso infastidito, poi Magnus decise di porre la fatidica domanda.
<< Solo una cosa .>>
<< Dimmi.>> fece pronto l'altro.
Magnus si tirò a sedere e lo fissò serio negli occhi:
<< Quanto stai rompendo il cazzo, ad Alexander, con continue citazioni random non richieste?>>
Il sorriso allegro di Simon si tinse di un certo velo di divertimento che lo vece sembrare ancora di più un ragazzino fiero della sua bravata.
<< All'incirca 9 e ¾!>>

 

 

 

 

 

 

 

La vecchia casa non era cambiata minimamente dall'ultima volta in cui era stata lasciata. Il pesante portone si frapponeva ancora tra l'esterno, dove vi erano il patio ampio ed i gradini decorati, e l'anticamera temperata in cui gli ospiti avevano sostato sorseggiando aperitivi in tranquillità.
Il pavimento di marmo brillava come se fosse appena stato levigato, dimentico di tutti gli anni e le persone che lo avevano calpestato, dei tacchi e delle ruote, dei pacchi, dei giocattoli e delle mani piccole e perennemente sporche di quei bambini che vi avevano gattonato sopra, che erano caduti e si erano rimessi in piedi.
La scalinata larga si apriva luminosa nel suo corrimano dorato, sotto di lei l'ingresso arioso e sopra un parapetto di in ferro battuto lasciava intravedere i corridoi e le porte del secondo piano, ancora più su quelle del terzo.
La struttura ne ospitava ben cinque di piani, compresi di mansarda, ma volendo si sarebbe potuti scendere per altri due sottolivelli. Il terreno su cui era stata edificata si trovava in una zona di lusso del quartiere e nessuno aveva mai osato metter piede neanche nel giardino della villetta.
A vederla da fuori, con i suoi muri color crema ed il tetto rossiccio dava l'impressione del vero sogno americano, peccato che nessuna bandiera sventolasse attaccata alla sua asta.
Il muro alto che la costeggiava era doppio, fatto di muratura spessa fuori e di arbusti sagomati dentro, ed il nero cancello grezzo pareva l'unica via d'ingresso a quel mondo.
Se lo era lasciato alle spalle così come il vialetto lastricato e le piante curate, così come i gradini, il patio e l'anticamera. Aveva salito con lentezza quelle scale che un tempo aveva percorso velocemente, marciando verso qualcuno che la chiamava o incorrendo qualcuno che le scappava. Aveva tenuto praticamente tutti i bambini che avevano varcato la soglia di quella dimora, stretti in braccio per non fari inciampare sui gradini, verso la scalata ad un piano superiore, ad una camera dei giochi, alla sala cinema, ad un salottino o alla stanza dove i più grandi si riunivano per studiare.
Sfiorando con le dita il corrimano freddo aveva salito ancora quella rampa, camminando ad agio sulla pietra chiara per poi arrivare sui tappeti lunghi e morbidi che coprivano il pavimento del secondo piano.
Gettando un'occhiata per quegli ambienti ora tanto bui e silenziosi ricordò un tempo in cui erano stati animati da ogni genere di personaggi.
Fu un flash quello che le passò davanti, un ragazzino di circa quindici anni che rincorreva un bimbetto urlante di appena due, gridando a gran voce che non se lo sarebbe perso.

 

<< Sì Miss! Lo riprendo subito, Miss! Non lo faccio scappare!.>>

 

Alle sue spalle, che salivano anche loro le scale con fare un po' circospetto e titubante, due giovani che invece di anni dovevano averne come minimo venticinque e che si guardavano attorno come se non sarebbero dovuti essere lì. Il bambino di due anni li individuò subito e sorrise allungando le braccette cicciottelle verso il primo della piccola fila.

 

<< Fuke!>>
<< Mi spiace signorino, è Fluke!>>


Gli pareva di sentirla ancora quella risata, peccato che ormai invece fossero passati anni. Così come gli pareva ancora di vedere l'altro giovane avvicinarlesi e chiederle cosa dovevano fare, che erano stati indirizzati da lei per aver istruzioni.
Se non ricordava male dovevano organizzare una festa di compleanno… già, così tanto tempo fa.
Sorrise malinconica e svoltò a sinistra per poter salire anche l'altra scalinata che l'avrebbe portata al terzo piano, per raggiungere il grande bagno che, ne era sicura, avrebbe trovato ancora tutto funzionante e perfettamente lucidato.
La malinconia lasciò il posto alla soddisfazione quando vide le sue convinzioni realizzarsi: l'ambiente era ancora perfettamente curato, proprio come lo ricordava. Persino la vasca idromassaggio, un diamante di quasi tre metri, era al suo posto, scintillante e pronta all'uso.
Si poggiò le mani sui fianchi ed annuì, sarebbe andata a controllare anche tutte le stanze e gli altri servizi, presto quella casa si sarebbe nuovamente popolata ed era compito suo accertarsi che gli ospiti avessero tutto quello di cui necessitavano.
Finalmente sarebbe tornata al lavoro e con sua grande sorpresa si rese conto di quanto le fosse mancato.

 

Edom House riapriva i battenti.


















 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: The Custodian ofthe Doors