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Autore: Marte97    20/09/2018    0 recensioni
Norma è una velenifera, un mostro potente, in grado si espandere intorno a sè esalazioni di veleno, ma ha ricevuto in dote un potere extra che lei chiama "imposizione": la capacità di far dire agli altri ciò che vuole, di poter imporre, appunto, la propria volontà. La sua famiglia è strana, altri cinque veleniferi che vivono con lei da che a memoria, ma che sembrano nascondere un terribile segreto. Sarà la dolce Colette il nemico interno? O forse Sarpedonte, così supponente e sempre di cattivo umore?
Mentre cerca di vedere chiaro ciò che accade nel suo piccolo mondo familiare perderà di vista bracconieri e frangiossa, i nemici dei veleniferi.
Norma, Norma, Norma, così alla ricerca della normalità si ritroverà in un vortice più grande di lei.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Cielo l’aveva chiamata con una voce venata dalla ridarella che poteva essere sintomo di una sola cosa: un casino e, per la precisione, un casino con almeno un ragazzo.
« Dove vai? » la bloccò Osiride sulla porta.
« Da Cielo »
« Norma … » ma non  gli diede il tempo di dire qualcosa. Semplicemente si tirò la porta blindata dietro di sé.
Si ricordava chi le aveva dato il nome così come sapeva di certo che la madre di Osiride e Sarpedonte aveva una vera passione per la mitologia antica, visti i nomi dei figli e anche una vera ossessione perché i due portassero quei nomi, visto che glieli aveva tatuati addosso, sopra la clavicola sinistra.
I genitori di Colette e Ivan erano stata più discreti: li avevano scritti su dei foglietti lasciandoli in tasca ai due gemelli, prima di andarsene chissà dove.
Solo Camille e Norma non avevano ricevuto un nome: la prima se lo era scelto, la seconda era una beffa di Ozi. Norma come “normale”. Già da piccola lei voleva essere esattamente quello, normale.
Nessuno di loro sapeva come si fossero ad una certa ritrovati ad essere una famiglia, così, all’improvviso. Il più grande era Osiride, sulla trentina, ma sembrava molto più giovane, con quei capelli lunghi sempre legati e quello sguardo severo. Poi c’erano Colette e Ivan, un paio di anni in meno, seguiti a ruota da Camille, Sarpedonte e Norma; essere la più piccola le aveva sempre dato il voltastomaco.
Non sapeva perché i loro genitori non li avessero voluti; Ozi le aveva sempre detto che spesso gli adulti sono peggio dei bambini e che prendono decisioni stupide; Colette invece che era destino, che i fili della sorte si erano intrecciati per dare vita alla loro dolce famigliola. Dal canto del suo pessimismo, Sarpedonte asseriva che i veleniferi avessero sentimenti diversi dagli umani e che i discorsi degli altri erano atti ad umanizzare qualcosa che non era umano per natura; semplicemente i vincoli di sangue non contavano, dopotutto loro erano stati forgiati dal veleno.
Trovò Cielo circondata da vestiti e scarpe.
« Non so cosa mettere » disse a fil di voce mentre con le braccia spalancate stava a pancia in su sul letto.
« Questo si era capito » rise Norma.
« E non trovo nemmeno più i soldi che mi aveva lasciato mio padre » disse e Norma sentì come se dell’acqua gelata le fosse corsa giù per la schiena. Si era completamente dimenticata dei soldi di Cielo e di certo non poteva dirgli che suo fratello li aveva inceneriti.
« Sei sicura di non averli già usati? » chiese inserendo quel po’ di imposizione, necessaria a far sorgere il dubbio nel cervello dell’amica « Mi avevi detto che te ne aveva lasciati pochi e che erano finiti subito » rincarò la dose.
Usava l’imposizione su Cielo? Spesso. Non lo riteneva moralmente sbagliato, anzi, semmai un’opera di pace. Riusciva a toglierle dubbi e tristezza talvolta, riusciva ad alleggerire i pesi dell’umana o, almeno, quelli che per lei erano dei pesi insormontabili. Purtroppo per Norma erano solo problemi normali, aveva un diverso modo di “sentire” le emozioni, ma aveva imparato che essere in dubbio tra due bellissimi ragazzi poteva essere un motivo di cruccio piuttosto pesante per Cielo.
« Hai ragione in effetti » concluse.
Era così dannatamente facile manipolarne la mente.
« Comunque non ho mai capito perché tu non mi abbia mai presentato uno dei tuoi fratelli, sono così fighi » cominciò a blaterare trasognata « dovresti organizzarmi un incontro galante ».
Questa era la sua seconda fissa: provarci o con Ozi o con Sarp. Norma pensava che sarebbe stato bello includere anche lei nella loro fintamente felice combriccola, ma ciò che non poteva rivelarle era che la parte single della famiglia usava gli esseri umani come bambole gonfiabili o, almeno, era ciò che aveva captato da certe conversazioni.
« Non sono il tuo genere » ribatté per l’ennesima volta « e mi pare che tu abbia già abbastanza grilli per la testa »
« Devo darti ragione » confermò.
 
La ronda notturna contro i frangiossa Norma la passò con Sarpedonte. Lo aveva convinto a prendere posizione sopra il tetto della casa di Cielo. Se ne stava lì fermo, la nube nera che gli danzava attorno, come se giocasse con lui, un segno tangibile del suo umore; visto il modo in cui oscillava, sembrava abbastanza tranquillo.
« Tu davvero credi che noi non proviamo sentimenti? » domandò all’improvviso Norma.
« Ne proviamo meno e in modo diverso » rispose come un gatto sornione, mentre si rigirava tra le mani un libro di fisica.
« Cosa c’è allora tra Colette e Ivan? »
 Ci pensò su « Quello che gli umani chiamerebbero amore » disse.
« Non hai mai paura di passare il resto della tua vita da solo? »
« Ho voi; perché dovrei? »
« Non sarebbe più bello avere qualcuno che ti conosce come nessun altro? » chiese.
Fu allora che Sarpedonte si rizzò a sedere « Ti conosco da che ho memoria; so quando sorridi imbarazzata e quando menti, so quando hai paura e quando sei felice; so quando Colette è giù di morale, quando Camille è stanca » fece una pausa « viviamo assieme e ci conosciamo meglio di chiunque altro, abbiamo solo bisogno di rimanere uniti ».
Norma rifletté sulle sue parole: aveva indubbiamente ragione, ma in una parte del suo cervello continuava a scorrerle davanti l’immagine di Colette sorridente stile cameriera anni cinquanta, il viso di Sarpedonte deturpato da qualcosa di più della nausea, lo sguardo serio di Osiride.
E le sembrava tutto indissolubilmente così finto.
La quiete notturna fu interrotta dal vapore di suo fratello che cominciò a guizzare in ogni direzione, come uno sciame d’api.
« Hai visto quel frangiossa? » domandò e Norma intravide su un balcone di una casa vicina un bagliore bianco che entrava da una portafinestra. Annuì.
« Bene, non dovrebbe essere lì dentro ».
Planarono in silenzio dietro al mostro, le ali da pipistrello che sembravano cullate dall’aria, le esalazioni di veleno che si intrecciavano tra loro.  Di solito era sempre Norma ad entrare, purtroppo Sarpedonte era una bomba a mano pronta ad esplodere.
La casa sembrava piuttosto tranquilla ed enorme e arzigogolata; il genere di case che lei odiava, piene di meandri, di piccole stanzine di servizio.
Tutti dormivano; se si concentrava, riusciva a sentire i respiri degli abitanti e la loro tranquillità, dettata dall’aver pagato la tassa. Se chiudeva gli occhi poteva anche sentire l’irrequietezza di Sarpedonte che non vedeva l’ora di menare le mani.
Arrivò dinanzi ad una grande porta scura che si aprì senza fare alcun rumore, lasciando vedere dietro di sé la camera di un ragazzo, con magliette sparse un po’ ovunque e un cellulare in carica che spandeva una leggera luce verdina; dormiva profondamente, con delle ciglia lunghe da bambola che rendevano il suo volto incredibilmente pittoresco. Norma adorava osservare gli umani nel loro momento di massima debolezza, scrutarli mentre sembravano così fragili, così soli. Nessun velenifero di cui lei fosse a conoscenza riusciva a dormire così beatamente, i loro sonni erano agitati, frenetici, scossi. Mentre stava per andarsene, l’umano si svegliò.
Lo percepì prima ancora che lui si mettesse a sedere e accendesse la luce.
Dannazione.
Non le era mai capitato, primo perché di solito Colette li sedava, secondo perché il loro orecchio non era in grado di percepire i movimenti dei veleniferi ma, evidentemente, c’erano eccezioni.
Norma era già terrorizzata così, era già alla ricerca dell’imposizione (anche se non sapeva come costringerlo a rimettersi a letto), ma il panico l’attanagliò quando il ragazzo non sembrò affatto spaventato. Era tranquillo, quasi annoiato, mentre si scostava i capelli arruffati dalla fronte e gli piantava quegli occhi cangianti nei suoi.
Occhi cangianti. Gli occhi dei bracconieri.
Merda.
« Ciao » disse con la voce impastata dal sonno « Chi sei? »
La velenifera era pietrificata, desiderava con tutta sé stessa che lo scenario cambiasse che quella camera si tramutasse in quella di Cielo, anche se neppure l’amica l’aveva mai vista per come era davvero, con le piccole corna scure e quegli occhi da paura.
Giocò la sua migliore possibilità « Sono solo un sogno. Rimettiti a dormire » e funzionò. La vista del ragazzo si appannò e subito si distese girandosi dall’altra parte, mentre lei si occupò di spegnere la luce.
Richiuse la porta dietro di sé, alla caccia del frangiossa che, incredibilmente, sembrava essere sparito.
« Per un secondo ho pensato che fossi morta » disse suo fratello con le braccia conserte, appoggiato con fare annoiato alla balaustra del balcone « Allora? »
« Non c’era nessuno a parte i padroni di casa »
« Ho visto una luce accendersi » ribatté.
Norma sospirò « Il figlio si è svegliato. Mi ha vista; i suoi occhi … non saprei dirti di che colore fossero. E’ un bracconiere, ma sembra aver creduto alle mie parole e sembra essersi riaddormentato » mentirgli sarebbe stato inutile.
« Tutto questo non ha senso » mormorò « nemmeno che ti abbia lasciata andare »
« Era mezzo addormentato Sarp, probabilmente nemmeno lui sapeva davvero cosa aveva di fronte »
« Bisogna dirlo ad Ozi ».
Per tutto il resto del pattugliamento Norma pensò che, in fondo in fondo, le era andata piuttosto bene. I bracconieri dopotutto cacciavano i veleniferi per estrarre il loro veleno o cose del genere; Sarpedonte li disprezzava ancor di più degli esseri umani perché, in fondo, anche loro lo erano, ma con una mutazione genetica che, per qualche assurdo motivo, li rendeva refrattari al loro veleno e con occhi indescrivibili.
Tra i primi insegnamenti che Ozi aveva dato a Norma c’era quello di non fidarsi di loro, mai, per nessun motivo al mondo, lezione che Camille non aveva recepito evidentemente, ma che solo più tardi aveva imparato, sotto il nome di Mona, la bracconiera che sembrava una pantera, lunghi capelli neri e lisci, pelle olivastra, occhi indescrivibilmente belli che coprivano tutte le sfumature del marrone, talvolta arancioni, talvolta castani, altre volte ancora di un nocciola dorato bellissimo. Li ricordava piuttosto bene, erano dopotutto l’ultima cosa che lei aveva visto prima di ucciderla.
Camille era seriamente innamorata di lei e l’aveva tenuta nascosta ed al riparo, ma la situazione all’improvviso le si era ritorta contro quando si era ritrovata in uno scantinato, legata e torturata, e le sue ali avrebbero portato quelle cicatrici per sempre, così come la sua anima. L’imposizione le faceva sentire che Camille era infelice, insicura, mai soddisfatta, forse per sempre preda dell’accidia. Portava ancora la collana di Mona al collo; una vota le aveva detto che la avrebbe tolta solamente quando avrebbe potuto appenderla al cadavere Angela, la seconda torturatrice.
 
Osiride faceva sempre su e giù da una parte all’altra quando qualcosa non andava e, in quella situazione, faceva venire davvero il mal di mare, con le mani intrecciate dietro la schiena e lo sguardo fisso a terra, la sua crocchia di capelli lunghi arruffata come mai prima.
« E non vi siete detti altro? » chiese per quella che doveva essere almeno la decima volta e ricevette la decima medesima risposta. Norma aveva già descritto la casa almeno quattro volte, il ragazzo e il palazzo, ma a suo fratello sembrava non bastare.
« Sei sicura di stare bene? »
« Sì Ozi » questa situazione cominciava davvero a seccarla, sembrava stessero celebrando un funerale. Persino Camille e Ivan, che di solito stavano sulle loro, erano lì in attesa di un piano. Un piano per cosa poi?
« Non avresti dovuto lasciarla entrare da sola; avrebbero potuto prenderla e farle del male! » si scagliò contro Sarpedonte che rimase in silenzio, con le orbite nere che avrebbero voluto inghiottire tutto il salotto « Ad ogni modo dobbiamo tenerli d’occhio, assolutamente. Colette, te ne occuperai tu, usa tutto il cloroformio necessario »
« Sarà fatto » rispose.
Norma decise che ne aveva abbastanza di quella scenata di panico gratuito e aveva anche una sua personalissima idea sulla faccenda: era una trappola. Un frangiossa non sarebbe mai e poi mai entrato in una casa di bracconieri, soprattutto loro che potevano sentirlo; c’era entrato per un motivo e, forse, tutta l’ansia di Ozi era dettata dal conoscere quel motivo. Che fosse il tassello mancante che stava tanto disperatamente cercando?
   
 
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