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Autore: Emmastory    20/09/2018    5 recensioni
Un anno è trascorso alla foresta delle fate. Ormai è inverno e non più primavera, e con il tempo che scorre e la neve che cade, la giovane Kaleia non sa cosa pensare. Il tempo si è mosso lesto dopo il volo delle pixie, con l'inizio di un viaggio per una piccola amica e il prosieguo di uno proprio per lei. Che accadrà ora? Nessuno ne è certo oltre al tempo e al destino, mentre molteplici vite continuano in un villaggio e una foresta incantata. (Seguito di: Luce e ombra: Il bosco delle fate)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-II-mod
 
 
Capitolo XV

La stagione degli amori

Avevo trascorso una notte serena, e di nuovo in piedi, mi scoprivo felice e piena di energie. Le risate e la felicità di Sky mi avevano permesso di trascorrere una notte serena, e ben presto, i versi del suo merlo mischiati a quelli di quell’ormai famoso e al tempo stesso misterioso falco erano diventati vera e propria musica per le mie orecchie, e ricordavo bene di essermi addormentata con il sorriso sulle labbra. Io ero sveglia e pronta per fare colazione, ma lo stesso non valeva per Bucky, accucciato accanto al suo solito piattino di noci stranamente ancora pieno. Confusa e stranita da quella vista, mi fermai a guardarlo, e un singolo movimento finì per tradirlo. Stanco e ancora assonnato, si strofinava gli occhi e il muso con una zampa, e sbadigliando, faceva lo stesso con il proprio pancino, gonfio e sicuramente pieno. Pensandoci, ricordai che era solito nascondere quello che mangiava, e che nonostante avesse dormito con me, doveva essere sgattaiolato via infinite volte per il classico spuntino di mezzanotte, e tutto sotto il mio naso. Ovvio era che dormendo non mi fossi accorta di nulla, ma che volendogli troppo bene per arrabbiarmi, non diedi troppo peso alla cosa. Ad ogni modo, affamato o meno che fosse, era sveglio come me, e muovendosi lentamente e quasi a fatica, teneva lo sguardo fisso sulla porta di casa. Come un fedele cane, mi chiedeva di uscire, e l’avrei fatto presto, ma non prima di controllare Willow, che al contrario di ognuno di noi in casa, o quasi dormiva. Guardandola riposare beatamente, non dicevo una parola, ma in quel momento mi tornarono in mente gli avvertimenti di Marisa. Stando a quanto mi aveva raccontato, Willow era appartenuta a sua madre prima di conoscere l’accoglienza della mia casa, e prima di allora veniva spesso maltrattata e il cibo  le veniva negato, fatte salve tutte le occasioni in cui proprio Marisa, per pura pietà nei confronti di quella povera gatta, le desse qualcosa da mangiare di nascosto alla stessa madre, evidentemente affatto entusiasta all’idea di tenere un animale. Non ne ero certa e non potevo esserlo, ma immaginavo che l’avesse adottata appellandosi alla comune credenza secondo la quale i gatti neri avessero qualche sorta di connessione con il mondo della magia, per poi abbandonarla e smettere di prendersi cura di lei come se niente fosse. Ad essere sincera, il solo pensiero mi indignava, ma con il passare del tempo, cercavo sempre di non pensarci. Ora come ora, lei viveva con me, e nonostante avesse una ciotola regolarmente piena, acqua e latte freschi da bere quando voleva, e perfino un collare a renderla parte della famiglia, a volte notavo in lei comportamenti  alquanto strani, e a dir poco inusuali per una gatta giovane come lei. Dormiva moltissimo, tanto che doveva svegliarla per convincerla a mangiare e bere, e ogni volta che si addormentava, avevo davvero paura per lei, arrivando sempre a temere che non si svegliasse. Nonostante tutto, era sempre una gatta giocosa, e più di una volta l’avevo vista correre per casa al solo scopo di terrorizzare il mio povero Bucky. Non gli aveva mai fatto del male, e lo sapevo, ma data la sua natura non potevo certo escluderlo, ragion per cui tenevo sempre d’occhio entrambi, o chiedevo a mia madre di farlo quando non ero in casa. Seppur preoccupata, mi prendevo cura di lei al meglio, e almeno ora la situazione sembrava migliorare. Tranquilla e senza più certi pensieri a distrarmi, mi alzai dalla sedia e uscii dalla cucina, seguita da Christopher e dal mio caro roditore, che all’improvviso sembrava aver perso ogni interesse a stare all’aria aperta. Non sapevo perché, ma ora aveva spostato gli occhietti scuri dalla porta al corridoio che portava alla mia stanza, e immobile, non si muoveva. Senza proferire parola, seguii il suo sguardo, e solo allora mi resi conto dell’assenza di Sky. Lei e il mio cucciolo non  erano certo mai stati amici per la pelle, ma nel tempo lui si era affezionato anche a lei, e dovevo ammettere di ricordare la dolcezza del gesto che aveva compiuto durante l’inverno. Gli aveva regalato una sciarpa per affrontare l’inverno, e aveva ammesso di volergli bene. Parole per altri insignificanti, ma per me di grande valore. Sorridendo a quel solo pensiero, mi allontanai dalla porta di casa, e attraversando il corridoio, esaudii il desiderio di quel piccolo roditore. Voleva vederla prima di andare, e forse coinvolgerla nella nostra uscita, e conoscendomi, sapevo che non gli avrei mai negato quella possibilità. Arrivata alla sua porta, bussai un paio di volte, ma da parte sua nessuna risposta. Non volendo disturbare, attesi per qualche istante, poi bussai ancora. “Sky? Sei qui dentro?” azzardai, spingendo leggermente la porta della sua stanza e scoprendola aperta. Entrando, fui avvolta dal buio, e con passo felpato, raggiunsi il suo letto. La fioca luce della sua lampada illuminava uno scrittoio e alcuni fogli, e fra le sue mani giaceva ancora la matita che aveva usato per scrivere i messaggi che aveva affidato al suo merlo. Stanco quanto e forse più di lei, dormiva nel suo nido appena sopra l’armadio, e alla mia vista, aprì e chiuse gli occhi, annoiato. Tornando a guardare mia sorella, sorrisi debolmente, e ad una seconda occhiata mi accorsi che stringeva il cuscino, abbracciandolo come una bambina farebbe con i suoi animaletti di pezza. Cauta, mi avvicinai alla finestra, e lenta, l’aprii. Non avrei voluto interrompere il suo riposo, ma il sole era sorto da un pezzo, e in genere dormire fino a tardi non era certo da lei. In quel momento, la luce del sole illuminò a giorno la stanza, e biascicando lamenti e parole senza senso, Sky si schermì la faccia con il cuscino, desiderando solo tornare sotto le coperte. “Sky, svegliati, è mattina.” Le feci notare, tranquilla e affatto sorpresa dalla sua pigrizia. “Mattina? Di già? Ma fino a poco fa stavo…” rispose lei, incredula e intontita dal sonno. “Scrivendo lettere d’amore al tuo ragazzo?” azzardai, completando quella frase per lei e spintonandola giocosamente. “Cosa? No! Voglio dire sì, insomma, vedi…” replicò lei, scattando sull’attenti e drizzandosi a sedere sul letto, sconvolta. Scivolando nel silenzio, scosse la testa un paio di volte, poi se la prese fra le mani, massaggiandosi le tempie dolenti. Preoccupata e incuriosita al tempo stesso, non feci che guardarla attendendo spiegazioni, e quando la matita le cadde di mano assieme ad un foglio posato malamente sulla sua piccola scrivania, la mia pazienza venne premiata. “Ti spiegherò tutto dopo, uscendo.” Disse soltanto, decidendosi ad alzarsi e a prepararsi per la giornata. Come al solito, non le ci volle molto, e una tazza di latte fumante seguita da qualche biscotto fu abbastanza per saziarla. Poi, e quasi come se fosse in ansia per qualcosa, si vestì in fretta, non avendo desiderio dissimile dall’uscire di casa. Seguendola, faticai a starle dietro, e una volta fuori, lei non fece altro che guardarsi intorno, forse alla muta ricerca del suo ammiratore a me segreto. Scuotendo di nuovo il capo, si ricompose, e camminandole accanto, le sfiorai un braccio. Non avevamo una meta precisa, stavamo solo camminando, e in silenzio, attendendo le sue risposte. “Allora? Cosa dovevi dirmi?” la incalzai, sperando di non risultare invadente. “Si chiama Noah. L’ho conosciuto quando ti ho accompagnata al villaggio, e da allora non facciamo che parlare. I messaggi sono una cosa più recente, e in qualcosa siamo simili.” Disse, apparendo ai miei occhi stranamente tranquilla e molto più rilassata. “Sì? Ti ascolto, va avanti.” Risposi, annuendo e continuando a camminare, mentre il mio sguardo si spostava alternativamente dal suo viso al sentiero che percorrevamo. Silenzioso, Christopher mi raggiunse prendendomi la mano, e regalandogli un sorriso, rimasi concentrata su mia sorella. “Forse lo hai già capito, ma se io ho Midnight, che è un merlo, lui ha un falco. È per questo che lo sentivi stridere, di notte. “Capisco, e ha un nome?” chiesi, mandando avanti la conversazione e avendo il piacere e la fortuna di vedere un accenno di felicità illuminarle il volto. “Te l’ho detto, Noah.” Ripetè, distratta e ignara di aver fallito nel comprendere la mia domanda. “Sky, intendevo il falco, non lui.” Spiegai, ridendo di gusto e pregando di non averla offesa. “Scusa, non avevo capito. Vedi, lui…” provò a rispondere, sentendo la frase morirle in gola appena un attimo dopo, quando il suono della sua voce fu annullato da uno stridio ormai conosciuto. Sorpresa, alzai di scatto lo sguardo, e fu allora che lo vidi. Il famoso falco dalle ali brune di cui mi aveva già parlato, che come sempre volava solcando il cielo, tenendo lo sguardo fisso sul terreno alla ricerca di una qualche preda. Per nulla intimorita, Sky si godette quello spettacolo, poi udimmo una voce alle nostre spalle. “Ranger, qui!” chiamava, facendosi via via sempre più forte e vicina. Voltandomi, sperai di identificare la fonte di quel suono, non avendo successo e sentendo due fischi riempire l’aria. Rispondendo a quel richiamo, il falco tornò immediatamente indietro, andando a posarsi sulla spalla di un ragazzo nascosto nella boscaglia. Alla sua vista, Sky gli corse incontro, e lui la accolse a braccia aperte. “Noah!” lo chiamò a gran voce, felicissima. “Buongiorno, quanto entusiasmo!” rispose il ragazzo, stringendola fra le braccia e tenendola stretta. “Scusami, ma lo sai, sono solo felice di vederti.” Rispose lei scostandosi, leggermente imbarazzata. “Anch’io, ma loro chi sono?” azzardò a quel punto lui, confuso e stranito dalla nostra presenza. “Noah, ti presento mia sorella, il suo Christopher e il piccolo Bucky. Saluta, sorcetto.” Disse semplicemente Sky, facendosi da parte e dando inizio alle dovute presentazioni. Sorridendo, allungai una mano per stringere la sua in amicizia, e non appena Christopher fece lo stesso, anche Bucky, sempre al sicuro sulla mia spalla, si sporse per imitarci, approfittandone anche per annusare il nuovo arrivato. “Salve, piccolino. Sei ben educato, vedo.” Osservò Noah, sinceramente divertito. Annuendo, il mio amico peloso squittì lievemente, e balzando in terra, prese a correre in cerchio come per giocare. Abbassando lo sguardo, lo fissai su di lui, e a stento trattenni una risata, ma nulla potè prepararmi al gesto che seguì. Indagando fra l’erba, raccolse da terra una ghianda solitaria, e rimanendo in piedi su due zampe, la offrì al nuovo amico. Un modo come un altro di fare amicizia, che fra una risata e l’altra condividevo appieno. Abbozzando un sorriso, Noah prese la ghianda fra le dita, poi finse di mangiarla. Tranquilla, mi voltai verso Christopher, e una sola occhiata d’intesa bastò a farmi ridacchiare di nuovo. Poco dopo, il sole illuminò lo smeraldo che portavo al collo, e anche se per un solo attimo, il segno che avevo sul polso parve illuminarsi, splendendo e diventando caldo al suo tocco. “È un buon segno, sta funzionando.” Mi sussurrò, orgoglioso. “Dimmi, non senti niente? Nulla di nuovo?” chiese poi, interessato come sempre alla costante crescita dei miei poteri. “No, non credo.” Risposi, scuotendo testa in una negazione. Annuendo lentamente, Christopher mi lasciò la mano, ed io tornai a concentrarmi su Noah. A prima vista non mi sembrava molto diverso dal mio lui, sempre gentile con la sua ragazza e felice di stare al suo fianco. Durante quella mia breve distrazione, lui e Sky si erano allontanati per avere un momento da soli in riva al lago, e correndo come bambini, si divertivano. Ormai erano lontani, ma avevo osservato il suo volto mentre mi parlava, e capivo bene perché Sky ne fosse stata subito così attratta. Gli occhi marroni che vantava avevano la stessa tonalità delle foglie in autunno, e i capelli leggermente più chiari non passavano certo inosservati. Ad occhi estranei, il loro modo di divertirsi sarebbe certamente risultato infantile, ma non ai miei. In fin dei conti, anche io e Christopher avevamo avuto momenti simili, e orgogliosa di mia sorella, le lasciai lo spazio e la libertà che meritava. Ridendo come una bambina, correva nel vento, sentendolo accarezzarle il viso e i capelli, come era successo già mille e mille volte. Persa in un mondo tutto mio, mi concentrai sulla natura che avevo attorno, e non avendo occhi che per il verde a me dinanzi, riprovai a usare i miei poteri. Ad occhi chiusi, inspirai a fondo tenendo la mano di Christopher, e avvertendo dentro di me pace e serenità, espirai. “Adesso? Ancora niente?” azzardò lui, curioso. “Pace. È normale, vero?” risposi, non potendo evitare quella domanda, forse troppo ovvia per un protettore del suo calibro. “Sì, se stai ancora imparando, ma adesso vieni. Credo di aver capito perché Red non si vede da tanto.” Replicò, vantando una calma a dir poco mostruosa e afferrandomi il polso, per poi iniziare a camminare verso un punto preciso della foresta, ovvero il tronco cavo che aveva funto da tavolo per la torta nel giorno del compleanno di Lucy. Allora non avevo avuto modo di accorgermene, ma osservandolo assieme a lui scoprii che nel tempo era diventata una tana, e che una buca poco distante lo era sempre stata. Chinandomi fra l’erba, la toccai con mano, e solo allora, rividi il mio amico dal pelo rossastro. “Red!”chiamai, avvicinandomi per toccarlo. Lasciandomi fare, la volpe non si ritrasse, e accettando le mie carezze, mi leccò la mano. Al mio fianco, Christopher era rimasto in piedi, e alla vista del padrone, l’animale si fece avanti, saltando per fargli le feste, e poco dopo, un’altra figura emerse dalla tana. Un altro esemplare di volpe, ma a giudicare dalla forma dell’addome leggermente pronunciato e dalle mammelle gonfie di latte, una femmina. Stando ai miei ricordi, Red era scomparso durante l’inverno, e solo ora ne scoprivo il motivo. Da animale selvatico qual era, aveva seguito i suoi istinti fino a trovare una compagna, e con questa, una famiglia. Data la scarsa ampiezza del cunicolo dove i due dimoravano, non fui sicura del numero dei piccoli, ma per ora, poco importava. Il cerchio della vita si era aperto di nuovo, e ben presto avrei visto dei cuccioli di volpe correre e cacciare nella foresta. Red era diventato padre, e quando voltandomi vidi che anche il mio Bucky aveva preso a rincorrere una sua simile strofinando il naso e il muso contro di lei, fui certa di una cosa. Con la fine dell’inverno, avevo assistito al ritorno della bella primavera, resa magica non dai miei poteri ma da quella che gli umani chiamavano stagione degli amori.   

 
   
 
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