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Autore: Alba_Mountrel    21/09/2018    1 recensioni
Una ragazza è persa dentro se stessa... ma qualcosa, o qualcuno la salverà
Genere: Generale, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Matt, Mello, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Quinto capitolo
"Giochi di ruolo"
 
«E va bene. Faremo una partita, tanto non sono un asso nei videogames, però poi facciamo una partita a carte, eh? Altrimenti ti diverti solo tu»
«E non è questo il senso della mia richiesta?». Lo fulmino di nuovo accartocciando le labbra su se stesse per la rabbia, e non riesco a spiegarmi tanta rabbia.
“Forse sono tutte emozioni che ho represso in tutti questi anni”.
Mi alzo per prima dalla sedia ma subito mi blocco perché non so ne dove andare ne cosa fare.
“Adesso mi tocca aspettarlo in piedi come un baccalà, se pur per solo due, tre secondi. O forse, la verità è che… voglio aspettarlo. Se non volessi stargli vicino non avrei mai accettato di fare una cosa del genere, visto che è pure un mezzo sconosciuto”.
Sorride divertito da questa mia piccola gaffe e si alza ma, al contrario delle mie aspettative, decido di ignorarlo perché non mi va di incoraggiarlo ulteriormente.
«Vieni, di solito gioco qua in ‘cucina’, però oggi non posso perché il mio amico arriverà che avrà un diavolo per capello. Anche se non lo vuole riconoscere, uccidere lo rende tremendamente nervoso. Capirai, si tratta di cancellare dalla faccia della terra la cosa più preziosa al mondo, anche se tutti noi dubitiamo che ci sia qualcosa di buono nell’ambiente in cui lavoriamo. Con queste premesse ci arrivi anche senza conoscerlo che, dopo un blitz torna estremamente nervoso. Non può fare a meno dell’adrenalina che gli provoca l’azione e, per questo, ha accettato certe conseguenze ma di sicuro non gli rinfaccerò di non essere coerente. Non sarebbe umano imparare a restare indifferenti nell’aver tolto di mezzo una persona». A queste ultime parole mi attraversa un brivido, mi sono figurata nella mente quello che ha detto e ne sono rimasta sconvolta, infatti rimango interdetta.
“Come ho affermato prima… Non ho alcuna intenzione di stroncare vite umane, tanto meno con certi mezzi, tipo la tortura, che immagino utilizzino la gente di questo ambiente… proprio perché non ne sarei in grado. Gli ho fatto un favore a dirglielo da subito, così non si illuderanno di potermi convincere. Anzi, è già tanto che non mi sia dibattuta come una forsennata per uscire da questo posto buio e infetto per ritornare alla mia ‘quiete’. Questo però, perché sono io a volerlo… perché… diciamo che questo strambo ragazzo mi sta facendo sentire meno pesante e apatica; mi sta… risvegliando. Chissà perché non ho mai incontrato nessuno che abbia avuto le palle o, ancora meglio, le capacità per farlo...”.
All’improvviso lo scopro a fissarmi di sottecchi e vedo allargarsi sul suo pallido volto un enorme sorriso, che può essere canzonatorio della mia sensibilità, la quale per lui si chiamerà come al solito ‘Debolezza’.
“Come dargli torto? Sono davvero troppo suscettibile alle parole. Ovviamente a lui, che ne ha viste di cotte e di crude, viene da ridere. Certo, però non mi fa piacere in ogni caso che si prenda gioco di me. Io non le ho viste e, forse nemmeno immaginate certe realtà crude e mefitiche. Che motivo avrei avuto? Sono nata in una famiglia ‘normale’ e relativamente tranquilla e, non mi sono mai interessata a fare la ‘detective mafiosa’. Queste cose dovrebbe pensarle anche lui. Porco cane!”.
«Non stai ridendo perché mi hai sorpresa a rabbrividire solamente avendo sentito le tue parole, vero?!» lo fulmino di nuovo. Stavolta carica più che mai e pronta a riversargli addosso tutto il mio odio, in caso di risposta positiva.
«Ma sei matta?! Anzi. Ciò mi convince una volta di più che sei la persona che cerco, cioè che cerchiamo noi, io e il mio amico. Sensibile per le cose giuste, dura e testarda per altre. Un concetto un po’ astratto, però mi avrai capito, immagino».
“Questa è una cosa veramente bella da dirmi, da parte di uno come lui. E quello sguardo… era quasi imbarazzato. Non lo dimenticherò. Va bene Tizio, anche tu ti sei guadagnato un punto in più”.
«Va bene, allora questi giochi? Non avrai cambiato idea?!». Gli sorrido di rimando per fargli capire che ho compreso le sue intenzioni e, almeno per ora, è tutto a posto. Almeno finché non si rivelerà per quello che è o che tutti e due, sono veramente.
“Non credo molto a questa sua pantomima sull’utilità della mia mente per i loro progetti. Ho sbagliato a dimostrarmi anche solo un po’ disponibile nei suoi confronti, a causa di ciò sicuramente penserà che sono, primo una debole e poi che mi può manipolare a suo piacimento, come e quando vuole. D’altronde credo sia proprio così… lui mi può manipolare e me l’ha anche dimostrato apertamente. Beh, che me l’abbia specificato e fatto capire, forse vuol dire che non è veramente intenzionato ad approfittarne. Può mai essere che abbia incontrato una persona vera, in questo enorme oceano di falsi e doppio giochisti? No, non esiste una persona così”.
Mi dice di aver calcolato circa quaranta minuti per fare quello che vogliamo, prima che arrivi il suo amico.
“Scommetto che vorrebbe fare tutt’altro rispetto a qualche stupido gioco ma capisce che perderebbe tutta la poca fiducia che ho in lui se solo provasse ad avvicinarsi. Beh, ha ragione. Sono io che in questo caso dovrò decidere se fare o no qualche passo, non siamo mica al karaoke il sabato sera a divertirci e a ridere come due fidanzatini. È una situazione oltremodo delicata e io sono in una posizione di netto svantaggio, perciò una sua iniziativa amplierebbe ancora di più questo concetto. Il risultato per me sarebbe devastante quindi sto apprezzando molto che proponga di ‘giocare’ e basta. Che poi… dicono che si possa conoscere una persona e manipolarla o altro, anche da come gioca. Quindi, che ci mettiamo a giocare o no, basta che non faccia mosse affrettate o audaci. Devo stare allerta”.
All’improvviso mi sorge un dubbio.
«Scusa Tizio… cioè…». Lo vedo alzare l’indice, segno che vuole correggermi ovviamente ma lo anticipo molto volentieri. Mi fa quasi ridere questo giochetto scemo.
«Giò… Domanda. Ma perché avremmo solo quaranta minuti e non un’ora?». Più che curiosità è una vana speranza di sapere cosa sta succedendo e cosa mi succederà.
«Mi hai proprio graziato quando quella volta mi hai chiamato col mio unico e solo soprannome. In ogni caso, dobbiamo mettere tutto a posto, ci deve essere assoluto silenzio e, beh… io fumo come una ciminiera, finché gioco con un tempo prestabilito e limitato. Dobbiamo far uscire l’odore che lui non sopporta per nessun motivo, quando torna da una missione gravosa. Mi sono preso cazzotti in faccia varie volte. È molto duro per essere solo un ragazzo. Te l’ho detto, no?! Ha avuto una vita molto crudele e ha sviluppato un temperamento cinico ed esuberante, e come ti ho già anticipato: spesso è costretto ad uccidere. Nonostante questo, provo sempre a dissuaderlo ad arrivare a certi termini oppure provo a toglierlo da questo peso ma il suo orgoglio e il suo ‘amore’ per la mia integrità sono così forti che arriva pure a mentirmi spudoratamente a volte, pur di sobbarcarsi lui di tutte le conseguenze. Afferma con sicurezza che la sua integrità ormai è bella che fottuta da un pezzo, quindi una morte di più o di meno sulla sua coscienza non peseranno nulla. Come parlasse di soldi, accidenti a lui» si accende una sigaretta con le mani tremanti, immagino per la preoccupazione «Ma lo sento quando mi manda fuori per una commissione… aspetta che, almeno secondo lui, io sia abbastanza lontano, e caccia di quelle urla disumane che mi fanno tremare le gambe dalla tristezza e dalla preoccupazione. Ogni volta, ritornato a casa temo di ritrovarlo con la gola recisa. Dio, che vita». Non faccio a tempo ad accorgermene che ha già finito la prima sigaretta e, sempre più nervoso, ne ha già accesa un’altra come se gli mancasse l’aria.
“In effetti è proprio così. Un fumatore respira fumo, non aria pura, in poche parole. Poveri ragazzi, temere che il proprio amico si tolga la vita. Adesso che ci penso non deve aver apprezzato la scenetta che gli ho presentato davanti agli occhi. Anche se abituato, non vuol dire che per lui fosse tutto normale”.
Lo guardo empatica senza emettere alcun suono per farlo sfogare ma, molto più importante, anche per fargli capire che non sono indifferente a quello che sta provando. “Anche se dovrei esserlo dato che non mi riguarda. In questo preciso istante mi sembra un padre: fragile e protettivo con il figlio che ha un lavoro pericoloso, più che un amico molto affezionato. A pensarci bene, il discorso fila. Chi nasce in orfanotrofio non ha nulla e le amicizie o gli amori possono essere la cosa più importante o il nulla cosmico, dipende dalla persona. Nel caso di questi due ragazzi, è evidente che l’amicizia reciproca sia più importante della propria stessa vita. O della propria morale o delle proprie passioni, come il fumo e i giochi, per esempio. Sono valori che non trovo in nessuno. Inoltre, questi due hanno talmente le palle quadrate, che poi mi appare più che scontato non ritrovarmi nel loro modo di rapportarsi, nel loro modo di comportarsi almeno con me. Rapirmi solo per inserirmi nella loro squadra senza pensare se abbia o no il fegato, senza chiedersi se sarei mai stata d’accordo e se lo sia o no tuttora. Semplicemente lui mi voleva accanto in qualche modo ed è riuscito a esaudire il suo desiderio. Comunque, è evidente che mi ha portata qui principalmente perché mi vuole lui, fin qua ci arrivo anche io: anche se non sono una detective. E questo non può che piacermi. Una nota positiva per mia fortuna c’è, in questa storia”.
Mentre entriamo nel salotto per poi dirigerci verso un largo ma estremamente corto corridoio, avverto distintamente che mi fissa luminoso. Come se quell’unico mio sguardo di comprensione lo abbia totalmente sollevato dal nervosismo che provava.
“Come se un semplice sguardo potesse alleviare tutti i problemi del mondo”.
All’improvviso sposta lo sguardo davanti a sé e sospira quasi sollevato, il che conferma il mio pensiero.
“Però, sto tipo dev’essere proprio strano se con un semplice mio sguardo cambia umore da così a così. Un momento… se mi avesse voluto mettere alla prova? Se volesse testare le mie reazioni e non avesse agito spontaneamente?”.
Mi viene naturale abbassare il capo, per la frustrazione o per lo sconforto oppure ancora per la rabbia che in questo momento voglio tenere per me. Non lo so nemmeno io cosa provo.
“Ho deciso: mi ingegnerò per intavolare una conversazione che mi faccia chiarire una volta per tutte le sue vere intenzioni, così saprò se sono continuamente sotto osservazione oppure condivido l’aria con dei semplici ragazzi della mia età con un lavoro particolare”.
Fisso lo sguardo sul pavimento, con occhi fiammeggianti con decine di emozioni, che tutte insieme non si possono esternare.
“Il punto è che, tenersele tutte dentro, è parecchio frustrante, doloroso quasi e mi impedisce di essere serena. Infatti, in vita mia non sono mai stata veramente serena per più di una giornata. Mi faccio trasportare un po’ troppo dai sentimenti che un’azione esterna mi provoca, soprattutto se proviene da un membro della mia famiglia. In quel caso, l’emozione mi scava a fondo nell’anima e mi lascia un vuoto quando viene a mancare la componente positiva, oppure un’impronta negativa che non se ne va più, se mai viene levigata con il tempo, le belle giornate e l’ottimismo. Colui il quale ora c’è e ora mi fa ciao ciao con la manina. Ecco, appunto! Levigata. L’impronta negativa: quanto più è facile che si cancelli un ricordo positivo, quanto più questa è difficile che mi abbandoni”.
Adesso siamo in una grande stanza luminosa, o almeno suppongo sarebbe luminosa, se si potessero tirare su le veneziane. C’è un grande armadio con due ripiani che occupa tutta una parete sinistra, lungo l’altra parete ci sono dei piccoli mobili alti solo un metro con tanti piccoli cassetti e in mezzo alla stanza ci sono due letti a una piazza che all’occorrenza si potrebbero unire.
“Ma immagino che, soprattutto al suo amico, non faccia molto piacere. Se invece dovessi dormire io con lui, con ‘Giò’, allora penso che la musica sarebbe tutt’altra. Suppongo anche, purtroppo, che se non avremo un certo tipo di intimità, non potrò nemmeno io dormire nella stessa stanza, ergo mi toccherà dormire sul divano nel salotto. Quel divano che sembra più rotto, che marrone mogano scuro (ed è tutto marrone, anche il legno della struttura, quindi è tutto dire)”.
I letti hanno il versante dei piedi rivolto verso l’armadio e quello della testa rivolto verso i mobili bassi su cui sono posati una console, vari giochi e due coppie di Joypad una diversa dall’altra ma immagino che dentro ai piccoli cassetti ci sia il resto dell’‘armamento’.
“Invece per esempio di cose normali come, che ne so, i vestiti? O nel loro caso, le armi necessarie per il lavoro. Quelle le terrà nell’armadio grande insieme a solo due, tre completi d’abbigliamento tutti uguali”.
Questo pensiero mi fa scaturire tanta ilarità che non posso trattenere un risolino sarcastico a denti stretti mentre ancora ho lo sguardo rivolto al pavimento, per non farmi scoprire. Ovviamente, lui se ne accorge, e non perde tempo per gettarmi a cascata la domanda che gli ronza in testa, la prima di una lunga serie.
«Che c’è stavolta, bellezza? Ho qualche macchia di sporco in faccia?». Mi domanda ingenuo, o più propriamente, con finta ingenuità.
«Eh?».
“Anche se probabilmente sta fingendo, mi lascia inorridita questa sua reazione. Un po’ troppo infantile. Sì, ora ho la conferma che sta mentendo e, quindi è logico pensare che anche tutto il resto sia un test, una balla, qualcosa di costruito. Questo non è lui. Si ‘offenderebbe’ così tanto se gli chiedessi di smetterla, perché mi interessa ancora meno in questo modo? Bah, vediamo. Come avevo già pensato prima… al massimo finisco davvero giù dal balcone, o giù dalle scale. Dipende da dove siamo… se ci sono le scale. Mamma, che pensiero cinico e… e… e tanti altri pessimi aggettivi”.
«Se ho…». Sta per ripetere seriamente la frase.
“Ok, adesso basta essere presa per i fondelli”.
«Senti, adesso mi hai stancata. Non ti ho mai chiesto niente e sinceramente dubito che questa scenetta serva a testarmi. Perciò, perché non la pianti e, piuttosto mi fai vedere com’è il gioco che vuoi fare? Eh? Mi starei innervosendo. E se ti venisse in mente che io debba sottostare a Ogni tua regola... beh, ricordati che non ho niente da perdere».
“Adesso scommetto che non ha più niente con cui ribattere e si sta mangiando le mani. Cos’è quel sorriso che gli vedo? Ha forse un piano per impedirmi di commettere atti… ‘di cui potrei pentirmi’? In che modo, vorrei proprio sapere. Bah, valli a capire sti americani. Sempre sicuri di sé nonostante tutto, o meglio, sicuri di sé per tutto quello che riguarda gli altri, invece l’ho visto com’era apprensivo e sensibile e, quasi indifeso nei confronti dell’amico. Ripeto, dev’essere proprio speciale questo amico. Che questo Giò sia bisex? In effetti, quel caschetto morbido come la seta e un po’ troppo lungo per la moda di adesso, il tutto contornato da quella tinta shock: non mi stupirei se avesse catturato anche l’attenzione dell’amico con lo stesso fascino che ha usato e usa tuttora con me. Sono sicura funzioni allo stesso modo con gli uomini, magari al contrario sono proprio le donne che non se lo filano più di tanto, viste le sue bizzarrie, che a me non dispiacciono affatto invece”. «Beh?»
«Niente… niente, lascia stare».
“Eh sì, per ora sono obbligata a lasciar stare, bastardo! È chiaro che è deciso a farmi aspettare ancora molto per farmi sapere che succede. L’ho pensato e lo penso ancora, bastardo… e infame”.
Cominciamo a giocare e si concentra sullo schermo al plasma, sempre sorridendo a trentadue denti.
“Quel sorriso è irresistibile, mi fa quasi sciogliere ogni volta che lo vedo. È maturo e intelligente ma anche bambino, pieno di infantile spensieratezza e dolcezza. Per niente conforme al personaggio insomma… ma non si può mai dire: un giorno potrei riuscire pure a capirlo. Apprezzarlo proprio no ma capirlo è tutto un altro discorso. Se cominciassi ad apprezzare veramente un mafioso vorrebbe dire che sono impazzita del tutto, e a quel punto sì che preferisco non continuare a vivere”.
Ci studiamo l’un l’altro nel frattempo che comincia la partita, di cui non ho intenzione di seguire nulla che non sia lo stretto necessario.
“Anche se ce la metto tutta per capire che tipo è, ho paura che sia la sua mente a scavare nella mia. Sicuramente alla fine del gioco potrà rivoltarmi come un calzino. Bella merda! Riesco a capire che è riflessivo ma anche emotivo, dal modo in cui avanza nella partita. Questo, però potrebbe anche essere totalmente frutto della mia immaginazione. Potrebbe sapere il gioco a memoria e quindi non avere più alcuna difficoltà o indugio nell’avanzare, quindi si spiegherebbero i modi pacati e controllati. Dopo tutto non sono poi così svampita nei ragionamenti, però c’è sempre l’incognita della verità. Il suo comportamento è solo un test rivolto a scandagliare la mia intelligenza, oppure è lui che esprime se stesso? Come posso fare a eliminare questo dubbio? Non posso. Ah, per diana. Questo gioco è più facile del previsto. E se perdessi apposta? Da lì sarebbe più facile capirlo ma chi mi garantisce che il test si limiti a questa unica improvvisata del giochetto? Risposta: nessuno”.
Passano cinque minuti e decido che è il momento buono per attuare il ‘piano’, quindi perdo la partita. A questo punto lo vedo stiracchiarsi tranquillo, senza emettere alcun suono a parte un sonoro sbadiglio di pura noia, che mi fa abbastanza innervosire ma non lo esprimo. Dopo di che si alza dal suo letto e si prende una birra in lattina, da un mini frigo presente nella stanza. Non mi degna nemmeno di uno sguardo, e questo vuol dire che voleva testarmi.
“Magari voleva capire se sono competitiva o arrendevole, se ho un minimo di riflessi oppure no, oppure se so attuare strategie utili e vincenti, e ancora se so ragionare con la mia testa… Sì, direi che sono queste le uniche spiegazioni plausibili. Di certo, non avrà capito che ho perso apposta, e se invece avesse avuto un motivo più che valido con cui scovare l’inganno? Che so, magari quello era un percorso facile e impossibile da sbagliare. Può essere. E ora, come faccio a farlo parlare? Ah, adesso preferirei di gran lunga essere un’oca giuliva ma di quelle forti, proprio. Così avremmo fatto una di quelle sonore scopate, domani buona giornata e a mai più arrivederci”.
«Ah, accidenti! Sono proprio negata con questi giochi. Molto meglio i cari vecchi giochi di carte o da tavolo. Mi chiedo tu come faccia a essere così bravo!».
“Mi è venuto in mente come farmi dire quello che pensa, finalmente un’idea azzeccata in tanti anni”.
Passa qualche secondo, sicché comincia a fissarmi, mi scruta in modo tanto penetrante che non riesco a sostenere i miei occhi nei suoi, e li rivolgo verso lo schermo che ancora persiste sulla schermata del game over.
“Non so perché, ma sembra che debba sapere con largo anticipo ogni mossa che farò, o che potrei fare. Pare riesca a leggermi la mente. Proprio non lo sopporto quando fa così, cioè sempre, quindi non lo sopporterò mai ma visto che sono praticamente sua prigioniera, non posso fare più di così”.
«Perché mi guardi così? Ti sembro scema a far sti discorsi? Comunque visto che, come già sapevo, ho fatto totalmente schifo in questo gioco, passiamo alle carte? Non mi sento molto a mio agio a continuare a far qualcosa che non mi viene bene. Tipo studiare».
“Forse dovrei starmi zitta e farmi gli affari miei dato che ho già constato, in più d’un occasione, quali sono i suoi scopi. Così mi farò soggiogare servendogli le risposte su un piatto d’argento, anche se a pensarci bene, seguendo il suo intuito potrebbe già aver scoperto tutto di me. Perché seguendomi ha saputo già parecchie cose e poi da quelle avrà ricollegato tante altre cose. Madonna buona, sembra Sherlock Holmes negli anni 2023. Ma adesso lasciamo perdere perché altrimenti finisco in stato vegetativo a furia di pensare e ragionare e analizzare e… razionalizzare. E a proposito del suo sguardo… anzi, i suoi sguardi. Quelli sì che mi è impossibile razionalizzarli. Sono troppo… intensi”.
Mi sento costretta a spostare lo sguardo nuovamente, perché sento il viso in fiamme.
“Come una liceale alla prima cotta… patetico. Non sono una trentenne matura e compiuta, sono ancora una ragazzina in cerca dei sentimenti e… bla, bla, bla”.
Sbuffo.
“Mi sento inetta”.
«A cosa pensi, bellezza? Io stavo pensando che è una bella idea giocare a carte però non abbiamo molto tempo ormai. Fra poco arriva il mio amico. Adesso se non ti dispiace vorrei rilassarmi un po’ ma tu stai pure li seduta se ti fa piacere, visto che questa non è la più comoda delle case. So anch’io che avere un divano in più non guasterebbe. Se cominciassi un discorso simile però, cosa nella quale mi sono già cimentato, il mio amico snocciolerebbe mille e più motivi per cui non possiamo e non abbiamo bisogno di prendere un divano o una poltrona in più. Sinceramente voglio troppo bene a me stesso e alla mia pazienza, per mettermi a discutere con lui. Discutere un suo ‘comandamento’, è come ammazzargli la famiglia. Oh, pardon. Esempio sbagliato». Finisce con un sorriso tranquillo e soddisfatto, come non avesse detto niente di strano.
Lo guardo inviperita, imbestialita.
“Mi ha recuperata dall’orlo del precipizio per un motivo ben preciso e, adesso se ne viene fuori con questa battuta di merda qui? Col cazzo che resto ancora qua. Per quale motivo dovrei farlo, poi? Per… fargli compagnia? Ma non farmi ridere. Non sono certo la dama da compagnia, perciò penso proprio che me ne andrò in cucina a… ‘meditare’. Brutto bastardo! Ti venisse un colpo, sarei più felice. Di una cosa però penso di operare nel modo corretto: non ti darò la soddisfazione di farmi vedere incazzata da te. Stanne certo.
«A quanto vedo hai deciso di andartene…». Lascia la frase in sospeso a sotto intendere che l’aveva previsto ma ad ogni modo non ho alcuna intenzione di fargli capire che mi sono arrabbiata.
“Anzi ancor di più ora che mi sbatte anche in faccia la sua superiorità nel manipolare le mie azioni e reazioni”.
«C’è dell’acqua in frigo o non avete nemmeno quella?». Lo rimbecco con voce fredda e atona. Lui per tutta risposta mi rifila un sogghigno degno di un diavolo bello e dannato, e si distende sul letto dandomi la schiena.
“Questa te la faccio pagare!”.
Mi dirigo verso la cucina e di malavoglia apro il frigo, ancora pensando alla situazione in cui mi trovo e al modo in cui vengo trattata dal ragazzo.
“Figo ma sicuramente strano. Non ho mai visto un tipo andare in giro vestito e conciato in quel modo, con quegli occhiali da motociclista e quel completo… così fuori moda e da marinaio. Così… strano, punto. Da quando sono a conoscenza di certe nozioni e… da quando mi interesso a come ci si deve vestire secondo la moda? Ero scesa a patti col mio cervello ancora anni fa riguardo a questo, decidendo che la moda era fatta per il singolo individuo e, soprattutto, scelta dal singolo individuo. Al contrario, in poco tempo diventeremmo tutti delle copie sputate con le gambe e la testa… senza cervello. Quindi, secondo questa logica in lui non c’è niente che non va, magari semplicemente vuole star comodo e avere sempre gli occhiali a portata di mano in caso dovesse guidare senza preavviso, sì, sarà questa la spiegazione”.
Mentre bevo del succo che è scaduto da un po’, partorisco queste riflessioni che a uno sguardo superficiale mi sembrano inutili e una ripetizione di tante altre.
“In effetti mi ritrovo a pensare più volte le stesse cose senza un motivo apparente, semplicemente i pensieri mi sopraggiungono all’improvviso e non c’è niente che li possa fermare”.
Dalla stanza sento arrivare la sua voce ovattata perché per ripicca ho chiuso la porta.
«Ah, comunque non prendere il succo, è scaduto da qualche giorno, non vorrei mai che ti prendessi i vermi».
“Perché quella sua cazzo di voce mi sembra tanto ironica? E poi di quali vermi parla… Bastardo! È evidente che mi prende in giro ma quando torno di là glieli tiro in testa i vermi”.
«Scusa, perché non me l’hai detto prima che era scaduto? E comunque, c’era solo questo in frigo da bere, l’acqua l’ho bevuta tutta prima e di certo non mi metto a riempire il bicchiere con l’acqua dei vostri rubinetti, figurati! Finirei in ospedale nel giro di una giornata». Lo rimbecco con finta cattiveria.
«Ma che cattiva che sei».
“Più ironico di così non po’ essere, temo”.
«Adesso mi devi scusare, devo aprire le finestre e mettere tutto via… altrimenti qualsiasi cosa farebbe una brutta fine. Ho ancora un ricordo indelebile della mia prima povera psp, appena io e… il mio amico ci eravamo ritrovati. Quel giorno è volata qualunque cosa, anche ciò che ha lui stesso di più caro» mi rivela con il sorriso divertito, solo che personalmente percepisco una profonda fatica e tristezza.
“Poveri ragazzi. Forse non dovrei compatirlo, non lo apprezzerebbe ma non posso farci niente, mi viene naturale. Le sue parole mi fanno scaturire una pena involontaria e naturale. Provo a rispondere con parole di conforto ma non mi esce un suono, sono come bloccata. Ho paura di riaprire qualche ferita e, inoltre, in certi momenti ho sempre preferito i gesti alle parole. È meglio lo sguardo giusto piuttosto che due tre frasi imparate da qualcun altro. Per di più non avrò capito chi è, ma l’ho inquadrato e di certo le parole non servono: ne ora ne mai”.
Il mio sguardo si fa triste e lui, accorgendosene, si addolcisce e distoglie lo sguardo sempre sorridendo, andando quindi ad aprire le finestre come detto e io, come mossa da fili invisibili, raccolgo dal letto console e Joypad per riporli in uno dei cassetti della cassettiera sotto lo schermo, tutti vuoti.
“Evidentemente sono in questa casa da poco o non possono avere più dello stretto necessario. Già”.
Penso con un sentore d’amarezza sul palato.
“Quello schermo enorme a cristalli liquidi è anche troppo ma per loro non sarà un problema lasciarlo, in caso di fuga improvvisa”.
Sospiro e vorrei piangere lacrime amare.
“Stavolta non per me o la mia famiglia ma più che altro per un concetto… un concetto del tutto sbagliato, che nel mondo non dovrebbe esistere. Credo sia anche il motivo per cui sono quella che sono. Un concetto che va al di là del normale viver umano, della vita civile. Per fortuna, allo stesso tempo questo concetto nasconde ai meno nobili di cuore, un altro significato e altre caratteristiche molto più importanti. Se il concetto di base è che una persona non possiede nessun avere materiale, al contrario nell’animo nasconderà una tale forza da far impallidire il mondo stesso. E il paragone con questi ragazzi è più che azzeccato. Trent’anni e il mondo sulle spalle. Nemmeno il tempo di respirare, come robot. Solo che di robotico non hanno proprio nulla”.
Sorrido a questo pensiero scontato ma terribilmente significativo.
«Che c’è da sorridere bellezza? Un attimo fa ti avevo lasciata triste come non mai».
«Beh sai, io rifletto quando non parlo».
«Prova a riflettere un po’ meno allora, vedrai che ti risulterà tutto più facile».
«Se…! Ogni tanto ci provo. Non è che non ci provo, a dar vita a questa frase ma non è mai venuto fuori nulla di buono. Perciò lasciamo stare va».
“Ci manca solo che il mio istinto più basso prenda il totale sopravvento come giorni fa”.
«Non so se ti ricordi la bellissima scenetta che ti ho presentato qualche giorno fa… sul balcone. Le strilla, i pianti, le gomitate nei… beh, credo tu abbia capito, no?!». Lo canzono ma col sorriso, perché la situazione non si deve appesantire ulteriormente.
“Ma per me eh. Di lui non me ne frega assolutamente niente. Certo, è così!”.
Cerco di convincermi con tutte le forze.
«Uh… sento ancora il male della gomitata». Ride di gusto, quindi capisco che mi ha compresa.
“Bene. Allora è davvero il ragazzo sveglio che ho inquadrato… Questo mi fa sentire più serena. Sento che la giornata andrà meglio di come è iniziata”.
   
 
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