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Autore: M y r t u s    21/09/2018    2 recensioni
Mai come allora, Jesse colse in estrema delizia il peso che il giudizio di Hanzo imponeva addosso, mentre quello lo scorgeva di sbieco: “ogni cosa rimargina, ma non per questo tornerà com’era, nemmeno se accomodata d’oro. Solo la morte porta redenzione”.
[La storia partecipa al Kiss Flash Contest indetto da Freeshane]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hanzo Shimada, Jesse Mccree
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mondo di sofferenza:
eppure i ciliegi
sono in fiore.


(Kobayashi Issa)

 
 
 
 
 
Il tormento, scoria impura dell’anima. Come tale grava lo spirito di acredine, inarca e spezza anche le schiene più robuste, assottiglia di lima qualsivoglia zelo. Hanzo era tormento, ombreggiato dalle articolazioni nerborute del ciliegio, lo sguardo torbido, imposto al passato. Parlava come l’autunno, in rassegnata cadenza, con tempere d’infinita pacatezza, costernato per la dismessa estiva a preludiare la coagulazione della terra.
A Jesse, scomposto al suo fianco, pareva di ascoltare un’entità arcaica districare i propri enigmi, inavveduta della beltà che gli derivava. Al percuotere dei suoi pensieri, li accoglieva come ostia tra le labbra spaccate, e tanto bastava -pur l’essere deferente- giacché tale amnistia perdurasse a consacrarlo.  Poteva anche ammantarsi della dignità d’un Dio lontano, farsi tenue e diafano, vendico di una presenza sconfinatamente impalpabile. Lo avrebbe amato, di conseguenza, ovunque allo stesso modo, ogni dove fosse ravvisabile infiltrarsi, in un viso, nello specchio di un lago, tra le fronde dei pruni e le ruvide coltri dei campi di tabacco. Riempiva il mondo e non v’era rifugio che in lui.
I discorsi dell’uomo si articolavano, si disarticolavano, premevano forme svariate come un cielo pomeridiano, ma non prendevano le loro distanze dalla melodia patriarcale. Jesse si permise un angolo in quella fanfara, sporgendo pigramente le ciglia oltre il cappello: ”Parli bene, ma dimentichi che l’inverno non dura in eterno. Guarda questo ciliegio” disse, indicando il pingue accavallarsi di boccioli sulle loro teste con la canna della pistola, “credi che abbia paura della brutta stagione quando sa che la primavera è ogni anno in agguato? Così vale anche per il dolore. Ogni cosa rimargina, lo sanno tutti” e ricadde piatto al suolo, con le mani adagiate allo stomaco.
Mai come allora, Jesse colse in estrema delizia il peso che il giudizio di Hanzo imponeva addosso, mentre quello lo scorgeva di sbieco: “ogni cosa rimargina, ma non per questo tornerà com’era, nemmeno se accomodata d’oro. Solo la morte porta redenzione”. Poi scivolò di nuovo tra i fremiti del mare, simile a una carpa che tenta appena di sforare l’acqua.
“Hai le tue ragioni per dirlo, non te lo nego” e arginò il disincanto del torpore ergendosi ritto, talvolta canzonando la cintura.  Si pose al capezzale di quel nobile arciere, reclamandone a sé l’opale, col ginocchio ceduto, tronfio d’ossequio al tempio dell’amore che lo vinse d’impeto. Neppure concesse all’altro di divinare, fu più lesto, al modo dei predoni dell’arida depressione americana, a premere il muso lanoso contro il palmo di Hanzo, carezzevolmente colto, con devozione e ardore tali da sentirgli pudicamente ribollire la cute. Seguitava alla mollezza della bocca un’accozzaglia di denti, il tirare rugginoso della barba a esplorare vene e giunture e così fino ai vertici. Certo era mancata replica, ma nemmeno vi fu recriminazione di qualche cosa, allorché Jesse schiuse il bacio, increspato il ghigno in opposizione al lieve stupore dell’amato.
"Ti auguro una buona giornata” furono i suoi ultimi reclami, prima di sparire dietro un drappo di caduchi petali.
 
 
  
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