Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: HunnyBees    22/09/2018    0 recensioni
Dal testo:
Sentiva ogni angolo del suo corpo fremere d'impazienza, ma riusciva a distinguere anche i brividi che percorrevano ogni singola vertebra, ogni qual volta le tornasse in mente il suo obiettivo.
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Ri-salve, bella gente.
A dire il vero, non mi faccio viva da un po' qui su EFP, così ho deciso di rimediare pubblicando la mia prima storia sull'attacco dei giganti, ed in particolare su Mikasa Ackerman, che io personalmente amo da impazzire.
Questa one-shot è ispirata ad una fan art che mi ha praticamente obbligata a metterla su carta- o su computer, dipende.
Non vi anticipo nient'altro, perciò ringrazio in anticipo chi accetterà di dare un'occhiatina a questa mia cosetta
Genere: Fluff, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Mikasa Ackerman
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Era la classica giornata di metà inverno: le nuvole grigie ricoprivano il cielo, oscurando i raggi solari già di prima mattina.
L'aria fredda si infilava in ogni angolo della città ed il vento trascinava carte, giornali e piccoli contenitori per tutte le strade.
Quel giorno era finalmente arrivato, più lentamente di quanto si sarebbe aspettata; l'ansia ed il terrore avevano allungato ogni minuto ed ogni ora sembrava passare più lentamente della precedente.
Ma adesso, sperava solo che il tempo si fermasse completamente.
Sentiva il suo corpo tremare come una foglia sotto le coperte del suo letto, i peli drizzare in aria ed il cuore battere come era solito fare ogni qual volta fosse al suo fianco.
Si morse il labbro inferiore, posando una mano sul petto e accorgendosi, dal calore che proveniva dalle sue guance, che era arrossita -probabilmente a causa dell'esorbitante velocità dei palpiti.
Respirò più lentamente, spostando lo sguardo sulla finestra al suo fianco e capendo che era merito di quell'arietta fresca che vi entrava attraverso, se lei non si era svegliata grondante di sudore.
Lasciò andare l'aria che aveva inspiegabilmente trattenuto fino a quel momento, chiudendo gli occhi e premendosi la mano contro il seno, come se stesse cercando di toccare il suo stesso muscolo cardiaco per regolarne i battiti.
Non andava bene, per niente!
Non poteva far nulla, agitata com'era. Perché questo significava che non sarebbe mai riuscita a fare il grande passo che si era ripromessa di fare.

Fece appena in tempo a prendere un ultimo, profondo, respiro, che la porta si aprì, rivelando la figura di una donna: Carla vestiva i soliti abiti ed il solito grembiule bianco, ma si portava dietro quel suo dolcissimo sorriso che ha la grande capacità di riscaldarti sempre, a prescindere da quante volte tu lo abbia già visto.

-Sei già sveglia?- le chiese sorpresa, avvicinandosi al suo letto e chiudendo la finestra alle sue spalle -Mi dispiace, ero sicura che fosse chiusa-
Mikasa scosse il capo, rimandandole un sorriso: -Questa notte l'ho riaperta io-
Carla rimase in silenzio, aggiustando le tende bianche e coprendo il vetro, per poi voltarsi verso la dodicenne ed osservarla; il volto pallido della ragazza divenire ancora più rosso e ciò la costrinse a disfare lo sguardo dai suoi stupendi occhi color nocciola, tornando a fissare la coperta e le sue dita tremanti che ne stringevano l'orlo.
-Ti senti bene?- le chiese lei, spostandosi ai piedi del letto e sedendosi davanti alla ragazza, accarezzandole gentilmente il volto -Sei un po' calda-
-Sto… bene, zia- mormorò lei, stringendo le labbra fino a formare una linea retta, come se volesse serrarle. Ma non c'era nulla da fare, Carla era una donna, e specialmente una mamma, piuttosto astuta, dopo tutto.
-Dimmi, è qualcosa che riguarda Eren?-
Nell'esatto momento in cui pronunciò il suo nome, nonostante si aspettasse già che la donna indovinasse, Mikasa si lasciò sfuggire un sussulto, tornando a stringersi il petto per il battito del suo cuore che aveva accelerato nuovamente la sua folle corsa.
-No...non è…io- biascicò, aumentando la stretta sulla camicia.
-Va tutto bene- le sorrise la donna, posandole delicatamente le dita sotto il mento ed esortandola così a sollevare il capo e posare il suo sguardo su di lei, come se volesse farle leggere la risposta direttamente nei suoi occhi -Di cosa ti preoccupi?-
Mikasa esitò qualche secondo: -Come…-
-Come ho fatto a capirlo?- intervenne ridacchiando, accarezzandole una ciocca scivolata davanti ai suoi occhi, per poi riportarla dietro il suo orecchio -È pur sempre mio figlio-
Lei abbassò il capo, imbarazzata: solo Eren riusciva a provocarle tali emozioni -battito a mille, rossore, e confusione-, eppure anche sua madre, ogni tanto, l'avvolgeva con quel suo calore materno che a lei mancava da impazzire.
-Grazie- le disse, sorridendole.
La donna ricambiò il gesto, sollevandosi dal letto e dandole un po' di spazio per scivolare fuori dalle lenzuola ed alzarsi.
La osservò con orgoglio, mentre si infilava le ciabatte: quella bambina era più matura di quanto si potesse anche solo immaginare, guardandola all'esterno.
Aveva avuto una vita difficile, aveva perso entrambi i genitori da piccola, assistendo persino al loro assassinio, ma non si era lasciata trascinare da ciò, nonostante ci siano voluti diversi mesi per abituarsi.
Ricordava ancora quando, per sbaglio, le capitava di chiamarla “mamma” e se questo, da una parte, la rattristava, dall'altra la rendeva felice, perché significava che riusciva a considerarla come un punto di riferimento e che riusciva a fidarsi di lei.
Malgrado il fatto che, da quel trauma in poi, sia riuscita a crescere normalmente, ciò che si portava alle spalle rimaneva pur sempre qualcosa di orribile e quel peso, col passare degli anni, non avrebbe fatto altro che aumentare.
-Allora...che ne dici di aiutarmi a preparare la colazione per quello svitato di mio figlio?-
 

-Buongiorno-
La voce di Eren, ancora impastata dal sonno, azzittì immediatamente le due donne di casa, le quali stavano allegramente scambiando due chiacchiere mentre lavavano alcuni piatti.
Quando Mikasa si voltò verso di lui, le sue guance si ritinsero improvvisamente di rosso ed il suo cuore riprese a battere velocemente e, incapace di continuare a guardarlo senza avere quelle curiose reazioni, tornò a fissare il lavandino.
Carla alternò lo sguardo dalla ragazza al suo fianco, sino al figlio che, confuso dallo strano atteggiamento della corvina, era rimasto immobile, dietro al tavolo.
-Sta bene?- chiese a Carla, lanciandole un'occhiata curiosa che, in fondo, celava anche un po' di preoccupazione.
-Sta benissimo- mormorò la donna, abbassandosi leggermente per sussurrarle alcune parole all'orecchio: Eren le squadrò con aria sospetta, consapevole che stesse succedendo qualcosa, ma non fece in tempo ad aprir bocca che Mikasa, sfilandosi i guanti bagnati d'un sol colpo, si era già lanciata al piano di sopra, sorpassandolo tanto velocemente da non permettergli di agire consapevolmente.
-Che cosa...?- biascicò, fissando il punto dove, pochi secondi prima, era sparita.
-Eren- lo richiamò poi Carla, tornando a dargli le spalle e ad occuparsi delle stoviglie -Ti conviene comportarti bene con lei-

-Noi usciamo- esclamò Eren, afferrando lo zaino e correndo fuori dalla porta: si voltò, attendendo che Mikasa, particolarmente lenta e taciturna, lo raggiungesse.
Il suo viso era per metà nascosto dalla sciarpa rossa che quel giorno, come ogni altro passato, le avvolgeva il collo, mentre i suoi occhi puntavano il terreno sotto i suoi piedi.
Sembrava piuttosto giù di morale e stanca, o forse ce l'aveva con lui, dato come spostava lo sguardo ogni qual volta incrociasse il suo.
-Va tutto bene?- le chiese quindi, una volta arrivati a metà strada.
La ragazza annuì vistosamente, mordendosi il labbro e stringendo la divisa scolastica che adesso indossava: non riusciva a regolarizzare i battiti del suo cuore, come se fosse impazzito.
Eren infilò le mani all'interno delle tasche, lasciando andare un sospiro ed osservando come questo, a contatto con le basse temperature esterne, diventasse quasi una nuvola di ghiaccio.
Quando si dissolse, ed il suo sguardo tornò sulla strada, si accorse della presenza di Armin, il quale, rimasto all'entrata del parco, li stava fissando in completo silenzio.
-Buongiorno Eren, Mikasa.-
-Buongiorno- mormorò lei, sollevando il capo e incrociando i suoi occhi azzurri per un po', per poi tornare a fissare la strada di fronte a sé, lasciandosi i due alle spalle.
-Cos'hai combinato?-
Eren sussultò sorpreso:-Io?? È così da stamattina, non centro nulla io!-
Armin scrollò il capo, lasciandosi sfuggire una risatina, mentre la loro scuola appariva imponente nel loro campo visivo: -Qualcosa sarà successo-


Il resto del cammino fu abbastanza tranquillo, e così le lezioni che ne seguirono.
Mikasa evitava di incrociare gli occhi di Eren, nonostante il suo sguardo fosse sempre su di lui, che fosse la sua schiena, il suo braccio o i suoi capelli, sia mentre parlava con altri, sia nel bel mezzo delle lezioni.
L'unico lato positivo di quel freddo glaciale, era che poteva nascondere il volto nella sua calda sciarpa rossa e far sembrare che, il rossore sulle sue guance, fosse provocato da quelle alte temperature. Solo lei ne sapeva il reale motivo.
Ogni volta che lo guardava, non riusciva a non pensare a cosa sarebbe successo di lì a poco.
Sentiva ogni angolo del suo corpo fremere d'impazienza, ma riusciva a distinguere anche i brividi che percorrevano ogni sua singola vertebra, ogni qual volta le tornasse in mente il suo obiettivo.
Vedere Mikasa Ackerman in quelle condizioni, era uun'occasione più unica che rara, e lei era abbastanza agitata e nervosa, e quell'ultima ora di storia era stata piuttosto pesante da digerire.


-Eren-
Aveva passato un'intera mattinata in silenzio, senza farsi sfuggire il suo nome una singola volta ed ascoltando la voce degli altri che lo richiamavano al suo posto.
-Cosa c'è?- le rispose lui, quasi bruscamente e forse arrabbiato, dato che gli aveva impedito di raggiungere i suoi compagni sul campo da calcio.
-Devo… devo dirti una cosa- gli disse, mordendosi il labbro e spostando lo sguardo sui suoi piedi che si muovevano nervosamente.
Strinse la presa sulla sua manica, temendo che, da un momento all'altro, potesse fuggire da lei.
-Devi dirmelo proprio ora? Stanno per iniziare la partita- mormorò lui, con tono irritato, non preoccupandosi di trattenere un sospiro, lanciando poi un'occhiata alle sue spalle dove alcuni ragazzi stavano già iniziando a dividersi in squadre.
-È importante...-
-E non puoi dirlo a qualcun altro?-
-No-
Mikasa strinse le palpebre con forza, impedendo a sé stessa di crollare proprio in quel momento, dopo tutti i giorni e le ore che aveva atteso.
Nulla sarebbe andato storto… o almeno, questo era ciò che sperava.
-Seriamente, mi stai facendo perdere tempo- esclamò, strattonando il braccio e facendole perdere, per la sorpresa, la presa sulla manica della giacca, così che lui potesse allontanarsi di qualche passo.
In quel momento, ciò che la colpì maggiormente e più duramente, non fu proprio il modo con cui si liberò di lei, bensì le sue parole: lei era solo una perdita di tempo per lui ed era stata una stupida a credere- o sperare- il contrario.
-Se devi dirmi qualcosa, allora-
Eren rimase immobile, fissando il volto chino di Mikasa e la sua bianca pelle nascosta, per gran parte, dai corti capelli corvini che le scivolavano ai lati. Nonostante ciò, riuscì ad intravedere i suoi occhi grigi, che quel giorno sembravano spiccare più del solito sul suo viso pallido: solo quando fece più attenzione, notò una lacrima scivolarle sulla guancia e capì cosa aveva appena combinato.
Seguì quella piccola goccia d'acqua, finché non la vide scivolare sul pavimento, mischiandosi con il terriccio ed aspettando probabilmente che altre simili facessero la sua stessa fine.
-Mikasa…- mormorò Eren, abbassando notevolmente il tono ed allungando una mano verso di lei che si scansò subito, continuando a fissare la punta dei suoi piedi.
-Scusami per... aver interrotto la tua partita- disse, prima di voltarsi e correre via: ignorò il suo richiamo; il suo nome pronunciato talmente tante volte di seguito da lui, le provocava uno strano effetto. Doveva davvero piangere, per essere semplicemente chiamata per nome da lui in un modo che non coinvolgesse il solito tono furioso e disinteressato?
Non aveva comunque alcuna voglia di voltarsi, e non udiva neanche piedi veloci che cercavano di raggiungerla, e ciò la convinse ad aumentare il passo.
Dopotutto, se aveva i suoi compagni, non aveva certo bisogno dell'unica persona che gli era sempre rimasto accanto.

 

   
 
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