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Autore: moira78    24/09/2018    4 recensioni
Questa storia è il sequel di "Dove volano i miei desideri".
Le coppie sono formate ormai, gli anni passano e le cose cambiano per tutti, nel bene e nel male. La nuova generazione di artisti marziali di Nerima si è appena affacciata al mondo e già dovrà affrontare nuove sfide.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le ombre del destino.'
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Cap. 2: CONFESSIONE.


Casa Tatewaki si stagliava all’orizzonte come una minaccia e come una benedizione allo stesso tempo. Le sembrava che, come in sogno, ogni passo che faceva non la portasse affatto più avanti ma, al contrario, rimanesse intrappolata in una melassa che la teneva ferma sempre nello stesso punto.

Coraggio, Nabiki Tendo, questa è la tua grande occasione!

Nonostante la sensazione onirica di non spostarsi, alla fine arrivò al portone e suonò il videocitofono senza pensarci troppo; qualche istante dopo la vocina gracchiante di Sasuke domandò: “Si?”.
“Sono Nabiki”.

“Oh, signorina Tendo, le apro subito!”.

Ci fu un ronzio e poi il cancello scattò aprendosi. Mai le era sembrato così pesante e mai le era parsa così interminabile la sua corsa cigolante sulle guide.

Insomma, che mi prende?! Non ho sempre desiderato sposare un uomo ricco?

Attraversando il vialetto ripercorse gli eventi della mattinata e un tormento senza nome cominciò a pungerla all’altezza del petto. Uno sciabordio improvviso la fece sobbalzare per la sorpresa: era solo quel dannato coccodrillo che saltellava felice nel laghetto del giardino, neanche fosse una piccola carpa! Mormorò un’imprecazione a denti stretti e non tentò neanche un falso sorriso quando le venne incontro Tatewaki, con le braccia allargate e l’espressione radiosa.
“Oh, mio fiore giulivo, quale gradita sorpresa mi fai recandoti così improvvisamente nella mia umile di…”.


“Poche chiacchiere, Taichi, dobbiamo parlare”, tagliò corto. Ora capiva cos’era che le pungeva il petto: l’acidità di stomaco.
 

“Ma certo, vieni pure dentro, mia adorata. Parleremo con calma in salotto sorseggiando del buon tè proveniente da…”.


“Se hai anche un antiacido sarebbe il massimo”, sospirò superandolo e avviandosi all’entrata. Quel giorno non aveva proprio bisogno di altre smancerie, già era tanto per lei dover tenere in grembo

mio figlio

un marmocchio che, nella migliore delle ipotesi, da grande avrebbe straparlato come suo padre.

Se Tatewaki fu deluso dalla sua freddezza non lo diede a vedere, già le faceva strada con mille cerimonie.

“So benissimo dove si trova il salotto, non c’è bisogno che mi fai da guida!”, esclamò esasperata.

“Mio raggio di sole, ho ragione di pensare che qualcosa ti turbi pesantemente, oggi sei più irritabile del solito”.

Nabiki lo fissò per un istante, non sapendo se sarebbe scoppiata a ridere o se invece l’avrebbe ricoperto di insulti. Non fece nulla di tutto ciò, si limitò ad accomodarsi sul grande divano con un’espressione grave.
“Chiudi la porta, non voglio che ci sentano altri”.

Ci manca solo che quella pazza di Kodachi o quel ficcanaso di Sasuke si mettano ad ascoltare…

Kuno eseguì e le si sedette di fronte. “Faccio portare del tè alla vaniglia, mia pulzella? Viene direttamente dalle isole vergini del…”.
“La vuoi smettere di blaterare e mi ascolti?!”, sbottò gridandogli in faccia.

Lui sbatté le palpebre, evidentemente sorpreso e Nabiki cominciò a massaggiarsi le tempie in preda a un incipiente mal di testa. Senza parlare dello stomaco che sembrava preda di un boa constrictor.

“Ti ascolto, Nabiki, pendo dalle tue dolci labbra”, mormorò. Le parve offeso e prodigo allo stesso tempo.
Quest’uomo non mi odierà mai. Bene.

Non c’era un modo indolore o particolare di dirlo, tanto valeva farlo e basta: “Sono incinta. Mi devi sposare”, sentenziò guardandolo dritto negli occhi. “Devo vomitare”, soggiunse infine alzandosi e dirigendosi a gradi passi verso la stanza da bagno, non prima di aver scorto sul viso del ragazzo un'espressione sconvolta.

                                                                                              ***
“I ramen vanno al tavolo tre, gli spaghetti di soia al cinque e la zuppa di calamari al dieci! Muoviti!”. Mousse eseguì diligentemente, caricandosi le ciotole sulle braccia e tenendo in mano salse e spezie. Lo guardò allontanarsi e poi bloccarsi, correggendo la traiettoria che stava per portarlo dritto contro il muro.
Ha di nuovo problemi agli occhi.

“Mami, mami, posso aiutarti?”. Misaki, con tanto di grembiulino a fiori, la stava tirando per i pantaloni.

Sospirò, chiedendosi se, oltre a un aiuto in cucina, non le servisse anche una baby sitter. Prese un cestino contenente delle nuvolette di gamberi e si accovacciò alla sua altezza.
“Lo vedi quel tavolo con quei ragazzi che ridono? Ecco, porta loro questi”, disse indicando la sala.

La bambina annuì, felice, e prese il cestino come se tenesse in mano un tesoro di inestimabile valore. Shampoo la vide dirigersi al tavolo con eleganza
Quando era appena nata rideva sempre.

e posare le nuvolette in un angolo del tavolo dove riusciva ad arrivare stando in punta di piedi.

Era così piccola che la tenevo con un solo braccio.

Si inchinò elegantemente, strappando risate e applausi agli occupanti del tavolo e

Allora l’ho amata subito

uno di loro le scompigliò i capelli in una carezza.

anche se la sua nascita mi ha quasi uccisa e distrutto il mio corpo.

“Shampoo?”, la mano del marito sulla spalla e il suo richiamo appena sussurrato la strapparono dai suoi ricordi.

“Cosa? Che c’è?!”, ruggì.

“Perché stai piangendo?”.


“Non sto pian…”. Una lacrima le cadde sul grembiule e lei la fissò per qualche istante a bocca aperta. Si asciugò nervosamente gli occhi

Sapevo benissimo che non avrei mai più potuto avere figli, eppure ho continuato a provare

e gli indicò altri tre piatti. “Quelli vanno al tavolo sei”.

e provare e provare. Inutilmente.

“Sei sicura di stare bene?”.

Le aveva fatto la stessa, irritante domanda ogni volta che un medico le dava la medesima, insindacabile notizia:

“Non fare domande idiote e servi i clienti, siamo in ritardo”.

l'operazione che aveva dovuto subire in conseguenza dell'emorragia l'aveva danneggiata irreparabilmente. Inutile illudersi.

Mousse si allontanò con i piatti, camminando con la testa china. Quando aveva smesso di essere una moglie e una brava madre per colpa della sua ossessione di avere figli?
“Ancora, ancora!”, gridava felice Misaki saltellandole intorno.

Misaki è il mio miracolo, e rimarrà l'unico.

“Vai in camera tua, la mamma ha da fare”, le intimò freddamente.

E quando ho cominciato a odiarla per qualcosa che non mi ha fatto volontariamente?

Come sempre quando lei cambiava di umore in maniera così repentina, Misaki non protestò e non si mise a fare i capricci. Si limitò a fissarla per qualche istante con le labbra contratte e gli occhi lucidi di pianto prima di eseguire l’ordine.

Lo sente, anche se non sa. Oh, Kami…

Shampoo sospirò e sedette su una sedia portandosi le mani al capo, maledicendo se stessa e il destino crudele che le era toccato.
                                                                                              ***
Scorse i fogli con metodo, a cominciare da quelli datati più recentemente, andando a ritroso nel tempo.

“Non c’è niente che non vada in lei, signora, deve solo avere pazienza”.

Già, pazienza. Erano tre anni che aveva pazienza, tre anni che la famiglia li incitava a darsi da fare per mettere in cantiere l’erede del dojo Tendo: avevano addirittura fatto trasferire Genma in un’altra stanza perché i due sposini avessero un'alcova tutta loro dove ‘lavorarci in santa pace’. Ma, varcata la soglia di quella camera, venivano subito assaliti dalle domande e dalle richieste di metterci più impegno, perché se certe cose non si fanno con sentimento non vengono bene, perché Happosai era ancora in grado di allenare ma chissà fra qualche anno, perché… perché… perché.
Ne ho fin sopra i capelli di questa storia!

“Dannazione!”. Sbatté i fogli sul tavolo e si prese la testa fra le mani. Possibile che non potessero mai vivere come una coppia normale?

"Akane, posso entrare?". La voce di Ranma la fece sussultare. Si accinse a togliere velocemente di mezzo tutte le carte e a riprendere il controllo. Quando lui entrò, stringeva al petto i fogli e doveva avere sul volto un'aria colpevole, perché suo marito si accigliò.

"Stavo solo... facendo un po' di ordine".

Una scusa coi fiocchi, non c'è che dire!

"Akane...". Sapeva cosa voleva dire con quel tono, ne avevano parlato tante volte.

Oh, al diavolo!

Sbatté la pila di carte dentro un armadio e lo richiuse di scatto. Il cuore le martellava nel petto e si impose di fare respiri lenti.
 

Calma, Akane, calma...
 
Si aspettava le solite parole di circostanza, invece Ranma si limitò a cingerle la vita da tergo, poggiandole la testa sulla spalla. Rilasciò i muscoli tesi e assorbì il suo calore, concentrandosi sul respiro caldo in cima all'orecchio. Voleva parlare, ma temeva che sarebbe sbottata prima a urlare e poi a piangere dalla frustrazione.
 

Per cui tacque per lunghi minuti, godendosi il silenzio e quell'effimero momento da soli.
 

Fra mezz'ora saremo di là e ricomincerà la solita solfa. Non posso sopportarlo. Non più.
 
"Ti senti meglio?", chiese Ranma in un sussurro.
 
"Sì, grazie", rispose intrecciando le mani nelle sue. "Anche se sarebbe ancora meglio se fossimo a qualche migliaio di chilometri da qui".
 
Ranma ridacchiò. "Esagerata, basterebbe qualche centinaio! Almeno potremmo tornare più facilmente".
 

Questa è la mia casa, è la mia famiglia. Eppure non le sopporto più.
 
"La cosa che", cominciò. Poi prese un respiro e si schiarì la voce. "La cosa che mi distrugge è sentirmi così pressata da tutti. Certo che voglio dei figli, che voglio degli eredi, ma odio essere trattata come una specie di macchina che deve sfornare dolci a tutti i costi!".
 

Si stava di nuovo innervosendo e non era pronta alla reazione di Ranma. "Anche perché se i dolci sono come li fai tu di solito, non oso pensare...".
 

Quell'idiota stava ridendo?!
 
"Ranma!", strillò sciogliendosi dalla sua stretta e voltandosi, indecisa se scoppiare a ridere lei stessa o se picchiarlo selvaggiamente.
 

"Scherzavo, scherzavo! Volevo solo sdrammatizzare", si scusò arretrando e gesticolando in maniera convulsa.
 

"Non sono un oggetto. Sono stufa che gli altri decidano della mia vita", riprese, "Io... sto bene anche così, per il momento". Ecco, l'aveva detto.
 

Ranma diventò di nuovo serio e la prese gentilmente per le spalle. "Akane, io la penso come te. Siamo stati tanti anni a lottare contro le richieste dei nostri genitori, che abbiamo perso di vista quello che volevamo davvero. Ma ora che finalmente abbiamo una vita nostra non permettiamogli più di decidere per noi".
 

Akane lo fissò per qualche secondo: ancora si stupiva per l'intesa che c'era tra loro, dopo tanto tempo passato a litigare. Come al solito, bastava solo parlare per capirsi. "Allora facciamo un patto: da oggi in poi decidiamo noi, e guai a chi ci detta regole, sei d'accordo?".
 

"Patto stipulato", dichiarò lui baciandola brevemente, "e sigillato", concluse dandole un altro bacio.
 
Akane si rilassò del tutto: la tensione della giornata era svanita. "Cena?”, domandò abbracciandolo.


Ranma la guardò inorridito come se, invece di 'cena', avesse detto 'gatto'. “Intendo dire che andremo da Ucchan a prendere degli okonomiyaki! Basta che stiamo... lontani per un po'. Anche solo di pochi chilometri”.
 

Deve bastarmi, per ora.
 
“Ah, bene, allora cena!”, esclamò Ranma felice alzando un pugno in aria in segno di vittoria.
 
“Vorresti insinuare che Ryoga cucina meglio di me?!”, domandò piccata, conoscendo già la risposta.
 
“Certo, non cucina come Ukyo, questo devo ammetterlo, però... insomma, Akane, tu stai ancora imparando, no?”.
 
Tutto sommato decise che, per quella volta, l'avrebbe perdonato. Sorrise, pensando a come avrebbero litigato una volta e a quanto sarebbero stati meno sinceri e più impacciati.
 
“Sì, sì, certo... Andiamo, prima che il locale si riempia”, disse roteando gli occhi a guardare in aria.

“Con il mio metodo non avverrà”, dichiarò Ranma e, afferratala saldamente, uscì con un balzo dalla finestra cominciando a saltare di tetto in tetto.
Akane si accoccolò contro il suo petto, pensando per l'ennesima volta a quanto era stata fortunata a incontrarlo e cieca per tanti anni a non volersi lasciar andare.
 
Stiamo così bene quando siamo soli...
 
Improvvisamente pensò che, se avessero potuto davvero vivere lontani da tutto e da tutti, forse il bambino sarebbe arrivato più volentieri.
 
                                                                                              ***
Quando tornò in salotto, Kuno era in piedi davanti alla finestra con le mani intrecciate dietro la schiena. Una posa da vecchio, rifletté prima di rendersi conto che, molto probabilmente, essere stata preda dei conati subito dopo avergli chiesto di sposarla gli aveva dato un'interpretazione errata della sua proposta.
Dannazione, penserà che sposarlo mi disgusta!

“Ascolta, Taichi, stavo poco bene già da prima, non penserai mica...”.

Mi sto davvero giustificando con lui?!

“Oh, sì che lo penso, ma non perché sei corsa a vomitare subito dopo, tranquilla. Ti conosco fin troppo bene, Nabiki Tendo”.
Quella risposta la gelò.

Cosa sai, cosa conosci di me?

Kuno si avvicinò a lei, carezzandole prima il viso e poi il ventre con un'intensità che quasi la spaventò.

Quanto è diventato intelligente e maturo Tatewaki, senza che me ne accorgessi?

“So che ami tanto le cose belle che posso darti

Quanto?

e che continuerò a darti e a dare anche a nostro figlio”.

Vittoria! Ora si che...

“Ma non ti sposerò, Nabiki Tendo”.
                                                                                              ***
“Sono a casa!”. La voce di Kasumi gli arrivò alle orecchie come una musica e Ono fu veloce a rimettere in ordine i suoi strumenti e a richiudere la valigetta: aveva tutto quello che gli occorreva per il giro di visite del giorno dopo.

E ho gettato via quell'orrida lettera in modo che Kasumi non possa trovarla...

“Oh, Kasumi, bentornata, come è andata la…”. Fu interrotto dall’entrata irruenta dei suoi figli: Daiki gli si aggrappò ai pantaloni e cercava di avere la sua attenzione per raccontargli qualcosa, mentre Akio gli volò direttamente in braccio.

“Papà, sai cos’è successo, oggi?”.

“Papà, ho incontrato Mi-Mi-Misaki!”.

Già, ricordo quando io incontravo Ka-Ka-Kasumi…

“Bambini, non tormentate così il papà, ha lavorato tutto il giorno e sarà stanco!”. Sua moglie gli prese Akio dalle braccia e gli staccò gentilmente Daiki dai pantaloni.

“Non preoccuparti, cara. Mi fa piacere sentire cosa hanno da dirmi i miei diavoletti. Mmhh... vediamo un po’”, fece accovacciandosi all’altezza del bambino con gli occhiali e scrutandolo bene. “Qui abbiamo del sangue incrostato sul naso e un bel graffio sulla guancia. Shampoo dovrebbe insegnare a sua figlia a essere meno manesca!”.

“Sono bambini, che ci vuoi fare? Giocano e si fanno male”, cinguettò Kasumi con un sorriso.

Era solo una stupidaggine, no? Uno scherzo di cattivo gusto. E allora perché continuo a pensarci?

“Misaki non vuole che tu sei innamorato di lei!”, sentenziò Daiki facendo infuriare il fratello, che gli diede una spinta.

“Non è vero, è solo timida!”, rimbeccò piccato.

“Non è timida, è manolesca!”.

Forse avrei dovuto bruciarla.

“Si dice manesca. Ora lascia che il papà disinfetti le ferite di tuo fratello e vieni in cucina con me: devo preparare la cena”. Le parole di Kasumi ebbero un effetto calmante su Daiki, che seguì docilmente la mamma.

“Mi fai assaggiare il tofu fritto?”.

“Stasera faccio il sukiyaki, non cucino il tofu”.

“Allora mi fai assaggiare la carne mentre la prepari?”.

“Vediamo, magari un pezzettino…”.

Tuttavia si è trattato di un singolo episodio, inutile rimuginarci.

Ono rimase quasi incantato a fissare sua moglie e suo figlio dirigersi in cucina: era estasiato da quell’immagine che aveva desiderato per tanto tempo e che ora, magicamente, era divenuta realtà. Quasi non si accorse che Akio lo stava chiamando.

“Eh? Oh? Dimmi, figliolo”.

“Mi esce ancora sangue”.

“Ok, giovanotto, vieni, disinfettiamo queste ferite di guerra… cioè, d’amore, va bene?”. Prese per mano il figlio e cominciò a camminare con lui.

Domani ci farò su una bella risata.

“Userai il disinfettante che non pizzica?”.

“Certo che sì e ti metterò un cerotto con il panda disegnato sopra”.

“Voglio quello con le anatre!”.

“Vediamo se ne sono rimasti…”. Mentre frugava nell'armadietto, Tofu inspirò profondamente il profumo che già si sentiva provenire dalla cucina e si disse che nulla, nulla al mondo avrebbe mai potuto incrinare la loro felicità.

Era solo una stupidaggine, si ripeté.

Dalla cucina, Kasumi e Daiki scoppiarono a ridere.
   
 
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