I.15
Wufei
scrive romanzi di guerra – per finirla; forse per vincerla,
almeno sulla carta.
Talvolta vomita qualche lirica d'amore, un racconto o due sul
tradimento, sopra
il riscatto, sulla resurrezione – perché e percome, non è pronto
ad ammetterlo:
non sa come dirlo. Progetta oziosamente una novella che parli di
perdono e pentimento,
di un'altra occasione; tutta al futuro, come una profezia a
lieto fine – vorrebbe
averne il tempo, ma ha poca convinzione. Una sola pagina di
lasciti e di scuse,
saluti e confessioni, da mesi è ripiegata in un cassetto, tra In riva all'acqua ed un
fiore secco,
fermata da un anello troppo stretto.
In
ogni parola, cerca la verità col lanternino; ricuce il passato e
il proprio
volto, come un mostro, per dirsi di conoscere chi è stato,
d'essersi capito. Con
la sintassi, ricostruisce l'ordine del mondo, anche se è finto.
Occasionalmente,
s'intinge il pennino in una vena – quando la notte è fonda e la
luce, fioca, a
stento s'indovina –, dicendosi che magari stasera sarà la volta
buona.
Heero
gli fa da editore, talora da censore; è troppo gentile: se la
memoria diventa
ingannevole, lo vuole risparmiare, perché sa bene che cosa
significhi avere
troppo onore – e che sopravvivere fa male da morire.
Wufei,
tuttavia, chiede comunque a Duo, perché è suo amico e non gli può
mentire.
"Fefè,
è troppo nobile: non c'è abbastanza sangue; non fa abbastanza
orrore".