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Autore: MadLucy    26/09/2018    1 recensioni
{Hannibal/Will | Hannigram | mpreg | fluffangst | what if | segue il canon fino alla 3x07 | preg!Will}
Hannibal sorrise, commosso. «Quindi lo hai già scoperto.»
Will socchiuse gli occhi. Il concepimento è un atto oscuro, per certi versi simile alla contaminazione. L'ovulo che fagocita il gamete, come una violenza muta. La scissione di una cellula in due, lo sdoppiamento inquietante come quello di un essere con due teste, la moltiplicazione febbrile, come una raffica di proiettili, come durante lo sviluppo di un cancro. Una formicolante frenesia di affermazione. La morte e la vita si assomigliano sempre un po'.
«La tazza si è rotta. I pezzi non si rimetteranno insieme mai più» ripetè Will. «Io sto solo cercando di arrangiare i frammenti della distruzione che ti sei lasciato dietro.»
«Non mi sono lasciato dietro solo distruzione» osservò Hannibal.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti, Will Graham
Note: What if? | Avvertimenti: Mpreg
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Bianca si guardava intorno con meticolosità infantile. I suoi occhi verdi e gialli, quelli copiati dal viso di Will, scivolavano sulla superficie scura e levigata di ogni mobile. Lo sguardo soppesò il lampadario a sospensione a forma di cilindro grigio perla, un treppiede di fil di ferro con una piantina verde penzolante, una grande stampa in bianco e nero del Duomo di Milano. Un appartamento minimale e alla moda, anche troppo grande per una donna sola. Scale imponenti, credenze laccate antracite immense, vuote, con dentro sacchetti di curcuma, avena, cereali sofisticati per cene impegnative, ricette sprecate per un solo commensale. 
La donna era seduta di fronte a lei, su una poltrona identica alla sua. Un paio di pantaloni color cammello a vita alta e una camicetta di tessuto spesso, rigido. Uno chignon di capelli ancora biondi, ma striati di bianco. Sembrava un capo di stato, in quel lusso severo. «Sai perchè Will ha voluto che io e te avessimo questa conversazione?»
Le ha offerto un bicchiere d'acqua, di succo di frutta, Bianca ha rifiutato con un gesto fermo. «Perchè vuole accertarsi che io stia bene» rispose, con leggerezza. Poi vide, nel viso di Bedelia, l'aspettativa di una risposta più sincera. «Perchè la vita insieme a lui potrebbe essere diversa rispetto a quella che ho vissuto finora con Alana e Margot» aggiunse. Ci pensò qualche istante prima di ricordare l'ultima cosa: «Perchè loro hanno ricevuto una telefonata» completò.
«Giusto» approvò finalmente Bedelia. I suoi capelli erano splendenti, e i suoi occhi color del mare. «Ti dispiace lasciarle?»
«Sì, certo che mi dispiace» annuì Bianca, unendo le mani in grembo, dondolando i piedi leggermente. «Però sono a favore del trasferimento da papà.»
Bedelia non distolse lo sguardo da lei, nemmeno un attimo. I lineamenti erano distesi. Doveva usare qualche crema costosa sulla pelle. «Hai vissuto con loro e il figlio.»
«Morgan» confermò Bianca. 
«Morgan. Avete molto in comune, tu e Morgan.»
La ragazzina non rispose. Dopo un attimo di silenzio, raccontò qualcosa di casuale. «È come un fratello, ma temo che si stesse innamorando di me. È un bene che ci siamo allontanati.» 
Bedelia non cambiò discorso. «Sai chi era il suo padre biologico?»
Bianca la fissò in modo strano, quasi accusatorio. Infine rispose: «Sì.»
«E sai qual è il tuo?»
Questa volta non ci fu esitazione. «Sì.»
«Molto bene.» Bedelia non sorrise. La sua voce era pacata, e non cambiava mai tono, nè di timbro nè di altezza. «Se avessi la possibilità di incontrarlo, accetteresti?»
Bianca accavallò le gambe. I capelli biondo scuro le incorniciavano gli zigomi alti, dritti come spaghi. Aveva un viso lungo, solenne, poco adolescente, poco americano. «Sì. È mio padre.»
Bedelia non le diede a vedere se la sua risposta era giusta o sbagliata. «Che cosa gli diresti?»
Bianca non aveva dubbi. «Che non ho paura di lui.»
«Ed è la verità?»
«Sì.»
Bedelia tacque. Il viso era una maschera di ceramica, imperscrutabile. Ma il collo aveva delle rughe. Quando sembrava che non potessero più venire parole tra loro, «Sai chi era Abigail Hobbs?»
Bianca inclinò il viso, incuriosita. «Lei sa molte cose riguardo la mia famiglia.»
Fece un sorriso stentato con le labbra di rossetto color carne. «La gente lo crede, ma alla fine so solo quello che dicevano i giornali. Il resto è una mia supposizione.»
«In che rapporti era con mio padre?»
«Quale?»
Bianca inarcò un sopracciglio, ironica. «Quello cannibale.»
Bedelia la osservò, senza scomporsi. Si soffermò sulla forma regolare di un orecchio -l'altro era coperto dai capelli- e sulla punta del mento. «Ero la sua psichiatra.»
«Allora lo conoscerà molto meglio di me» proseguì Bianca. «Quindi, capirà da sola la differenza tra me ed Abigail Hobbs.»
La donna incassò la risposta. «Cosa vorresti fare in futuro, Bianca?»
«Qualcosa con le lingue» rispose lei. «O con la matematica.»
«Lascia che ti dia un consiglio.» Bedelia scosse il polso, fece tintinnare un grosso bracciale d'oro. «Non cedere mai alla tentazione di poterlo comprendere. È un tentativo che conduce a una strada piena di dolore, che Will Graham sta ancora attraversando.»
Bianca sorrise senza allegria e fece un cenno regale del capo, come una concessione. «Grazie del consiglio, dottoressa.»
La telefonata ricevuta da Alana durante la mattinata di qualche giorno prima era stata da parte di Hannibal Lecter, che le aveva detto di ringraziare Will per aver avuto l'accortezza di scegliere un nome di origine italiana. Non c'era stato modo di rintracciarla. Da allora, si era predisposto il trasferimento di Bianca.
Margot e Alana entrarono dopo di lei, per sentire il responso. Bedelia guardò la sedia dove la ragazza era stata seduta fino a poco prima. 
«Reagisce come una qualsiasi figlia che non abbia mai conosciuto uno dei suoi genitori» decretò. «Non ho riscontrato niente degno di nota.»
E fu così che Bianca salì su un aereo privato per il Maine. E Bedelia si chiese, una volta sola, se avesse fatto bene a manipolarlo, quel verdetto, o se invece sarebbe stato più etico dire la verità. Bianca Graham, o Lecter che fosse, sembrava avere bisogno di una menzogna. 

***
Quando la vide ferma tra la folla brulicante degli arrivi, una piccola valigia rossa alla mano -il grosso dei bagagli sarebbe stato spedito da Alana e Margot dalla Finlandia- Will maledì il tempo perso, tutto il tempo in cui aveva sorriso lontano da lui.
«Sei cresciuta così tanto» riuscì solo a dire, di fronte alla sua figura sottile, le gambe lunghe nelle calze, senza riuscire a fare il primo passo -quasi timoroso di non averne più il diritto. Bianca arrossì, rise. «Ma no, papà... sei tu che stai rimpicciolendo.»
Era da due anni che non lo vedeva. Rimasero stretti, in mezzo alla gente, come un unico tronco. Will sorbì con il naso il suo odore, ricordò di quando lasciava il suo lettino per dormirgli sulla pancia. Si accorse di aver avuto paura di morire prima di rivederla. 
«Ti sono mancata?»
Non era una mancanza, era una menomazione, come avere un arto fantasma. «Sempre» mormorò Will, «sempre.»
Una volta in macchina, con la cintura allacciata sul sedile accanto a quello del guidatore, Bianca chiese perchè dopo tanto tempo si fosse sentito abbastanza sicuro da rivolerla con sè.
«Perchè l'unico posto dove posso saperti davvero al sicuro, ormai, è solo vicino a me» ribattè il padre. «Senza averti sotto gli occhi, mi sento male.»
Bianca scrutò il panorama della sua infanzia, il vapore della nebbia lattea fuori dal finestrino. «Anche tu mi sei mancato.» 
Appena arrivati a casa, fu salutata da un rumoroso branco di cani e si inginocchiò per farsi leccare il viso. Riconobbe con gioia molti, ma anche tante facce nuove. «Lo sai che qui è così» si giustificò Will. Aveva preparato una cameretta per lei, con tende nuove di zecca, un profumatore anche troppo intenso al limone e tutti i peluches della sua infanzia sul letto. Bianca ci rimbalzò da seduta per testare il materasso. «Hai preso la decisione giusta, papà.»
Era una ragazza dall'educazione impeccabile, spazzolò tutto lo stufato con insalata di patate, nonostante Will stesso si rendesse conto che era mediocre.
«A casa in Finlandia non mangiavamo carne da anni...»
«Ah, davvero?»
«Da quando Morgan è vegetariano.» Vegetariano.
Le chiacchiere erano blande, Will parlava del suo lavoro all'università, di quegli studenti ingrati. Bianca aveva occhi attenti, vigili.
«Tu preferivi che vivessi lontano da te per gli incubi, vero? Non volevi che ti sentissi.»
Will si sentì esposto, senza schermi. «È solo una... la più insignificante delle ragioni.» Gli anni avevano cambiato qualcosa. «Sono quasi scomparsi. Un tempo venivano tutte le notti. Ma non devono essere una tua preoccupazione.»
Bianca azzardò un sorriso, schivo, triste. «Quei sogni significano che ti manca anche lui
Will ora abbassò lo sguardo. Magari gli incubi erano diminuiti, ma il suo volto era una mappa di insonnie. «Significano che l'ho incontrato. E che a quello non c'è rimedio.»
Non dissero niente per un paio di minuti. Poi un'idea sorse nella mente di Will. «Chi ti ha detto degli incubi?»
Bianca scrollò le spalle. Sembrava un medaglione di bronzo, esotica, adulta. I suoi colori si erano scuriti con gli anni. «Ti sentivo, da piccola... avevo paura che qualcuno ti stesse facendo del male.»
Finirono la serata con due gelati dal freezer, in silenzio. Passando di fronte a camera sua, il padre vide un blocco bianco sulla scrivania, un paio di libri vecchi, i beni di prima necessità che aveva portato con quella valigia rossa. «Tanto per fare qualcosa...» Però poi non le andava di stare sola, si mise sul divano accanto a lui, a tracciare linee sul foglio, usando il bracciolo come banco.
Era estate, c'era tempo per l'iscrizione a scuola. Bianca faceva lunghe passeggiate intorno al lago, si portava dietro i cani che conoscevano ogni sentiero, non rischiava di perdersi. Non vedeva il proprio riflesso su quella superficie pantanosa, turbolenta, ma stava lo stesso con il mento giù, ad esaminare. Forse vedeva i pesci. Will le propose di andare a pescare insieme, lei disse no. Le facevano pena gli animaletti, non voleva vederli morire. Will ringraziò il cielo di quella figlia sensibile, gentile, che cercava con i lunghi piedi bianchi di intaccare la solidità delle piccole spiagge di sabbia nera, che li immergeva nell'acqua grigia. Stava in bilico sui sassi che affioravano, raccoglieva le pigne. Will pensava fosse una specie di gioco, invece un pomeriggio di ritorno dagli esami estivi vide sul davanzale della finestra una sfilza di barattoli di vetro con dentro un liquido scuro. «Sciroppo di pino mugo... Per la tosse, per l'inverno.»
Will non la lasciava cucinare, anche se lei si offriva di alleviarlo di quel pensiero. Vedere quella figuretta aggirarsi in cucina a rimestare con il grembiule bianco era troppo forte. Era quando le immagini avevano la licenza di sovrapporsi, e devastarlo. A volte Bianca sembrava capirlo, gli andava vicino come se avesse appena combinato un guaio. «Ti voglio bene, papà.» Nascondevano il proprio viso all'altro in un abbraccio, erano una piccola famiglia timida, con troppi anni di separazione. 
Bianca aveva fatto conoscenza dei vicini, una casetta non lontanissima dalla loro, una coppia di giovani ragazzi con un bimbo piccolo, anche loro attirati dalla prospettiva di allontanarsi dalla società, i suoi gas di scarico, i suoi locali chiassosi. Lei diventava spiritosa con il bambino, le veniva una voce brillante. Ma ciò che l'affascinava di più era come, nel weekend, quella casa grande quanto la loro si potesse colmare all'inverosimile di parenti, nonni, zii, cugini, amici. Una folla di gente benvenuta, di legami, interconnessioni benevole. Lei spiava quel chiarore da presepio con un'invidia buona, remissiva. Disse a Will che quello che le era mancato di più era un gruppo di familiari, quell'articolazione elaborata che tutti i bambini vantavano, quei ruoli ricoperti. Will disse che gli dispiaceva, che anche lui avrebbe voluto un fratello, una sorella accanto, i genitori ancora in vita, per i momenti difficili. Mentiva. L'idea di far soffrire per i propri problemi tutta quella gente sarebbe stata inammissibile. Passando l'aspirapolvere Will vide qualcosa nella sua stanza, una foto minuscola sulla scrivania, come un francobollo. Era color seppia, raffigurava una bambina con le guance paffute, un caschetto di capelli compatto, gli occhi neri che bucavano la carta e qualcosa di tetro, come una specie di austerità. Non era brutta, ma non era carina, non era adorabile, non ispirava tenerezza. Sembrava troppo consapevole, troppo cupa. 
«Amore... chi è questa?»
Bianca non fece una piega. «È mia zia... l'ultima foto che esiste di lei.»
Will si arrabbiò, chiese come l'avesse trovata, che non bisognava impicciarsi, i crimini di guerra erano una cosa rischiosa. Poi si calmò, le chiese scusa, spiegò che aveva paura di tutto quello che lo riguardava, perchè lui era libero. Bianca non ribattè. Disse solo che era stata Margot a trovarla, se l'era fatta inviare da un archivio in Lituania. Mise la foto in una cornice, ma era troppo grande, ci stava appiccicata in mezzo come una mosca contro il finestrino. Inquietò Will per molte notti: sentiva gli occhi di tenebra di Mischa Lecter cercarlo, inseguirlo nel buio della camera, del sonno. 
Una sera Jack venne a cena. Padre e figlia andarono a fare la spesa in paese, comprarono il tacchino dal macellaio, il sedano dall'ortofrutticolo. A volte mentre guidava Will staccava una mano per un secondo per accarezzarle la testa, quella nuca biondastra, come se dovesse sempre materialmente accertarsi della sua presenza. A casa tirò fuori da una vetrina i calici da vino, spostò il tavolo in veranda e apparecchiò lì. Bianca indossò l'unico vestito lungo che si era fatta mandare, quello del teatro, di pizzo nero, anche i capelli raccolti e attaccati alla testa, spartiti da una scriminatura centrale, sembravano più scuri, come una tenda. Appariva seriosa come una giovane imperatrice russa, mentre di solito era così leggera, raggiante. Era come se volesse mettere l'ospite a disagio. Jack rise, se la ricordava così piccola, una bambolina con le trecce. Bianca non rise. Disse che sì, beveva anche lei un po' di vino, giusto un dito, Alana e Margot l'avevano abituata.
I due adulti parlarono del tempo, di come era in Virginia, di come nel Maine. Delle partite di football che Will non guardava nemmeno. 
Bianca chiese: «come vanno le ricerche?»
Jack si voltò. L'aveva osservata per tutto il tempo, con la coda dell'occhio, e lei lo sapeva. Aveva visto Hannibal troppo spesso e troppo da vicino per non riconoscere i suoi lineamenti in lei. Però faceva come Will, sentendosi attaccata... si spingeva fino alla vetta e poi si aggrappava al masso, sulla difensiva. Seguiva l'impulso di farsi ferire da ciò che le faceva male.
Jack fece segno di no. «È sempre stato un esperto in questo. Se non vuole farsi trovare, non lo troveremo.»
«Se credete che cercherà di mettersi in contatto con me, fareste meglio a controllarmi.» Bianca era imperscrutabile, teneva in mano il suo calice pieno senza bere.
Will strinse i denti. Quella routine a cui era condannata, sbirri che la scortavano ovunque, tutti che si giravano a guardare quello spettacolo bislacco, come se fosse una criminale in libertà vigilata, o una stella del cinema tra i comuni mortali. «Nessuno ti controllerà.»
«Lo sei stata per troppi anni. La tua vita non può più venire influenzata in questo modo. Devi poterti sentire libera e non sempre sotto pressione» rispose Crawford.
Bianca bevve un sorso. Disse: «Forse, se non lo ha fatto finora, non lo farà più.»
Il discorso naufragò. Piombarono nel silenzio.
Quando Will andò dentro casa per portare via i piatti, Jack le allungò un biglietto. «Il mio numero... per qualsiasi cosa ti insospettisca.»
Bianca lo squadrò, senza interesse. Poi lo sguardo tornò sul volto dell'uomo. «È colpa di persone come lei se la mia famiglia non è stata quella che poteva essere, agente Crawford.» Lo disse con tono tranquillo, come se asserisse qualcosa di dato. 
Jack non rispose, fu preso in contropiede. Adesso aveva paura di quello sguardo sereno, fermo. Riconobbe uno spettro dibattervisi dentro.
Will tornò e si mangiò un sorbetto mezzo sciolto per dolce. La pausa gli permise di rimettere in piedi una conversazione banale e generica. Jack, come per dimenticare gli ultimi minuti, vi si tuffò a pesce. Bianca stava zitta, composta, il petto pieno d'aria, il collo diritto. Anche adesso come quella visita di molti anni prima, il suo sguardo pareva pescare oltre il parapetto qualcosa di invisibile, e attendere che spuntasse fuori.
  
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