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Autore: evelyn80    26/09/2018    2 recensioni
Molte cose sono cambiate: il Knight Two Thousand non è più un auto. Michelle Boswald, nipote di Bonnie, è la sua nuova pilota. Con lei lavorano altre due ragazze, Mary Cassidy e Helen Seepepper. Insieme si fanno chiamare le K.I.T.T.'s Angels.
La nuova Fondazione, diretta da Michael e Bonnie, le invia in Alaska, nelle isole Aleutine, per sventare un traffico di droga tra la Russia e gli USA. Ma poiché quasi nessuno sa della loro esistenza, dovranno lavorare in incognito per passare inosservate tra le ciurme degli altri pescherecci.
Avranno a che fare con pescatori scorbutici e maschilisti e dovranno faticare un bel po' per portare a termine la loro missione.
Storia cross-over tra Supercar e Deadliest Catch (settima stagione)
Genere: Avventura, Azione, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I soliti sospetti


Due giorni dopo, il Knight Rider fece il suo ingresso al porto di Dutch Harbor carico di granchi. Grazie alle indicazioni di K.I.T.T., le ragazze avevano continuato a tirare su nasse piene fino all’orlo, con somma soddisfazione di Jeremy che, nonostante fosse ben consapevole che la loro era solo una copertura, non poteva certo lamentarsi per l’aumento di guadagno. Lasciando a Mary il compito di occuparsi della conta e dello scarico del pescato, Michelle ed Helen, ancora puzzolenti di pesce e con i capelli tutti aggrovigliati, si diressero all’Elbow Room per parlare con i loro sospettati.
La riccia individuò subito il capitano dell’Incentive e i suoi baffoni da tricheco. Con un cenno alla sua compagna si diresse baldanzosa verso di lui, lasciando Michelle da sola.
La nipote di Bonnie si guardò attorno per un istante prima di avvistare il mozzo della Northwestern, Jake Anderson, seduto al bancone del bar in compagnia dei fratelli Harris. Del suo capitano e i suoi fratelli neanche l’ombra.
Meglio così”, pensò Michelle. “Meno vedo quel buzzurro e meglio sto!”.
Fingendo una stanchezza maggiore di quella che in realtà provava, la ragazza si avvicinò ai tre, facendo schioccare le vertebre mentre si metteva a sedere sullo sgabello accanto a loro.
“Salve, ragazzi!”, salutò con cortesia, facendo una smorfia mentre portava le mani alla schiena. “Accidenti, questo mal di schiena mi sta uccidendo! Si vede proprio che sono una tipa da spiaggia… Allora, come sta andando la pesca?”.
I fratelli Harris la fissarono di sottecchi, il minore ancora memore dello schiaffo ricevuto da Helen. Il giovane Anderson, invece, rispose calorosamente al saluto. Era da un po’ che voleva parlare con qualche marinaio del nuovo peschereccio, per chiedere informazioni sul bellissimo disegno ad aerografo che ornava la sua timoniera.
“Cavoli, quel disegno è stupendo! Da chi lo avete fatto fare?”, chiese con entusiasmo, offrendole da bere.
“Da un artista di Los Angeles”, rispose Michelle, senza riuscire a trattenere un sorriso. Era stata proprio lei a volere quell’opera, perché K.I.T.T. continuava a lamentarsi di non essere più una Trans Am e quelle immagini non facevano altro che celebrare la sua storia.
“Sai, anch’io ero un appassionato di Knight Rider! Adoravo quel telefilm!”, continuò Jake. La ragazza sorrise educatamente, cercando di non lasciarsi scappare una risata divertita.
Oh, se solo sapessi…”, pensò, sorbendo un sorso di birra e fingendo un’altra smorfia di dolore.
“Tutto bene?”, le chiese il ragazzo, e lei continuò la sua pantomima.
“Per niente! Sì, è vero, la pesca va alla grande, ma non riesco a convivere con questo dolore allucinante. E le medicine non fanno alcun effetto! Oh, cavoli, avessi almeno quella roba speciale che trovavo in California… La Moonlight è buona, ma troppo leggera per i miei gusti”.
Il minore dei fratelli Harris le lanciò uno sguardo eloquente, mentre il giovane Anderson parve cadere dalle nuvole.
“Moonlight?! E che roba è?”, chiese, stupito, fissando alternativamente i suoi amici e Michelle. La ragazza si strinse nelle spalle, mentre Jake Harris deviò subito il discorso su un terreno meno pericoloso per lui.
A Michelle non sfuggì nulla. Capì che veramente il maggiore degli Harris non sapeva nulla della doppia vita del fratello, e che Jake Anderson era un novellino anche nel mondo degli stupefacenti. Escluse quindi che la Northwestern fosse coinvolta nel traffico di droga. Se quel peschereccio fosse stato un corriere, il mozzo lo avrebbe certamente saputo e, invece, la sua espressione di stupore era stata sincera e genuina.
Spero che Helen abbia più fortuna di me”, pensò lanciando un’occhiata nella sua direzione. Il capitano Hendricks rideva sguaiatamente e si batteva una mano sulla coscia, mentre la sua amica fingeva di ascoltarlo interessata.

La riccia, in realtà, era tanto nervosa che doveva tenersi strette le mani per non cominciare a menare schiaffoni a destra e a manca. Solo il suo piede sinistro, che tamburellava come se stesse battendo sul pedale di una grancassa, tradiva il suo reale stato d’animo. Era seduta col capitano Hendricks e il suo equipaggio da dieci minuti buoni, e ancora non era riuscita a prendere la parola per cercare di carpire qualche informazione. Il baffone, infatti, continuava a fare il gradasso, vantandosi della sua pesca miracolosa, e facendo battuttine allusive che mandavano Helen fuori di testa.
Se non la smette, giuro che gli tiro un pugno su quel muso da tricheco che si ritrova!”, pensò per l’ennesima volta.
Finalmente il capitano si interruppe per trangugiare un lunghissimo sorso di birra, e la ragazza riuscì a portare il discorso sul binario che voleva.
“Posso farvi una domanda un po’ indiscreta, ragazzi?”, attaccò, abbassando la voce in tono cospiratorio e piegandosi in avanti, verso il bancone. “Sapete, per caso, dove posso trovare roba forte?”. Voltò lo sguardo in direzione di Michelle, fingendo di controllare che non la stesse guardando. “Le mie amiche non lo sanno, ma ho bisogno di qualcosa che mi tiri su per restare in forma”.
Uno dei marinai più giovani – dalle informazioni ricevute da K.I.T.T. le pareva di ricordare si chiamasse Jamie Stone – lanciò uno sguardo al capitano, che rispose con un cenno affermativo mentre si ripuliva i baffoni con il dorso della mano, e le si avvicinò al punto da far sfiorare le loro fronti.
“Vieni stanotte alle due al magazzino 15. Vedremo di trovare qualcosa adatto a te”.
Helen sorrise e annuì. Poi, con una scusa, lasciò il bar in tutta fretta. L’occhiata impercettibile che lanciò alla sua compagna, ancora seduta in compagnia dei tre giovani marinai, passò inosservata alla ciurma dell’Incentive, ebbri com’erano di birra.

Non appena Michelle vide Helen lasciare il locale, si alzò dallo sgabello e fece schioccare ancora le vertebre.
“Adesso devo proprio andare”, sospirò, guardando l’orologio. “Abbiamo lasciato Mary a fare lo scarico dei granchi tutta da sola, ci starà mandando tanti di quegli accidenti che non so come farò a tornare indenne a bordo. Ci vediamo!”. E, dopo aver fatto l’occhiolino a Jake Harris, percorse a grandi falcate la distanza che la separava dall’uscita, raggiungendo la sua compagna che stava attraversando la strada.
“Allora, com’è andata?”, chiese la riccia quando Michelle le si affiancò.
“Non posso esserne sicura al cento per cento, ma credo che la Northwestern sia estranea al traffico di droga”, rispose la nipote di Bonnie, grattandosi il mento. “Quando ho parlato della Moonlight, il suo mozzo è caduto dalle nuvole, guardandomi stranito. Quindi, o è un bravissimo attore, oppure non ne sa assolutamente nulla. E credo che, stando a bordo, avrebbe avuto sicuramente modo di accorgersi di qualche movimento sospetto”.
Helen annuì pensierosa. “Io ho avuto maggior fortuna. Uno dei marinai dell’Incentive mi ha dato appuntamento al magazzino 15, per stanotte. Dovrò presentarmi da sola, perché ho detto loro che voi non siete a conoscenza del mio “vizietto”.
Michelle fece un cenno col capo. “Ti seguiremo a distanza, rimanendo nell’ombra, e chiederò a K.I.T.T. di sorvegliare la zona. Se noteremo movimenti sospetti non esiteremo ad intervenire”.

Al Knight Rider, Mary aveva appena terminato lo scarico dei granchi. Le tre ragazze si radunarono nella timoniera per fare il punto della situazione.
“Quindi, secondo voi il nostro corriere dovrebbe essere l’Incentive?”, riepilogò Mary, non appena le sue amiche ebbero concluso il loro rapporto. “È probabile”, aggiunse subito dopo, “anche se non me la sento di escludere a priori la Northwestern. Il suo capitano non mi piace per niente!”.
“Neanche a me, lo ammetto”, rispose Michelle, “ma Jake Anderson mi pare pulito. Però, se devo essere sincera, non mi piace nemmeno il capitano Neese. Ha uno sguardo troppo mellifluo…”.
A quell’allusione Mary saltò su, come punta da una vespa. “Dici così solo perché sei gelosa!”.
Michelle sbuffò. “Mary, ti prego! Non sono gelosa, come devo ripetertelo? Attualmente non mi interessano i ragazzi, ho a cuore solo la salute di K.I.T.T., come mia zia prima di me!”.
“Grazie, Michelle”, disse il computer, con un tono di compiacimento nella voce. La ragazza gli diede una pacca affettuosa sulla consolle degli strumenti.
Mary incrociò le braccia sul petto e grugnì, ma non aggiunse altro. Helen decise di intervenire.
“Ragazze, è inutile insistere su questa storia. Pensiamo, piuttosto, che stanotte alle due devo incontrare Jamie Stone. E pregate per lui che non abbia cattive intenzioni, altrimenti gli cambio i connotati!”, concluse facendo schioccare le nocche.

Quella notte, le K.I.T.T.’s Angels scivolarono furtive nel buio, il Knight Rider che controllava le loro mosse sui suoi radar, coprendo loro le spalle. Michelle gli aveva chiesto di tenere d’occhio tutta la zona e di avvertirle in caso di qualsiasi movimento sospetto, e K.I.T.T., ligio al dovere, aveva espanso al massimo il suo stato d’allarme, sondando l’area con tutta la sua strumentazione al completo. Il suo scanner frontale correva frenetico da un lato all’altro della prua, illuminandola di un tetro bagliore rosso.
Giunte a poche centinaia di metri dal luogo dell’appuntamento, le tre si fermarono.
“Ok, Helen”, sussurrò Michelle, “Mary e io rimarremo qui a guardarti le spalle. Se noti qualcosa di strano non esitare a contattarci”, aggiunse, indicando l’orologio identico al suo che Helen portava al polso. Bonnie ne aveva creati altri due, da affiancare all’originale di Michael, perché le tre amiche potessero sempre tenersi in contatto anche quando erano distanti.
La riccia annuì e Mary aggiunse: “Se K.I.T.T. lancia l’allarme, noi correremo in tuo aiuto. Non spaccare tutti i grugni che trovi, lascia divertire un po’ anche noi”.
Le tre non riuscirono a trattenere un risolino alla battuta, poi Helen raddrizzò le spalle e si allontanò in direzione del magazzino 15.
Il posto pareva deserto. Non si sentiva altro rumore oltre al frusciare del vento gelido del Mare di Bering. Helen si guardò furtivamente attorno, poi fece lentamente il giro dell’edificio, scivolando nell’ombra lungo le pareti di cemento grigio. Quando raggiunse il retro, vide una porticina di ferro socchiusa.
“K.I.T.T.”, soffiò nel suo orologio, “quante persone ci sono, all’interno?”.
“Tre”, rispose il computer. “A giudicare dalla stazza, credo che uno di loro sia il capitano Hendricks”.
La ragazza annuì, anche se il computer non poteva vederla, poi si rivolse nuovamente all’orologio. “Mary, Michelle. Io entro”.
“Ok”, rispose in un sussurro quest’ultima, mentre Mary tratteneva il fiato. Non si sentiva mai tranquilla in quelle situazioni: preferiva di gran lunga inseguire i nemici con la sua auto da corsa, correndo a duecento all’ora, a tutta quella forzata immobilità dell’attesa.
Helen scivolò silenziosa verso la porta, poi bussò due lievi colpi per farsi sentire. Dei passi risuonarono all’interno del capannone semivuoto e, poco dopo, Jamie Stone socchiuse il battente di uno spiraglio. Non appena la riconobbe, le aprì quel tanto che bastava per farla scivolare dentro, per poi richiudere subito dopo la porta alle sue spalle, con un tonfo sordo che rimbombò cupamente nella vastità del magazzino.
La ragazza sentì montare dentro di sé una strana inquietudine, ma tentò di non darlo a vedere.
“Allora, avete la roba per me?”, chiese, dominando l’impulso di mollargli un pugno in faccia e correre via.
“Certo. Vieni, seguimi”.
Jamie la condusse verso un’altra porta socchiusa, da cui filtrava una lama di luce. Helen lo seguì, con i nervi tesi fino allo spasimo. Per precauzione, attivò il sistema di comunicazione del suo orologio, così Michelle, Mary e K.I.T.T. avrebbero potuto ascoltare tutto quanto.
Nella stanzetta, il capitano Hendricks e un altro marinaio – Mark Smith, se ricordava bene dalle informazioni di K.I.T.T. – sedevano ad una scrivania graffiata e sporca, macchiata dalle bruciature di molti mozziconi di sigaretta. Davanti a loro si trovava un sacchettino di nylon trasparente, pieno di piccole capsule rosa pallido. Jamie chiuse la porta dietro di sé, bloccando l’unica via di fuga della ragazza.
“Ecco quello che ci hai chiesto”, attaccò il capitano, facendo tremare i suoi baffoni da tricheco. “Immagino che vorrai provarla, prima di pagare”.
“No, grazie. Mi fido”. Helen tirò fuori dalla tasca una mazzetta di banconote da cento dollari, anch’esse provenienti dal fondo spese della Fondazione, e la gettò sulla scrivania con gesto indolente. Fece poi l’atto di prendere il sacchetto, ma Mark la bloccò, stringendole il polso. La ragazza dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non rovesciare la scrivania con un calcio e metterlo al tappeto con una mossa di Kung Fu. Non doveva farsi scoprire, non finché non fosse stata certa che i tre che aveva davanti erano veramente i corrieri che lei e le sue amiche stavano cercando.
“Scusa, tesoro”, riprese il capitano. “Tu forse avrai anche fiducia in noi, ma noi non ne abbiamo in te. Dimmi: chi cazzo sei, veramente?”.
Helen inarcò un sopracciglio. “Una tua cliente?”.
Mark la afferrò per il bavero del giubbotto con la mano libera. “Senti, ragazzina, non abbiamo voglia di scherzare. Credi davvero che avremmo venduto la nostra roba alla prima arrivata? Non pensare che non abbiamo notato quanto sia strana la vostra barca. Quello non è un peschereccio! Che cazzo ci siete venute a fare, tu e le tue amiche, nelle Isole Aleutine dalla California? Siete tre poliziotte, non è vero?”.
“E se anche fosse?”, chiese la riccia, il fiato corto per la costrizione al collo e la faccia paonazza per la rabbia.
“Allora vi pentirete amaramente di essere venute a romperci le palle!”, sibilò il capitano Hendricks, alzandosi in piedi. Stava per mollarle un ceffone in piena faccia quando la porta della stanzetta si spalancò, e Mary e Michelle – che avevano sentito tutta la conversazione e si erano avvicinate di soppiatto – fecero irruzione nella stanza. Approfittando dell’effetto sorpresa, la prima diede un calcio nello stomaco a Jamie Stone, mandandolo a ruzzolare in un angolo. Helen si liberò agilmente dalla stretta di Mark Smith, facendolo poi volare all’indietro oltre la sua schiena. Michelle si avventò sul capitano, parando lo schiaffo diretto alla sua amica con l’avambraccio sinistro e colpendolo al naso con la mano destra aperta. Il setto nasale dell’uomo si ruppe con uno schiocco secco, mentre il sangue prendeva a zampillare copioso. Con un ruggito di dolore l’uomo se lo strinse, e Michelle ne approfittò per colpirlo con un calcio al basso ventre che lo mandò al tappeto.
Mary e Helen finirono i loro avversari, poi scambiarono un gesto di esultanza con la loro amica. “Ce l’abbiamo fatta, ragazze!”, esclamò Michelle. “K.I.T.T., chiama la polizia. Abbiamo un bel po’ di spazzatura da rimuovere, qui!”.


Spazio autrice: Da questo capitolo in poi, la storia è stata scritta in tempi recenti, quindi è probabile che ci sia un cambiamento di stile.
La scena finale dello scontro è stata volutamente descritta in maniera blanda e sbrigativa, innanzi tutto perché la storia vuole comunque essere una lettura piuttosto “leggera”, e in secondo luogo perché anche in “Supercar”, Michael di solito fa molto presto a sbarazzarsi dei suoi avversari.
I due marinai dell’Incentive – Mark Smith e Jamie Stone – sono personaggi di mia invenzione. Il capitano Hendricks, invece, è apparso in una o due delle prime stagioni di “Deadliest Catch”.
Ovviamente, anche se non l’ho ancora mai specificato prima, con questo mio scritto non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in alcun modo.
  
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