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Autore: Lux_daisy    28/09/2018    2 recensioni
Xanxus si staccò dalla porta e si diresse verso il bancone della cucina. «Sono venuto a prendermi del caffè, dato che qualcuno si è dimenticato di portarmelo».
“Oh cazzo!” imprecò Squalo dentro di sé, seguendo i movimenti del moro con lo sguardo. Indossava i pantaloni della divisa, ma al posto della camicia portava una maglia morbida bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti.
Maglia che gli cadeva in modo a dir poco perfetto e che sembrava voler accompagnare con sensualità le linee dei muscoli del Boss.
Non che Squalo ebbe questo pensiero mentre lo osservava, no.
Così come non sentì la bocca farsi secca quando il Boss, dopo aver bevuto un sorso di caffè, si leccò le labbra con noncuranza.
Genere: Commedia, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Superbi Squalo, Xanxus
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Di nudità, istinti omicidi e segreti non tanto segreti






“Un’altra mattina… è solo un’altra mattina come tutte le altre! Il fatto che non abbia chiuso occhio e che potrei uccidere chiunque per una tazza di caffè non significa assolutamente niente!”.

Dopo pochi passi fuori dalla sua stanza Squalo capì di star prendendo in giro solo se stesso. E ne ebbe la perfetta e dolorosa conferma quando, svoltato un angolo, si ritrovò nel corridoio da lui amabilmente soprannominato “la strada per l’inferno”.

Inferno che sembrava divertirsi a sue spese perché proprio nell’istante in cui passò davanti la stanza del Boss, la porta si aprì di colpo e una spettinata testa bionda sbucò fuori e poco ci mancò che la proprietaria della testa gli finisse addosso.

Squalo si bloccò sul posto e lanciò un’occhiata feroce alla ragazza che aveva appena richiuso la porta alle sue spalle. Capelli disordinati, vestiti sgualciti, trucco sbavato e una lampante aria di appagamento e soddisfazione.
Chiaro aspetto di chi aveva passato una notte a fare del sano sesso.

Non che Squalo ci facesse caso, ovviamente… L’occhiataccia rivolta alla putt… alla ragazza derivava dal semplice fatto che lei gli era quasi finita addosso e non si era ancora scusata.
Il pensiero di Xanxus che si scopava quella là non gli faceva assolutamente venire voglia di fare a pezzi entrambi, no.

La bionda fece una risatina imbarazzata e si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Subito dopo scrollò le spalle e si allontanò a passo spedito, senza degnare Squalo di alcuna altra considerazione.

Lo spadaccino strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche e con un grugnito riprese la strada verso la cucina.
Una volta ingurgitata la sua tazza di caffè, il dolore, la rabbia e l’stinto omicida sarebbero scomparsi.
Beh, magari per l’istinto omicida sarebbero servite almeno due tazze di caffè.
 
 
«Con quella di sta notte a quante siamo?» domandò Lussuria con nonchalance, una rivista in una mano e un bicchiere di succo nell’altra, mentre si sedeva al tavolo della cucina già occupato da tutti i Varia.

A quella domanda Belphegor ghignò in sua direzione per poi addentare il suo cornetto ripieno.
«La quinta» rispose Mammon con voce piatta, gli occhi fissi sul giornale.
«In una settimana?» esclamò sconvolto Levi, sputacchiando il caffè sulla tovaglia bianca.

«In quattro giorni» precisò l’Illusionista senza muoversi dalla sua posizione, mentre Bel insultava Levi, dando vita alla prima discussione della giornata.
«Mammon-chan, come mai sei così informata sulla vita sessuale del Boss?» continuò Lussuria, le labbra leggermente curvate in un sorrisetto.

«È difficile ignorare i gemiti, i versi e tutto quel rumore non necessario nel silenzio della notte quando sto sveglia a lavorare fino a tardi» spiegò Mammon con tono irritato, «il Boss dovrebbe davvero darsi una calmata».
«Ushishishi penso che le donne non sarebbero d’accordo con te».

Lussuria bevve un sorso dal bicchiere e sfogliò la rivista. «Questa settimana è stata anche più movimentata della scorsa: il Boss si sta proprio dando da fare. Che invidia!».
«Quella di ‘sta notte non era la figlia di Walter Pescari?» s’informò Levi, il più interessato alla discussione.
«La biondina? Sì, era lei» confermò Lussuria, «se il padre sapesse con chi se la fa sua figlia non penso proprio che sarebbe felice».
Bel ridacchiò e addentò il secondo cornetto della colazione. «Ushishishi la fama del Boss lo precede».

«Sono passati sei mesi dalla battaglia contro quei mocciosi dei Vongola: credete che il Boss stia ancora cercando di superarla?» suggerì Levi l’idiota, tanto da beccarsi delle occhiate scettiche dagli altri Varia. Idiozia la sua alla quale Lussuria decise di rispondere saggiamente.

«Levi-chan, psicoanalizzare il Boss è utile tanto quanto cercare di convincere Mammon a dare tutti i suoi soldi in beneficienza, perciò non sforzarti. È un uomo e ogni uomo ha le sue necessità. Per di più, considera che ha passato otto anni rinchiuso in una prigione di ghiaccio; è normale che adesso voglia soddisfare i suoi impulsi. E almeno la smetterà di sfogarsi in modo violento su tutti noi. Che ne dici, Squ-chan?» concluse, spostando lo sguardo sullo spadaccino.

Squalo, che per tutto il tempo della discussione aveva tenuto lo sguardo fisso sul giornale e il cervello impegnato a non ascoltare una parola –con scarsi risultati- strinse i pugni con violenza. «Cosa vuoi che me ne freghi di chi si scopa quello là!» sputò fuori acido, fulminando Lussuria con lo sguardo.

«Ooh Squ-chan, non c’è bisogno di essere così scorbutici di prima mattina!» lo rimproverò quello con voce lamentosa, «ti sei svegliato col piede sbagliato per caso?».

Lo spadaccino scattò in piedi talmente rapido da rovesciare la sedia. «Voooooooi! Non sono affatto scorbutico!» sbraitò, gli occhi sbarrati e la vena sulla fronte che pulsava pericolosamente, «e poi perché cazzo vi interessa così tanto dove il Boss infila il suo uccello? Non sono affari vostri! Smettetela di parlarne!».

«Per una volta devo dare ragione alla feccia».

Quella voce calda e bassa gelò sul posto tutti i Varia, tranne Squalo che si voltò lentamente verso il proprietario e lo vide poggiato allo stipite della porta della cucina, le braccia conserte e gli occhi rossi fissi su di loro.

«B-boss, che ci f-fai qua?» farfugliò Lussuria nel tentativo di deviare la sua attenzione. Nonostante il suo essere masochista, la prospettiva di finire pestato a sangue dopo la colazione non era di certo allettante.

Xanxus si staccò dalla porta e si diresse verso il bancone della cucina. «Sono venuto a prendermi del caffè, dato che qualcuno si è dimenticato di portarmelo».
“Oh cazzo!” imprecò Squalo dentro di sé, seguendo i movimenti del moro con lo sguardo. Indossava i pantaloni della divisa, ma al posto della camicia portava una maglia morbida bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti.
Maglia che gli cadeva in modo a dir poco perfetto e che sembrava voler accompagnare con sensualità le linee dei muscoli del Boss.

Non che Squalo ebbe questo pensiero mentre lo osservava, no.
Così come non sentì la bocca farsi secca quando il Boss, dopo aver bevuto un sorso di caffè, si leccò le labbra con noncuranza.
“Dannazione, falla finita!” si disse distogliendo a forza gli occhi dalla figura di Xanxus.

Intanto il Boss si spostò di nuovo verso la porta, la tazza di caffè in una mano. «Feccia, quando hai finito di urlare, portami da mangiare» ordinò con voce monocorde, fissando Squalo con la coda dell’occhio.

Poi se ne uscì in silenzio e Squalo tirò un sospiro di sollievo. Per lunghi istanti aveva temuto che il Boss gli avrebbe afferrato la testa e gliel’avrebbe sbattuta sul tavolo.
L’aveva già fatto tante volte e anche per motivi più stupidi.
Forse la teoria di Lussuria sul fatto che tutto quel sesso aveva reso Xanxus meno violento non era poi così campata in aria.
 
 
«Boss, sto entrando» avvertì Squalo aprendo la porta con una mano dato che l’altra cercava di non far cadere il vassoio con la colazione.

Di solito faceva irruzione nel suo ufficio gridando, beccandosi per questo un lancio di bicchiere, ma quella mattina era troppo stanco per non cercare di evitare sforzi inutili. Si avvicinò alla scrivania e vi posò il vassoio, mentre Xanxus continuava a tenere lo sguardo su alcuni documenti.
“Non ci credo! Sta lavorando? Di mattina? Senza che debba urlargli addosso di muovere quel suo culo pigro?”.

Guardandolo meglio finì però per notare qualcosa che non avrebbe voluto vedere, ovvero un grosso e appariscente succhiotto sul lato sinistro del collo. L’improvviso dolore al petto accompagnato da una scarica di rabbia da far invidia proprio a quelle del Boss gli tolse il respiro per un attimo.

Sentendosi osservato con insistenza, il moro sollevò gli occhi dai fogli e lo fissò su Squalo. «Hai qualche problema, feccia?».
«Ah… no… è solo che mi fa uno strano effetto vederti lavorare di tua spontanea volontà» rispose con un ghigno, sforzandosi di apparire divertito.

Il Boss afferrò la nuova tazza di caffè dal vassoio e ghignò a sua volta. «Forse volevo solo evitare le tue urla».
«Pensavo che ormai ti fossi abituato».
«Feccia, le tue urla attentano alla mia salute fisica e mentale: non mi ci abituerò mai».

“Davvero non si sta incazzando? Di solito non è il tipo a cui piace scherzare…”. «A quanto pare la figlia di Pescari ti ha messo di buon umore».
Ora, Squalo lo aveva pensato ed era sicuro di averlo solo pensato, ma il cambiamento nello sguardo del Boss gli fece dubitare di se stesso.
«Hai detto qualcosa, feccia?».
«Ah… beh… ecco, no, no. Io stavo solo…».
«Pensavo che non fossero affari vostri dove infilo il mio uccello. Non l’hai detto tu prima?».
«Sì, infatti… Io non…». “E che cazzo! L’ho detto davvero ad alta voce?”.
Xanxus bevve un altro sorso di caffè e afferrò il toast farcito dal vassoio. «Forse interessa a te dove infilo il mio uccello?».

A quelle parole Squalo non poté non sgranare gli occhi, così come non poté impedire al panico di fargli battere il cuore come impazzito. Non poteva essere… lui non poteva aver capito…
Dopo lunghi secondi di silenzio in cui Squalo temette che fosse arrivata la sua fine, il moro parlò di nuovo. «Feccia, rilassati: ti sto prendendo in giro».
Gli occhi di Squalo si trasformarono in due palline da golf pronte a schizzare fuori. Prendere in giro? Lui, Xanxus?
“Non sta succedendo davvero…”.

«Voooooooooi! Infilalo dove ti pare e ti piace! Non potrebbe fregarmene di meno!» sbraitò furente e imbarazzato e al Boss non sfuggì il rossore che si diffuse sulle sue guance.
Poi senza dare all’altro il tempo di rispondere, Squalo si fiondò fuori dal suo ufficio, maledicendo tutto e tutti, ma soprattutto se stesso e la sua debolezza.
 
 
 
“Finalmente questa lunga giornata è finita…” pensò Squalo con una punta di sollievo mentre si dirigeva verso la sua stanza.

Villa Varia era da poco diventata silenziosa: solo le guardie di turno si aggiravano per i corridoi e lo spadaccino si disse che avrebbe dovuto fare una bella ramanzina al principino dato che continuava a piazzare delle trappole con i coltelli nei posti assegnati agli uomini di Levi.
«Moccioso del cavolo!» soffiò tra i denti mentre svoltava un angolo.

Ma quel giorno gli angoli e le svolte sembravano portarlo sempre verso ciò che meno voleva vedere.

Ritrovandosi costretto ad attraversare “la strada per l’inferno” per arrivare alla sua stanza, si bloccò non appena vide due ragazze avvicinarsi dalla direzione opposta e fermarsi davanti la camera del Boss.
Indossavano abiti succinti e tacchi alti e sembravano decisamente di buon umore.

“Un’altra volta? E non una ma due? Dannato figlio di puttana…”. Imponendosi a se stesso il massimo dell’autocontrollo, Squalo riprese a camminare a passo spedito, con tutto l’intento di allontanarsi da lì il prima possibile, ma ancora una volta i suoi piani furono vanificati.

Notandolo, le due ragazze gli si pararono davanti e lo approcciarono con sorrisi maliziosi stampati in faccia.
«Tu sei Superbi Squalo?» gli chiese quella con i capelli neri lunghi.
«Sei il vice di Xanxus, giusto?» aggiunse subito l’altra, stringendosi al suo braccio.
Squalo le incenerì con un’occhiataccia ma le due non sembrarono scosse in alcun modo.
«Cosa diavolo volete?» grugnì tra i denti, liberandosi della presa di una.

«Xanxus ci aspetta nella sua stanza, ma dato che siamo in due potresti unirti a noi, che ne dici?».
«Se ci avessero detto che il Boss aveva un vice così affascinante, saremmo venute prima».
«Sono sicura che a Xanxus non dispiacerà se facciamo una cosa a quattro. Vedrai, ci divertiremo un mondo».

Squalo strinse i pugni e sentì l’irrefrenabile desiderio di massacrarle di botte finché non avessero implorato pietà.
“Che cazzo hanno nel cervello queste troie?”. Indietreggiò di un passo e regalò loro un’occhiata gelida accompagnata da un leggero ghigno.
«Come se sprecassi il mio tempo con fecce del vostro livello».

A quelle parole le due ragazze sgranarono gli occhi, offese, ma le loro repliche vennero interrotte dalla porta della stanza del Boss che si aprì in quell’istante, rivelando la figura del moro sulla soglia.
«Che state facendo qua fuori?». La sua voce era calda e profonda come sempre e a Squalo non sfuggì il fastidio celato dietro quella domanda.

La tizia con i capelli castani che si era aggrappata al braccio dello spadaccino si voltò verso Xanxus con un’espressione irritata. «Abbiamo solo invitato il tuo vice ad unirsi a noi, ma lui si è rivolto a noi da vero cafone!».
«Già!» continuò l’altra con tono altrettanto irritato, «ha detto che non sprecherebbe il suo tempo con fecce come noi».

La labbra del Boss si curvarono in un ghigno divertito. «Non prendetevela. È solo che a lui non si alza con le donne».
Squalo sbarrò gli occhi incredulo mentre le due assunsero l’espressione di chi aveva capito tutto e si permisero pure di sorridere a loro volta.

«Adesso entrate» aggiunse subito dopo il moro. Si spostò di lato per fare passare le ragazze ma mentre quelle entravano, lo sguardo del Boss rimase fisso su Squalo che dal canto suo non sapeva neanche come reagire.

Una parte avrebbe voluto urlare e insultarlo come sempre, l’altra avrebbe voluto prenderlo a pugni e farlo a fette, l’altra ancora –quella che prese il sopravvento- riuscì solo a rimanere immobile e a ricambiare lo sguardo con astio e sofferenza.

Quando Xanxus richiuse la porta dietro di sé, lo spadaccino si allontanò in silenzio per il corridoio. Solo quando fu nella sua stanza si concesse di sfogare la sua rabbia e lo fece prendendo a pugni il muro.
Ma tutto ciò che ottenne fu solo una ferita sanguinante e altro dolore inutile.
 
 
Quando aprì gli occhi, quella mattina, Squalo si disse che avrebbe dato qualsiasi cosa, anche il suo intero braccio, pur di non dover affrontare il Boss dopo ciò che era successo la sera prima.
È solo che a lui non si alza con le donne.

Quella frase continuava a risuonargli in testa; le parole gli si formavano davanti agli occhi e nelle orecchie poteva ancora sentire il suono della voce di Xanxus mentre le pronunciava.

Come aveva potuto dire una cosa del genere? Cosa cazzo ne sapeva lui? Cosa cazzo ne sapeva del dolore che l’aveva accompagnato negli anni in cui Xanxus era congelato nella sua prigione, non sapendo se sarebbe stato libero, se l’avrebbe mai potuto rivedere? Del disgusto che Squalo aveva provato verso se stesso quando aveva capito i propri sentimenti, della rabbia e della vergogna che gli avevano tolto il sonno, del desiderio di potersi strappare il cuore per non sentire più quelle emozioni che lo facevano sentire umiliato e vulnerabile.
“È solo un fottuto arrapato di merda!”.

Si mise a sedere di scatto, causandosi un breve ma intenso capogiro. Si passò velocemente una mano sul volto, ma la bloccò a mezz’aria davanti ai suoi occhi quando notò i segni rossi sul dorso e sulle nocche. Purtroppo ricordava fin troppo bene di aver colpito ripetutamente la parete fino a ferirsi e di non essersi neanche medicato.

Si era buttato sul letto e aveva chiuso gli occhi, pregando che il sonno arrivasse presto.
“Tutta colpa di quel figlio di puttana!” pensò con rabbia per l’ennesima volta.

Non poteva andare avanti in quel modo, lo sapeva.
Peccato che quella consapevolezza non gli fosse di alcun aiuto.

Forse avrebbe semplicemente dovuto lasciare i Varia. D’altronde Xanxus non avrebbe mai potuto ottenere ciò che desiderava, l’Anello lo aveva respinto. Il titolo di Boss della Famiglia Vongola spettava a quel moccioso di Sawada e a Xanxus restava solo il comando dei Varia. Dopo la sconfitta subita, Squalo aveva anche pensato di tagliarsi i capelli, di rimuovere ciò che lo legava al moro, il segno di una promessa che non avrebbe mai trovato realizzazione. Così un giorno si era ritrovato davanti allo specchio e per lunghi minuti era rimasto immobile, una ciocca in una mano e le forbici nell’altra.

Alla fine non ce l’aveva fatta. E se Xanxus l’avesse sbattuto fuori dai Varia? Se l’avesse considerato un tradimento? “Dovrebbe essere quello che voglio, no?”. Forse era stato altro a bloccarlo, l’idea che Xanxus non avrebbe detto né fatto nulla, che non gli sarebbe importato di lui, che non avrebbe provato a fermarlo.
Che l’avrebbe semplicemente lasciato andare via, perché in fondo poteva fare a meno di lui.

Non avrebbe mai voluto ammetterlo, ma questo pensiero l’aveva spaventato. Lui, Superbi Squalo, Imperatore della Spada, mafioso, assassino spietato e senza scrupoli aveva paura di essere respinto. Come una stupida ragazzina innamorata.
Si alzò in piedi e un sorriso amaro gli curvò le labbra. “Innamorato… che schifo”.

Dopo una doccia veloce, si medicò la ferita, dandosi dello stupido perché aveva colpito il muro con la mano vera e non con la protesi.  Non era il massimo ma alla fine il dolore fisico l’aveva distratto da quello interiore.

Una volta pronto, uscì dalla sua stanza e si diresse verso la cucina, sperando con tutto il cuore di non incontrare le due ragazze della sera prima. Non provava neanche a sperare di non incontrare Xanxus perché tanto sapeva che, prima o poi, avrebbe dovuto affrontarlo. Non poteva evitarlo.

Fortuna volle che le sue preghiere vennero ascoltate e Squalo riuscì a raggiungere la cucina senza intoppi.
«Buongiorno, Squ-chan!» lo salutò Lussuria sventolando una mano.

Squalo fece un breve gesto con la testa e si buttò a sedere con un sospiro pesante. Seduto di fronte, Lussuria lo guardò per diversi secondi, chiedendosi cosa tormentasse il bel faccino del suo Capitano.
«Squ-chan, tutto a posto? Hai l’aria…» avrebbe voluto dirgli “l’aria di un cadavere che è stato riesumato, picchiato, e rimesso nella tomba” ma si trattenne, «un po’ abbattuta».
Lo spadaccino scrollò le spalle. «Potresti portarmi una tazza di caffè, per favore?».

Mama-Luss spalancò la bocca e sbarrò gli occhi, ma dato che portava gli occhiali da sole nessuno avrebbe potuto notarlo. “Squ-chan mi ha appena chiesto un favore in modo educato, senza grida, insulti, imprecazioni e altro turpiloquio?! Sto forse sognando? Questo è un sogno, giusto? Non può essere vero! O forse è un’allucinazione? Mi hanno drogato e sto avendo delle visioni, per forza”.

«Ma certo Squ-chan, con piacere!» esclamò alzandosi in piedi. Andò a preparare la tazza di caffè, aggiungendo solo un cucchiaino di zucchero. Come responsabile del benessere dei Varia, era suo compito conoscere i gusti di tutti gli abitanti della Villa. «Ecco qua» disse con tono allegro, posando la tazza davanti all’altro.
«Grazie» rispose il Capitano e a quel punto Lussuria non poté trattenersi dal gridare.

Squalo, che stava avvicinando la tazza alle labbra, sussultò e delle gocce scure finirono sul tavolo. «Voooooooooi! Ma che cazzo ti salta in mente, brutto deficiente?!».
Lussuria indietreggiò di qualche passo e si ricompose. «Non te la prendere, Squ-chan, è solo che da quando ti conosco non ti avevo mai sentito dire grazie. Sono rimasto scioccato e non ho potuto trattenere un urlo».

Squalo aggrottò le sopracciglia e pensò seriamente di buttargli in faccia il caffè caldo, ma poi si disse che sarebbe stato uno spreco di un ottimo caffè e desistette.
«Dove sono gli altri?» gli chiese, dato che erano i soli in cucina.
«Mammon è chiusa nel suo ufficio a fare conti, Belphegor è partito qualche ora fa per una missione e l’idiota credo che sia ad allenarsi o a scrivere la sua fanfiction sul Boss, non lo so e poi che importa?».

Squalo bevve il suo caffè in tre sorsate e si alzò in piedi. «Notizie dallo stronzo?». Pregò che no, non ce ne fossero.
Lussuria tornò a sedersi e sorrise. «Sta ancora dormendo. Dopo questa notte, non mi sorprende».

Squalo strinse i pugni ma non rispose. “Già, dovevo immaginarmelo… beh, questo significa che ho ancora un po’ di tempo prima di dover vedere il suo brutto muso”.
«Vado nel mio ufficio» disse soltanto e uscì a grandi passi dalla cucina.
 
 
 
 
Dopo neanche mezz’ora di lavoro su scartoffie di cui non gli importava un accidenti e di cui avrebbe dovuto occuparsi Xanxus il beep dell’interfono risuonò nella stanza. «Merda!» disse a denti stretti vedendo che l’origine era la stanza del Boss.

Normalmente era Squalo ad andare da lui agli orari dei pasti per portargli da mangiare o quando c’era qualche questione urgente da discutere, ma potevano anche capitare giorni, come quello, in cui Xanxus si svegliava ad orari diversi dal solito e allora chiamava Squalo tramite interfono.

Dopo aver contattato qualche sottoposto per preparare la colazione, il Capitano tornò in cucina, prese il vassoio pronto e andò nella stanza del Boss, chiedendosi per tutto il tragitto perché obbligasse proprio lui a fargli da servo. Squalo era il suo vice, il suo braccio destro, non la sua cazzo di sguattera! Arrivato davanti alla porta, bussò ma come sempre non aspettò il permesso di entrare.

Superata la soglia, si rese conto che avrebbe fatto meglio ad aspettare.

Xanxus era al centro della stanza, gli dava le spalle ed era completamente nudo. Squalo si paralizzò sul posto, la bocca gli si fece secca e deglutì a vuoto, grato –non sapeva neanche lui come- che il vassoio non gli fosse caduto a terra. Vide il Boss afferrare i boxer e indossarli, gli occhi che non riuscivano a staccarsi dal suo corpo statuario macchiato dalle cicatrici.

Il moro si voltò e vide il suo vice che lo fissava, immobile come una statua, gli occhi sgranati. «Feccia, perché te ne stai lì imbambolato? Entra e dammi la colazione».
A quell’ordine, le mani di Squalo tremarono, facendo tintinnare ciò che stava sul vassoio. L’argenteo deglutì e abbassò lo sguardo, provando a concentrarsi su qualunque cosa non fosse il corpo nudo di Xanxus a pochi metri da lui. “Perché non si decide a rivestirsi?”.

Il moro lo osservò mentre si avvicinava al tavolo e vi posava il vassoio. Sembrava avere particolare attenzione a non guardarlo neanche di sfuggita. «Che problemi hai, feccia? Non dirmi che ti senti in imbarazzo?». La sua voce aveva una leggera nota di presa che a Squalo non sfuggì.

Un impeto di rabbia investì lo spadaccino. Si girò e si costrinse a guardare l’altro negli occhi.
Non che fissare i suoi occhi rossi e penetranti rendesse la situazione più facile, ma sperava che almeno quello potesse evitargli un’erezione.

«Ti diverte proprio prendermi in giro, vero? Trovati un altro cazzo di hobby» sbottò a denti stretti, sforzandosi di trasmettere col suo sguardo tutto il fastidio di cui era capace.

I capelli di Xanxus erano ancora umidi dalla doccia e una piccola goccia d’acqua cadde sulla spalla del moro. Fece schioccare la lingua e ghignò. «Fammi indovinare, sei ancora incazzato per quella stupida faccenda di ieri sera».

Squalo si disse che era a tanto così dal prenderlo a pugni, fanculo le conseguenze. «Fammi indovinare, ci hai provato un certo gusto». Sapeva che era così, che Xanxus provava un sadico divertimento nel tormentarlo e nella maggior parte dei casi lo spadaccino era in grado di passarci sopra e far finta di niente, forte di anni di abitudine, ma non in quel momento.

Senza smettere di ghignare, il Boss scrollò le spalle. «Non pensavo te la saresti presa così tanto», sollevò una mano e afferrò il mento dell’altro, facendo avvicinare i loro volti, «ti ha dato fastidio perché l’ho detto davanti a quelle tipe o perché è la verità?».

A quel punto Squalo ebbe l’impressione che gli mancasse il terreno sotto i piedi e che il suo cervello gli avesse appena fatto “ciao ciao” con la manina. Non riuscì a reagire per lunghi istanti, incapace persino di ricordarsi come respirare. Quella vicinanza eccessiva tra i loro corpi era il suo incubo peggiore e allo stesso tempo il suo sogno proibito. In tutto ciò Xanxus lo fissava con un’intensità che gli faceva tremare le gambe.

Alla fine, senza neanche sapere lui con quale forza, colpì con forza il braccio del moro e uscì rapido dalla stanza, mormorando un “fottiti” prima di chiudersi la porta alle spalle con violenza.

Si fiondò in camera sua, poi in bagno, afferrò le forbici dall’armadietto sotto il lavabo e dopo aver afferrato i suoi capelli in una coda, li tagliò.
Rapido e deciso. Le lunghe ciocche argentate caddero lente ai suoi piedi. Si guardò allo specchio e si morse a sangue il labbro inferiore.

Adesso i capelli gli arrivavano poco sotto il volto. Si sentì stupido nel pensare che sembrava più giovane, della stessa età che aveva quando aveva conosciuto Xanxus.
Diede qualche altro colpo di forbici per evitare di ritrovarsi con l’aspetto di uno che si era fatto tagliare i capelli da un bambino che si divertiva a fare il parrucchiere con le bambole.
 
 
 
Durante le successive ore della giornata Squalo si ritrovò sotto gli sguardi sorpresi e confusi di tutta Villa Varia. Ogni persona che incrociò in giro lo fissava ad occhi sgranati e l’argenteo avrebbe voluto prendere a pugni ognuno di loro.

Il peggio arrivò ovviamente con Lussuria. Dovette sorbirsi grida isteriche, piagnistei e un fiume di domande a cui pose fine afferrando il Guardiano del Sole per la giacca e scaraventandolo contro una parete.

Non voleva sentire niente da nessuno. Non sapeva ancora se avrebbe davvero lasciato i Varia, del resto, nonostante tutto, gli piaceva quella vita. Gli piaceva uccidere per i Vongola e cercare avversari forti contro cui combattere. Avrebbe potuto fare l’assassino su commissione, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Era nato e cresciuto nel mondo della mafia, non voleva abbandonarlo.
 
 
 
 
Visto che com’era iniziata, Squalo era convinto che quella giornata sarebbe stata un incubo continuo, invece, trascorse stranamente tranquilla. Il Capitano si immerse nel lavoro, impegnando tutto se stesso nello sforzo di non pensare. Riuscì anche ad evitare Xanxus per tutto il tempo, ma quando prima di cena si ritrovò a passare per “la strada verso l’inferno”, dovette rimangiarsi quella poca speranza che stava crescendo in lui.

Sembrava che il fato ce l’avesse con lui. O anche lui, come il Boss, era un fottuto sadico di merda.

Proprio quando Squalo fu a pochi metri dalla stanza del moro, la porta si aprì e ne uscì Xanxus che posò subito il suo sguardo sullo spadaccino.

L’argenteo si bloccò sul posto e per la prima volta in vita sua vide diverse espressioni passare in rapida successione sul volto dell’altro. Confusione, incredulità, sorpresa e rabbia.

Il Boss lo raggiunse in due falcate, gli afferrò il braccio in una morsa ferrea e lo trascinò nella sua stanza, richiudendo la porta con un calcio.
«Ehi! Che cazzo fai! Mollami!» esclamò Squalo mentre provava a divincolarsi ma era come provare a fuggire dalle fauci di una tigre.
Xanxus lo ignorò e continuò a tirarlo con forza fino a spingerlo sul letto.

«Brutto stronzo! Ti sei fottuto il cervello?» continuò Squalo mettendosi a sedere. Il moro era in piedi davanti a lui e quando l’argenteo provò ad alzarsi, lo spinse nuovamente giù.
«Hai una bella faccia tosta a farmi una domanda del genere» rispose il Boss. La sua voce era bassa e gelida e Squalo si ritrovò a deglutire a vuoto.

Quando Xanxus aveva i suoi attacchi d’ira e le sue cicatrici si scurivano faceva paura, ma era gestibile. Quel tipo di rabbia, invece, fredda e silenziosa, era molto più terrificante e imprevedibile.

Il Boss poggiò un ginocchio sul materasso e afferrò l’altro per i capelli, ormai corti, e lo tirò verso di sé. «Che cazzo hai fatto?».
Squalo distolse lo sguardo. «Mi sembra ovvio. Ho tagliato i capelli».
«Perché?».

«Mi ero stufato di portarli lunghi. E poi che importanza ha? Dopo quello che è successo in Giappone, non aveva più senso lasciarli com’erano». Nonostante il nervosismo, alzò gli occhi e vide il moro quelli del moro stringersi e la bocca storcersi in una smorfia. Era forse… incazzato? Squalo non riusciva quasi a crederci.
Quindi stava succedendo… Xanxus l’avrebbe considerato un traditore dei Varia e l’avrebbe sbattuto fuori.

Provò a mettersi in piedi ma ancora una volta il moro lo bloccò. «Stai. Giù. Non te lo ripeterò una seconda volta».
«Cosa cazzo te ne frega se ho tagliato i capelli? Avevo deciso di farli crescere come simbolo della promessa che ti ho fatto, ma non ha più alcun significato adesso! Non potrai mai diventare Boss dei Vongola! È finita! Perciò li ho tagliati… sono solo degli stupidi capelli».

«Quindi vuoi lasciare i Varia? Vuoi fuggire via come un codardo?»

«Cosa vuoi che me ne fotta dei Varia?», Squalo stava ormai gridando. «Ho rinunciato al comando per te! Non mi importava di essere il capo, volevo che tu lo diventassi! Era tutto per te! Ogni cosa che ho fatto! Tutto il sangue che ho versato da quando ti conosco! Tutte le ferite, tutti gli sforzi… tutto per farti diventare boss ma quel sogno si è infranto. La mia promessa non ha più alcun senso. Se non ti sta bene, non è un mio problema. Io ho scelto di farli crescere e io ho tutto il diritto di tagliarli!»

Xanxus non aveva ancora tolto la mano dalla testa di Squalo. La teneva vicino al suo orecchio destro e aveva sentito le vibrazioni attraversargli la pelle mentre l’argenteo gridava. «Non è un mio problema? Hai appena detto di aver fatto tutto per me. La promessa che hai fatto ti lega a me e osi dire che non è un mio problema?»

Lo spadaccino sgranò gli occhi. Non aveva la più pallida idea di cosa stesse succedendo. Xanxus si stava davvero incazzando perché pensava che lui volesse lasciare i Varia?
«Io non… non pensavo che ti sarebbe importato».
«Quindi cosa? Pensavi che non avrei detto nulla? Che ti avrei lasciato andare via?»

«Sì». La risposta gli uscì spontanea. «Del resto, ammettiamolo, non sei certo il tipo che si interessa di qualcun altro a parte te stesso. Non puoi biasimarmi, cazzo».
Xanxus avvicinò ancora di più i loro volti, tanto che solo un paio di centimetri separavano le loro labbra. «Tu mi appartieni, feccia. Non puoi decidere nulla della tua vita senza il mio permesso».

Squalo inghiottì l’aria, sconvolto. Non era mai stato così vicino a Xanxus, tanto da poter sentire il suo respiro e vedere le sfumature scure delle sue iridi e le ciglia lunghe. Si sentiva combattuto tra la felicità per l’interesse dimostrato dal moro e la rabbia perché gli stava parlando come se fosse un cazzo di oggetto di sua proprietà.

«Mi hai forse acquistato a un’asta di schiavi? Non hai nessun cazzo di diritto di mettere bocca sulla mia vita! Preoccupati di non mettere incinta una di quella puttane che ti scopi ogni sera invece di pensare a quello che faccio io!».
Il moro non si mosse dalla sua posizione, solo un angolo della bocca si curvò verso l’alto. «Tch avrei dovuto immaginarlo».
«Cosa?».
«Che fossi geloso di quelle tipe che mi sono portato a letto».

L’argenteo sapeva di aver sgranato gli occhi e aperto la bocca, ma non riuscì a fare altro. Il suo cervello era appena stato messo K.O. Elettroencefalogramma piatto.
Xanxus ridacchiò e Squalo desiderò come non mai di fuggire per andare a nascondersi in qualche landa desolata. Magari in un igloo tra i ghiacci.

Che cazzo aveva da ridere? Non c’era niente di divertente in quella situazione!

«Credevi davvero che non mi sarei mai accorto di come le guardavi, come se si stessi sforzando per non farle a pezzi con la spada? O che non mi sarei mai accorto di come guardavi me?». Un’altra breve risata. «Feccia, sei davvero un ingenuo. E fai schifo a mentire. O a nascondere quello che ti passa per la testa».

A quel punto Squalo si disse che morire all’istante sarebbe stato mille volte meglio che rimanere lì, sul letto, a farsi umiliare dalla persona che odiava amare.

Socchiuse gli occhi e sospirò. Non aveva neanche voglia di provare a negare. «Bene… e ora che vuoi fare? Picchiarmi? Prendermi per il culo? Va’ avanti, forza. Fa’ del tuo peggio. Non mi importa».

Xanxus gli lasciò andare il volto e lo spinse sul materasso. Lo vide chiudere gli occhi e sapeva che si stava preparando a ricevere un pugno. Un po’ lo faceva incazzare il pensiero che non provasse nemmeno a reagire e per lunghi secondi fu seriamente indeciso se colpirlo o meno. Aveva osato rompere il simbolo della promessa che li legava e al moro non interessava neanche che ciò che Squalo gli aveva detto prima era vero. Non sarebbe mai diventato Boss dei Vongola, lo sapeva. Non gli piaceva ammetterlo ma non poteva di certo negarlo.

Quello che lo faceva davvero infuriare era che quella stupida feccia volesse allontanarsi da lui. Non gliel’avrebbe mai concesso. Era suo e lo sarebbe sempre stato. Fino alla loro morte.

Così, nonostante una parte di lui desiderasse pestarlo, si chinò su di lui e lo baciò. Non gli diede neanche il tempo di provare a reagire e gli fece schiudere le labbra per infilarci la lingua. Lo sentì irrigidirsi sotto di lui e mugugnare nel bacio, al quale iniziò comunque a rispondere dopo diversi secondi.

A un certo punto lo spadaccino portò le mani al petto di Xanxus e provò a spingerlo via, spostando allo stesso tempo la testa per allontanarsi dalla sua bocca. «Che… che cazzo… che cazzo fai…».

Il moro si passò la lingua sulle labbra e ghignò. «Non è quello che hai sempre voluto? Te l’ho detto, non mi è mai sfuggito come mi guardavi. Non desideravi forse che ti facessi mio?».

L’argento deglutì a vuoto e fece l’unica scelta che sapeva avrebbe rimpianto. Un giorno o l’altro.

Sollevò le mani e sbottonò rapidamente la camicia del moro per poi toglierla con un gesto nervoso. Subito dopo passò ai pantaloni, slacciò la cintura e abbassò la zip. Era consapevole che Xanxus lo stesse guardando con ancora il ghigno sulle labbra, ma non stava pensando a niente. Niente che non fossero i gesti da compiere.

Era come se il suo cervello avesse disattivato i comandi manuali e si fosse inserito il pilota automatico.

Dal canto suo, invece, Xanxus sembrava avere il pieno controllo della situazione. Spogliò Squalo molto più velocemente e con meno gentilezza di come avesse fatto lui e in pochi minuti si ritrovarono entrambi nudi e avvinghiati.

Il moro si beò dei gemiti dell’altro, mentre le sue mani lo toccavano dappertutto, raggiungendo ogni angolo di quel corpo che stava imparando a scoprire con grande piacere. La pelle di Squalo era più fredda della sua ma quando Xanxus gli entrò dentro, ebbe l’impressione che andassero a fuoco insieme.

I respiri pesanti e accelerati, il sudore sui loro corpi, i sospiri trattenuti a stento, ognuno di quei piccoli e all’apparenza insignificanti dettagli aveva fatto loro perdere il controllo. Per non parlare del fatto che Xanxus non si sarebbe mai aspettato che il suo vice si potesse concedere a lui in quel modo e che riuscisse ad essere così dannatamente sexy nel farlo.
“Se l’avessi saputo, non avrei passato le serate a scoparmi quelle là”.

Quando Squalo raggiunse l’orgasmo, Xanxus sentì le sue unghie artigliargli la schiena e inciderne la carne. Reagì mordendogli il collo e riversandosi poco dopo dentro di lui.
Si separarono piano, respirando a fondo per recuperare fiato.

Dopo alcuni minuti di silenzio, Squalo si mosse per rivestirsi e andarsene, nonostante i dolori alla schiena e al sedere, ma venne fermato dalla mano di Xanxus che gli arpionò il braccio.

Sorpreso, lo spadaccino si bloccò e guardò l’altro. Teneva la testa sul cuscino girata di tre quarti, i capelli neri scompigliati che lo facevano sembrare un ragazzino, nonostante i lineamenti del viso non fossero poi così delicati.

«Resta» gli disse con voce ferma ma calma.
Squalo inarcò un sopracciglio. «È una richiesta o un ordine?».
«Fa differenza?»
«La fa. Per me. Rispondi».

Xanxus sospirò ma non si mosse. «Una richiesta. Potrei anche obbligarti con la forza, ma dopo una bella scopata non ho voglia di fare sforzi inutili».
“Il solito stronzo pigro”. «Se la smetti di portarti a letto quelle puttane, potrei anche pensare di rimanere. Solo un altro po’». Vide il moro sorridere e per una volta tanto gli sembrò un sorriso genuino, anche se fugace.

«Un solo turno di sesso e già fai richieste?». Tirò Squalo verso di sé, facendolo distendere di nuovo. «D’accordo».

Squalo si rimise comodo e anche se avrebbe voluto fargli molte domande, si disse che forse era meglio non punzecchiare il can che dorme. O almeno che voleva mettersi a dormire. Xanxus infatti gli aveva lasciato andare il polso e aveva chiuso gli occhi.

L’argenteo si sentiva confuso, spiazzato, incredulo. Non capiva cosa fosse successo e aveva quasi paura di scoprirlo.
Forse per quella notte avrebbe potuto semplicemente farsi una bella dormita.

Chiuse gli occhi, ma poco dopo la voce del Boss ruppe il silenzio della stanza. «Fatti ricrescere i capelli, feccia. È un ordine».







Salve a tutti! Dopo 2 anni in cui non ho scritto neanche una drabble, sono tornata (dopo ancora più anni in cui non scrivevo più sul fandom di khr XD). Sinceramente non pensavo che avrei pubblicato un'altra XS ma spulciando nelle cartelle del pc ho ritrovato questa storia incompleta e ho pensato di portarla a termine u.u
Lo so, è lunga e quindi vi ringrazio per essere arrivati fin qua. Spero che vi sia piaciuta. Credo che nelle mie passate intenzioni dovesse essere più comica ma è venuta fuori così... pazienza X)

 
  
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