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Legacy
"What
am I leaving when I'm done here?
So if you're asking me I want you
to know
When my time comes
Forget
the wrong that I've done
Help me leave behind some reasons to be
missed"
[Leave Out All The Rest – Linkin Park]
"For
you, I've waited all these years
For you I'd wait 'til kingdom come
Until my day, my day is done
And say you'll come and set me free
Just say you'll wait, you'll wait for me"
['Til Kingdom Come – Coldplay]
4 Febbraio, Villa Stark
All'ennesima
scottatura che lo fece sobbalzare, Tony iniziò seriamente a
mettere
in dubbio la validità delle leggi della robotica di Asimov,
in
particolare della prima. Scoccò un occhiata diffidente a
Dum-E, che
quel giorno era più maldestro del solito e particolarmente
propenso
a volerlo privare del braccio sano con la fiamma ossidrica, e lo
allontanò dal banco di lavoro con un comando deciso. Si
rassegnò a
completare la saldatura della Mark IV senza aiuti esterni, dopo aver
esaminato con fastidio le nuove ustioni sul braccio già
martoriato.
Così
impiegò quasi mezz'ora in più, tra tremiti
imprevisti della mancina
e le solite ribellioni e tentennamenti della protesi, ma a lavoro
finito si tolse con accaldata liberazione la maschera protettiva.
Studiò con occhio clinico quel primo abbozzo
dell'esoscheletro
dell'armatura, già perfettamente funzionante, ma ancora
anonima e
incolore, e si concesse comunque un cenno d'assenso soddisfatto;
all'estetica avrebbe pensato in seguito. Aveva tutto il tempo per
forgiare la placcatura esterna e per deciderne forma e cromatura, ma
prima doveva portare avanti la sua miriade di progetti paralleli
più
urgenti.
Degnò
di uno sguardo vagamente astioso il prototipo telecomandato che si
era infine deciso ad assemblare, poco più di uno scarno
androide
bianco sporco dall'espressione ottusa, ora sorretto mollemente da
bracci meccanici. Era abbastanza sicuro che il suo inconscio avesse
giocato un ruolo fondamentale nel renderlo esteticamente orripilante,
considerando che sarebbe finito nelle mani dello SHIELD. Aveva
rinunciato all'armatura prensile dopo aver concluso che per renderla
funzionale si sarebbe dovuto impiantare una cinquantina di
neurotrasmettitori, e non aveva davvero voglia di aggiungere altro
metallo e circuiti nel proprio corpo. Che Fury si tenesse pure quel
giocattolo mal riuscito e i progetti per farne il suo squadrone
personale: o non sarebbe vissuto abbastanza a lungo per vedere l'Iron
Legion in azione, oppure, a voler essere ottimisti, non avrebbero mai
avuto bisogno di sostituire Iron Man con essa.
Ad
ogni modo, sarebbero stati tutti felici e contenti,
considerò
con
amaro sarcasmo, mentre sorseggiava la sua solita borraccia di
clorofilla senza neanche più la forza di storcere il naso
per il suo
sapore. Era lieto che almeno per quella giornata la sua emicrania
costante fosse meno aggressiva del solito, limitandosi a un dolore
sordo e latente alla nuca, comunque abbastanza marcato da disturbare
la sua concentrazione. Almeno non si sentiva perennemente sul punto
di vomitare. Doveva riconoscere che era un miglioramento. Si
lasciò
cadere con pesantezza sulla sua sedia girevole, ignorando anche le
fitte sempre più acute e persistenti al moncherino inferiore.
Ian
gli aveva dato una strigliata coi controfiocchi per non avergli detto
subito del peggioramento dell'intossicazione, ma era riuscito a
rassicurarlo in parte su alcuni sintomi: le fitte erano normali, e non
avevano nulla a che vedere con le protesi, che funzionavano ancora
perfettamente; era la concentrazione di
palladio anomala a causargli quei crampi. Ciò non le rendeva
più
sopportabili, e ormai evitava il più possibile di camminare
o
stare
in piedi.
Strinse
i denti e cercò di ignorare quegli impedimenti mentre si
immergeva
nelle sue schermate. Ne aprì una a mezz'aria, controllando
il piano
di lavoro che aveva stilato con Pepper e al quale aveva poi aggiunto
qualche "extra" di cui lei non doveva necessariamente
essere a conoscenza. Non subito, almeno. Scorse la lista, spuntando
un altro step per la realizzazione della Mark IV, per poi trasferirsi
alla consolle informatica e intraprendere il compito successivo.
Schioccò
compiaciuto le dita della mano meccanica per richiamare JARVIS,
godendosi il suono chiaro e secco che provocarono: si era deciso ad
aggiungere un palmo e dei polpastrelli antiscivolo e si stava beando
da giorni del semplice appagamento di poter di nuovo schioccare le
dita, battere le mani o usare un touch-screen senza
difficoltà.
«Signore,
ho effettuato i calcoli per l'utilizzo dell'armatura alla Stark
EXPO,» si rianimò subito il suo maggiordomo
virtuale.
«Non
deludermi, ho urgente bisogno di buone notizie,»
invocò, mentre si
ripuliva le mani dall'olio per motori con uno straccio, prestando
particolare attenzione a non lasciare residui tra le giunture di
quella meccanica.
«Posso
offrirle un 72,4% di compatibilità tra i reattori e
l'armatura,
signore,» annunciò l'intelligenza artificiale,
quasi giovialmente.
Tony
inclinò di lato la testa, ponderando quella cifra con
attenzione.
«Mh,»
lanciò lo straccio sul banco di lavoro e incrociò
le braccia con
aria meditabonda, «C'è margine di
miglioramento?» s'informò, senza
sperarci troppo.
«Aumentare
ancora la potenza del reattore centrale supererebbe la soglia di
rischio da lei stesso stabilita, anche se la totalità di
questo suo
progetto supera già largamente ogni norma di sicurezza
esistente,»
replicò con prontezza lui, e Tony poté giurare di
cogliere una
traccia di rimprovero nella sua voce elettronica, un tratto
probabilmente acquisito da Pepper.
«Pensavo
di averti programmato per non fare commenti superflui.»
«Sono
stato programmato per tutelare la sua incolumità,
specialmente
quando lei non è intenzionato a farlo,» rispose
piattamente il
maggiordomo virtuale.
«La
tua devozione mi commuove,» cinguettò lui
scuotendo appena la
testa.
Almeno
lui aveva ancora ben chiare le leggi della robotica,
ed era in
un certo senso rincuorante che persino un ammasso di codici binari si
prodigasse per distogliere il suo ideatore da progetti avventati.
«Mi
accontenterò del 72,4%. Per un volo di a malapena un minuto
dovrebbe
essere sufficiente,» stabilì, lieto di poter
mettere da parte anche
quel progetto almeno per il momento.
JARVIS
si era opposto con ogni fibra ottica e circuito in suo possesso
all'idea di aumentare la potenza del reattore centrale per prevalere
sulle interferenze coi micro-reattori delle protesi, ma alla fine
aveva dovuto dargliela vinta. A conti e simulazioni fatte, utilizzare
un'armatura alimentata da un reattore separato era risultato essere
molto più pericoloso, e avrebbe rischiato di causare un
effetto-defibrillatore decisamente spiacevole, con due reattori
così
potenti e così vicini al suo cuore già abbastanza
sensibile. Certo,
rinunciare del tutto all'inaugurazione in armatura sarebbe stata
sicuramente l'opzione più salutare, ma il pensiero di poter
volare
per quel singolo minuto dopo più di un anno di
immobilità aveva ben
presto messo a tacere il suo noioso buonsenso.
Ora
doveva solo convincere Pepper dell'assoluta sicurezza del suo piano.
Aveva l'impressione che sarebbe stato più semplice
convincerla che
la Terra fosse piatta, ma sperava che quelle due settimane in cui si
era imposto di lasciar cadere l'argomento le avessero dato modo di
rivedere le sue posizioni. Ne dubitava, visto il totale
fallimento del suo primo approccio noncurante, ma forse era il
momento di un secondo round persuasivo. Era
tuttavia consapevole che, di fronte a un suo ulteriore rifiuto, non
sarebbe mai stato in grado di agire alle sue spalle. Quando il
pensiero l'aveva attraversato, aveva provato solo un profondo
ribrezzo per se stesso, molto simile a quello che l'aveva colpito
subito dopo aver cercato di uccidersi.
Il
reticolo di palladio sul suo petto parve contorcersi a quel pensiero
fuggevole e si trovò a tastare distrattamente la
raccapricciante
vena color piombo che aveva preso ad abbarbicarsi al suo collo. Bevve
un altro paio di sorsi di clorofilla quasi a scongiurare il suo
avanzare, e sperò con tutto se stesso che Ian gli fornisse
presto
buone nuove riguardo al dilitio. Senza quello, poteva scordarsi di
inaugurare l'EXPO come Iron Man, che Pepper fosse favorevole o meno. Un
minuto di volo non valeva quanto tre mesi in più di vita.
Si
riscosse da quelle elucubrazioni e diede un'altra occhiata ai compiti
del giorno, trovandosi subito a sorridere, sebbene con un pizzico di
nervosismo: ora mancava solo una cosa all'appello. Digitò
un paio di stringhe di comandi sulla tastiera olografica e tenne da
parte una schermata in modo da averla a portata di mano più
tardi.
Infine
afferrò il bastone, si alzò con un po' di
difficoltà e si diresse
con passo rallentato ma deciso verso l'ascensore, preparandosi
mentalmente all'imminente discussione con Pepper.
***
Pepper
era giusto in procinto di richiamare Tony all'ordine dopo che questi
si era defilato da più di quattro ore, lasciandola ad
annegare tra le
scartoffie, quando lo vide riemergere provvidenzialmente dal
laboratorio, entrando in salone con un'aria più che
compiaciuta. La
cosa era una gradevole novità, visto il suo umore
altalenante degli
ultimi giorni, in cui era stato afflitto da una nausea costante che
aveva tentato inutilmente di nasconderle. Ora sembrava avere un
colorito più roseo e sano. Notò comunque il fatto
che avesse usato
l'ascensore invece delle scale e non poté fare a meno di
appuntarlo
ai margini della lunga lista di dettagli di cui aveva cominciato ad
accorgersi negli ultimi tempi.
Le
venne però da sorridere nel vedere che indossava quasi
impettito la
nuova polo blu della EXPO che aveva eletto a sua nuova divisa da
lavoro, ormai bruciacchiata e macchiata in più punti, ma col
logo
arancione ancora ben visibile sul davanti.
Prima
che potesse aprir bocca, lui sfoderò un sogghigno tronfio e
si fermò
un po' trafelato dinanzi a lei, anticipandola:
«Signorina
Potts, qualunque cosa voglia dirmi o obbligarmi a fare, può
attendere,» annunciò con malcelata soddisfazione.
Pepper
si concesse una smorfia dubbiosa, ma sorrise appena.
«Ha
atteso per ben quattro ore, signor Stark, e i moduli per autorizzare
lo spettacolo pirotecnico che lei
ha richiesto non si firmeranno certo da soli,» gli fece
notare
pacatamente, puntandogli contro la penna con fare intimidatorio.
«Ha
un minuto?» la ignorò del tutto lui, senza
abbandonare la sua
vivacità.
La
raggiunse al tavolo e si poggiò allo schienale della sedia
libera con
entrambe le mani, inclinandosi verso di lei come un bambino
impaziente di spifferare un segreto a qualcuno. Pepper
era molto tentata dal gettare al vento la sua compostezza anche solo
per il fatto di vederlo di quell'umore così positivo... ma
che gusto
c'era a dargliela vinta così facilmente? Così
soppresse un
sorrisetto un po' dispettoso e incrociò le braccia con fare
severo.
«Cinquantanove...
cinquantotto... cinquantaset–»
Tony
ridacchiò di cuore e oscillò appena sul posto,
interrompendo il
countdown sul nascere:
«Ok,
ok, sarò conciso,» la rassicurò,
scostandosi quindi dalla sedia e
facendo perno sul bastone da passeggio nella sua ormai consueta posa
studiata.
Si
dipinse in faccia un'espressione misteriosa col chiaro intento di
tenerla sulle spine, riuscendosi benissimo. Pepper lo lasciò
fare,
beandosi semplicemente della spensieratezza che Tony sembrava
irradiare in quel momento.
«Si
ricorda quella "sorpresa" di cui le avevo parlato?»
sparò
infine, evidentemente incapace lui stesso di prolungare ancora la
suspense.
«Quella
per la EXPO?» s'illuminò subito lei.
«Mh-hm.»
confermò solo lui, gongolando, e Pepper era sicura che, se
avesse
potuto, avrebbe preso a saltellare impaziente sul posto.
«Quindi?
Ha novità?» lo incalzò incuriosita,
sapendo che Tony non aspettava
altro che un input da parte sua.
«È
quasi finita,» annunciò infatti, alzando
trionfante il mento.
«Quasi?»
«Mancano
ancora un paio di dettagli...»
Pepper
ridusse gli occhi a due fessure di fronte al suo sorriso sornione.
«E ha bisogno del mio aiuto?» indagò,
ora guardinga.
«No,
ma ho bisogno di lei.»
Pepper
alzò appena le sopracciglia e Tony boccheggiò per
un istante,
rendendosi conto di quanto quella frase fosse fraintendibile, quindi
continuò precipitosamente:
«Intendo,
uh, come dire, fisicamente
e... no!» s'interruppe di nuovo, portandosi esasperato la
mano alla
fronte e schermandosi quindi l'occhio.
Pepper
dovette concentrare tutte le sue forze nel non sbottargli a ridere in
faccia. E a domare il puntuale rossore che le era salito al volto.
«Reset?»
tentò Tony, sbirciando oltre le proprie dita e trovando il
suo
sguardo.
«Farò
finta che non abbia mai parlato,» gli concesse lei, non
riuscendo
del tutto a trattenere la sua ilarità e godendosi
l'espressione
impacciata di Tony.
Questi
la guardò storto per un istante, mascherando però
a sua volta un
sorriso complice. Fece un grosso sospiro prima di ricominciare,
stavolta in modo più controllato e più schematico:
«Dunque.
La sorpresa. Devo perfezionare qualche dettaglio e potrei farlo per
conto mio in un paio di minuti, ma vorrei che lei fosse presente
quando la finirò... la prenda come una cosa simbolica. Non
le
ruberò
troppo tempo,» aggiunse, sfoggiando un sorrisino esitante
come se
non fosse del tutto certo di ottenere una risposta affermativa.
«Allora
sarà meglio sbrigarsi,» lo incitò
invece lei, mettendo a tecere i
suoi dubbi e inclinando appena il capo senza più riuscire
più a
mascherare la sua curiosità.
«Bene!»
esultò lui. «Andiamo?» disse subito
dopo,
cominciando ad avviarsi.
«Certo,»
rispose troppo in fretta lei, sentendo il cuore che mancava almeno
tre battiti nel realizzare che Tony era diretto verso le scale del
laboratorio.
L'uomo
si bloccò sul primo gradino e le scoccò
un'occhiata fugace da sopra
la spalla, chiaramente conscio di quali corde avesse toccato la sua
richiesta. Pepper si alzò con un lieve giramento di testa;
si
costrinse a seguirlo senza esternare alcun segno di cedimento,
nonostante il suo stomaco si fosse aggrovigliato dolorosamente e le
sue gambe si fossero tramutate in tubi acciaio rigido e gelido nel
giro di quei pochi secondi. Era sicura di avere anche un principio di
febbre e si chiese se quel coacervo di sensazioni spiacevoli
assomigliasse a quel che provava Tony durante i suoi attacchi
d'ansia. Perché era abbastanza convinta di essere sul punto
di
averne uno.
Rimase
comunque perfettamente stabile sui suoi tacchi, con la schiena
diritta e lo sguardo proiettato dinanzi a sé. Solo le labbra
tirate
in una linea sottile tradivano il suo disagio. Nel breve lasso di
tempo che impiegò per raggiungere Tony, questi parve
rilassarsi
rincuorato dalla sua apparente compostezza.
Pepper
quasi credette di poterla davvero mantenere e di riuscire ad
estraniarsi da se stessa e da ciò che stava per affrontare
quel
tanto che bastava per continuare a dargli quell'impressione, ma, non
appena raggiunse l'estremità del primo gradino, il suo
intero
corpo
si paralizzò e lei inchiodò sul posto, tesa come
una corda di
violino. Fu assalita da una forte vertigine, come se qualcosa dentro
di lei stesse tentando di risucchiarla per poi spingerla oltre il
bordo, e si tirò indietro d'istinto, vacillando appena. La
sua
schiena incontrò la mano salda di Tony, che vi si
adagiò appena il
tempo necessario per farle recuperare l'equilibrio, per poi ritrarsi
di scatto.
«Pepper?» la chiamò
allarmato, ma lei non riusciva a distogliere gli occhi dal marmo
levigato delle scale che si avvitavano sotto di lei, uno specchio del
vortice che la avviluppava.
Si
portò una mano al volto accaldato, schermandosi dal suo
sguardo e
sentendosi di nuovo sul punto di cadere. Se lo avesse guardato
adesso, l'avrebbe rivisto come quel giorno, pallido, rantolante e in
punto di morte, senza il reattore e sordo ai suoi richiami. Intravide
Tony frapporsi tra lei e le scale, senza però avvicinarsi.
Desiderò
solo di poter scomparire, perché non era assolutamente quello
il modo in cui avrebbe voluto comportarsi, soprattutto non in un
momento in cui Tony le era sembrato così spensierato. Ma il
suo
corpo aveva deciso di agire di propria volontà e le stava
impedendo
ogni movimento, persino il semplice, istintivo atto di indietreggiare
di fronte a qualcosa che, nel profondo, ancora la terrorizzava.
«Pep,
non fa niente; possiamo anche rimanere in salone, non volevo
che...»
iniziò Tony, agitandosi e inclinandosi appena verso di lei
per
sospingerla lontano da lì, ma Pepper scostò di
scatto la mano dal
volto e lui si ritrasse altrettanto bruscamente.
«No,
sto bene,» mentì spudorata, traendo un respiro
profondo che non le
fornì comunque abbastanza aria. «Va tutto bene, ho
avuto un... un
momento, è stupido, lo so, ma...»
«Non
è "stupido",» la bloccò lui in tono
fermo, facendosi improvvisamente
serio e rivolgendole uno sguardo al contempo triste e colpevole.
Si
appoggiò al corrimano con la mano meccanica e
puntò il bastone
dall'altro lato, quasi a fare da barriera tra lei e il laboratorio,
storcendo appena la bocca quando mosse un poco le gambe per
distribuirvi meglio il peso. Rimase in silenzio e Pepper ne
approfittò per cercare di riprendere il controllo. Fu grata
che lui
le stesse bloccando la vista delle scale; aveva l'impressione che
solo guardarle le avrebbe scatenato un altro attacco di vertigini.
«Anch'io
ho avuto paura di scenderci,» esalò infine Tony,
senza fissarla
direttamente e lasciando piuttosto vagare lo sguardo alle sue spalle.
«È... normale. E non deve forzarsi,»
aggiunse, con chiaro
impaccio.
Pepper
aveva l'impressione di non riuscire a comprendere appieno le parole
che le arrivavano. Le suonavano distanti e confuse, come oltre un
muro d'acqua. Preferì concentrarsi sul tono morbido in cui
le stava
parlando, più basso e modulato del solito; la sua voce era
solida,
piena, ma con un tremito di fondo che sembrava vibrare in unisono con
la propria paura.
«Mi
dispiace,» le uscì detto per riempire quel
silenzio, senza ben
sapere per cosa si stesse scusando.
Forse
per aver richiamato alla loro memoria ricordi dolorosi, forse per
aver spazzato via la positività di Tony, forse per non
essere
riuscita a impedirsi quella debolezza in un momento in cui entrambi
avevano bisogno di essere forti l'uno per l'altro. Lui tirò
impercettibilmente la bocca, in quella che poteva essere una smorfia,
così come un sorriso mesto.
«Non
hai nulla di cui scusarti,» affermò, irremovibile,
per poi
sospirare appena. «È ironico: anch'io ti ho
chiesto
scusa proprio
qui,» mormorò tra sé, e il suo sguardo
guizzò verso il quadro
appeso al muro, quello che aveva rotto molto tempo prima.
Era
ancora danneggiato, ma nessuno dei due aveva ritenuto necessario
sostituirlo. Quelle imperfezioni ne erano ormai parti integranti, sia
il fragile vetro con un sottile reticolo di crepe a sfaccettarne un
angolo, sia la cornice che lo teneva ancora insieme, pur scheggiata e
leggermente sbilenca.
«Mi
ricordo,» confermò semplicemente lei, tornando a
quella notte di
quasi un anno prima.
Ricordava
anche il resto: ciò che le aveva detto, il modo disperato in
cui
l'aveva guardata, quel che era successo poco dopo. Il fatto di
avergli detto che era troppo tardi per le scuse. Avrebbe voluto
ritrattare, spiegargli che, pur non potendo dimenticare quello che
era accaduto anche in seguito, non aveva più senso
rinfacciarglielo
o serbare rancore. Lui però parlò per primo, e
quelle parole
rimasero ancora una volta bloccate tra cuore e bocca, destinate a
rimanere inespresse.
«Sapevo
che chiederti di scendere in laboratorio sarebbe stato indelicato, e
probabilmente mi stai odiando per questo almeno quanto mi odio io
per...» lasciò la frase in sospeso e il suo
sguardo addolorato
parlò per lui. «Ma ho pensato che... che era
passato del tempo e
fosse il momento giusto per parlarne, e che facesse parte del... del
trovare soluzioni insieme,» concluse a raffica, quasi
balbettando.
«È
una parte fondamentale della soluzione,» annuì in
automatico lei,
parlando in fretta, d'istinto e sviando il suo sguardo, per poi
sospirare. «Vorrei
solo scendere là
sotto e non dover mai più pensare a quello,»
accennò al reattore
nel suo petto e la mano di Tony scattò a coprirlo, colpevole.
«Mi
dispiace. Anche se adesso è davvero
troppo tardi,»
considerò, quasi in un sussurro. «Non è
questo il ricordo che
vorrei lasciarti di me,» aggiunse, ora portando la mano a
coprirsi
la benda sul volto, come sempre quando era a disagio.
«Non
è troppo tardi,» ribatté lei con
veemenza, senza poter evitare che
i suoi occhi si posassero sulle vene plumbee che sporgevano dal suo
colletto. «E ci sono mille altri momenti che potrei
ricordare,
oltre
a questo, e altri nove anni da ricordare, oltre a questo,»
continuò
con impeto. «Non
è solo questo
a definirti, e non potrà mai
esserlo, non dopo tutto quello che hai fatto prima e dopo,»
concluse, indicando di nuovo il reattore.
Tony
la fissò confuso, come se non riuscisse a credere a
ciò che stava
sentendo, poi si aprì in un fievole, esitante sorrisetto.
«Sarei
curioso di sapere quali sono questi “mille
momenti”. Anche se
dubito arriveresti alla decina,» la prese in giro, con la
consueta
spigliatezza. «Per ora mi accontenterei di aggiungere questo
alla mia
lista,» concluse furbetto, ma con una nota di
serietà ben
palpabile.
Aveva
ragione, Pepper lo sapeva, e sapeva anche di dover in qualche modo
provare di non aver parlato con leggerezza. Ma si
sentì d'un tratto debole al solo pensiero di dover
dimostrare
qualcosa in cui voleva credere con tutta se stessa, ma che non
riusciva ancora a imporsi di accettare. Si
sentì come se ogni suo osso avesse perso vigore e il suo
corpo
potesse collassare su se stesso da un momento all'altro. Tony era
stato fin troppo indulgente col suo rifiuto di affrontare quella
paura irrazionale, che si era solo consolidata col tempo. E nonostante
ciò rimase ferma, congelata al suo posto, una mano a
schermarle la
bocca. Scosse appena testa.
«Non
sono sicura di riuscirci,» confessò piano.
Tony
si accostò appena a lei, sempre cautamente, con
quell'impaccio
timoroso che strideva col suo atteggiamento sempre vivace ed
estroverso.
«Pep,
ce l'ho fatta io,» mormorò,
cercando il suo sguardo. «E tu
non hai mai avuto bisogno di un'armatura per essere forte,»
aggiunse
con fermezza.
«Neanche
tu,» replicò lei, di getto.
Lui
si limitò a fare uno lieve sbuffo scettico, ma il suo volto
rimase
disteso, attraversato da un lieve sorriso obliquo.
«Forse.
Gliel'ho detto che ho fatto qualche progresso, no?»
lanciò
un'occhiata alle scale. «E non è da lei rimanere
indietro,»
aggiunse piano, tornando a guardarla con sicurezza.
Pepper
si fissò nella sua iride nocciola, quasi liquida e animata
da un
fondo di ammirazione e premura, tanto intensa da abbracciarla con lo
sguardo. Era convinto di ciò che diceva, e sembrava
altrettanto
deciso a trovare quelle soluzioni e dopo aver affrontato e scontato i
propri errori. Voleva solo che lei facesse lo stesso.
Pepper
respirò a fondo, e stavolta l'ossigeno sembrò
schiarire i pensieri
nebulosi che aleggiavano nella sua testa. La tentazione di fuggire
era ancora decisamente più forte della sua
volontà di affrontare la
propria paura, ma si sentiva più salda sulle gambe. Rivolse
lo
sguardo alle scale, verso gli abissi del laboratorio, e
annuì
impercettibilmente. Tony colse il suo gesto e si arrischiò a
indietreggiare e scendere il primo gradino a tentoni, in precario
equilibrio sulle gambe instabili. Pepper
strinse in modo inconsapevole i pugni e sentì una vampata
bollente
alle guance quando l'ansia si agitò di nuovo, prendendo il
controllo
delle sue ginocchia ora cedevoli. Si costrinse a domarla.
Non
c'era Tony, là sotto, non c'era il suo reattore sul tavolo,
non
c'era la sua vita appesa a un filo. Tony era lì accanto a
lei,
incrollabile nonostante la paura che provava lei fosse stata anche la
sua paura, sorridente a dispetto delle vene scure che risalivano il
suo collo, pronto a starle vicino e a sostenerla mettendo da parte
tutto ciò che lo frenava costantemente. Lo
osservò, saldo sulle sue
gambe riconquistate e fermo in paziente attesa di farle strada, e di
nuovo trovò un punto fermo nel suo sguardo. Si meritava
molto più
di quanto credesse, e molto più di quanto avesse ricevuto
finora.
Sperava che un giorno sarebbe stato in grado di accettarlo, ed era
decisa ad accompagnarlo lei stessa in quel percorso. Per ora, poteva
fare un'unica cosa, così trasse un altro respiro profondo e
si portò
sul bordo del primo gradino.
«Di
che hai paura? C'è
Iron Man con te,» la spronò Tony, con
la giusta combinazione
di leggerezza, serietà e scherzo, la stessa con cui aveva
sempre
saputo convincere chiunque a fidarsi di lui e fare ciò che
voleva.
Solo
che stavolta non era per raggiungere qualche fine personale o per
semplice diletto. Lei si
fidò e scese il primo gradino con le gambe molli. Lui
accolse quel
movimento con uno sguardo
colmo di
calore, lo stesso che le aveva donato a quella serata di beneficenza
due anni prima, e che non aveva voluto riconoscere nei molti sguardi
simili che aveva intravisto in seguito.
«Questo
è un piccolo passo per una don–...»
cominciò lui nel tentativo
di distrarla e indietreggiando ancora, ma s'interruppe subito nel
mancare
l'appoggio col bastone sul gradino successivo, rischiando di
ruzzolare giù.
Afferrò
il corrimano appena in tempo, ostentando poi una falsissima
disinvoltura; a Pepper ricordò molto un gatto che, in
seguito a
qualche buffo capitombolo, prenda a lisciarsi altezzosamente il pelo
quasi fosse stata una mossa studiata e del tutto calcolata.
«Aspettiamo
di arrivare in fondo, prima di parlare,» lo
rimbrottò lei con
quieto divertimento misto ad apprensione, evitando con gli occhi la
porta del laboratorio che si avvicinava sempre più.
Tony
sbuffò, ma si rassegnò a voltarle la schiena per
scendere in
sicurezza, rimanendo immediatamente davanti a lei come a lasciarle
libera una via di fuga facendole allo stesso tempo da scudo. Arrivarono
infine sul pianerottolo dinanzi alla porta di vetro del laboratorio.
Lì Pepper si bloccò di nuovo sull'ultimo gradino.
Sospirò,
frustrata, e indirizzò con decisione lo sguardo all'interno
dell'ampia stanza, distinguendo la parete delle armature ora visibile
e il riverbero di qualche schermo e ologramma acceso. I suoi occhi
sfrecciarono su Tony prima di potersi soffermare sulla sedia o sul
tavolo impressi ancora vividamente nella sua memoria.
Lui
la fissava, di nuovo con un tenue sorrisetto sulle labbra, senza
metterle fretta; lei trovò finalmente il coraggio di
affiancarlo,
abbandonando la sicurezza del gradino. Poi non pensò a
ciò che
stava facendo: seguì semplicemente il moto che la
guidò a sporgersi
leggermente e posargli un bacio sulla guancia. Lo sentì
trattenere
bruscamente il respiro, per poi premere appena contro le sue labbra,
abbandonandosi al quel breve contatto. Non incontrò subito i
suoi
occhi quando si staccò; invece, li puntò sulle
proprie mani,
intente a rincorrersi nervose sull'orlo della maglietta. Pepper si
scostò, percependo la sua tensione e lasciando
così che ognuno
tornasse padrone del proprio spazio, adesso forse un po' più
piccolo
e dai confini più labili.
Tony
prese fiato, come se l'avesse davvero trattenuto fino a quel momento,
per poi riprendere a parlare mascherando il suo imbarazzo sotto il
consueto velo d'ironia:
«Uh...
un grande passo per entrambi?» concluse maldestramente la
citazione
di poco prima, in palese difficoltà e con una lieve
titubanza,
affiancandovi però un sorriso spontaneo.
«Grazie,»
replicò lei a voce bassa, cercando di instillare in quella
semplice
parola tutto ciò che aveva sempre taciuto; Tony si
limitò a un
sorrisetto sfuggente, evitando ancora i suoi occhi.
Pepper
recuperò rapidamente distanza tra loro, per poi accostarsi
alla
porta e digitare a colpo sicuro il codice d'accesso.
***
«C'è
più casino del solito, oggi Dum-E non è molto
collaborativo,»
esordì Tony, di nuovo padrone di sé mentre faceva
un gesto seccato
verso il robot; questo replicò con un ronzio affranto.
Pepper
avanzò a piccoli passi titubanti nell'enorme stanza, invasa
da
ologrammi vaganti e illuminata a giorno dai neon, al contrario
dell'ultima volta in cui era stata lì, quando l'unica luce
nella
penombra era stata la lampada sul banco di lavoro. Non
riuscì a
identificare quest'ultimo tra i vari sparsi qua e là, a cui
Tony
aveva cambiato disposizione durante i suoi vari traffici con protesi
e armature. La sedia in consunta pelle nera era invece piazzata
davanti alla consolle centrale. Per un momento, fu convinta di
intravedere la sagoma di Tony esanime su di essa, ma fu solo un
lampo: la valanga di ricordi che si era aspettata la travolgesse una
volta là dentro fu troncata sul nascere. Percepiva solo un
disagio
di fondo che dubitava di riuscire a sopprimere del tutto, oltre alla
peculiare sensazione di essere spiacevolmente sospesa a qualche
centimetro da terra, quasi stesse galleggiando senza alcun appiglio
sicuro.
«Bentornata,
signorina Potts,» JARVIS la accolse quasi con calore,
distogliendola
dalle sue riflessioni.
«Grazie,
JARVIS,» replicò lei, grata per l'intervento.
Tony,
pur tenendola d'occhio, si era intanto portato avanti a lei con la
sua andatura zoppicante e si era seduto sensibilmente sul bordo di un
banco di lavoro, piuttosto che sulla sedia a pochi metri da lui. Si
lasciò sfuggire un lamento nel togliere il peso dalla gamba
meccanica, catturando l'attenzione di Pepper.
«Sono
fuori allenamento,» produsse a mo' di spiegazione, sfuggendo
il suo
sguardo inquieto.
Portò
poi la mano al punto di giunzione tra il moncherino e la protesi e
trattenne una smorfia nel constatare quanto fosse dolente.
«Tutto
bene?» s'informò lei, momentaneamente dimentica di
dove si trovasse
e concentrandosi sulla sua espressione provata.
Lui
fece un cenno noncurante con la mano.
«Sto
tutto il giorno seduto, non fa bene neanche a chi ha due gambe
funzionanti,» minimizzò, per poi sospirare appena.
«Nat si
infurierebbe,» considerò con un mezzo sorrisetto,
come se trovasse
divertente il pensiero di un'assassina russa infuriata.
Considerando
liquidata la questione, avvicinò a sé un paio di
schermate
olografiche con rinnovato brio, per poi accigliarsi. Pepper fece per
avvicinarsi, ma la mano di Tony scattò pronta ad intimarle
l'alt.
«No,
ferma lì! Così si rovina la sorpresa,»
affermò, scacciando le
schermate. «Mi dia solo un minuto per sistemare quei dettagli
e per
ricontrollare tutto,» spiegò, già
assorto nei suoi calcoli.
Fece
leva sul bastone per alzarsi e si diresse con un movimento automatico
verso la sedia, dove si lasciò cadere di peso. Pepper
sobbalzò
appena e Tony si voltò di scatto verso di lei, realizzando
solo
allora l'indelicatezza del suo gesto. Per un attimo, rimasero
congelati nelle rispettive posizioni; Pepper aspettò che la
valanga
trattenuta poco prima si abbattesse su di lei, seppellendola e
soffocandola, ma tutto ciò che percepì fu quel
senso di
straniamento che si accentuava leggermente.
«Va...
va bene?» esalò esitante Tony con un gesto vago
verso se stesso,
scrutandola preoccupato e apparentemente pronto a scattare di nuovo
in piedi.
«Va
bene,» confermò lei senza esitazioni.
Il
laboratorio le sembrava per ora uno spazio neutrale. Non era ancora
accogliente come un tempo, ma si sentiva tranquillizzata dal fatto
che i suoi timori per quel luogo, che aveva immaginato denso di ombre
e dolore, si stessero rivelando per lo più infondati. Quei
ricordi
esistevano solo nella sua testa, per quanto sia lei che Tony ne
portassero ancora i segni. Non poteva permettere che li ferissero
ancora, aggiungendo cicatrici a cicatrici. Ma per quanto questi
pensieri si ripetessero nella sua testa, una parte di lei continuava
a voler evitare il brillio azzurrino del reattore nel petto di Tony,
spingendola ad allontanarsi dalla sedia su cui sedeva, e quel senso
di distaccato stordimento non accennava a diminuire. Smise di
combattere ciascuna di quelle sensazioni: sarebbero passate, prima o
poi. Per ora, sentiva di aver fatto abbastanza.
«Non
ci metterò molto, non si preoccupi,»
riattaccò Tony, ora con cauta
disinvoltura. «Lei intanto può fare un tour
guidato
per vedere
quello che si è persa ultimamente. JARVIS?»
chiamò, prima di
tuffarsi nei suoi ologrammi azzurrini.
Pepper
accettò di buon grado l'offerta, sia per distrarsi dai suoi
pensieri
non propriamente sereni, sia per tenersi impegnata mentre Tony era a
sua volta occupato a completare chissà cosa tenendola
ulteriormente
sulle spine.
JARVIS
le mostrò i progressi che Tony aveva fatto negli ultimi
mesi, dai
progetti dei tutori per Kyle, a quelli per i droni che aveva
intenzione di fornire allo SHIELD e ai Vendicatori. Si
accigliò
appena nel vederne il prototipo, e ancor di più quando le fu
presentata la Mark IV, per ora in fase di assemblaggio. Le sue labbra
si tirarono, ma l'armatura non sembrava ancora operativa e giaceva
inerte su un bancone, grigia, anonima e non molto dissimile dal drone
poco distante. Su un tavolo più piccolo, che però
JARVIS non le
illustrò, scorse svariati modelli di reattori arc
disassemblati o in
fase di costruzione, circondati da fogli ingialliti e pile di scarti
metallici. Distolse lo sguardo con un vuoto allo stomaco, dirigendosi
d'istinto dalla parte opposta, ovvero verso una delle scrivanie
straripanti di scartoffie e apparentemente arenate in mezzo al nulla
a poca distanza dalle macchine d'epoca di Howard.
«Ci
sono quasi!» le annunciò in quel momento Tony,
notando le sue
peregrinazioni per il laboratorio. «Sto renderizzando un
modello e
aggiustando un altro centinaio di cose che mi erano
sfuggite,
ma ci sono!» continuò concitato e senza voltarsi,
accompagnato dal
ticchettio incessante della tastiera.
Pepper
si ritrovò a sorridere appena nel sentirlo di nuovo
così entusiasta
e concentrato, e prese a sfogliare distratta qualche fascicolo
rimasto abbandonato sulla scrivania, per lo più progetti
approvati e
già consegnati allo SHIELD come l'Helicarrier, ma anche
qualche
nuova bozza in via di completamento. Fu infine attratta da una
voluminosa risma di fogli un po' sgualciti e spillati insieme, sul
primo dei quali campeggiava uno schizzo estremamente dettagliato
della Mark I. Girò pagina, trovando subito le Mark
successive e
qualche bozzetto di prova per la Mark IV in assemblaggio. Il
fascicolo non finiva però lì: c'era almeno
un'altra cinquantina di
bozzetti di armature dal design completamente diverso, alcune
numerate, altre attorniate di punti interrogativi, altre ancora
cancellate con segni decisi di penna o matita.
«Questi
cosa sono?» chiese interessata, avvicinandosi un poco a Tony
da
un'angolazione tale da non vedere gli schermi su cui stava lavorando.
«Cosa?»
bofonchiò lui, alzando appena la testa e inclinandosi
lateralmente
per scorgere quello che gli stava mostrando.
S'illuminò
appena nel riconoscerlo.
«Ah,
quelli? Sono esercizi, per calibrare la protesi. Mi sono fatto
prendere un po' la mano,» sogghignò con fare
innocente, scrollando
giocosamente le dita meccaniche prima di tornare a dedicarsi al suo
progetto corrente.
«Solo
armature?» osservò Pepper, vagamente ironica ma
suo malgrado
interessata.
«Non
sono esattamente un artista. Ho pensato che se proprio dovevo
disegnare qualcosa, tanto valeva fare qualcosa di semplice e che
potesse tornare utile,» replicò lui con un'ovvia
alzata di spalle.
«Se
questo lo chiama semplice...» mormorò lei,
fissando l'intrico di
linee che formava il rivestimento e i componenti di ogni Mark.
Lui
le indirizzò un sorrisetto che nascondeva un certo orgoglio,
come
sempre quando si trattava delle sue creazioni. Pepper
sbirciò appena
nella sua direzione, distinguendo su una delle schermate quello che
sembrava un lungo documento straripante di dati tecnici, grafici e
formule. S'impose
di non guardare nient'altro e tornò ad esaminare i progetti
che
aveva in mano. La maggior parte degli schizzi erano repliche
più o
meno fedeli della sua Mark IV, altre invece se ne distaccavano molto,
acquisendo uno stile tutto loro. Il senso estetico di Tony era molto
opinabile, ma alcune non le dispiacevano.
Notò
che qua e là su quei fogli c'erano anche altri scarabocchi e
ghirigori, probabilmente disegnati in momenti di noia: il logo della
Stark Industries e degli Avengers, macchine da corsa un po'ovunque e
delle caricature pessime ma decisamente riconoscibili, soprattutto di
Rogers e Fury. A margine di un foglio era abbozzato un piccolo Hulk
in inchiostro verde con Mjolnir in una mano e lo scudo di Rogers
nell'altra. Le faceva un'insolita tenerezza vedere quel lato
bambinesco dell'estro di Tony, e non poté fare a meno di
lasciarsi
sfuggire un sorriso.
La
sua espressione si intristì un poco nel vedere uno degli
ultimi
fogli. Un sobrio progetto di un'armatura riempiva la pagina,
così
come tutte le precedenti, con i soliti appunti e note indecifrabili
tutt'intorno. In un angolo faceva però capolino un piccolo
Iron Man
stilizzato nell'atto di volare e sparare un raggio dalla mano.
S'intuiva un po' troppa cura per i dettagli per essere stato fatto
sovrappensiero. Aveva la sensazione che non avesse semplicemente
disegnato un'altra armatura, ma se stesso, nell'atto di fare
ciò che
avrebbe voluto.
Lo
guardò di sottecchi, trovandolo profondamente immerso nei
suoi
calcoli, con una ruga di concentrazione a solcargli la fronte. Il suo
sguardo, benché acceso, era serio e quasi solenne,
incorniciato da
occhiaie profonde; il riverbero degli schermi accentuava le
estremità
della ferita che gli attraversava il viso sporgendo dalla benda.
Ticchettava rapidamente
sulla tastiera con la mano sana, seguendo intento ogni parola e
numero che appariva sullo schermo. Di tanto in tanto scorreva delle
colonne di dati virtuali attorno a lui con la destra, senza smettere
di scrivere.
Pepper
lo osservò ancora per qualche istante, per poi spostare lo
sguardo
alla parete delle armature: i resti danneggiati e deformati della
Mark I, il posto vuoto della II e l'ammasso di metallo fuso e
contorto della III. Non si soffermò troppo a lungo su
questo,
temendo che la valanga scampata poco prima potesse ripresentarsi
sotto altre spoglie altrettanto dolorose, e spaziò sul drone
anonimo
e inerte e sulla Mark IV incompleta. Finì per tornare a
fissare quel
disegnino di un'armatura scintillante rosso-oro librata in volo e
slanciata con impeto vero il margine del foglio come contro una
barriera da infrangere. Vi passò sopra le dita, seguendone i
contorni decisi. Era quello, tutto ciò che era rimasto di
Iron Man?
Sollevò
gli occhi verso Tony e non le riuscì così
difficile immaginarlo di
nuovo con l'armatura. Non ne aveva bisogno per essere forte o eroico,
di questo era stata sempre profondamente convinta, ma non poteva
negare che facesse parte di lui e di ciò che aveva scelto
di
essere. Ripensò alla loro discussione di qualche settimana
prima,
quando le aveva detto di volersi presentare alla EXPO come Iron Man, e
diede finalmente forma alla realizzazione che aveva tentato di farsi
strada in lei allora: per Tony quella non era una semplice
“distrazione”.
Sentì
il proprio petto tremare quando inspirò a fondo, quasi a
voler
ostacolare le sue intenzioni:
«Tony?»
«Mh?»
Pepper
sentì gli occhi che le si appannavano di loro spontanea
volontà nel
realizzare quello che stava per dire, ma si costrinse a continuare:
«Ha
ancora intenzione di presentarsi alla EXPO con l'armatura?»
Tony
quasi capitolò a terra per la fretta con cui si
voltò e la fissò
attonito per qualche istante, spostando l'occhio tra lei, il
fascicolo e l'armatura in un frenetico circolo vizioso.
«L'idea
è in stand-by,» affermò rapido,
muovendo nervosamente su e giù la
gamba quasi fosse d'un tratto sui carboni ardenti. «E quelli
non
hanno nulla a che vedere con... li avrò
fatti più di tre
mesi fa a tempo perso, le giuro che non ho intenzione di...»
tentò
di giustificarsi, mangiandosi le parole.
«Lo
so, mi fido di ciò che mi ha detto,» lo
fermò subito lei.
Poté
vedere l'espressione di Tony virare dall'apprensivo al basito nel
giro di mezzo secondo, per poi fossilizzarsi in un cipiglio
guardingo, quasi stesse osservando un fenomeno sconosciuto e dagli
esiti imprevedibili. Poi riattaccò a parlare a macchinetta:
«Ok,
sta cercando di irretirmi per chiedermi qualcosa; nello specifico, di
non fare qualcosa che ho già
promesso di non fare...
oppure è possibile, direi molto probabile, che mi stia
depistando
per poi rimproverarmi di voler fare di nascosto quel qualcosa;
in tal caso si tratterebbe di una tattica assolutamente
scorretta e infida da parte...»
«Tony,»
lo bloccò lei, trattenendo un sospiro e un sorriso paziente
allo
stesso tempo.
Lui
si zittì all'istante, approntando una facciata neutrale che
recava
però qualche riconoscibile traccia di quella da cane
bastonato che
aveva passato anni ad affinare appositamente per lei. Pepper
tentennò, combattuta. Pensò a quella fiducia che
gli aveva negato
anche quando non aveva ancora avuto alcun vero motivo per farlo.
Pensò a
quella discussione di una vita prima, con cocci di vetro e parole
avventate a separarli, quando Tony aveva gridato con disperazione
ciò
che avrebbe voluto riavere: l'armatura e la sua vita. Pensò
a quei
vaghi “sei mesi, forse un anno”, a quella vita in
parte
riconquistata che gli stava sfuggendo via e a tutto ciò che
si
sarebbe meritato di riavere e ricevere, finché poteva.
«Le
sto dicendo che, se vuole, sono d'accordo,» disse d'un fiato.
Lui
rimase stolidamente a bocca aperta, in modo quasi comico.
«È
seria?» si accertò, forse sospettando di essere
vittima di
un'allucinazione.
«Sì.
Voglio fidarmi,» rispose lei, rialzando lo sguardo da quei
fogli e
vedendo il suo farsi un po' lucido.
Ci
mise una buona decina di secondi per recuperare la voce. Pepper aveva
ormai capito con un certo compiacimento di essere forse l'unica
persona in grado scatenare in lui quell'insolito mutismo.
«È
una delle cose più belle che possa fare per me,»
mormorò infine,
incredulo. «E anche lei ha degli standard molto
alti da
superare,» aggiunse, con grata sincerità.
Pepper
ricambiò con altrettanto calore, per poi cedere appena alla
vena
d'apprensione che si stava ingigantendo in lei:
«Mi
deve solo garantire che sta davvero vagliando tutti
i rischi
in modo razionale. E che non sia una specie di... non so, canto del
cigno o ultima follia volontaria, perché...»
«Non
potrei mai farlo. Non di nuovo,»
ribatté duramente lui. «Se
non per me stesso, almeno per lei,» aggiunse con
più dolcezza.
Pepper
annuì soltanto, sentendosi di nuovo spiazzata e rincuorata
da quegli
spiragli che Tony continuava ad aprirle per sbirciare dentro di lui.
L'uomo
tacque ancora per qualche secondo, prima di rianimarsi e appoggiarsi
coi gomiti sulle ginocchia, con un sorrisetto scaltro a inclinargli
le labbra.
«Stavo
pensando di rinnovare il design della Mark,»
esordì con vivacità,
indicando i fogli che lei ancora teneva in mano. «Non posso
presentarmi alla Expo in una lattina di coca-cola,»
accennò alla
Mark IV ancora in costruzione. «Sa, vorrei un ritorno col
botto,»
s'interruppe, rendendosi conto della pessima scelta di parole.
«Metaforico.»
Pepper
sorvolò sulla metafora malriuscita e spostò
perplessa lo sguardo
dai progetti a Tony, scuotendo la testa.
«Vorrebbe
una mano a scegliere la nuova Mark?» interpretò
infine, ancor più
dubbiosa e sorpresa per quella proposta imprevista.
«Perché
no?» confermò lui, fissandola con aspettativa.
«Tony,
non ci capisco nulla di robotica, non credo di poter...»
«Intendevo
dal punto di vista estetico.»
«Non
sono la persona più adatta a giudicare armature.»
«Ha
dei gusti indiscutibilmente più raffinati dei
miei,» la blandì
lui, sfoderando il suo storico sorriso ammaliante.
Pepper
realizzò solo allora quanto le fosse mancato.
«Quindi
dovrò farle da stilista?» concluse, fingendosi
riluttante ad
accettare.
«Quello
lo faccio già io, lei al massimo potrebbe essere la mia
personal
dresser,» chiosò Tony, poggiando sornione il mento
sulle dita
intrecciate, già sapendo di aver vinto.
«Va
bene, vedrò di trovarle qualcosa da mettere per il grande
giorno,»
concesse Pepper, lieta che le fosse stato offerto un modo per vedere
quell'evento in una luce diversa e più spensierata.
Tony
ammiccò,
prima di tornare ai suoi schermi con un volteggio della sedia.
In
cuor suo, Pepper si sentiva anche lusingata per quel gesto: Tony era
sempre stato estremamente geloso dei suoi appunti e progetti,
nonostante si fidasse ciecamente di lei, ed era piuttosto riservato
al riguardo. Recuperò una cartellina rigida da una delle
scrivanie e
vi inserì con cura i fogli, stringendola poi al petto con
fare quasi
protettivo.
In
quel mentre, Tony lanciò un'esclamazione esultante che quasi
la fece
sobbalzare, per poi voltarsi verso di lei con un sorriso a trentadue
denti.
«Finito,»
annunciò trepidante. «Ora
può avvicinarsi,» aggiunse,
invitandola con un cenno della mano esageratamente galante.
Pepper eseguì rapida, affiancandolo ed escludendo dalla
mente
il luogo
in cui si trovava per concentrarsi solo su ciò che Tony le
stava
mostrando. Scrutò
lo schermo davanti a loro, su cui distinse quella che sembrava la
prima pagina di una presentazione 3D, al centro della quale
campeggiava una riproduzione del braccio meccanico di Tony; in basso
erano discretamente impressi i loghi della Stark EXPO, delle Stark
Industries e della
September Foundation. In alto, con l'ultima parte posta tra parentesi
come se fosse provvisoria, vi era l'intestazione “Progetto
(Ph.01 X)”.
«Premessa
forse un po' tardiva,» esordì Tony, prima che lei
potesse porre
qualsiasi domanda. «Non è esattamente una sorpresa
per
lei,
ma più che altro per la EXPO e per chi vi
parteciperà. Anche se
speravo di sorprendere anche lei e che le facesse
piacere,»
sciorinò con accortezza, con le dita giunte davanti al volto
e gli
indici a toccarsi il naso mentre la scrutava di sottecchi.
«La
ascolto,» lo incoraggiò lei, intuendo la sua
titubanza.
Tony
in tutta risposta premette il tasto invio e il documento digitale si
traslò su un ologramma un po' compresso, evidentemente
pensato per
essere proiettato su un maxi-schermo. Mandò avanti la
presentazione
e Pepper non poté fare a meno di rimanere meravigliata nel
vedere la
schermata successiva: da un lato si vedeva un progetto completo della
protesi del braccio, corredata da uno spaccato e un esploso curati e
definiti; dall'altro, vi era la scansione del foglio stropicciato su
cui Tony aveva abbozzato la primissima versione di quella stessa
protesi, con tratti incerti, confusionari e annegati nelle varie
formule, vettori e appunti che la circondavano. Il primo passo, la
prima idea, il primo mattone su cui aveva iniziato a ricostruire la
propria vita. Nel riportare lo sguardo su Tony, si accorse che stava
sorridendo con malinconia, quasi fosse a sua volta perso in quei
ricordi.
«Questo
è il mio retaggio,» disse, quasi con
solennità. «Ed è uno dei
ricordi che vorrei lasciarmi dietro,» aggiunse a voce
più bassa, ma
senza il minimo tremito a scuoterla.
Le
mani di Pepper si contrassero leggermente, cogliendo tutti i
sottintesi di quella frase, ma sentì crescere allo stesso
tempo un
moto d'orgoglio e ammirazione assolutamente genuini nei confronti di
Tony, come non ne provava dal momento in cui l'aveva visto di nuovo
in piedi.
«Vuole
renderle pubbliche,» constatò con
semplicità, stentando a credere
che avesse davvero intenzione di esporre al mondo quelle che in fin
dei conti erano ormai parti di sé.
«Il
piano è quello, anche se ho strappato a Stern solo il
permesso per
presentarne i progetti e qualche prototipo incompleto,»
commentò
con lieve contrarietà. «In compenso,
potrò girare per la EXPO senza
licenza per le protesi, visto che non arriverà probabilmente
in
tempo; le Industries devono solo prendersi ogni
responsabilità per
eventuali “incidenti”,» e volse l'occhio
al
cielo con evidente
insofferenza.
S'interruppe
e tamburellò sul bracciolo della sedia, prendendo tempo e
fiato.
«Quindi,
in pratica, presenterò me stesso,»
asserì, passando alla pagina
successiva, a questo punto Pepper trasalì.
Sulla
diapositiva vi erano due foto in bianco e nero che mostravano con
chiarezza lo stato dei suoi moncherini nelle settimane immediatamente
successive all'amputazione, assieme alla trascrizione della sua
cartella clinica che ne illustrava le condizioni in termini
più
specifici; Ian era creditato a piè di pagina.
«Sono
l'unica cavia esistente,» spiegò lui con
tranquillità, notando il
suo stupore e cambiando però rapidamente pagina.
«E
devo fornire
tutti i dati disponibili per permettere ad altri team di ricerca di
emulare o modificare quel che ho già fatto io. Non mi
aspetto che le
mie protesi vadano bene per tutti.»
Alzò appena le
spalle, ma le
rughe che solcavano la sua fronte erano un evidente segno di come non
si sentisse realmente a proprio agio nel discutere quel punto. Pepper
tacque per qualche lungo istante, cercando di ogliere la portata di
quella scelta e, soprattutto, le ripercussioni che avrebbe avuto su
Tony. Perché se nel mettere a punto quella sua idea poteva
essere
rimasto impassibile, non sapeva se sarebbe riuscito a rimanere tale
anche su un palco, dinanzi a migliaia di spettatori e sotto l'occhio
impietoso delle telecamere, mentre alle sue spalle scorrevano i mesi
di sofferenza, fallimenti e depressione che anche lei ricordava
così
bene. Soprattutto, si chiedeva come potesse reggere il peso di
così
tanti sguardi quando era spesso intento a schivare persino il suo.
Il
fulcro del progetto poteva anche essere sulla parte tecnica, e le
poche foto presenti finora erano accuratamente selezionate in modo da
essere il quanto più possibile anonime, ma riusciva
già a
immaginare la reazione della stampa e delle Everhart di turno messe
davanti all'occasione di poter gettare una manciata di fango in
più
sulla dignità di Tony. Ricordava fin troppo bene lo scoop di
Vanity
Fair e il modo impietoso in cui aveva descritto il suo corpo
mutilato; era stata a un passo dall'andare in prima persona alla
porta della Everhart per farle rimangiare ogni singola parola di
quell'articolo.
Ammirava
la dedizione con cui Tony si stava mettendo in prima linea per
quell'iniziativa, ma l'idea di vederlo soffrire più di
quanto non
stesse già facendo per colpa di qualche pettegolezzo molesto
la
impensieriva e faceva infuriare allo stesso tempo.
«Capisco
la necessità di rendere disponibili tutte le informazioni...
ma è
davvero necessario fornire dati così sensibili ?»
accennò alla
presentazione, che ora mostrava un innocuo spaccato di un
micro-reattore arc. «Insomma, sa meglio di me che l'opinione
pubblica
sa essere inclemente.»
«Sì,»
replicò lui un po' bruscamente, intuendo a cosa si
riferisse.
«Non
sono entusiasta di... mostrarmi in
quello stato, ma non vedo alternative.»
Si agitò
nervoso sulla
sedia. Era
chiaramente a disagio al pensiero di doversi esporre in quel modo, ma
anche deciso a non tirarsi indietro; in quel momento sembrò
comunque
perdere un po' della sua determinazione e si reclinò
fiaccamente
sullo schienale.
«Mi
metteranno alla gogna mediatica per settimane,»
bofonchiò
rassegnato. «È la cosa più stupida che
potessi pensare di fare,»
sbottò poi con improvvisa frustrazione, additando quasi con
sdegno
il progetto e facendo per metterlo da parte.
«Invece
lo trovo molto coraggioso,» commentò soltanto
Pepper, posandogli
con gentilezza una mano sul braccio meccanico, a fermare i suoi gesti
inconsulti; lui si bloccò, come folgorato, e la
presentazione si
arenò su un'anonima pagina riguardante la fusione
dell'unobtanium.
Tony
scosse appena la testa, senza sottrarsi a quel contatto e con un
sorriso che sembrava indeciso se emergere sul suo volto o meno, come
se apprezzasse il complimento ma non fosse pronto ad accettarlo o
dubitasse della sua veridicità.
«No,
non... faccio quello che faccio sempre, no? Mi metto in mostra e in
ridicolo, non c'è nulla di coraggioso,» si
schermì, azzardando un
sogghigno autoironico.
«Sa
che non è così,» lo
rimbrottò lei, e lasciò scorrere la mano
lungo il suo braccio meccanico seguendone delicatamente i contorni
affusolati, quasi sperando che potesse percepire quella carezza; lo
sentì inspirare più a fondo e socchiudere la
palpebra, come se si
stesse concentrando al massimo per riuscire in quell'intento.
«Se
fossi davvero coraggioso, non ti avrei chiesto di starmi
accanto,»
mormorò
infine a capo chino, girando un poco la sedia per sfuggire al suo
tocco.
Lei
non lo trattenne, ma non poté evitare che il suo sguardo si
intristisse un poco a quel suo ennesimo ritrarsi.
«Penso
che tu lo sia anche per questo,» lo contraddisse con
fermezza,
riprendendo poi a mandare avanti la presentazione al posto suo senza
aggiungere altro.
Non
si girò verso di lui, ma intravedeva con la coda dell'occhio
il modo
in cui la stava fissando, con quello sguardo che scaturiva
direttamente da due anni prima. Si sentì arrossire
leggermente, ma
con un calore discreto e piacevole che andò a tirare delle
precise e
sensibili corde nel suo stomaco, risvegliando una sensazione che era
certa di non provare dalla sua prima cotta del liceo. O forse da una
serata di beneficenza non poi così lontana.
Arrivò
alla fine della presentazione, che Tony aveva continuato a
illustrarle per sommi capi; l'ultima pagina mostrava quella foto
inviata mesi prima allo SHIELD, che lo immortalava con un
ghigno vittorioso dopo essersi rimesso in piedi. Pepper sorrise
apertamente, rivolgendosi verso di lui e trovando un riflesso dalla
sua espressione in quella altrettanto distesa e sorridente di Tony.
«Quindi?
Che ne pensa?» la incalzò, di nuovo allegro.
«È
stata decisamente un bella
sorpresa,» disse lei, trovando il
suo
sguardo e indugiandovi per qualche secondo di troppo. «Ed
è giusto
che il mondo sappia e riconosca cosa è riuscito a
fare.»
«Per
una volta, non lo faccio per gli applausi,» disse lui a
sguardo
basso, inclinando appena il capo come a minimizzare la cosa.
«Si
merita anche quelli,» ribatté lei, non
lasciandogliela vinta.
Tony
sollevò appena un sopracciglio, un'espressione furbetta a
mascherare
la gioia serena e sottile che irradiava in quel momento.
«Signorina
Potts, oggi si è proprio messa in testa di conquistarmi a
suon di
paroline dolci,» la canzonò, girando con fare
irritante sulla
sedia.
Pepper
si limitò ad alzare gli occhi al cielo, tornando a
concentrarsi
sulla presentazione ormai terminata e borbottando tra sé un
ben
udibile “come se ce ne fosse bisogno”. Tony
sbuffò in un mezzo
risolino forse imbarazzato, forse solo divertito, per poi riprendere
a parlare con vivacità:
«Tra
l'altro, non ha ancora sentito la parte migliore di tutta la cosa,
ovvero quella che la riguarda,» sillabò con tono
suadente.
Pepper
si voltò appena, interessata e pronta a gestire qualunque
assurda
appendice che Tony era in procinto di aggiungere al progetto. L'uomo
si alzò in piedi, come se ritenesse di dover fare
quell'annuncio in
modo più composto, nonostante fosse evidente che quella
posizione
gli costasse fatica. Rimase per un istante a capo e sguardo chino,
per poi raddrizzarsi con la schiena diritta, quasi impettito. Quando
parlò, fu con voce chiara e solcata da un'emozione appena
tenuta a
bada che la rese più vibrante e piena.
«Vorrei
che lei mi aiutasse a presentare il progetto, dal vivo, con me, alla
EXPO,» disse d'un fiato.
Pepper
pensò fugacemente che, se non le era preso un infarto quel
giorno
per la raffica di emozioni contrastanti e incessante che l'aveva
colpita, poteva dichiararsi al sicuro per il resto della vita.
«Io?»
riuscì solo a dire, esterrefatta, e vide subito
l'espressione di
Tony mutare da una sicurezza quasi spavalda a uno sguardo
estremamente simile a quello di un cane abbandonato senza preavviso
sul ciglio della strada.
«Sì,
uh, lei. È l'unica che... insomma,» si
schiarì la gola per
ritagliarsi un attimo di respiro, «È la persona
più adatta e
l'unica che... che può capirne la portata e tutto quello che
c'è
dietro, nel bene e nel male. Ed è l'unica mi è
stata sempre
accanto. Sì,» la fermò prima che lei
potesse contraddirlo, «sempre.
E non ho intenzione di ritrattare questo punto,» la
avvisò
perentorio.
Pepper
si sentì più spiazzata per quell'affermazione che
per la richiesta
di affiancarlo alla EXPO, e ciò le impedì di
approfittare della
breve pausa di Tony per inserirsi nel discorso, permettendogli
così
di continuare a parlare a raffica:
«Sarà...
impegnativo. Insomma, saremo io e lei su un palco sotto ai riflettori
e so che non è esattamente una
“sorpresa” convenzionale...
sicuramente avrebbe preferito un mazzo di fiori o dei cioccolatini,
ma lo sa che mi piace esagerare...» prese quasi a tartagliare
e
Pepper si portò di fronte a lui, senza riuscire a trovare
subito le
parole giuste, così lui continuò ancora, sempre
più nervoso: «Non
sono neanche sicuro che lei voglia prendersi l'impegno, ma non mi
offenderò se non lo farà e...»
Pepper
lo interruppe prendendogli con delicatezza le mani e fermando ancora
una volta il suo gesticolare agitato.
«Sono
qui, Tony. E ci sarò anche alla EXPO, e per qualunque cosa
deciderai
di fare dopo.»
Stava
per ritrarsi, rimproverandosi tra sé per aver invaso ancora
una
volta i suoi spazi, ma lui la trattenne con una presa così
leggera
che la percepì appena mentre le sfiorava i polsi con le
dita. Lasciò
inerte la mano meccanica, come sempre, e sembrò
profondamente
combattuto tra lasciar sfumare di nuovo quel contatto fugace o
approfondirlo. Infine si risolse a stringerla a sé in un
breve
quanto inaspettato abbraccio che le fece quasi mancare il respiro.
Ebbe appena il tempo di percepire il calore del suo corpo, il lieve
sentore di olio per motori, ferro e dopobarba impresso sulla sua
pelle e di serrare per un istante le proprie braccia attorno alle sue
spalle, che lui si era già staccato. Mise tra loro un
incerto passo
di distanza, sfuggendo il suo sguardo nel rivolgerle un sorriso
appena accennato che sembrava quasi di scuse.
«Non
so neanche più come ringraziarti,» disse appena
udibile, mentre si
poggiava coi palmi sul bancone, impegnando poi mani e occhio con
qualche schermata superstite rimasta aperta.
«Questa
mi sembra un'ottima alternativa a un
“grazie”,» replicò lei, in
tono ostentatamente ironico che poteva ben poco nel celare lo sguardo
colmo d'affetto che gli stava rivolgendo.
«Sono
una persona che tende a perdere tempo,» proferì
lui, senza
preavviso, fermando i suoi traffici e fissando un punto inesistente
davanti a sé. «Magari tutto... tutto questo
è un incentivo a
non farlo,» rifletté ad alta voce in tono
colpevole, sempre senza
osare guardarla e portando una mano a coprirsi lo sfregio, quasi
volesse schermarsi da lei.
«Nessuno
ci vieta di seguire i nostri tempi,» gli
fece notare lei, con
la consueta, semplice schiettezza che sembrava sempre riportarlo
prontamente coi piedi per terra, ancorando i suoi pensieri nel mondo
reale.
Lui
non rispose, ma intercettò di sfuggita i suoi occhi in un
muto
assenso, prima di tornare a sfoggiare la solita espressione
disincantata. Si
raddrizzò e cliccò deciso sulla presentazione
ancora sospesa a
mezz'aria. Questa si ripristinò, tornando alla pagina
iniziale.
«E
anche questa è fatta,» commentò, per
poi lasciare che una singola
linea contrariata si formasse tra le sue sopracciglia. «O
quasi...»
si corresse, portando una mano al mento mentre ingrandiva
l'intestazione.
Questa
recitava ancora “Progetto (Ph.01 X)”.
Tony prese a
tormentarsi dubbioso il pizzetto, per poi incrociare le braccia con
aria adesso insoddisfatta. Si girò di scatto verso la
tastiera e con
un gesto risoluto cancellò il titolo, digitandone uno nuovo
a colpo
sicuro. Premette nuovamente invio con un mezzo svolazzo della mano,
stavolta sorridendo compiaciuto. Pepper strizzò appena gli
occhi nel
leggere il nuovo titolo:
«“Progetto
Phoenix”?»
Il
sorriso di Tony si allargò.
«Mi
sembra appropriato.»
FINE
PARTE SECONDA
Sssalve!
Avevo promesso un capitolo in tempi più brevi, sebbene più corto, e mi ritrovo a pubblicarne uno quasi in ritardo e lungo come al solito... i misteri della stesura e dei cambiamenti in corso d'opera :P
Non riesco quasi a credere di aver messo la parola fine a questa travagliata seconda parte: Ashes si chiude qui, dal prossimo capitolo si inizia Rebirth, terza ed ultima parte.
Quest'idea del "Progetto Phoenix" era stata discussa tra me e MoonRay nelle prime fasi della storia, per poi essere archiviata. Non mi è dispiaciuto recuperare il concetto, per quanto cliché.
Ora sto crollando sulla tastiera, ma per qualsiasi chiarimento/domanda sono a disposizione, visto che come al solito è finito per uscir fuori un capitolo piuttosto denso :) Mi limito a dire che assumere più spesso il PoV di Pepper è una scelta ben consapevole, e di tenere sempre a mente che, essendo lei umana come tutti, può fraintendere comportamenti e reazioni di Tony, così come intuirne più lucidamente la causa rispetto a lui. Insomma, cari lettori: andateci coi piedi di piombo (soprattutto per la faccenda del contatto fisico).
E ricordate che "what's done, cannot be undone" *posa amletica
Ringrazio tantissimo T612 (il capitolo avrei voluto pubblicarlo venerdì, tusaiperché, ma sono ritardataria come sempre <3 :'), Emyclarinet e _Atlas_ per aver recensito lo scorso capitolo e Ghillyam per aver aggiunto la storia alle ricordate: mi rendete come sempre felicissima <3 E grazie a tutti coloro che seguono da dietro le quinte e che hanno aggiunto Phoenix tra le seguite/preferite/ricordate :)
Non so dare una data precisa d'aggiornamento: mi hanno scombinato le date della sessione d'esame e sarà un'impresa far quadrare tutto. In più, visto che Phoenix è ormai prossima alla conclusione, vorrei dedicare ad ogni capitolo la massima cura, quindi seguirò la politica del quality over quantity. Posso solo annunciare, finalmente in modo 100% definitivo, che i capitoli saranno 50 tondi tondi, prologo ed epilogo esclusi :D
Dopo 'sta sfilza di comunicazioni di servizio, mi eclisso (e magari dormo pure),
Au revoir,
-Light-
P.S. Pensavate che avessi seppellito la Everhart e certi trascorsi imbarazzanti, eh? Giammai!
P.P.S. Come sempre per le citazioni "doppie", il blu arc è per Tony, il rosso ramato è per Pepper (@Atlas, so già quale delle due apprezzerai :P).
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