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Autore: ___MoonLight    09/09/2018    3 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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41

 

Showbiz




"When the world is ours
But the world is not your kind of thing
Full of shooting stars
Brighter as they're vanishing"

[You're The Best Thing About Me – U2]




11 Gennaio, Villa Stark

Capì che c'era qualcosa di strano nel momento stesso in cui si svegliò. Non era necessariamente un'impressione spiacevole, ma non riuscì a metterla del tutto a fuoco, avvolto com'era dagli ultimi strascichi di sonno e sogni fumosi ma graditi che tentavano inutilmente di riprendere vita nella sua testa. Si girò sul ventre, stiracchiandosi piacevolmente mentre lasciava che i suoi sensi intorpiditi si riattivassero a poco a poco. Tornò ad affondare la faccia nel cuscino e schiuse appena l'occhio incontrando la penombra della sua stanza, nella quale filtrava un tenue chiarore dalla porta accostata.
Ci mise ancora qualche secondo per dare un nome a quella sensazione: solo allora realizzò con stupore che si sentiva riposato. Erano almeno sei mesi che non dormiva così bene. Si sentiva anche meglio del previsto, considerando gli scossoni del giorno prima. Percepiva solo un po' di costrizione al petto e il solito formicolio ai moncherini, ma erano entrambi sopportabili e si sentiva in grado di escluderli dalla propria mente per godersi quel ritrovato senso di rilassatezza.
Dovette vincere la sua rediviva pigrizia prima di alzarsi, e anche così passò una mezz'ora buona a bearsi nel dormiveglia e nel gradevole tepore delle coperte, riuscendo anche a riallacciarsi a qualche immagine della notte appena trascorsa. Constatò con blanda lucidità che la maggior parte di quei frammenti onirici coinvolgeva Pepper, in un modo che era meglio rimanesse ben sigillato nella sua testa. Non si sottrasse a quelle fantasie ideate dal suo inconscio, e si ritrovò anzi a volervi indulgere come mai si era permesso di fare in precedenza. Si costrinse a riscuotersi del tutto solo quando il proprio corpo iniziò a reagire con un po' troppa veemenza a quelle immagini allettanti ma inconcludenti e si alzò barcollando, ancora un po' intontito. Passò dal bagno per darsi una rinfrescata e uscì poi in salone, continuando a stiracchiarsi con quieto buonumore.
Fu subito investito dal chiarore improvviso, che lo lasciò abbacinato per qualche istante: il cielo grigio e invernale riverberava di luce, illuminando il salone vuoto. Doveva essere mattino inoltrato. Si guardò intorno in cerca di Pepper, ma non vedendola concluse che stesse ancora dormendo, o a sbrigare qualche incombenza alle Industries, o magari a casa propria per darsi una sistemata. Non si diede pensiero per la sua assenza: dopo l'estenuante chiacchierata della notte appena trascorsa era più che certo che sarebbe tornata. Si sentiva così leggero che non avrebbe permesso ad alcuna ulteriore preoccupazione irrazionale di rovinare quel breve momento di quiete. Sapeva che era una tranquillità temporanea, ma perché turbarla prima del tempo? Certo, non poteva definirla una situazione spensierata ed era senz'ombra di dubbio la più complicata e delicata in cui si fosse mai invischiato, ma aveva la consapevolezza di aver dipanato una parte della matassa di preoccupazioni che si portava appresso dall'incidente – forse anche da prima.
Poteva anche dire di vedere finalmente i fatti con chiarezza, come tante piccole componenti di un progetto più grande che andavano assemblate con estrema cura e pazienza. Palladio, Expo, Iron Man, Pepper, imbarazzi inevitabili e sensi di colpa reciproci ardui da dissipare: si trattava solo di far funzionare il tutto nel modo migliore. Forse non era abituato a lavorare con "diavolerie" di quel tipo, ma era pur sempre un genio: ne sarebbe venuto a capo, in un modo o nell'altro. E poi, aveva ancora al suo fianco la persona più qualificata che avesse mai incontrato in vita sua – anche se al momento gli sovveniva almeno un altro centinaio di aggettivi molto meno neutrali per descriverla.
Fu così con passo un po' zoppicante ma vivace che si avviò a fare colazione, approfittando della tregua concessagli dalla nausea.
La porta d'ingresso scattò proprio mentre era intento a sbucciare una mela senza mettere a repentaglio le dita superstiti. Voltò la testa verso l'atrio, sentendo subito un sorriso che gli tirava le labbra. Pepper entrò rapida, destreggiando un carico di documenti notevole; non si accorse subito di lui mentre gli voltava brevemente le spalle per chiudere la porta e liberarsi del cappotto. Tony osservò che, nonostante sembrasse piuttosto di fretta, il suo volto e la sua postura erano rilassati. Teneva i capelli raccolti nel solito chignon ordinato e indossava quel tailleur color castagno con cui l'aveva accolto al suo ritorno dall'Afghanistan, dettaglio che gli rievocò quella sensazione di calore che l'aveva avvolto appena sceso dall'aereo.
«Buongiorno,» la salutò allegro, e nonostante avesse usato un tono di voce pacato la vide comunque sobbalzare appena per la sorpresa.
Si bloccò nell'atrio, stringendo al petto le sue cartelle.
«Oh, buongiorno,» ricambiò con garbo e un cenno del capo. «Finalmente si è svegliato,» aggiunse, dopo una breve esitazione mascherata da un fugace sorriso.
Tony captò una sorta di imbarazzo in quelle parole, come se non sapesse scegliere il modo in cui porsi nei suoi confronti dopo tutto quello che era successo. Era chiaro come lo stesse invitando a mantenersi su un terreno sicuro e conosciuto a entrambi. Si adeguò quindi al suo registro con naturalezza, rivolgendole un'occhiata d'intesa.
«Finalmente? È lei ad essere mattiniera,» la prese in giro bonario.
«Sono quasi le quattro del pomeriggio,» gli rivelò lei in tono decisamente divertito.
«Cosa?!»
Il coltello gli sfuggì e la lama stridette spiacevolmente contro la mano meccanica, facendo socchiudere gli occhi a entrambi.
«Davvero?»
«Già,» confermò lei, rivolgedo uno sguardo vagamente preoccupato ai suoi armeggi.
Superò poi la predella del piano bar a cui era seduto per posare i documenti sul mobiletto accanto al divano. Tony continuò a fissarla un po' inebetito, facendosi due conti e concludendo di aver dormito la bellezza di dodici o tredici ore filate. Quasi più della sua media settimanale complessiva, in effetti.
«Oh,» riuscì a formulare infine, in un opinabile sfoggio di eloquenza.
Posò il coltello sul bancone e si rassegnò a mangiare la mela con la buccia a scanso di ulteriori danni alla sua mano ancora funzionante. E per prendersi del tempo, così da elaborare qualcosa di più intelligente da dire oltre a versi inconsulti.
«Volevo svegliarla, poi ho pensato che sarebbe stato meglio lasciarla dormire,» chiarì lei dopo qualche secondo, e un'ombra trapelò sul suo volto a tradire pensieri più cupi, subito dissipata.
Tony realizzò in quel momento perché aveva trovato la porta della sua stanza socchiusa e non serrata come al solito. Si sentì curiosamente rassicurato dal fatto che si fosse premurata di controllarlo, anche se era comunque dispiaciuto per averla fatta preoccupare ancora.
«Ha pensato bene, ne avevo bisogno,» bofonchiò tra un morso e l'altro. «Adesso potrò fare concorrenza a Capitan Ghiacciolo per il "sonno più lungo del secolo",» commentò leggero, con un'alzata di spalle.
Finì di mangiare con calma, sorseggiando poi il suo caffè mentre Pepper approntava con gesti precisi la sua solita postazione di lavoro sul divano e si allontanava per recuperare altri incartamenti dall'ufficio. Tony iniziò a chiedersi il perché di tutto quel daffare, e non appena la vide ricomparire in salone si alzò per andarle incontro, senza nascondere la propria curiosità. Meditò per un istante se farle un complimento per come era vestita, ma decise infine di astenersi, temendo di risultare fuori luogo. Non poté però evitare che il suo sguardo si illuminasse nel guardarla e al ricordo dell'ultima volta che l'aveva vista in quel completo. A un paio di passi da lei cacciò una mano nella tasca della felpa e si puntellò sul bastone con improvviso nervosismo, decidendosi poi a mettersi semiseduto sullo schienale del divano. Cercò di non pensare a cosa fosse successo proprio lì la sera prima, ancora titubante nel definire il suo sfogo come qualcosa di piacevole o meno. Lei rimase diritta al suo posto, senza scostarsi; non sembrava tesa, solo indecisa.
«Uh, lei come ha dormito?» esordì lui tanto per dire, cercando di ritardare il momento in cui avrebbero dovuto probabilmente parlare, di nuovo.
«Poco, ma bene,» lo rassicurò lei, altrettanto impacciata.
«Non doveva alzarsi così presto, non c'era nulla di così urgente di cui occuparsi alle Industries,» continuò poi, accigliandosi un poco.
«In realtà qualcosa di urgente c'era...» Pepper si chinò rapida per afferrare una cartellina dalla pila che aveva appena portato. «Mi sono presa la libertà di stilare questo,» spiegò, porgendogliela con un gesto fluido.
Lui la prese con una lieve esitazione. Guardò brevemente lei da sotto le ciglia e prese nota del lieve nervosismo che emanava, stemperato però da una sorta di tenue aspettativa, come fosse impaziente di vedere la sua reazione. Aprì con malcelato interesse il fascicolo e gli bastò leggerne le prime righe per capire il motivo di quel comportamento. Sentì la propria bocca schiudersi involontariamente e riportò lo sguardo stupefatto su di lei, senza riuscire a emettere alcun suono. Tornò poi a scorrere rapidamente il documento, lungo una decina di pagine. Arrivato all'ultima si rese conto che la parlantina sagace che era sempre stato il suo marchio distintivo era ancora fuori servizio e l'aveva lasciato molto banalmente senza parole. Si riscosse solo quando una nota di preoccupazione si palesò sul volto di Pepper, come se temesse di averlo in qualche modo turbato.
«Lei ha... ha fatto tutto questo in una mattina?» riuscì ad articolare vincendo lo stupore, con lo sguardo fisso sul primo foglio mentre ne rileggeva più volte l'intestazione quasi a imprimersela a fuoco nella mente.
«Una lunga mattina,» puntualizzò lei, ora con un sorriso che lottava per nascere agli angoli delle labbra.
Lui scosse appena la testa, ancora incredulo e incapace di focalizzarsi su un'unica emozione tra quelle che si stavano rimescolando piacevolmente dentro di sé.
«È così facile? Spediamo questo ed è fatta?» la incalzò, sentendo infine le sue labbra che si inclinavano sempre più verso l'alto, e il principio di una risata che prendeva a solleticargli la gola, rendendo più sonora la sua voce.
«C'è un altro migliaio di autorizzazioni da redigere e far approvare, ma... sì, da questo parte tutto,» puntò un dito affusolato sul plico, senza nascondere la sua soddisfazione per l'effetto che aveva ottenuto, «Lo consideri un regalo di Natale un po' in ritardo.»
«Non so cosa dire,» confessò a mezza voce lui, senza nascondere la sua ammirazione.
«Farò finta che l'abbia detto, come sempre,» replicò lei, senza traccia di risentimento nella voce.
Tony a quel punto si riscosse e si agitò sul suo sedile improvvisato, scoccandole un'occhiata fugace.
«Oh. Giusto. Grazie,» proferì infine, dandosi dell'idiota e provando la forte tentazione di darle un altro bacio sulla guancia per rimediare alla gaffe.
Tentazione che fu pronto a soffocare e che si tramutò in un semplice sguardo colmo di calore. Si intimò di riportare la sua attenzione su ciò che stringeva tra le mani e non alla sera prima, rischiando di tornare a sentire la pelle liscia della sua guancia sulle proprie labbra, né ai sogni che ancora aleggiavano tra i propri pensieri in modo decisamente sconveniente e che non favorivano il suo autocontrollo già abbastanza labile.
Si impegnò a leggere di nuovo con scrupolosità la richiesta di autorizzazione per la Stark Expo 2010, per assicurarsi che non fosse anche quella un frutto della sua immaginazione. Non ricordava di aver mai letto alcun documento con tanto interesse e non riusciva a togliersi quel sorriso enorme dalla faccia. Stava praticamente scalpitando sul posto, sentendo l'impellente bisogno di muoversi, camminare, dimenarsi per scaricare quella trepidazione positiva che gli vibrava nel petto; se avesse potuto, si sarebbe messo a fare i salti di gioia.
«Si è informata sulla Expo del '74?» chiese d'un tratto, accennando al luogo prescelto, ovvero il parco di Flushing Meadows a New York.
«Diciamo che ho avuto accesso a informazioni di prima mano,» replicò lei facendo spallucce, e fece sporgere dalla tasca la chiave dello studio di suo padre.
Di nuovo, Tony rimase di sasso, a chiedersi per la milionesima volta cosa avesse fatto per meritarsi quella donna nella sua vita.
«È solo una bozza; possiamo sempre modificare la sede, se...» cominciò lei, impensierita dal suo silenzio.
«Va benissimo così,» la rassicurò lui, con fermezza. «New York è perfetta: non avrebbe avuto senso organizzarla altrove,» aggiunse, con una punta di malinconia.
I contorni di immagini sfocate stavano emergendo dai meandri della sua memoria: l'Unisfera scintillante di luminarie, gli alti zampilli delle fontane colorati da proiettori, la folla in fervente attività che passeggiava tra i viali alberati, i padiglioni di vetro che punteggiavano il parco, ognuno con le proprie meraviglie tecnologiche da mostrare ai suoi occhi di bambino, sua madre che lo accompagnava per mano attraverso il parco illuminato a festa...
Sapeva che Pepper aveva notato la sua espressione distante, ma la cosa non gli diede fastidio: non trovava più motivo per nasconderle quel che provava, non dopo la sera appena trascorsa. Anzi, si arrischiò a scivolarle accanto, pur senza ricercare attivamente un contatto diretto. Voleva solo sentirla più vicina in quel momento sereno, cercare di trasmetterle tutto ciò che quel semplice foglio che stringeva tra le mani aveva suscitato in lui: quei ricordi lontani e spensierati, il desiderio di mettersi all'opera e realizzare ciò che per ora aveva forma solo nella sua testa, la consapevolezza di poter ancora fare qualcosa di buono e la gioia di poterlo fare assieme a lei. E anche, racchiusa in quell'involucro di sensazioni come una minuscola ma preziosa perla nel suo guscio, la speranza di poter riparare tutto quanto, incluso se stesso.
Pepper si accostò a sua volta a lui, ma riprese a parlare in modo leggermente più concitato e gesticolando appena, nel tentativo di riportare la loro attenzione sull'argomento attuale e non sul fatto che i loro corpi adesso si sfiorassero o che entrambi riuscissero a percepire il calore dell'altro.
«Ho visionato il suo progetto per la Expo con l'aiuto di JARVIS,» esordì con vivacità, riuscendo in parte nell'intento. «Se iniziamo a lavorare da adesso, col supporto delle Industries e delle società controllate dovremmo riuscire a completare i preparativi entro fine aprile,» disse, con certezza dettata da anni di esperienza lavorativa.
Tony si lasciò sfuggire un moto di sorpresa a quella notizia decisamente positiva.
«Pensa che il consiglio farà storie?» chiese poi, restio ad accettare tutto quell'ottimismo e con una linea di preoccupazione a solcargli la fronte.
«Ci può scommettere, ma abbiamo la maggioranza del pacchetto azionario, quindi non potrà far altro che sottostare alle nostre decisioni,» annunciò compiaciuta, scacciando però solo in parte quelle ombre dal suo volto.
«Lo faremo e basta, consiglio o meno,» asserì perentorio, stringendo saldamente i fogli. «Non ho intenzione di farmi ostacolare da loro dopo che hanno cercato di tagliarmi fuori e aver scondinzolato per Stane per chissà quanto tempo.»
Si costrinse a rilassare le mani, o avrebbe finito per piegare la cartellina.
«Sarebbe meglio agire diplomaticamente,» lo ammansì lei. «Con il loro consenso sarebbe tutto più facile. E rapido,» aggiunse in fretta, senza guardarlo.
«Ignorarlo sarebbe ancora più rapido. Potrei finanziare tutto di tasca mia senza star dietro a quegli sciacalli e...»
«... e finire sul lastrico,» completò lei, con un cipiglio di pura apprensione che andava accentuandosi.
«Per quanto mi riguarda, posso anche mandare le Industries in bancarotta. Che me ne faccio dell'azienda se...» si bloccò e tartagliò per un istante, «Se... M-ma così lascerei lei nei guai e vanificherei tutto il progetto del retaggio, quindi sarà meglio fare le cose per bene,» si corresse precipitosamente, piantando di nuovo l'occhio sul documento e non osando verificare la reazione di Pepper.
Non voleva parlare di quello, né spingere lo sguardo troppo in là nel futuro quando non era certo di quanto lontano potesse guardare. Ma i suoi pensieri ripiombavano sempre lì, in quel vortice continuo che li attirava inesorabilmente.
«Mi occupo io del consiglio,» disse Pepper, senza commentare. «Lasci fare a me: ho affrontato di peggio,» concluse, riservandogli un'occhiata eloquente stemperata dalla sua espressione bonaria.
Lui sollevò appena un angolo della bocca, ma tenne lo sguardo fisso sulla carta tra le sue dita, mentre rifletteva su quelle parole, di nuovo catturato nel gorgo dei suoi pensieri.
«Dovrei formalizzare in modo definitivo la sua posizione di amministratore delegato. Così non sarà costretta a rincorrermi qua e là per ogni firma,» commentò infine, sforzandosi di suonare indifferente alle implicazioni di quel proposito.
Pepper si mosse a disagio e si frenò visibilmente dal torcersi le mani, ma anche lei riuscì a mantenere un contegno impassibile e una voce ferma:
«Non è necessario farlo adesso. E credevo che dovessimo cercare una soluzione insieme,» gli ricordò con naturalezza, accostandosi quasi impercettibilmente a lui.
Bastò quello a trarlo in salvo, lontano dalla spirale che minacciava di risucchiarlo verso il fondo.
Espirò in silenzio, allentando la pressione al petto: non poteva cadere di nuovo.
«Ok, ci ho provato. Lo sa che sono un lavativo,» replicò, sforzandosi di suonare divertito. «Quindi? Da dove iniziamo?» aggiunse, sfoderando un sorriso furbetto e allusorio che le fece abbassare gli occhi chiari in un riflesso imbarazzato.
«Ho con me tutta la documentazione da visionare e le autorizzazioni preliminari da firmare, da allegare alla richiesta formale al Congresso – quella,» sciorinò poi senza scomporsi ulteriormente, accennando alla cartellina che Tony ancora teneva in mano.
Lui la chiuse e si inclinò poi all'indietro per adocchiare la pila instabile di documenti che troneggiava sul mobiletto, liberando un lieve fischio impressionato.
«Beh, allora sarà meglio metterci al lavoro,» decise con repentina allegria.
Si staccò dal divano e la precedette all'ampio tavolo di vetro mentre già iniziava ad aprire schermate a mezz'aria.
«Forza, non dovevamo collaborare?» la incitò poi con un gran sorriso, rischiando allo stesso tempo di farsi da solo lo sgambetto col bastone nella foga di sedersi.
La vide esitare per un singolo istante, prima di afferrare a colpo sicuro una manciata di documenti e seguirlo a ruota, contagiata dal suo entusiasmo.
«Penso che sia la prima volta in dieci anni che mi aiuta volontariamente con la burocrazia.»
«Mi piace questo modo di "cercare soluzioni",» replicò lui con un sorrisino impertinente quando gli arrivò accanto, per poi fissarla con più intensità.
Lei ricambiò in silenzio, con gli occhi che le brillavano di una luce serena; Tony si trovò ancora una volta a fissare le sue labbra e distolse lo sguardo.
«Insomma, credo sia un buon inizio per... come dire... oh, ha capito,» rinunciò infine, mentre il suo sorriso virava nell'imbarazzo.
«Ho capito,» confermò lei con dolcezza, sedendosi poi al suo fianco.


***


11 Gennaio, 21:30, Villa Stark

«È l'ultimo?» esalò Tony, visibilmente stremato e adocchiando l'ennesimo plico di documenti da visionare che Pepper stava inesorabilmente spingendo nella sua direzione.
«No,» lo deluse lei a sua volta spossata, mentre leggeva per la settima volta la stessa riga senza riuscire a evitare che le parole si fondessero tra loro.
Tony prese un grosso respiro e abbandonò teatralmente la testa all'indietro, per poi rimettersi al lavoro senza ulteriori lamentele.
Pepper si portò una mano alla fronte, a sorreggerla mentre si imponeva di concentrarsi almeno il tempo necessario per terminare quel foglio, prima di concedersi la prima pausa nell'arco di due ore e passa. Tony era altrettanto preso, cosa del tutto sbalorditiva, considerando la sua viscerale repulsione per il lavoro d'ufficio e la sua incapacità di stare seduto per venti minuti di fila al di fuori del suo laboratorio. Era evidente quanto fosse in fibrillazione per quella faccenda, e nonostante adesso iniziasse a ciondolare un po', accusando la stanchezza, aveva l'espressione più rilassata che gli avesse visto da un paio di mesi a quella parte. Non sapeva dire se il merito fosse da attribuire più alla prospettiva della Expo o alla loro chiacchierata della sera prima, ma era contenta di vederlo più sereno. Quel giorno si era sentita prima rassicurata nel vederlo dormire profondamente e a lungo come non faceva da tempo, e poi piacevolmente travolta dalla sua felicità così manifesta nel ricevere la notizia sulla Expo. Era valsa la pena alzarsi dopo appena tre ore di sonno anche solo per vederlo sorridere così spontaneamente. Quel fatto aveva rievocato una vivida traccia di quella gioia che l'aveva scossa nel vederlo scendere da un aereo dopo tre mesi di assenza. Era sempre più lieta di aver prestato ascolto alla sua insolita vena scaramantica quella mattina, quando aveva scelto proprio quel completo ormai legato unicamente a momenti positivi.
Anche ora si sentiva più leggera, nonostante un peso difficilmente ignorabile continuasse a tenerla inchiodata a terra, ricordandole che tutta quella tranquillità era solo un mare piatto che nascondeva correnti infide appena sotto la superficie. Si era imposta di non turbare quella calma, sentendosi allo stesso tempo pervadere da un senso d'inadeguatezza nel farlo: le ricordava l'atteggiamento ipocrita che avevano adottato subito dopo l'incidente, quando si erano ostinati a fingere che andasse tutto bene. Adesso però erano entrambi consapevoli di tutto ciò che stava accadendo.
Forse anche troppo, realizzò, quando si trovò di nuovo a fissare i lineamenti di Tony come se li vedesse per la prima volta. Non avrebbe mai dimenticato le lacrime che li avevano solcati la sera prima, né il modo in cui lei li aveva accarezzati mentre lo stringeva a sé, in un gesto che avrebbe dovuto compiere molto tempo prima e che lui, adesso ne era certa, aveva sempre inconsciamente aspettato. L'aveva capito nel momento in cui anche Tony l'aveva cercata istintivamente, aggrappandosi a lei e valicando quelle barriere fisiche che aveva costruito lui stesso. Poteva ancora percepire il suo petto scosso dai singhiozzi mentre la stringeva con forza a sé, o il suo respiro che le sfiorava il collo mentre si rifugiava esausto nel suo abbraccio, o la propria mano avvolta nella stretta salda ma gentile dei suoi palmi – uno ruvido e segnato dal lavoro, l'altro freddo, ma vivo e frutto di quel lavoro – o le sue labbra che le sfioravano la guancia, solleticandola appena col pizzetto. Dovette trattenersi per non portare le dita al volto a lambire quello stesso punto, come se ciò potesse rievocare la sensazione. Si trovò a pensare a tutto il resto che si frapponeva tra loro due quasi in un meccanismo di autodifesa, nonostante ciò le portò subito un velo liquido davanti agli occhi.
Riuscì a riscuotersi da quei pensieri al momento inutili e dolorosi, indirizzandoli verso ragionamenti più sensati che coinvolgessero più il cervello che il cuore, ma non riuscì a dirottarli più di tanto. Si era trovata a riflettere molto, sia quella notte che nel corso dell'intera giornata.
A conoscerlo bene, Tony non era mai stato un tipo davvero espansivo – se non in contesti sui quali non si era mai voluta soffermare più di quanto fosse lecito per un'assistente – e lo era più a parole che coi fatti, soprattutto per quanto la riguardava. Non ricordava una singola volta in dieci anni in cui si fosse azzardato ad assumere comportamenti sconvenienti con lei, al di là delle sue battutine licenziose che mantenevano comunque un certo livello di decoro. Non aveva mai fatto mistero di quanto la ritenesse attraente, ma l'aveva sempre trattata come fosse incorporea, se non per qualche sporadico gesto d'affetto spesso coperto da un velo d'ironia o giocosità. Aveva sempre interpretato quella distanza come semplice cavalleria, ma forse, visto ciò che le aveva rivelato ieri, era anche volta a nascondere quanto davvero tenesse a lei, soprattutto dopo l'Afghanistan.
Quella condotta si era però drasticamente acuita da quando era tornata, lo scorso giugno. Tony aveva pressoché azzerato qualunque contatto diretto, come seguendo una nuova regola non scritta e inviolabile. All'inizio non era riuscita a decifrare del tutto quella novità, che a pensarci bene non era tale: già dall'incidente e ancor più dopo le operazioni aveva notato un irrigidimento in quel suo modo di fare, come se non fosse più solo una questione di rispetto e professionalità nei suoi confronti. Avvertiva una sorta di timore nel venire in contatto con lei, ma anche una felicità palpabile quando era lei a colmare per prima le distanze – cosa che, doveva ammetterlo, non le era mai dispiaciuto fare.
Adesso riusciva a intravedere le radici di quel comportamento, un po' ripensando alle sue confessioni e agli eventi appena trascorsi, un po' affidandosi all'intuito che le permetteva ancora di leggerlo e capirlo più di quanto volesse lui stesso. Era andata a ricostruire un mosaico composto da tasselli dolorosi: dal rifiuto per un corpo che ormai non sentiva più come davvero suo, a performance sbattute sulla prima pagina di riviste di gossip per ridicolizzarlo; da quella sensazione di incompletezza latente che gli impediva di cercare e accettare ciò che avrebbe voluto con tutto se stesso, al senso di colpa per averle inavvertitamente fatto male ormai quasi un anno prima.
Quell'ultimo fatto era forse il più esplicativo per come si impegnava in modo quasi maniacale nel tenere le protesi il più lontano possibile da lei, rimanendo stupito o in tensione quando lei, dopo il primo momento di esitazione, non si era mai fatta alcun problema a trattarle come parti integranti e naturali di lui, nella speranza che scacciasse prima o poi quella sua idiosincrasia, seppur comprensibile.
Anche adesso, a poche ore dalle esternazioni che sembravano aver attenuato quella sua reticenza di fondo, si muoveva attorno a lei con un'accortezza e un impaccio evidenti, sebbene s'impegnasse molto meno a nascondere quanto realmente volesse starle vicino, e quanto ciò lo facesse stare bene. Le sembrava di vederlo costretto in un impacciato limbo autoimposto, nel quale rimaneva immobile nel timore di turbare equilibri già abbastanza fragili.
«Sono forse nei suoi pensieri?»
La voce di Tony la fece sobbalzare e si rese conto che lo aveva fissato in tralice fino a quel momento. Non sapeva da quanto lo stesse guardando, né da quanto se ne fosse accorto, ma a giudicare dalla sua posa studiata, col mento appoggiato alla mano e le sopracciglia alzate con fare sornione, stava trovando la cosa molto divertente. Pepper cercò di riprendere un contegno, per quanto le fosse possibile considerando lo scarso contributo dei suoi vasi sanguigni ipersensibili, che ovviamente avevano già indirizzato il loro intero contenuto alle guance, rendendole scarlatte. Ignorò anche i sottintesi di quella domanda che, alla faccia dell'impaccio e degli equilibri, era accompagnata da un sorrisetto obliquo e indiscutibilmente malizioso. A parole era sempre il solito, incorreggibile, spudorato Tony Stark. Ma lo adorava anche per quello. Ecco, questo non avrebbe dovuto pensarlo.
«Sono un po' stanca; mi ero incantata,» replicò con tranquillità fittizia, suscitando un guizzo furbo nell'iride di Tony.
«Non è una novità, con me le succede spesso,» commentò con immodestia, nel palese tentativo di trattenere una risatina compiaciuta.
Pepper lo fulminò con lo sguardo, ma non si prese la briga di negare il fatto; d'altra parte, i suoi zigomi adesso color porpora avrebbero reso ridicola ogni giustificazione. Invece, prese una risma di documenti dalla propria pila per piazzarla con dispetto su quella di Tony, che in tutta risposta le rivolse una smorfia esageratamente offesa prima di riportare l'attenzione ai propri compiti. Era evidentemente troppo impaziente di porre fine a quella sequela interminabile di pratiche per avviare un battibecco.
Pepper si ritenne soddisfatta e si allungò sul tavolo per prendere la sua ultima fetta di pizza dal cartone posto in mezzo a loro – Tony, alla fine, l'aveva avuta vinta sul cenare insieme – decidendo di essersi meritata quella pausa. Notò in quel momento che lui aveva a malapena toccato la sua metà. Lo osservò di sottecchi, adesso accasciato sul tavolo a braccia conserte e con la guancia spalmata sulla mano meccanica, mentre compilava fiaccamente il modulo che gli aveva appena rifilato – che dubitava riuscisse davvero a leggere da quella posizione.
«Non ha fame?» gli chiese, con leggera titubanza.
Tony sollevò appena la testa e scoccò una rapida occhiata al cartone; Pepper vide il suo volto tendersi.
«Non molta.»
Sforzò un sorrisetto poco convincente per poi tornare a compilare e firmare scartoffie con insolito zelo.
Pepper evitò di fargli presente che dal giorno prima a pranzo aveva mangiato appena una mela. Trangugiò senza gusto la pizza e riprese a lavorare, nonostante il suo sguardo fosse ora istintivamente calamitato dal colletto della felpa di Tony, sotto il quale faceva capolino qualche sottile venatura scura. Una, particolarmente pervicace, si era inerpicata fino a lambire il pomo d'Adamo, motivo per cui nell'ultima settimana l'aveva visto solo con indumenti a collo alto. Si chiese sconfortata come avesse potuto non trovarlo sospetto, ed evitò di darsi una risposta, consapevole che avrebbe solo riacceso la rabbia irrazionale nei confronti dell'uomo per la fiducia che aveva tradito così deliberatamente e così a lungo.
Si accorse di stringere la penna con forza eccessiva e che le sue ultime firme sembravano incise sulla carta con uno scalpello, così si affrettò a posarla con un gesto un po' troppo secco che richiamò l'attenzione di Tony.
Lanciò un'occhiata a lei, poi alla penna, infine tornò a scarabocchiare il suo nome sulle scartoffie, prima di fermarsi a sua volta. Poggiò il mento sulle mani, che andarono poi a coprire proprio il collo, intrecciando le dita sulla nuca con fare stanco.
«La clorofilla mi toglie l'appetito,» esordì senza preavviso, quasi distrattamente, con lo sguardo puntato sui fogli dinanzi a sé. «E il palladio mi fa venire la nausea. Non è una combinazione ottimale.» 
Tentò un mezzo sorriso, che si tramutò subito in una smorfia mesta.
Pepper non riuscì a voltarsi subito verso di lui, intenta ad assorbire la conferma di quello che in fondo aveva già intuito. Quando ci riuscì, le saltò subito agli occhi la sua magrezza, così evidente da farla quasi sprofondare. Era sempre stato di corporatura robusta, ma negli ultimi due anni aveva perso gradualmente peso; prima in Afghanistan, poi per la dieta più rigorosa che aveva dovuto osservare a causa del suo cuore malmesso e per l'attività di Iron Man. Aveva ovviamente notato come il processo si fosse accentuato dopo l'incidente, ma l'aveva ritenuto normale, considerate le circostanze. Poi grazie a Nataša aveva recuperato almeno un po' di tono muscolare, e lei aveva finito con l'abituarsi al suo aspetto un po' più asciutto. Adesso prese nota con inquietudine delle sue guance smunte, con gli zigomi appena sporgenti, e di quanto fossero diventate visibili le sue clavicole. Era quasi sicura che, senza felpa, avrebbe potuto contargli senza problemi le costole.
«Dovrebbe almeno provare a mangiare qualcosa,» lo spronò cautamente.
Lo vide scuotere appena la testa e sembrò improvvisamente a disagio.
«No, non...» si schiarì la gola. «Uh, diciamo che di solito il cibo non rimane nello stomaco abbastanza a lungo da essere digerito,» concluse svelto, parafrasando con insolita delicatezza.
Pepper tacque, fissando prima la sua pizza intatta, se non per una singola fetta sbocconcellata a metà, poi la borraccia di clorofilla accanto a lui, la seconda che aveva vuotato nell'arco della serata.
«Come si sente?» chiese infine, sforzandosi di porre quella domanda che aveva evitato per tutta la giornata, ma che ormai sentiva inevitabile.
Tony picchiettò con la punta della penna sul tavolo, e Pepper capì che qualunque risposta avrebbe ricevuto sarebbe stata sincera, sì, ma anche estremamente edulcorata.
«Potrei stare peggio,» disse infatti, evasivo. «Certo, potrei anche stare meglio,» ammise poi, sfuggendo il suo sguardo. «Ma tutto sommato è stata una buona giornata.».
«Tony...»
«Non vuoi veramente saperlo,» la anticipò lui, con voce più bassa e quasi implorante. «È sopportabile...» s'interruppe, ma non continuò, fingendo poi di non aver mai voluto aggiungere altro.
«... per ora?» completò al posto suo Pepper, e lui abbassò lo sguardo in una muta conferma che le strizzò l'aria dai polmoni.
Vide Tony inspirare profondamente, chiudere l'occhio e chinare il capo sul tavolo, ancora nella stessa posizione quasi difensiva. Quando però si risollevò, fu per sfoggiare un sorrisetto spavaldo.
«Lo immagini come un raffreddore costante e particolarmente rompiscatole. Ma tornerò a funzionare meglio di prima, Pep. L'ho già fatto una volta,» le ricordò, sollevando il braccio prostetico a riprova delle sue parole. «E adesso ho più di un valido motivo per voler trovare una "soluzione",» aggiunse, volutamente ambiguo.
«Ci sta lavorando?» gli resse il gioco lei, continuando a rimanere sul vago.
«Questo dovrebbe dirmelo lei,» insinuò, inclinando appena la testa e scrutandola con impertinenza.
Pepper si limitò a rivolgergli un piccolo sorriso esitante.
«Da domani mi dedicherò al reattore,» annunciò poi, mentre tamburellava di riflesso le dita sulla superficie azzurrina. «Mi serviva un po' di... stacco,» disse poi, accennando alle scartoffie dinanzi a sé e scoccandole al contempo un'occhiata fugace.
«Abbiamo ancora molta burocrazia da sbrigare,» gli assicurò lei, guardandolo a sua volta di sottecchi.
«Crede che sei mesi basteranno per tutto?» chiese lui a bruciapelo, e Pepper capì che si stava trattenendo dal chiederlo già da ore.
Tentennò: aveva studiato in mattinata i programmi e le scalette preparate da Tony, già piuttosto completi a dir la verità, per poi ricercare qualche informazione in più nei registri nello studiolo di Howard. Si era fatta un'idea piuttosto chiara della portata dell'evento e dei tempi organizzativi, e per quello aveva sperato di non affrontare subito la questione. La verità è che non c'era abbastanza tempo per fare tutto: la sua previsione di concludere i preparativi entro fine aprile era ottimistica e implicava molte rinunce. Ma aveva esitato a dare quell'ennesimo dispiacere a Tony, considerando quanto era su di giri per l'evento.
«Non credo che la Expo potrà essere esattamente come se l'è immaginata,» disse infine, con il massimo tatto di cui fu capace.
Tony prese a mordicchiarsi il labbro inferiore, meditabondo, ma non sembrò particolarmente turbato da quella rivelazione; almeno, non lo diede a vedere.
«Lo avevo messo in conto. Mi aspettavo di aver pensato troppo in grande,» ammise infine, tirando un mezzo sorriso tetro. «Sfoltirò il programma e ridimensionerò il tutto. Facciamo quel che possiamo. Mi basta riuscire a inaugurarla di persona, quanto al resto...» vacillò appena. «Beh, sembra che dovrò lasciarle in eredità altro lavoro da svolgere al posto mio,» concluse con noncurante ironia, ma la sua voce suonò forzata.
«Non è detto che debba finire così,» gli fece notare Pepper, turbata dalla tranquillità con cui ne stava parlando.
«Lavorerò a pieno ritmo sul reattore, ma c'è la possibilità che fallisca.» Notò la sua espressione affranta. «Pep, non mi diverto a fare l'uccellaccio del malaugurio, ma dovremmo rimanere realisti.»
«Lo so. È per questo che sono andata oggi stesso ad avviare le pratiche,» confessò lei, con un filo di voce.
Tony chinò il capo, prendendo atto delle sue parole con aria corrucciata.
«A quanto pare, finisco sempre per voler realizzare cose impossibili,» commentò, con sarcasmo quasi rassegnato.
«Tony, non è impossibile. Ma abbiamo poco tempo e c'è troppo da fare per due persone, quindi dobbiamo muoverci in fretta. Domani richiederò le firme del consiglio, coinvolgerò formalmente i nostri associati e invierò la richiesta preliminare al Congresso. Entro fine mese potremo metterci davvero all'opera,» espose Pepper, nel tentativo di risollevarlo. «Kyle potrebbe darci una mano per la parte legale, non dovrebbe distoglierlo troppo dal processo,» aggiunse, illuminandosi un poco.
«Domani lo chiamo,» rispose lapidario Tony, sempre accigliato e probabilmente dimentico come sempre dei suoi problemi legali.
«E?»
«E non gli dirò nulla del resto,» la anticipò con fermezza, puntandosi l'indice sul reattore. «Ho anche il suo progetto da finire e non voglio che si preoccupi. Anche se dovrei prima concentrarmi su Iron Man... ma non posso sottrarre tempo al reattore con...» si interruppe bruscamente, sprofondando nei suoi pensieri e lasciando che le ombre cupe della sera prima riaffiorassero sul suo volto.
Pepper lo osservò, prendendo nota del suo improvviso smarrimento e della tensione delle sue spalle. Di nuovo, riconobbe la paura che faceva capolino sul suo volto pallido; un ospite sgradito che, nonostante i tentativi di chiuderlo fuori, riusciva sempre a intrufolarsi nella casa sicura che erano riusciti ad approntare. La sua pupilla era dilatata, immensa, una finestra spalancata su quei timori che lo consumavano e rischiavano di traboccare. Il suo respiro accelerò appena e lo vide serrare la palpebra.
Si alzò per accostarsi a lui e gli avvolse la testa in un abbraccio delicato, stringendolo a sé. Lui trasalì impercettibilmente, ma non si sottrasse e premette la guancia contro di lei, accettando quel gesto inatteso.
«Forse ho davvero troppo poco tempo,» mormorò contro le sue braccia in un lieve sospiro, senza muoversi per ricambiare la stretta, di nuovo immobile nel suo limbo.
«Forse dobbiamo solo organizzarlo meglio,» replicò lei, passandogli una mano tra i capelli e poi sulla schiena in una carezza rassicurante. «Che ne dici di stilare un piano di lavoro?» propose poi, impedendo alla propria voce di cedere al tremolio che minacciava di incrinarla.
Lo percepì annuire contro di sé e inspirare a fondo più volte, rilassandosi a poco a poco. Quando sollevò il viso per guardarla, le rivolse un sorriso sottile e grato che ricacciò la paura in fondo al suo sguardo, ridotta di nuovo a un riflesso appena distinguibile.
«Va bene,
» concordò con sollievo. «Ha sempre delle ottime idee, signorina Potts.»


***


23 Gennaio, Villa Stark

«Non ha ancora approvato la planimetria della Expo?» esordì Pepper, non appena mise piede a Villa Stark quella mattina, con un diavolo per capello dopo aver discusso per tre ore filate con un membro del consiglio d'amministrazione particolarmente tenace, snervante e scettico riguardo all'evento.
Tony la ignorò platealmente, continuando a giocherellare a mezz'aria con un modellino virtuale della nuova armatura, perso nel suo mondo di circuiti e tecnologia e del tutto dimentico delle colonne di documenti che lo attorniavano minacciose, e dell'enorme piantina di Flushing Meadows spiegata sul tavolino.
«Signor Stark.»
«Suvvia, mi lasci tregua almeno nel week-end!» rispose infine lui con uno sbuffo, accantonando di malavoglia la proiezione.
«Siamo nel bel mezzo della settimana.»
«Il week-end a casa mia finisce il mercoledì. Ormai dovrebbe saperlo, signorina Potts,» le rivolse un sorrisetto esasperante, prima di voltarsi del tutto verso di lei, «Piuttosto, com'è andata col matusa?»
«È ancora vivo,» replicò lapidaria e con malcelato dispiacere, sfoderando poi il documento da lui firmato con fare trionfante.
Tony le rivolse un sorriso ammirato e un cenno d'OK con la mano meccanica, dai quali non si lasciò minimamente intenerire:
«Lei, piuttosto: a che punto è?»
«In uhm... dirittura d'arrivo,» sviò lui, aprendo un ampio progetto olografico a mezz'aria come a schermarsi da lei.
Pepper notò l'occhiata colpevole che rivolse alla cartina, che da quanto vedeva era ancora largamente incompleta. Sospirò, s'impose la calma e si rammentò di non poterlo pressare più di tanto, visto che stava gestendo simultaneamente qualcosa come sei progetti in una condizione fisica che lo avrebbe dovuto indurre a riposarsi ed evitare lo stress. Così si piazzò accanto a lui, registri alla mano, e cominciò a stilare con rapidità il programma e l'assetto dell'evento, pungolando di tanto in tanto per delle delucidazioni la mente dietro il tutto, al momento concentrata altrove e intenta a scribacchiare sul suo bloc-notes.
«E quest'area?» gli chiese a un certo punto, accennando al primo dei padiglioni vacanti.
«Avevo giusto pensato di darla alla AccuTech,» rispose lui, alzando appena lo sguardo e dando chiaramente a intendere di averci pensato in quel preciso istante.
«Non è troppo, per una semplice società sussidiaria?»
«Potrebbero presentare l'Esoscheletro Haz-Tek,» bofonchiò lui, poco interessato.
Pepper gli rivolse uno sguardo interrogativo, al che lui si affrettò ad elaborare:
«Una specie di Mark versione pacifista. Magari il governo smetterà di giocare al Grande Fratello con me, se metto sul mercato una brutta copia dell'armatura,» spiegò, sempre senza sforzarsi di articolare chiaramente le parole.
Era ancora assorbito da tutt'altro rispetto all'argomento corrente, stavolta una serie di complessi calcoli che stava svolgendo su carta con rapidità quasi frenetica, controllando di tanto in tanto gli schermi che gli fluttuavano attorno.
«Magari potrebbe davvero rabbonirli e accelerare l'iter per la messa in regola delle protesi,» commentò lei, con ottimismo un po' gonfiato.
«Ne dubito,» la smontò lui senza rammarico. «La settimana scorsa Stern ha detto che le pratiche sarebbero terminate "tra due mesi", quindi mi aspetto che la faccenda non vada in porto prima di quattro. Nel frattempo dovrò ancora starmene chiuso qui dentro,» concluse seccato. «E non sono nella posizione adatta per tirare ancora la corda,» borbottò poi a voce più bassa.
«Che intende?» si interessò subito Pepper, guardinga.
Tony esitò brevemente prima di rispondere, cosa che la mise ancor più sulle spine.
«Non ho una vera e propria autorizzazione per trafficare con la nuova Mark,» rispose poi, con fermezza. «Stanno chiudendo un occhio solo perché Fury deve aver tirato qualche filo in mio favore, visto che sono di nuovo un consulente dello SHIELD. Ma tra una settimana mi ritroverò comunque seduto per l'ennesima volta al banco degli imputati a garantire che non rappresento un pericolo per la sicurezza nazionale e che mi dispiace tanto che quel bastardo di Stane sia morto.»
Inspirò di scatto dal naso e scansò da parte un ologramma con un gesto brusco.
«Non ne posso più di queste stronzate. Mi rallentano e basta,» sbottò frustrato, portandosi una mano alla fronte senza scollare lo sguardo dal foglio.
Pepper trattenne un sospiro: quelle ultime due settimane erano state frenetiche, ed entrambi avevano a malapena avuto il tempo di respirare, tantomento concentrarsi su qualcosa che non fosse la Expo. Tony poteva almeno variare gli impegni immergendosi nei suoi progetti, ma considerando la loro natura dubitava che riuscisse a rilassarsi lavorando. Di quel passo, sarebbero sicuramente riusciti a inaugurarla entro la scadenza massima che si erano posti – il 29 maggio, data scelta da Tony stesso e riguardo alla quale Pepper si era prudentemente astenuta dal commentare – ma sarebbero stati troppo esauriti per godersi i frutti dei loro sforzi. Avevano bisogno di supporto. Kyle e Coulson erano all'oscuro della situazione di Tony e non coglievano l'urgenza di quel progetto, visto solo come l'ennesima stranezza dell'eccentrico miliardario.
«Tony, forse se informasse il direttore Fury della sua...» iniziò esitante Pepper, sapendo cosa avrebbe potuto scatenare quel suggerimento e preparandosi a fronteggiare una reazione inaspettata.
«Lo farò,» replicò lui, sorprendendola in senso opposto. «Ma dopo la Expo,» concluse laconico.
Pepper rimase in silenzio, attonita, ma non osando chiedere di più. Fu Tony a girarsi appena verso di lei, con sguardo venato di tristezza:
«Il motivo personale è che non voglio il suo aiuto dopo che mi ha trattato come un rottame da scartare. Quello razionale è che mi sto dando tempo. Non voglio allarmarlo con l'intossicazione e precludermi un posto nel suo circo prima di essere certo di aver battuto ogni strada. E al momento credo di aver fatto almeno qualche progresso.» 
Picchiettò sul reattore e le rivolse un tenue sorriso che le alleggerì il cuore. Non parlava quasi mai di quello che aveva evasivamente ribattezzato "progetto collaterale", ovvero l'ideazione del nuovo reattore arc, ma vederlo così tranquillo la rassicurò enormemente.
«Ora, se lei vuole tornare a questo...» Tony si schiarì la voce e accennò alla mappa di Flushing Meadows spiegata sul tavolino, in una discreta richiesta a cambiare argomento, «... io torno a questo,» finì, riprendendo ad occuparsi dei suoi calcoli e schemi.
Pepper fu ben lieta di assecondarlo e riprese a scrutare il registro che aveva in mano, compilandolo man mano che osservava la piantina.
«Qui che cosa dovrebbe esserci?» indicò un padiglione ridotto a uno scarabocchio nero per tutte le volte che Tony vi aveva scritto, cancellato e riscritto sopra.
L'uomo sembrava troppo immerso nel suo turbine di calcoli per darle pieno ascolto.
«Uh, devo decidere,» svicolò la domanda. «Come vede, non ho le idee molto chiare in proposito,» accennò al groviglio d'inchiostro impresso sull'edificio.
«Tony, avremmo dovuto presentare il programma completo già una settimana fa, non possiamo ritardare ancora la...»
«È una sorpresa,» proruppe lui, senza alzare lo sguardo dalle sue formule.
«Una... sorpresa?» ripeté lei, titubante e poco incline a mostrarsi entusiasta per l'ennesima cosa che l'avrebbe colta impreparata.
Tony dovette captare la sua apprensione, perché si distolse di nuovo dai suoi traffici.
«Una bella sorpresa.» puntualizzò «Non deve preoccuparsi, anzi, sono sicuro che le piacerà. Mi dia solo un po' di tempo per perfezionarla...» concluse con un guizzo di sorriso rassicurante, prima di tornare chino sui fogli.
Pepper si rilassò un poco, convinta dallo sguardo limpido di Tony, più che dalle sue parole. La sua apprensione fu sostituita da una sana, semplice curiosità che rese più vivace la successiva mezz'ora di lavoro, impiegata nel digitalizzare la disposizione della Expo con l'aiuto di JARVIS.
Tony continuò a rimaneggiare il suo progetto con frustrazione crescente, a giudicare dalle sopracciglia strettamente corrugate, dalla frequenza cui si passava una mano tra i capelli come a rimescolare le idee e dalla bocca inclinata in una piega sempre più insoddisfatta. Pepper non intervenne: erano giorni che lavorava nervosamente, come se non riuscisse a venire a capo di qualcosa. Aveva ripreso a passare tempo in laboratorio anche quando lei era lì, cosa che le aveva rammentato quanto la mettesse a disagio quella stanza, nella quale non era ancora mai entrata da quel giorno di quasi un anno prima.
Tony emise improvvisamente un sospiro sconfortato.
«E anche le permutazioni del litio sono da scartare,» annunciò con fare forzatamente pimpante, sbarrando al contempo ciò che stava scrivendo con un gesto secco della penna. 
Lasciò ricadere il blocco sul tavolo in un gesto brusco. Pepper si accigliò, indecisa su come commentare, ma prese nota del suo pallore improvviso mentre strappava la pagina dal blocco e la accartocciava.
«Ero sicuro che potessero...» cominciò a farfugliare distratto, gettando il foglio a terra con stizza.
Si interruppe e si sfregò con fare nervoso i corti capelli sulla tempia.
«Come non detto. Fa niente.» 
Tornò a guardarla con un mezzo sorriso un po' incrinato, ma Pepper vedeva con chiarezza lo sforzo che stava facendo per controllare il respiro, che adesso udiva distintamente costretto. Tony colse la sua espressione allarmata e si schiarì la voce, facendo per riprendere a parlare, ma si bloccò quando la donna si portò dietro di lui e gli poggiò le mani sulle spalle. Lui cercò subito la sua mano, che Pepper trovò ghiacciata quasi quanto quella meccanica e scossa da un lieve tremito. Cercò di controllarlo intrecciando le dita alle sue, in uno di quei gesti istintivi a cui si abbandonava quando il panico iniziava a farsi strada in lui.
«Pep?» esalò, in un respiro sforzato.
«Sono qui,» lo rassicurò come sempre, stringendogli più forte la mano e percependo con l'altra i battiti concitati del suo cuore. «Stai bene?» chiese poi, fallendo nel non far trapelare la sua apprensione.
«Più o meno,» deglutì lui, annuendo rapido. «Per ora è sotto controllo,» aggiunse più stridulo, aumentando la stretta nel tentativo di non lasciarsi sopraffare.
Pepper credeva di percepire chiaramente le ondate di panico che si stava sforzando di reprimere, con molto più successo delle ultime volte, quando si era invece trovato aggrappato a lei nel tentativo di respirare. Avevano entrambi sperato che quello di qualche settimana prima fosse un episodio isolato; si era invece ripetuto più volte, facendo vivere Tony in uno stato di tensione costante. Dopo un attacco particolarmente violento, Pepper gli aveva suggerito di contattare Ian per farsi prescrivere degli ansiolitici e lui si era mostrato sorprendentemente poco ostile all'idea, nonostante avesse detto di voler aspettare ancora prima di parlare col medico. Ian aveva comunque già preso a contattarlo con più insistenza nell'ultimo mese, spingendo per una visita di controllo che Tony continuava a procrastinare adducendo impegni inesistenti.
«Stavamo parlando di... dei padiglioni, giusto?» esalò all'improvviso l'uomo, accennando alla piantina con la mano artificiale.
«Tony? Ora non dobbiamo per forza...»
«Se tengo il cervello occupato migliora,» chiarì concitato, rivolgendole un fugace sguardo spaurito e quasi implorante mentre ancora lottava col panico alle porte.
Pepper titubò un singolo istante prima di assecondarlo e riattaccare a parlare della Expo, pur mantenendo il contatto con lui. Tony si riagganciò stentatamente al discorso, un po' ascoltandola, un po' calmando il respiro, un po' gesticolando a scatti con la protesi mentre parlava. Si sentì infine abbastanza sicuro per lasciare la sua mano e impegnarla di nuovo con la penna. Pepper mantenne le proprie posate delicatamente sulle sue spalle, percependo la vibrazione della sua voce che le attraversava. Le abbandonò solo quando le sentì rilassarsi del tutto, soffermandosi a sfiorargli i capelli sulla nuca prima di scostarsi da lui e riprendere a lavorare come se nulla fosse accaduto. Intercettò il suo sguardo, che come sempre valeva più di mille parole ed esprimeva pura, sincera gratitudine mista a sollievo. Dopo una decina di minuti, raccolse il foglio accartocciato, lo spiegò con cura e riprese a lavorare parallelamente ai suoi progetti, recuperando la sua parlantina ironica nel discutere della Expo.
«Le Hammer Industries? Dobbiamo seriamente invitare quel pagliaccio?» prese infatti a lamentarsi con la consueta vivacità, puntando il gomito prostetico sul tavolo e poggiando la guancia al pugno chiuso con fare scocciato.
«Sarebbe una mossa del tutto imparziale che...»
«Infatti Hammer è stato così imparziale al processo.»
«... potrebbe accattivarci le simpatie del governo,» terminò inflessibile lei, sfidandolo a controbattere.
«Ma certo, diamo uno stand anche a Knight, visto che ci siamo!» agitò la mano meccanica a mezz'aria in un moto d'esasperazione, abbandonando la penna e facendo per alzarsi in preda al nervoso.
Pepper lo inchiodò al suo posto con un unico, penetrante sguardo, anche se le stava segretamente venendo da sorridere nel veder riemergere l'indole ribelle e capricciosa di Tony, sebbene mettesse a dura prova i suoi nervi.
«Hammer è il nuovo beniamino del Dipartimento della Difesa,» gli ricordò serafica, rimediandosi solo un'occhiata sbieca da parte sua. «Stern è un Senatore del Congresso particolarmente legato a quel settore. E deve ancora approvare la sua licenza per le protesi...» concluse, lasciando che fosse lui a trarre le relative conclusioni.
Per il momento, sembrava più incline a far ruotare incessantemente su se stesso un modellino dell'armatura con pigre spinte della mano sana. Infine mandò un teatrale sospiro, roteò gli occhi più di quanto fosse necessario, incrociò strettamente le braccia e incassò la testa tra le spalle, immusonendosi.
«Hammer concesso,» masticò tra i denti.
Poi si rallegrò di colpo, sollevando in alto l'indice come se gli fosse appena sovvenuta l'idea del secolo, mettendola immediatamente sul chi vive.
«In cambio voglio che l'inaugurazione si tenga qui, nello State Pavilion,» se ne approfittò subito, piantando il dito sulla struttura più centrale.
Detto ciò, si fiondò con improvvisa energia nei suoi "progetti collaterali", senza aspettare replica e considerando evidentemente chiusa la questione. Pepper squadrò con occhio clinico la scelta di Tony, che nel frattempo si stava impegnando ad evitare qualsiasi contatto visivo tenendo la testa china sui suoi fogli e ologrammi.
«Non sarebbe meglio il Palazzo dei Congressi, in caso piovesse?» lo dirottò con nonchalance verso un secondo edificio, leggermente discosto dall'Unisfera.
«Lo State Pavilion ha un tetto.»
«Con un buco al centro, Tony.»
«Perfetto,» commentò tranquillamente lui, concentrato a scrivere con la sinistra.
Gli occhi di Pepper s'illuminarono di una luce sospettosa e saettarono nuovamente alla piantina di Flushing Meadows. Individuò il padiglione in esame e ticchettò brevemente un'unghia sulla carta, mentre il suo sospetto prendeva mano mano forma.
«Tony?»
«Pepper?»
«Non ha intenzione di fare quello che penso, vero?»
«Non saprei, ma probabilmente sì. Di solito ha un intuito formidabile.»
«Allora le consiglio vivamente di toglierselo dalla testa, perché è la cosa più stupida che potesse venirle in mente,» sentenziò, scoccandogli un'occhiata torva.
«Uh, ok. Terrò conto della sua opinione, quando lo farò lo stesso.»
L'uomo non alzò neanche la testa dal foglio, come se stessero discorrendo dell'argomento più banale del mondo.
«È completamente impazzito?»
«I sintomi dell'intossicazione includono sbalzi d'umore e depressione, ma non follia nel senso stretto del...»
«Tony, ti degni di guardarmi?» sbottò lei, alterata.
Lui sospirò ed eseguì rassegnato, lasciando con un gesto brusco la penna e abbandonando per l'ennesima volta ciò che stava scrivendo.
«Ti sto guardando,» le fece notare piattamente, invitandola a parlare.
«Hai intenzione di presentarti come Iron Man» affermò lei, senza sforzarsi di farla suonare come una domanda.
«La mia immagine pubblica è legata ad Iron Man, che sarà la mascotte della Expo. È inevitabile che compaia nelle sue vesti.»
«Indossare l'armatura nelle tue condizioni equivale...» si bloccò, frenandosi appena in tempo nel rendersi conto di ciò che stava per dire sovrappensiero.
«... a un suicidio?» completò lui, con assoluta calma e un'alzata di sopracciglia.
Pepper si morse le labbra, senza capire se fosse serio o ironico. In entrambi i casi non era certo rassicurante e si chiese quanto fosse effettivamente a suo agio in quel momento, considerando che aveva sfiorato un attacco di panico neanche mezz'ora prima. L'unico segno di tensione visibile era la mano sana serrata in un pugno. La rilassò di colpo con un profondo sospiro, come se il solo pensiero di affrontare quell'argomento lo sfinisse e stesse comunque cercando la forza per farlo.
«Pepper...» cominciò a bassa voce, in quello che sarebbe probabilmente stato un tentativo di persuaderla che quell'idea folle fosse del tutto sensata.
«No. Non provarci nemmeno,» lo troncò di netto, senza però riuscire a imporre la ferrea decisione che avrebbe voluto alla sua voce.
L'unica cosa a cui riusciva a pensare era l'immagine di Tony nell'armatura mentre questa gli risucchiava ogni energia, il reticolo sul suo petto che si allargava e tutto ciò che poteva andare storto – un guasto, un malore, un errore, Tony che precipitava, Tony che soffriva, Tony che moriva davanti a lei, di nuovo.
«Pepper,» riprese lui, come se non l'avesse mai interrotto, ma esitò, portandosi la mano al volto a coprire brevemente l'occhio, per poi continuare monocorde, senza guardarla: «Non ti chiedo di fidarti di me perché sarebbe ipocrita, ma cerca almeno di non considerarmi un idiota completo,» non si sforzò neanche di risultare convincente.
Sembrava semplicemente esausto, sfibrato dall'ennesima discussione senza uscita che si trovavano ad affrontare.
«Sei solo incosciente e sconsiderato, oltre che egoista, ma questa non è una novità,» le uscì detto, prima di potersi trattenere.
«In questo caso credo di potermi permettere di essere egoista,» replicò seccamente lui, e rialzò di scatto lo sguardo ora velato da una traccia di risentimento.
Pepper incassò in silenzio la replica. Non aveva davvero avuto intenzione di lasciarsi sfuggire quelle esatte parole, nonostante le ritenesse vere. Se per un momento si sentì in colpa, il ricordo di tutte le risposte caustiche e prive di tatto che aveva ricevuto dall'uomo davanti a lei bastò a mettere a tacere la sua coscienza. Non poteva farle quello, non dopo tutto ciò di cui avevano parlato; non quando la possibilità di perderlo era così vicina, reale e ancora inevitabile.
Ora Tony sembrava innervosito e prese a stringersi il polso meccanico con la mano sana, in quello che ormai Pepper riconosceva come un tentativo di mantenersi ancorato al qui e adesso e di non soccombere a tutto ciò che minacciava di sopraffarlo. Stavolta non si portò vicino a lui e si limitò a rimanere in piedi al suo fianco, con le braccia rigidamente incrociate a impedirsi qualsiasi gesto.
«Ho fatto i miei calcoli,» esordì Tony, con voce appena tremante, non seppe dire per frustrazione, paura o incertezza. «Per eccesso, l'intossicazione salirà circa al 65% dopo l'utilizzo dell'armatura. Per eccesso,» sottolineò, quando Pepper non riuscì a nascondere la sua contrarietà nell'udire una cifra così alta e minacciosa.
Si costrinse a non intervenire e lo lasciò continuare, nonostante si accigliasse sempre più e le sue labbra divenissero sempre più sottili ad ogni parola che pronunciava.
«Ho pianificato tutto e non volerò fin lì: userò il jet per farmi portare esattamente sopra la Expo e andrò in caduta libera fino all'ultimo secondo, senza dispendio di energia dai propulsori. Atterro, fuochi d'artificio, champagne per tutti, mi godo il mio momento di gloria e la tolgo. Fine. La userò per neanche cinque minuti totali, Pep.»
L'unica reazione che si concesse lei fu di serrare ulteriormente le braccia, mentre cercava di analizzare quell'idea da ogni angolazione possibile in cerca di una falla, di una svista di così eclatante e insormontabile da convincere Tony a rinunciare – nonostante la natura stessa di quella proposta fosse di per sé irrazionale. Ma il suo sguardo era determinato come sempre, ed era sicura che avesse perso più di qualche ora di sonno per architettare quella follia, sicuramente conscio dell'opposizione che avrebbe incontrato da parte sua. Almeno aveva avuto la decenza di non nasconderle nulla, e per quello non poté che sentirsi sollevata.
«Avrò anche un asso nella manica,» continuò Tony spronato dal suo silenzio, con l'ombra di un sorriso teso. «Ma devo parlare con Ian prima di esprimermi in merito. Riguarda quei "progressi" di cui parlavo,» spiegò conciso, sfregandosi il pizzetto.
«Non hai comunque il permesso di usare le protesi fuori casa,» gli fece notare, sperando contro ogni aspettativa che magari a quelle non avesse pensato. «E tecnicamente l'armatura è ancora un'arma.»
«Potrei aver convinto un certo Senatore a bendarsi gli occhi e girarsi dall'altra parte in cambio di qualche esclusiva sull'Haz-Tek. E visto che inviteremo anche le Hammer Industries su tua insistenza...» alzò i palmi con un sorriso sbieco, a significare che ormai ciò che era fatto era fatto.
Pepper scosse la testa, maledicandosi per la proposta, ma non indietreggiò d'un passo.
«Le protesi e l'armatura non sono compatibili. L'hai detto tu stesso,» le sovvenne, sforzandosi senza troppo successo di non suonare trionfante.
Tony fece una lieve smorfia insoddisfatta, ma non si scompose ulteriormente.
«Non sarò certo aggraziato come una farfalla, ma dai test non dovrebbero...»
«... hai fatto dei test?» boccheggiò lei, allibita.
Il suo cuore mancò un colpo al pensiero delle ore che aveva ripreso a trascorrere in laboratorio e di ciò che poteva aver fatto proprio sotto al suo naso, di nascosto, tacendole di nuovo il tutto.
«Pepper, puoi smettere di essere paranoica per dieci secondi?» sbottò a quel punto Tony. «Sarò pure malmesso fisicamente, ma ho ancora un quoziente intellettivo di duecento e passa: credi che non sappia calibrare un paio di test in modo da non uccidermi? E comunque, risalgono a mesi fa e mi servivano per tutt'altro,» spiegò con irritazione crescente, continuando ad artigliare il polso della protesi.
Lei rimase in silenzio, immersa in una nube di pensieri fosca e indefinita, se non per quell'unica certezza che continuava a strizzarle il petto sempre più ad ogni battito, e che espresse infine ad alta voce:
«Tony, è troppo rischioso.»
«Non più rischioso di starsene a casa ad aspettare che l'intossicazione faccia comunque il suo corso,» mormorò cupamente lui di rimando.
Pepper trasalì.
«Hai detto che stavi...»
«Sto facendo progressi,» la anticipò, con fermezza. «Vorrei solo...» mosse la mano a mezz'aria in un moto frustrato, come se volesse afferrare qualcosa fuori dalla sua portata, «... concedermi delle distrazioni,» concluse con voce più grave, cercando infine i suoi occhi.
Pepper vacillò, come sempre quando incontrava quell'iride calda e profonda in cui avrebbe potuto immergersi, ormai segnata da troppo dolore. Non sapeva se interpretare qualche sottinteso riferito a loro in quella frase, solcata da una nota di rimpianto per tutto ciò a cui aveva dovuto rinunciare in quell'ultimo anno. Una parte di lei in realtà capì ciò che intendeva dire, ma fu subito soffocata dalla paura, dalle immagini che le erano sfrecciate in testa poco prima, e si obbligò a rompere il contatto visivo con lui, sapendo che altrimenti non sarebbe stata in grado di mantenere la sua posizione.
«Così finirà per uccidersi,» asserì, scacciando ogni residuo di incertezza e riprendendo un tono formale, come se ciò potesse conferire più autorità alle sue parole. «E le ho già detto una volta che non voglio farne parte.» 
La sua voce rimase ferma, ma i suoi pensieri sfrecciarono al giorno dell'incidente e a quando l'aveva trovato in laboratorio, facendole tremare le ginocchia nella consapevolezza che ne aveva già fatto parte. A quel punto, contrariamente ad ogni sua aspettativa, Tony sorrise.
«Questo mi rassicura,» disse soltanto, in modo criptico.
Pepper non replicò subito, confusa e dubitando di essersi espressa chiaramente. Lo vide rilassarsi e poggiare i gomiti sul tavolo, continuando a sorridere sotto i baffi:
«Quando me l'ha detto la prima volta, voleva licenziarsi,» le rammentò tranquillo, richiamando un momento che sembrava avvenuto secoli prima. «E sono riuscito a convincerla sia a rimanere, sia a cambiare idea riguardo a Iron Man. Sono sicuro di poterci riuscire anche adesso,» concluse, con un occhiolino impertinente.
«Non sarà così semplice,» lo rimbeccò lei, lasciando però andare un sospiro di sollievo quando vide che Tony aveva appena rimaneggiato l'ologramma della Expo, spostando l'inaugurazione nel luogo che gli aveva proposto lei inizialmente.
«Ho tutto il tempo che mi serve per convincerla.»
«Non credo che la mia approvazione farebbe molta differenza,» osservò lei, senza nascondere il disappunto.
«Se non riuscirò ad averla, pazienza.»
«Ovvio, lo farà lo stesso,» dedusse lei, con un secco sospiro.
«Rinuncerò,» la contraddisse, facendosi serio. «Niente Iron Man senza il suo consenso. Promesso,» ribadì, cercando di nuovo i suoi occhi adesso basiti e sostenendoli senza esitazioni.
«Non è molto bravo a mantenere le promesse,» gli fece notare debolmente, ancor più dubbiosa.
«Mi impegnerò. Soprattutto a convincerla, ma anche a mantenere la promessa,» concluse con un fugace sogghigno.
Nessuna ombra calò sul suo sguardo limpido e Pepper, contro ogni buonsenso, volle credere a quelle parole.


***


2 Febbraio, 20:30, Villa Stark

«E lei è sicuro che questa roba...»
«Dilitio.»
«Qualunque cosa sia...»
«Doc, non mi faccia dubitare della sua preparazione in chimica.»
«Insomma, è sicuro che quell'intruglio funzionerà?»
Tony sospirò appena e roteò l'occhio con fare esausto anche se il medico non poteva vederlo, cercando al contempo di non farsi sfuggire il cellulare incastrato tra spalla e orecchio mentre scriveva al computer.
«Sono sicuro che contrasterà il palladio? Sì,» prese fiato prima di continuare. «Sono sicuro che non mi ridurrà in poltiglia? No. Per quello mi serve il suo parere di segaossa,» concluse, senza perdere un battito sulla tastiera.
Ci fu una breve pausa dall'altro capo, interrotta in sottofondo dal bip di qualche macchinario ospedaliero.
«Ho l'impressione che questo sia più il campo del Dottor Banner,» sparò infine Ian, senza nascondere il proprio nervosismo.
«Può darsi,» Tony quasi imprecò all'acutezza del medico, «ma come può immaginare, quella con la ciurma di Fury è una situazione delicata e qualsiasi mossa avventata potrebbe far affondare la nave. Nello specifico, la mia bagnarola. E so che lei saprà essere molto discreto,» lo blandì.
«Se me l'avesse detto prima...»
«L'avrebbe semplicemente saputo prima e saremmo nella stessa situazione,» tagliò corto lui con ovvietà, troncando sul nascere un'altra sfuriata di un'ora. «Quindi, può passare alla villa in settimana?»
«Sarò alla sua porta domattina,» replicò seccamente Ian.
«Mh, allora dovrò darmi da fare. Non mi sgridi per le occhiaie quando mi vedrà,» concluse a mo' di saluto, già pronto a riagganciare, ma la voce del medico risuonò ancora una volta:
«Non la sgriderò certo per quello,» il suo tono prese una piega decisamente minacciosa. «Nel frattempo, non...»
«Non faccio stronzate. Ricevuto,» concluse lui, chiudendo la chiamata con un sospiro stremato e un sorrisetto decisamente disubbidiente a solcargli le labbra.
Tornò alle sue schermate sparse senza apparente ordine logico attorno a lui, lanciò un'occhiata all'ora e concluse che poteva concedersi mezz'ora di progetti "ricreativi" prima di tornare a concentrarsi sul dilitio. Si sarebbe forse meritato una pausa, dopo otto ore di lavoro ininterrotte, ma sapeva che, anche non essendo fisicamente in laboratorio, la sua mente avrebbe continuato ad arrovellarsi su schemi, calcoli e formule. Tanto valeva sfruttare quell'energia latente.
Riprese a ticchettare sulla tastiera olografica dinanzi a lui, con un breve sospiro di stanchezza.
Era passato molto tempo dall'ultima volta che aveva lavorato davvero sotto pressione. Non quella innocua di un contratto sul punto di scadere o di una conferenza imminente che non aveva preparato, e neanche quella più incalzante di un processo alle porte con una protesi ancora da completare. Piuttosto, il tipo di malsana urgenza che può suscitare la canna di un mitra premuta sulla nuca o il lento avanzare di viticci plumbei e tossici sul proprio petto. Almeno, in quel secondo caso poteva lavorare con tutti i comfort a disposizione e non arrangiandosi in una grotta buia, umida e gelida. Quel fatto avrebbe dovuto consolarlo: il laboratorio era familiare, era casa, era il suo mondo che lo accoglieva anche quando tutti gli altri lo respingevano o lui li allontanava da sé.
E adesso non gli apparteneva più, perché tutto ciò che stava facendo era progettare e costruire cose che avrebbero continuato a vivere quando lui non ci sarebbe più stato. Un retaggio freddo, autosufficiente. Lavorava a pieno ritmo, circondato dal suo solito caos e dalla sua musica spaccatimpani, ma gli mancava quella scintilla di vitalità che lo spingeva a traversare la stanza da una parte all'altra sulla sedia girevole derapando come un bambino, che lo faceva battibeccare per minuti interi con Dum-E e U sorridendo sotto i baffi e che lo portava a ficcare la testa nel motore di una delle sue auto quando aveva bisogno di schiarirsi le idee, incurante di indossare un completo firmato o la tuta da lavoro. Adesso lavorava per lo più in silenzio, con una calma dettata dalle sue eterne difficoltà a controllare la protesi, e non riusciva a scacciare la sensazione che qualcuno o qualcosa sbirciasse regolarmente da sopra la sua spalla, come giudicando il suo operato in attesa di un errore che l'avrebbe rallentato.
Si sentiva derubato dell'unica costante positiva della sua intera vita, che fosse il suo sfogo quando da ragazzino litigava con suo padre, il suo personale parco giochi quando era dell'umore giusto, o il suo rifugio nei molti, troppi momenti di debolezza. Quel luogo l'aveva visto partire e tornare, cadere e rialzarsi, morire e rinascere. Sapeva che, qualunque cosa lo avrebbe salvato anche stavolta, sarebbe accaduta lì. Lo sentiva nelle ossa, nelle mani che, pur rallentate, armeggiavano a colpo sicuro tra i macchinari, nel battito del suo cuore che riverberava appena contro il cilindro metallico nel suo petto a ricordargli che non aveva alcuna intenzione di fermarsi.
Ma aveva così poco tempo... e aveva paura. Aveva pensato di non dover mai più convivere con quel costante crampo allo stomaco che pareva ramificarsi in tutto il suo corpo come una pianta infestante, congiunta a quella venefica sul suo petto, Gli occludeva la mente, restringeva a tunnel la sua visuale, sabotava i suoi sforzi fisici e mentali. Almeno nella grotta aveva avuto la consolazione di poter decidere come morire. Adesso poteva solo scegliere come impiegare il tempo che gli restava, sperando con tutto se stesso che non andasse sprecato.
Non sarebbe mai stato abbastanza, questo lo sapeva. La schiena di suo padre era sempre molti passi avanti a lui e gli occhi di Yinsen lo guardavano dall'alto velati di delusione. Avrebbe potuto fare molto di più, con la sua vita.
Inspirò profondamente, avvertendo la lieve occlusione al petto che cominciava a rubargli il respiro nel farsi più insistente e serrata. Doveva smetterla di immergersi in riflessioni così contorte che finivano sempre per concludersi con la consapevolezza della sua imminente dipartita, soprattutto quando era da solo. 
Piuttosto, doveva pensare ai progressi, a ciò che aveva concluso di positivo, anche se ogni volta sembrava un misero granello di polvere messo a confronto con una montagna di errori e problemi pronta a franare e sotterrarlo. Doveva pensare alla Mark IV quasi pronta, alle potenzialità del dilitio, ai tutori per Kyle, alle chiamate dello SHIELD per le consulenze, alle protesi che funzionavano, alla Expo, a Pepper, al fatto che avrebbe forse indossato di nuovo l'armatura e a quanto fosse così vicino a capire come curare il suo cuore. E doveva pensare a tutti i progetti che doveva portare a termine.
Il
progetto.
Un lieve sorriso stemperò le linee di tensione sul suo volto: non vedeva l'ora di rivelare quella sorpresa a Pepper.
Quel semplice pensiero bastò a risollevarlo e a farlo virare verso l'umore allegro e frizzante che aveva sempre accompagnato i suoi traffici in laboratorio. Si trovò a canticchiare distrattamente a bocca chiusa sulle note di Runnin' with the Devil, mentre si ripeteva mentalmente tutto ciò di positivo che si sforzava di trovare, nonostante quella maledizione che si allargava sul suo petto. Non sarebbe stata quella a fermarlo: ovunque guardasse trovava motivi per non arrendersi e non aveva intenzione di deludere di nuovo tutti, soprattutto quando aveva così tanto da perdere.
Aveva toccato più volte il fondo ed era sprofondato nel fango, ma adesso poteva dire di essere davvero nel suo punto più basso: nonostante tutti gli sforzi fatti per riguadagnare l'uscita era caduto di nuovo, schiantandosi nello stesso punto dal quale aveva cercato di scappare per tutta la sua vita.
Ma da qualche settimana si era reso conto di aver ingiustamente rinnegato quel fondo.
Non si era mai accorto che là sotto, assieme agli scarti, agli errori e ai frammenti imperfetti di sé, c'erano anche dei diamanti sepolti nel fango.




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Note Dell'Autrice:

Buonasera/Buongiorno! (dipende dai punti di vista, immagino...)

Ecco a voi un bel... niente. Ovvero, un capitolo di transizione.
Scusate, è che dovevo mettere qualche punto fermo riguardo all'organizzazione dell'Expo e a tutto il contorno psicologico/fisiologico e burocratico in questo particolare frangente della storia. Però un po' di fluff ce l'ho messo, su <3

Precisazioni varie ed eventuali: 1) la AccuTech è una società realmente esistente nell'universo Marvel e l'Haz-Tek è una sorta di esoscheletro ispirato all'armatura di Iron Man inteso per uso civile; 2) Il discorso sulle fisime di Tony riguardo al proprio corpo è fondamentale per tutto ciò che seguirà; 3) La frase finale è vagamente ispirata a Via del Campo di De André ("dai diamanti non nasce niente/dal letame nascono i fior"), con le dovute rielaborazioni.
Qualunque fatto lasciato "in sospeso" verrà chiarito nel prossimo capitolo :)

Ringrazio tantissimo Emyclarinet, T612 e _Atlas_ (che si becca pure una medaglia per aver inserito la duecentesima recensione <3) per aver commentato lo scorso capitolo. E un grazie anche a 50shadesofLOTS_Always, che continua a seguire da dietro le quinte, per aver citato Phoenix nella sua long Rescue Heart <3 

Mi rendo conto che il capitolo è meno "carico" rispetto agli ultimi standard, ma il prossimo dovrebbe uscire a breve e compenserà :)
A presto,

-Light-

P.S. Una precisazione che volevo fare da tempo: quando scrivo "(la) mano" o "(la) gamba" senza ulteriori specificazioni mi riferisco sempre agli arti sani di Tony; in caso contrario è sempre esplicitato che si tratta delle protesi. Idem per quando cammina: se lo fa senza bastone è sempre specificato. Ho ritenuto opportuno rendere chiaro questo fatto, in quanto avrà rilevanza crescente col passare dei capitoli.

EDIT: piccolo extra grafico qui sotto, fatto a tempo perso senza troppe pretese, perché ho bisogno di vedere un Tony felice <3 (e sì, ho sbagliato lato delle protesi perché ero distratta mentre disegnavo *sigh*)






 

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