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Showbiz
"When
the world is ours
But
the world is not your kind of thing
Full of shooting stars
Brighter
as they're vanishing"
[You're The Best Thing About Me – U2]
11 Gennaio, Villa Stark
Capì
che c'era qualcosa di strano nel momento stesso in cui si
svegliò.
Non era necessariamente un'impressione spiacevole, ma non
riuscì a
metterla del tutto a fuoco, avvolto com'era dagli ultimi strascichi
di sonno e sogni fumosi ma graditi che tentavano inutilmente di
riprendere vita nella sua testa. Si girò sul ventre,
stiracchiandosi
piacevolmente mentre lasciava che i suoi sensi intorpiditi si
riattivassero a poco a poco. Tornò ad affondare la faccia
nel
cuscino e schiuse appena l'occhio incontrando la penombra della sua
stanza, nella quale filtrava un tenue chiarore dalla porta accostata.
Ci mise ancora qualche
secondo per dare un nome a quella sensazione: solo allora
realizzò
con stupore che si sentiva riposato. Erano almeno
sei mesi che
non dormiva così bene. Si sentiva anche meglio del previsto,
considerando gli scossoni del giorno prima. Percepiva solo un po' di
costrizione al petto e il solito formicolio ai moncherini, ma erano
entrambi sopportabili e si sentiva in grado di escluderli dalla
propria mente per godersi quel ritrovato senso di rilassatezza.
Dovette vincere la sua
rediviva pigrizia prima di alzarsi, e anche così
passò una mezz'ora
buona a bearsi nel dormiveglia e nel gradevole tepore delle coperte,
riuscendo anche a riallacciarsi a qualche immagine della notte appena
trascorsa. Constatò con blanda lucidità che la
maggior parte di
quei frammenti onirici coinvolgeva Pepper, in un modo che era meglio
rimanesse ben sigillato nella sua testa. Non si sottrasse a quelle
fantasie ideate dal suo inconscio, e si ritrovò anzi a
volervi
indulgere come mai si era permesso di fare in precedenza. Si costrinse
a
riscuotersi del tutto solo quando il proprio corpo iniziò a
reagire
con un po' troppa veemenza a quelle immagini allettanti ma
inconcludenti e si alzò barcollando, ancora un po'
intontito. Passò
dal bagno per darsi una rinfrescata e uscì poi in salone,
continuando a stiracchiarsi con quieto buonumore.
Fu subito
investito
dal chiarore improvviso, che lo lasciò abbacinato per
qualche
istante: il cielo grigio e invernale riverberava di luce, illuminando
il salone vuoto. Doveva essere mattino inoltrato. Si guardò
intorno in
cerca di Pepper, ma non vedendola concluse che stesse ancora
dormendo, o a sbrigare qualche incombenza alle Industries, o magari a
casa propria per darsi una sistemata. Non si diede pensiero per la
sua assenza: dopo l'estenuante chiacchierata della notte appena
trascorsa era più che certo che sarebbe tornata. Si sentiva
così
leggero che non avrebbe permesso ad alcuna ulteriore preoccupazione
irrazionale di rovinare quel breve momento di quiete. Sapeva
che era una
tranquillità temporanea, ma perché turbarla prima
del tempo? Certo,
non poteva definirla una situazione spensierata ed era senz'ombra di
dubbio la più complicata e delicata in cui si fosse mai
invischiato,
ma aveva la consapevolezza di aver dipanato una parte della matassa
di preoccupazioni che si portava appresso dall'incidente –
forse
anche da prima.
Poteva anche dire di vedere finalmente i fatti con
chiarezza, come tante piccole componenti di un progetto più
grande
che andavano assemblate con estrema cura e pazienza. Palladio, Expo,
Iron
Man, Pepper, imbarazzi inevitabili e sensi di colpa reciproci ardui
da dissipare: si trattava solo di far funzionare il tutto nel modo
migliore. Forse non era abituato a lavorare con "diavolerie"
di quel tipo, ma era pur sempre un genio: ne sarebbe venuto a capo,
in un modo o nell'altro. E poi, aveva ancora al suo fianco la persona
più qualificata che avesse mai incontrato in vita sua
– anche se
al momento gli sovveniva almeno un altro centinaio di aggettivi molto
meno neutrali per descriverla.
Fu così con passo un
po' zoppicante ma vivace che si avviò a fare colazione,
approfittando della tregua concessagli dalla nausea.
La porta d'ingresso
scattò proprio mentre era intento a sbucciare una mela senza
mettere
a repentaglio le dita superstiti. Voltò la testa
verso
l'atrio, sentendo subito un sorriso che gli tirava le labbra. Pepper
entrò rapida, destreggiando un carico di documenti notevole;
non si
accorse subito di lui mentre gli voltava brevemente le spalle per
chiudere la porta e liberarsi del cappotto. Tony osservò
che,
nonostante sembrasse piuttosto di fretta, il suo volto e la sua
postura erano rilassati. Teneva i capelli raccolti nel solito chignon
ordinato e indossava quel tailleur color castagno con cui l'aveva
accolto al suo ritorno dall'Afghanistan, dettaglio che gli
rievocò
quella sensazione di calore che l'aveva avvolto appena sceso
dall'aereo.
«Buongiorno,» la
salutò allegro, e nonostante avesse usato un tono di voce
pacato la
vide comunque sobbalzare appena per la sorpresa.
Si bloccò nell'atrio,
stringendo al petto le sue cartelle.
«Oh, buongiorno,»
ricambiò con garbo e un cenno del capo.
«Finalmente
si è
svegliato,» aggiunse, dopo una breve esitazione mascherata da
un
fugace sorriso.
Tony captò una sorta di
imbarazzo in quelle parole, come se non sapesse scegliere il modo in
cui porsi nei suoi confronti dopo tutto quello che era successo. Era
chiaro come lo stesse invitando a mantenersi su un terreno sicuro e
conosciuto a entrambi.
Si adeguò quindi al suo registro con naturalezza,
rivolgendole un'occhiata
d'intesa.
«Finalmente? È lei ad
essere mattiniera,» la prese in giro bonario.
«Sono quasi le quattro
del pomeriggio,» gli rivelò lei in tono
decisamente divertito.
«Cosa?!»
Il coltello
gli sfuggì e la lama stridette spiacevolmente contro la mano
meccanica, facendo socchiudere gli occhi a entrambi.
«Davvero?»
«Già,» confermò lei,
rivolgedo uno sguardo vagamente preoccupato ai suoi armeggi.
Superò poi la predella
del piano bar a cui era seduto per posare i documenti sul
mobiletto accanto al divano. Tony continuò a fissarla un po'
inebetito, facendosi due conti e concludendo di aver dormito la
bellezza di dodici o tredici ore filate. Quasi più della sua
media
settimanale complessiva, in effetti.
«Oh,» riuscì a
formulare infine, in un opinabile sfoggio di eloquenza.
Posò il coltello sul
bancone e si rassegnò a mangiare la mela con la buccia a
scanso di
ulteriori danni alla sua mano ancora funzionante. E per prendersi del
tempo, così da elaborare qualcosa di più
intelligente da dire oltre
a versi inconsulti.
«Volevo svegliarla, poi
ho pensato che sarebbe stato meglio lasciarla dormire,»
chiarì lei dopo
qualche secondo, e un'ombra trapelò sul suo volto a tradire
pensieri
più cupi, subito dissipata.
Tony realizzò in quel
momento perché aveva trovato la porta della sua stanza
socchiusa e
non serrata come al solito. Si sentì curiosamente
rassicurato dal
fatto che si fosse premurata di controllarlo, anche se era comunque
dispiaciuto per averla fatta preoccupare ancora.
«Ha pensato bene, ne
avevo bisogno,» bofonchiò tra un morso e l'altro.
«Adesso potrò
fare concorrenza a Capitan Ghiacciolo per il "sonno più
lungo
del secolo",» commentò leggero, con un'alzata di
spalle.
Finì di mangiare con
calma, sorseggiando poi il suo caffè mentre Pepper
approntava con
gesti precisi la sua solita postazione di lavoro sul divano e si
allontanava per recuperare altri incartamenti
dall'ufficio. Tony
iniziò a chiedersi il perché di tutto quel
daffare, e non appena la
vide ricomparire in salone si alzò per andarle incontro,
senza
nascondere la propria curiosità. Meditò per un
istante se farle un
complimento per come era vestita, ma decise infine di astenersi,
temendo di risultare fuori luogo. Non poté però
evitare che il suo
sguardo si illuminasse nel guardarla e al ricordo dell'ultima volta
che l'aveva vista in quel completo. A un paio di passi da lei
cacciò
una mano nella tasca della felpa e si puntellò sul bastone
con
improvviso nervosismo, decidendosi poi a mettersi semiseduto sullo
schienale del divano. Cercò di non pensare a cosa fosse
successo
proprio lì la sera prima, ancora titubante nel definire il
suo sfogo
come qualcosa di piacevole o meno. Lei rimase diritta al suo posto,
senza scostarsi; non sembrava tesa, solo indecisa.
«Uh, lei come ha
dormito?» esordì lui tanto per dire, cercando di
ritardare il
momento in cui avrebbero dovuto probabilmente parlare,
di
nuovo.
«Poco, ma bene,» lo
rassicurò lei, altrettanto impacciata.
«Non doveva alzarsi
così presto, non c'era nulla di così urgente di
cui occuparsi alle
Industries,» continuò poi, accigliandosi un poco.
«In realtà qualcosa di
urgente c'era...» Pepper si chinò rapida per
afferrare una
cartellina dalla pila che aveva appena portato. «Mi sono
presa
la
libertà di stilare questo,» spiegò,
porgendogliela con un gesto
fluido.
Lui la prese con una
lieve esitazione. Guardò brevemente lei da
sotto le ciglia e prese nota del lieve nervosismo che emanava,
stemperato però da una sorta di tenue aspettativa, come
fosse
impaziente di vedere la sua reazione. Aprì con malcelato
interesse il fascicolo e gli
bastò leggerne le
prime righe per capire il motivo di quel comportamento.
Sentì la
propria bocca schiudersi involontariamente e riportò lo
sguardo
stupefatto su di lei, senza riuscire a emettere alcun suono.
Tornò
poi a scorrere rapidamente il documento, lungo una decina di pagine.
Arrivato all'ultima si rese conto che la parlantina sagace che era
sempre stato il suo marchio distintivo era ancora fuori servizio e
l'aveva lasciato molto banalmente senza parole. Si riscosse solo
quando una nota di preoccupazione si palesò sul volto di
Pepper,
come se temesse di averlo in qualche modo turbato.
«Lei ha... ha fatto
tutto questo in una mattina?» riuscì ad articolare
vincendo lo
stupore, con lo sguardo fisso sul primo foglio mentre ne rileggeva
più volte l'intestazione quasi a imprimersela a fuoco nella
mente.
«Una lunga
mattina,» puntualizzò lei, ora con un sorriso che
lottava per
nascere agli angoli delle labbra.
Lui scosse appena la
testa, ancora incredulo e incapace di focalizzarsi su un'unica
emozione tra quelle che si stavano rimescolando piacevolmente dentro
di sé.
«È così facile?
Spediamo questo ed è fatta?» la
incalzò, sentendo infine le sue
labbra che si inclinavano sempre più verso l'alto, e il
principio di
una risata che prendeva a solleticargli la gola, rendendo
più sonora
la sua voce.
«C'è un altro migliaio
di autorizzazioni da redigere e far approvare, ma... sì, da
questo
parte tutto,» puntò un dito affusolato sul plico,
senza nascondere
la sua soddisfazione per l'effetto che aveva ottenuto, «Lo
consideri
un regalo di Natale un po' in ritardo.»
«Non so cosa dire,»
confessò a mezza voce lui, senza nascondere la sua
ammirazione.
«Farò finta che
l'abbia detto, come sempre,» replicò lei, senza
traccia di
risentimento nella voce.
Tony a quel punto si
riscosse e si agitò sul suo sedile improvvisato, scoccandole
un'occhiata fugace.
«Oh. Giusto. Grazie,» proferì infine,
dandosi dell'idiota e provando la forte tentazione di
darle un altro bacio sulla guancia per rimediare alla gaffe.
Tentazione che fu pronto
a soffocare e che si tramutò in un semplice sguardo colmo di
calore.
Si intimò di riportare la sua attenzione su ciò
che stringeva tra
le mani e non alla sera prima, rischiando di tornare a sentire la
pelle liscia della sua guancia sulle proprie labbra, né ai
sogni che
ancora aleggiavano tra i propri pensieri in modo decisamente
sconveniente e che non favorivano il suo autocontrollo già
abbastanza labile.
Si impegnò a leggere di
nuovo con scrupolosità la richiesta di autorizzazione per la
Stark
Expo 2010, per assicurarsi che non fosse anche quella un
frutto della
sua immaginazione. Non ricordava di aver mai letto alcun documento
con tanto interesse e non riusciva a togliersi quel sorriso enorme
dalla faccia. Stava praticamente scalpitando sul posto, sentendo
l'impellente bisogno di muoversi, camminare, dimenarsi per scaricare
quella trepidazione positiva che gli vibrava nel petto; se avesse
potuto, si sarebbe messo a fare i salti di gioia.
«Si è informata sulla
Expo del '74?» chiese d'un tratto, accennando al luogo
prescelto,
ovvero il parco di Flushing Meadows a New York.
«Diciamo che ho avuto
accesso a informazioni di prima mano,» replicò lei
facendo
spallucce, e fece sporgere dalla tasca la chiave dello studio di suo
padre.
Di nuovo, Tony rimase di
sasso, a chiedersi per la milionesima volta cosa avesse fatto per
meritarsi quella donna nella sua vita.
«È solo una bozza;
possiamo sempre modificare la sede, se...»
cominciò lei,
impensierita dal suo silenzio.
«Va benissimo così,»
la rassicurò lui, con fermezza. «New York
è perfetta: non avrebbe
avuto senso organizzarla altrove,» aggiunse, con una punta di
malinconia.
I contorni di immagini
sfocate stavano emergendo dai meandri della sua memoria: l'Unisfera
scintillante di luminarie, gli alti zampilli delle fontane colorati
da proiettori, la folla in fervente attività che passeggiava
tra i
viali alberati, i padiglioni di vetro che punteggiavano il parco,
ognuno con le proprie meraviglie tecnologiche da mostrare ai suoi
occhi di bambino, sua madre che lo accompagnava per mano attraverso
il parco illuminato a festa...
Sapeva che Pepper aveva
notato la sua espressione distante, ma la cosa non gli diede
fastidio: non trovava più motivo per nasconderle quel che
provava,
non dopo la sera appena trascorsa. Anzi, si arrischiò a
scivolarle accanto, pur senza ricercare attivamente un contatto
diretto. Voleva solo sentirla più vicina in quel momento
sereno,
cercare di trasmetterle tutto ciò che quel semplice foglio
che
stringeva tra le mani aveva suscitato in lui: quei ricordi lontani e
spensierati, il desiderio di mettersi all'opera e realizzare
ciò che
per ora aveva forma solo nella sua testa, la consapevolezza di poter
ancora fare qualcosa di buono e la gioia di poterlo fare assieme a
lei. E anche, racchiusa in quell'involucro di sensazioni come una
minuscola ma preziosa perla nel suo guscio, la speranza di poter
riparare tutto quanto, incluso se stesso.
Pepper si accostò a sua
volta a lui, ma riprese a parlare in modo leggermente più
concitato
e gesticolando appena, nel tentativo di riportare la loro attenzione
sull'argomento attuale e non sul fatto che i loro corpi adesso si
sfiorassero o che entrambi riuscissero a percepire il calore
dell'altro.
«Ho visionato il suo
progetto per la Expo con l'aiuto di JARVIS,»
esordì con vivacità,
riuscendo in parte nell'intento. «Se iniziamo a lavorare da
adesso,
col supporto delle Industries e delle società controllate
dovremmo
riuscire a completare i preparativi entro fine aprile,»
disse, con
certezza dettata da anni di esperienza lavorativa.
Tony si lasciò sfuggire
un moto di sorpresa a quella notizia decisamente positiva.
«Pensa che il consiglio
farà storie?» chiese poi, restio ad accettare
tutto quell'ottimismo
e con una linea di preoccupazione a solcargli la fronte.
«Ci può scommettere,
ma abbiamo la maggioranza del pacchetto azionario, quindi non
potrà
far altro che sottostare alle nostre decisioni,»
annunciò
compiaciuta, scacciando però solo in parte quelle ombre dal
suo
volto.
«Lo faremo e basta, consiglio o meno,»
asserì perentorio, stringendo saldamente i fogli.
«Non ho intenzione
di farmi ostacolare da loro dopo che hanno cercato di tagliarmi fuori
e aver scondinzolato per Stane per chissà quanto
tempo.»
Si
costrinse a rilassare le mani, o avrebbe finito per piegare la
cartellina.
«Sarebbe meglio agire
diplomaticamente,» lo ammansì lei. «Con
il loro consenso sarebbe tutto
più facile. E rapido,» aggiunse in fretta, senza
guardarlo.
«Ignorarlo sarebbe
ancora più rapido. Potrei finanziare tutto di tasca mia
senza star
dietro a quegli sciacalli e...»
«... e finire sul
lastrico,» completò lei, con un cipiglio di pura
apprensione che
andava accentuandosi.
«Per quanto mi riguarda, posso anche mandare le
Industries in bancarotta. Che me ne faccio dell'azienda
se...» si
bloccò e tartagliò per un istante,
«Se... M-ma così lascerei lei
nei guai e vanificherei tutto il progetto del retaggio, quindi
sarà
meglio fare le cose per bene,» si corresse precipitosamente,
piantando di nuovo l'occhio sul documento e non osando verificare la
reazione di Pepper.
Non voleva parlare di
quello,
né spingere lo sguardo troppo in là nel futuro
quando non
era certo di quanto lontano potesse guardare. Ma i suoi pensieri
ripiombavano sempre lì, in quel vortice continuo che li
attirava
inesorabilmente.
«Mi occupo io del
consiglio,» disse Pepper, senza commentare. «Lasci
fare a me: ho
affrontato di peggio,» concluse, riservandogli un'occhiata
eloquente
stemperata dalla sua espressione bonaria.
Lui sollevò appena un
angolo della bocca, ma tenne lo sguardo fisso sulla carta tra le sue
dita, mentre rifletteva su quelle parole, di nuovo catturato nel gorgo
dei
suoi pensieri.
«Dovrei formalizzare in
modo definitivo la sua posizione di amministratore delegato.
Così
non sarà costretta a rincorrermi qua e là per
ogni firma,»
commentò infine, sforzandosi di suonare indifferente alle
implicazioni di quel proposito.
Pepper si mosse a
disagio e si frenò visibilmente dal torcersi le mani, ma
anche lei riuscì a mantenere un contegno impassibile e
una voce ferma:
«Non è necessario
farlo adesso. E credevo che dovessimo cercare una soluzione insieme,»
gli ricordò con naturalezza, accostandosi quasi
impercettibilmente a
lui.
Bastò quello a trarlo
in salvo, lontano dalla spirale che minacciava di risucchiarlo verso
il fondo. Espirò
in silenzio, allentando la pressione al petto: non poteva
cadere di nuovo.
«Ok, ci ho provato. Lo
sa che sono un lavativo,» replicò, sforzandosi di
suonare divertito. «Quindi? Da dove iniziamo?»
aggiunse, sfoderando un sorriso
furbetto e allusorio che le fece abbassare gli occhi chiari in un
riflesso imbarazzato.
«Ho con me tutta la
documentazione da visionare e le autorizzazioni preliminari da
firmare, da allegare alla richiesta formale al Congresso –
quella,»
sciorinò poi senza scomporsi ulteriormente, accennando alla
cartellina che Tony ancora teneva in mano.
Lui la chiuse e si
inclinò poi all'indietro per adocchiare la pila instabile di
documenti
che troneggiava sul mobiletto, liberando un lieve fischio
impressionato.
«Beh, allora sarà
meglio metterci al lavoro,» decise con repentina allegria.
Si staccò dal divano e
la precedette all'ampio tavolo di vetro mentre già iniziava
ad
aprire schermate a mezz'aria.
«Forza, non dovevamo
collaborare?» la incitò poi con
un gran sorriso, rischiando
allo stesso tempo di farsi da solo lo sgambetto col bastone nella
foga di sedersi.
La vide esitare per un singolo istante, prima di
afferrare a colpo sicuro una manciata di documenti e seguirlo a ruota,
contagiata
dal suo entusiasmo.
«Penso che sia la prima
volta in dieci anni che mi aiuta volontariamente con la
burocrazia.»
«Mi piace questo modo
di "cercare soluzioni",» replicò lui con un
sorrisino
impertinente quando gli arrivò accanto, per poi fissarla con
più
intensità.
Lei ricambiò in
silenzio, con gli occhi che le brillavano di una luce serena;
Tony si trovò ancora una volta a fissare le sue labbra e
distolse lo
sguardo.
«Insomma,
credo sia un buon inizio per... come dire... oh, ha capito,»
rinunciò infine, mentre il suo sorriso virava nell'imbarazzo.
«Ho
capito,» confermò lei con dolcezza, sedendosi poi
al suo fianco.
***
11 Gennaio, 21:30, Villa Stark
«È
l'ultimo?» esalò
Tony, visibilmente stremato e adocchiando l'ennesimo plico di
documenti da visionare che Pepper stava inesorabilmente spingendo
nella sua direzione.
«No,» lo deluse lei a
sua volta spossata, mentre leggeva per la settima volta la stessa
riga senza riuscire a evitare che le parole si fondessero tra loro.
Tony prese un grosso
respiro e abbandonò teatralmente la testa all'indietro, per
poi
rimettersi al lavoro senza ulteriori lamentele.
Pepper si portò una
mano alla fronte, a sorreggerla mentre si imponeva di concentrarsi
almeno il tempo necessario per terminare quel foglio, prima di
concedersi la prima pausa nell'arco di due ore e passa. Tony era
altrettanto preso, cosa del tutto sbalorditiva, considerando la sua
viscerale repulsione per il lavoro d'ufficio e la sua
incapacità di
stare seduto per venti minuti di fila al di fuori del suo
laboratorio. Era evidente quanto fosse in fibrillazione per quella
faccenda, e nonostante adesso iniziasse a ciondolare un po', accusando
la stanchezza, aveva l'espressione più rilassata che gli
avesse
visto da un paio di mesi a quella parte. Non sapeva dire se il merito
fosse da attribuire più alla prospettiva della Expo o alla
loro
chiacchierata della sera prima, ma era contenta di vederlo
più
sereno. Quel giorno si era sentita prima rassicurata nel vederlo
dormire profondamente e a lungo come non faceva da tempo, e poi
piacevolmente travolta dalla sua felicità così
manifesta nel
ricevere la notizia sulla Expo. Era valsa la pena alzarsi dopo appena
tre ore di sonno anche solo per vederlo sorridere così
spontaneamente. Quel fatto aveva rievocato una vivida traccia di quella
gioia che
l'aveva scossa nel vederlo scendere da un aereo dopo tre mesi di
assenza. Era sempre più lieta di aver prestato ascolto alla
sua
insolita vena scaramantica quella mattina, quando aveva scelto
proprio quel completo ormai legato unicamente a momenti positivi.
Anche ora si sentiva
più leggera, nonostante un peso difficilmente ignorabile
continuasse a tenerla
inchiodata a terra, ricordandole che tutta quella
tranquillità era
solo un mare piatto che nascondeva correnti infide appena sotto la
superficie. Si era imposta di non turbare quella calma, sentendosi
allo stesso tempo pervadere da un senso d'inadeguatezza nel farlo: le
ricordava l'atteggiamento ipocrita che avevano adottato subito dopo
l'incidente, quando si erano ostinati a fingere che andasse tutto
bene. Adesso però erano
entrambi consapevoli di tutto ciò che
stava accadendo.
Forse
anche troppo, realizzò, quando si trovò di nuovo
a fissare i
lineamenti di Tony come se li vedesse per la prima volta. Non avrebbe
mai dimenticato le lacrime che li avevano solcati la sera prima,
né
il modo in cui lei li aveva accarezzati mentre lo stringeva a
sé, in
un gesto che avrebbe dovuto compiere molto tempo prima e che lui,
adesso ne era certa, aveva sempre inconsciamente aspettato. L'aveva
capito nel momento in cui anche Tony l'aveva cercata istintivamente,
aggrappandosi a lei e valicando quelle barriere fisiche che aveva
costruito lui stesso. Poteva ancora percepire il suo petto scosso dai
singhiozzi mentre la stringeva con forza a sé, o il suo
respiro che
le sfiorava il collo mentre si rifugiava esausto nel suo abbraccio, o
la propria mano avvolta nella stretta salda ma gentile dei suoi palmi
– uno ruvido e segnato dal lavoro, l'altro freddo, ma vivo
e frutto di quel lavoro – o le sue labbra che le sfioravano
la
guancia, solleticandola appena col pizzetto.
Dovette trattenersi per
non portare le dita al volto a lambire quello stesso punto, come se
ciò potesse rievocare la sensazione. Si trovò a
pensare a tutto il
resto che si frapponeva tra loro due quasi in un meccanismo di
autodifesa, nonostante ciò le portò subito un
velo liquido davanti
agli occhi.
Riuscì a riscuotersi da quei pensieri al momento
inutili
e dolorosi, indirizzandoli verso ragionamenti più sensati
che
coinvolgessero più il cervello che il cuore, ma non
riuscì a
dirottarli più di tanto. Si
era trovata a riflettere molto, sia quella notte che nel corso
dell'intera giornata.
A conoscerlo
bene, Tony non era mai stato un tipo davvero espansivo – se
non in
contesti sui quali non si era mai voluta soffermare più di
quanto
fosse lecito per un'assistente – e lo era più a
parole che coi
fatti, soprattutto per quanto la riguardava. Non ricordava una
singola volta in dieci anni in cui si fosse azzardato ad assumere
comportamenti sconvenienti con lei, al di là delle sue
battutine
licenziose che mantenevano comunque un certo livello di decoro. Non
aveva
mai fatto mistero di quanto la ritenesse attraente, ma l'aveva sempre
trattata come fosse incorporea, se non per qualche sporadico gesto
d'affetto spesso coperto da un velo d'ironia o giocosità. Aveva
sempre interpretato quella distanza come semplice cavalleria, ma
forse, visto ciò che le aveva rivelato ieri, era anche volta
a
nascondere quanto davvero tenesse a lei, soprattutto dopo
l'Afghanistan.
Quella condotta si era
però drasticamente acuita da quando era tornata, lo scorso
giugno.
Tony aveva pressoché azzerato qualunque contatto diretto,
come
seguendo una nuova regola non scritta e inviolabile. All'inizio non
era riuscita a decifrare del tutto quella novità, che a
pensarci
bene non era tale: già dall'incidente e ancor più
dopo le operazioni aveva notato un irrigidimento
in quel suo modo di fare, come se non fosse più solo una
questione
di rispetto e professionalità nei suoi confronti. Avvertiva
una sorta di
timore nel venire in contatto con lei, ma anche una felicità
palpabile quando era lei a colmare per prima le distanze –
cosa che, doveva ammetterlo, non le era mai dispiaciuto fare.
Adesso
riusciva a intravedere le radici di quel comportamento, un po'
ripensando alle sue confessioni e agli eventi appena trascorsi, un
po' affidandosi all'intuito che le permetteva ancora di leggerlo e
capirlo più di quanto volesse lui stesso. Era andata a
ricostruire
un mosaico composto da tasselli dolorosi: dal rifiuto per un corpo
che ormai non sentiva più come davvero suo, a performance
sbattute
sulla prima pagina di riviste di gossip per ridicolizzarlo; da quella
sensazione di incompletezza latente che gli impediva di cercare e
accettare ciò che avrebbe voluto con tutto se stesso, al
senso di
colpa per averle inavvertitamente fatto male ormai quasi un anno
prima.
Quell'ultimo fatto era forse il più esplicativo per come si
impegnava in modo quasi maniacale nel tenere le protesi il
più
lontano possibile da lei, rimanendo stupito o in tensione quando lei,
dopo il primo momento di esitazione, non si era mai fatta alcun
problema a trattarle come parti
integranti e naturali di lui, nella speranza che scacciasse prima o
poi quella sua idiosincrasia, seppur comprensibile.
Anche adesso, a poche
ore dalle esternazioni che sembravano aver attenuato quella sua
reticenza di fondo, si muoveva attorno a lei con un'accortezza e un
impaccio evidenti, sebbene s'impegnasse molto meno a nascondere quanto
realmente volesse starle vicino, e quanto ciò lo facesse
stare bene.
Le sembrava di vederlo costretto in un impacciato limbo autoimposto,
nel quale rimaneva immobile nel timore di turbare equilibri
già
abbastanza fragili.
«Sono forse nei suoi
pensieri?»
La voce di Tony la fece
sobbalzare e si rese conto che lo aveva fissato in tralice fino a
quel momento. Non sapeva da quanto lo stesse guardando, né
da quanto
se ne fosse accorto, ma a giudicare dalla sua posa studiata, col
mento appoggiato alla mano e le sopracciglia alzate con fare
sornione, stava trovando la cosa molto divertente. Pepper
cercò di
riprendere un contegno, per quanto le fosse possibile considerando lo
scarso contributo dei suoi vasi sanguigni ipersensibili, che
ovviamente avevano già indirizzato il loro intero contenuto
alle
guance, rendendole scarlatte. Ignorò anche i sottintesi di
quella
domanda che, alla faccia dell'impaccio
e degli equilibri,
era
accompagnata da un sorrisetto obliquo e indiscutibilmente malizioso.
A parole era sempre il solito, incorreggibile, spudorato Tony
Stark. Ma lo adorava anche per quello. Ecco, questo
non
avrebbe dovuto pensarlo.
«Sono un po' stanca; mi
ero incantata,» replicò con
tranquillità fittizia, suscitando un
guizzo furbo nell'iride di Tony.
«Non è una novità,
con me le succede spesso,» commentò con
immodestia, nel palese
tentativo di trattenere una risatina compiaciuta.
Pepper lo fulminò con
lo sguardo, ma non si prese la briga di negare il fatto; d'altra
parte, i suoi zigomi adesso color porpora avrebbero reso ridicola
ogni giustificazione. Invece, prese una risma di documenti dalla
propria pila per piazzarla con dispetto su quella di Tony, che in tutta
risposta
le rivolse una smorfia esageratamente offesa prima di riportare
l'attenzione ai propri compiti. Era evidentemente troppo impaziente
di porre fine a quella sequela interminabile di pratiche per avviare
un battibecco.
Pepper si ritenne
soddisfatta e si allungò sul tavolo per prendere la sua
ultima fetta
di pizza dal cartone posto in mezzo a loro – Tony, alla fine,
l'aveva avuta vinta sul cenare insieme –
decidendo di essersi
meritata quella pausa. Notò in quel momento che lui aveva a
malapena toccato la sua metà. Lo osservò di
sottecchi, adesso
accasciato sul tavolo a braccia conserte e con la guancia spalmata
sulla mano meccanica, mentre compilava fiaccamente il modulo che gli
aveva appena rifilato – che dubitava riuscisse davvero a
leggere da
quella posizione.
«Non ha fame?» gli
chiese, con leggera titubanza.
Tony sollevò appena la
testa e scoccò una rapida occhiata al cartone; Pepper vide
il suo
volto tendersi.
«Non molta.»
Sforzò
un sorrisetto poco convincente per poi tornare a compilare e firmare
scartoffie con insolito zelo.
Pepper evitò di fargli
presente che dal giorno prima a pranzo aveva mangiato appena una
mela. Trangugiò senza gusto la pizza e riprese a lavorare,
nonostante il suo sguardo fosse ora istintivamente calamitato dal
colletto della felpa di Tony, sotto il quale faceva capolino qualche
sottile venatura scura. Una, particolarmente pervicace, si era
inerpicata fino a lambire il pomo d'Adamo, motivo per cui nell'ultima
settimana l'aveva visto solo con indumenti a collo alto. Si chiese
sconfortata come avesse potuto non trovarlo sospetto, ed
evitò di
darsi una risposta, consapevole che avrebbe solo riacceso la rabbia
irrazionale nei confronti dell'uomo per la fiducia che aveva tradito
così deliberatamente e così a lungo.
Si accorse di stringere
la penna con forza eccessiva e che le sue ultime firme sembravano
incise sulla carta con uno scalpello, così si
affrettò a posarla
con un gesto un po' troppo secco che richiamò l'attenzione
di Tony.
Lanciò un'occhiata a lei, poi alla penna, infine
tornò a
scarabocchiare il suo nome sulle scartoffie, prima di fermarsi a sua
volta. Poggiò il mento sulle mani, che andarono poi a
coprire
proprio il collo, intrecciando le dita sulla nuca con fare stanco.
«La clorofilla mi
toglie l'appetito,» esordì senza preavviso, quasi
distrattamente,
con lo sguardo puntato sui fogli dinanzi a sé. «E
il palladio mi fa
venire la nausea. Non è una combinazione
ottimale.»
Tentò un mezzo
sorriso, che si tramutò subito in una smorfia mesta.
Pepper non riuscì a
voltarsi subito verso di lui, intenta ad assorbire la conferma di
quello che in fondo aveva già intuito. Quando ci
riuscì, le
saltò
subito agli occhi la sua magrezza, così evidente da farla
quasi
sprofondare. Era sempre stato di corporatura robusta, ma negli ultimi
due anni aveva perso gradualmente peso; prima in Afghanistan, poi per
la dieta più rigorosa che aveva dovuto osservare a causa del
suo
cuore
malmesso e per l'attività di Iron Man. Aveva ovviamente
notato come
il processo si fosse accentuato dopo l'incidente, ma l'aveva ritenuto
normale, considerate le circostanze. Poi grazie a Nataša
aveva
recuperato almeno un po' di tono muscolare, e lei aveva finito con
l'abituarsi al suo aspetto un po' più asciutto. Adesso prese
nota
con inquietudine delle sue guance smunte, con gli zigomi appena
sporgenti, e di quanto fossero diventate visibili le sue clavicole.
Era quasi sicura che, senza felpa, avrebbe
potuto contargli senza problemi le costole.
«Dovrebbe almeno
provare a mangiare qualcosa,» lo spronò cautamente.
Lo vide scuotere appena
la testa e sembrò improvvisamente a disagio.
«No, non...» si
schiarì la gola. «Uh, diciamo che di solito il
cibo
non rimane nello
stomaco abbastanza a lungo da essere digerito,» concluse
svelto,
parafrasando con insolita delicatezza.
Pepper tacque, fissando
prima la sua pizza intatta, se non per una singola fetta
sbocconcellata a metà, poi la borraccia di clorofilla
accanto
a lui, la seconda che aveva vuotato nell'arco della serata.
«Come si sente?»
chiese infine, sforzandosi di porre quella domanda che aveva evitato
per tutta la giornata, ma che ormai sentiva inevitabile.
Tony picchiettò con la
punta della penna sul tavolo, e Pepper capì che qualunque
risposta
avrebbe ricevuto sarebbe stata sincera, sì, ma anche
estremamente
edulcorata.
«Potrei stare peggio,»
disse infatti, evasivo. «Certo, potrei anche stare
meglio,» ammise
poi, sfuggendo il suo sguardo. «Ma tutto sommato è
stata una buona
giornata.».
«Tony...»
«Non vuoi veramente
saperlo,» la anticipò lui, con voce più
bassa e quasi implorante.
«È sopportabile...» s'interruppe, ma non
continuò, fingendo poi
di non aver mai voluto aggiungere altro.
«... per ora?»
completò al posto suo Pepper, e lui abbassò lo
sguardo in una muta
conferma che le strizzò l'aria dai polmoni.
Vide Tony inspirare
profondamente, chiudere l'occhio e chinare il capo sul tavolo, ancora
nella stessa posizione quasi difensiva. Quando però si
risollevò, fu
per sfoggiare un sorrisetto spavaldo.
«Lo immagini come un
raffreddore costante e particolarmente rompiscatole. Ma
tornerò a
funzionare meglio di prima, Pep. L'ho già fatto una
volta,» le
ricordò, sollevando il braccio prostetico a riprova delle
sue parole. «E adesso ho più di un
valido motivo per voler trovare una "soluzione",»
aggiunse, volutamente ambiguo.
«Ci sta lavorando?»
gli resse il gioco lei, continuando a rimanere sul vago.
«Questo dovrebbe
dirmelo lei,» insinuò, inclinando appena la testa
e scrutandola con
impertinenza.
Pepper si limitò a
rivolgergli un piccolo sorriso esitante.
«Da domani mi dedicherò al reattore,»
annunciò poi, mentre tamburellava di riflesso le dita
sulla superficie azzurrina. «Mi serviva un po' di...
stacco,» disse
poi, accennando alle scartoffie dinanzi a sé e scoccandole
al contempo un'occhiata fugace.
«Abbiamo ancora molta
burocrazia da sbrigare,» gli assicurò lei,
guardandolo a sua volta
di sottecchi.
«Crede che sei mesi
basteranno per tutto?» chiese lui a bruciapelo, e Pepper
capì che
si stava trattenendo dal chiederlo già da ore.
Tentennò: aveva
studiato in mattinata i programmi e le scalette preparate da Tony,
già piuttosto completi a dir la verità, per poi
ricercare qualche
informazione in più nei registri nello studiolo di Howard.
Si era
fatta un'idea piuttosto chiara della portata dell'evento e dei tempi
organizzativi, e per quello aveva sperato di non affrontare subito la
questione. La verità è che non c'era abbastanza
tempo per fare
tutto: la sua previsione di concludere i preparativi entro fine aprile
era
ottimistica e implicava molte rinunce. Ma aveva esitato a dare
quell'ennesimo dispiacere a Tony, considerando quanto era su di giri
per l'evento.
«Non credo che la Expo
potrà essere esattamente come se l'è
immaginata,» disse infine,
con il massimo tatto di cui fu capace.
Tony prese a
mordicchiarsi il labbro inferiore, meditabondo, ma non
sembrò
particolarmente turbato da quella rivelazione; almeno, non lo diede a
vedere.
«Lo
avevo messo in conto. Mi aspettavo di aver pensato troppo in grande,»
ammise infine, tirando un mezzo sorriso tetro.
«Sfoltirò
il programma e ridimensionerò il tutto. Facciamo
quel
che possiamo. Mi basta riuscire a inaugurarla di persona, quanto al
resto...» vacillò appena. «Beh, sembra
che dovrò lasciarle in
eredità altro lavoro da svolgere al posto mio,»
concluse con
noncurante ironia, ma la sua voce suonò forzata.
«Non è detto che debba
finire così,» gli fece notare Pepper, turbata
dalla tranquillità
con cui ne stava parlando.
«Lavorerò a pieno
ritmo sul reattore, ma c'è la possibilità che
fallisca.» Notò la
sua espressione affranta. «Pep, non mi diverto a fare
l'uccellaccio
del malaugurio, ma dovremmo rimanere realisti.»
«Lo so. È per questo
che sono andata oggi stesso ad avviare le pratiche,»
confessò lei,
con un filo di voce.
Tony chinò il capo,
prendendo atto delle sue parole con aria corrucciata.
«A quanto pare, finisco
sempre per voler realizzare cose impossibili,»
commentò, con
sarcasmo quasi rassegnato.
«Tony, non è
impossibile. Ma abbiamo poco tempo e c'è troppo da fare per
due
persone, quindi dobbiamo muoverci in fretta. Domani
richiederò le
firme del consiglio, coinvolgerò formalmente i nostri
associati e
invierò la richiesta preliminare al Congresso. Entro fine
mese
potremo metterci davvero all'opera,» espose Pepper, nel
tentativo di
risollevarlo. «Kyle potrebbe darci una mano per la parte
legale, non
dovrebbe distoglierlo troppo dal processo,» aggiunse,
illuminandosi
un poco.
«Domani lo chiamo,»
rispose lapidario Tony, sempre accigliato e probabilmente dimentico
come sempre dei suoi problemi legali.
«E?»
«E non gli dirò nulla
del resto,» la anticipò con
fermezza, puntandosi l'indice
sul reattore. «Ho anche il suo progetto da finire e non
voglio
che si
preoccupi. Anche se dovrei prima concentrarmi su Iron Man... ma non
posso sottrarre tempo al reattore con...» si interruppe
bruscamente,
sprofondando nei suoi pensieri e lasciando che le ombre cupe della
sera prima riaffiorassero sul suo volto.
Pepper lo osservò,
prendendo nota del suo improvviso smarrimento e della tensione delle
sue spalle. Di nuovo, riconobbe la paura che faceva capolino sul suo
volto pallido; un ospite sgradito che, nonostante i tentativi di
chiuderlo
fuori, riusciva sempre a intrufolarsi nella casa sicura che erano
riusciti ad approntare. La sua pupilla era dilatata, immensa, una
finestra spalancata su quei timori che lo consumavano e rischiavano
di traboccare. Il suo respiro accelerò appena e lo vide
serrare la
palpebra.
Si alzò per accostarsi
a lui e gli avvolse la testa in un abbraccio delicato, stringendolo a
sé. Lui trasalì impercettibilmente, ma non si
sottrasse e premette
la guancia contro di lei, accettando quel gesto inatteso.
«Forse ho davvero
troppo poco tempo,» mormorò contro le sue braccia
in un lieve sospiro, senza muoversi per
ricambiare la stretta, di nuovo immobile nel suo limbo.
«Forse dobbiamo solo
organizzarlo meglio,» replicò lei, passandogli una
mano tra i
capelli e poi sulla schiena in una carezza rassicurante. «Che
ne dici
di stilare un piano di lavoro?» propose poi, impedendo alla
propria
voce di cedere al tremolio che minacciava di incrinarla.
Lo percepì annuire
contro di sé e inspirare a fondo più volte,
rilassandosi a poco a
poco. Quando sollevò il viso per guardarla, le rivolse un
sorriso
sottile e grato che ricacciò la paura in fondo al suo
sguardo,
ridotta di nuovo a un riflesso appena distinguibile.
«Va
bene,»
concordò con sollievo. «Ha
sempre delle ottime idee, signorina Potts.»
***
23 Gennaio, Villa Stark
«Non
ha ancora approvato la planimetria della
Expo?» esordì
Pepper, non appena mise piede a Villa Stark quella mattina, con un
diavolo per capello dopo aver discusso per tre ore filate con un
membro del consiglio d'amministrazione particolarmente tenace,
snervante e scettico riguardo all'evento.
Tony
la ignorò platealmente, continuando a giocherellare a
mezz'aria con
un modellino virtuale della nuova armatura, perso nel suo mondo di
circuiti e tecnologia e del tutto dimentico delle colonne di
documenti che lo attorniavano minacciose, e dell'enorme piantina di
Flushing Meadows spiegata sul tavolino.
«Signor
Stark.»
«Suvvia,
mi lasci tregua almeno nel week-end!» rispose infine lui con
uno
sbuffo, accantonando di malavoglia la proiezione.
«Siamo
nel bel mezzo della settimana.»
«Il week-end a casa mia
finisce il mercoledì. Ormai dovrebbe saperlo, signorina
Potts,» le
rivolse un sorrisetto esasperante, prima di voltarsi del tutto verso di
lei,
«Piuttosto, com'è andata col matusa?»
«È ancora vivo,»
replicò lapidaria e con malcelato dispiacere, sfoderando poi
il
documento da lui firmato con fare trionfante.
Tony le rivolse un
sorriso ammirato e un cenno d'OK con la mano meccanica, dai quali non
si lasciò minimamente intenerire:
«Lei, piuttosto:
a che punto è?»
«In uhm... dirittura
d'arrivo,» sviò lui, aprendo un ampio progetto
olografico a
mezz'aria come a schermarsi da lei.
Pepper notò l'occhiata
colpevole che rivolse alla cartina, che da quanto vedeva era ancora
largamente incompleta. Sospirò, s'impose la calma e si
rammentò di
non poterlo pressare più di tanto, visto che stava gestendo
simultaneamente qualcosa come sei progetti in una condizione fisica
che lo avrebbe dovuto indurre a riposarsi ed evitare lo stress.
Così
si piazzò accanto a lui, registri alla mano, e
cominciò a stilare
con rapidità il programma e l'assetto dell'evento,
pungolando di
tanto in tanto per delle delucidazioni la mente dietro il tutto, al
momento concentrata altrove e intenta a scribacchiare sul suo
bloc-notes.
«E quest'area?» gli
chiese a un certo punto, accennando al primo dei padiglioni vacanti.
«Avevo giusto pensato
di darla alla AccuTech,» rispose lui, alzando appena lo
sguardo e
dando chiaramente a intendere di averci pensato in quel preciso
istante.
«Non è troppo, per una
semplice società sussidiaria?»
«Potrebbero presentare
l'Esoscheletro Haz-Tek,» bofonchiò lui, poco
interessato.
Pepper gli rivolse uno
sguardo interrogativo, al che lui si affrettò ad elaborare:
«Una specie di Mark
versione pacifista. Magari il governo smetterà di giocare al
Grande
Fratello con me, se metto sul mercato una brutta copia
dell'armatura,» spiegò, sempre senza sforzarsi di
articolare
chiaramente le parole.
Era ancora assorbito da
tutt'altro rispetto all'argomento corrente, stavolta una serie di
complessi calcoli che stava svolgendo su carta con rapidità
quasi
frenetica, controllando di tanto in tanto gli schermi che gli
fluttuavano attorno.
«Magari potrebbe
davvero rabbonirli e accelerare l'iter per la messa
in regola
delle protesi,» commentò lei, con ottimismo un po'
gonfiato.
«Ne dubito,» la smontò
lui senza rammarico. «La settimana scorsa Stern ha detto che
le
pratiche
sarebbero terminate "tra due mesi", quindi mi aspetto che
la faccenda non vada in porto prima di quattro. Nel frattempo
dovrò
ancora starmene chiuso qui dentro,» concluse seccato.
«E non sono
nella posizione adatta per tirare ancora la corda,»
borbottò poi a voce
più bassa.
«Che intende?» si
interessò subito Pepper, guardinga.
Tony esitò brevemente
prima di rispondere, cosa che la mise ancor più sulle spine.
«Non ho una vera e
propria autorizzazione per trafficare con la nuova Mark,»
rispose
poi, con fermezza. «Stanno chiudendo un occhio solo
perché Fury deve
aver tirato qualche filo in mio favore, visto che sono di nuovo un
consulente dello SHIELD. Ma tra una settimana mi ritroverò
comunque seduto
per l'ennesima volta al banco degli imputati a garantire che non
rappresento un pericolo per la sicurezza nazionale e che mi dispiace
tanto che quel bastardo di Stane sia morto.»
Inspirò di scatto dal
naso e scansò da parte un ologramma con un gesto brusco.
«Non ne posso più di
queste stronzate. Mi rallentano e basta,» sbottò
frustrato,
portandosi una mano alla fronte senza scollare lo sguardo dal foglio.
Pepper trattenne un
sospiro: quelle ultime due settimane erano state frenetiche, ed
entrambi avevano a malapena avuto il tempo di respirare, tantomento
concentrarsi su qualcosa che non fosse la Expo. Tony poteva almeno
variare
gli impegni immergendosi nei suoi progetti, ma considerando la loro
natura dubitava che riuscisse a rilassarsi lavorando. Di quel passo,
sarebbero sicuramente riusciti a inaugurarla entro la scadenza
massima che si erano posti – il 29 maggio, data scelta da
Tony
stesso e riguardo alla quale Pepper si era prudentemente astenuta dal
commentare – ma sarebbero stati troppo esauriti per godersi i
frutti dei loro sforzi. Avevano bisogno di
supporto. Kyle e Coulson erano all'oscuro della situazione di Tony e
non coglievano l'urgenza di quel progetto, visto solo come l'ennesima
stranezza dell'eccentrico miliardario.
«Tony, forse se
informasse il direttore Fury della sua...» iniziò
esitante Pepper,
sapendo cosa avrebbe potuto scatenare quel suggerimento e
preparandosi a fronteggiare una reazione inaspettata.
«Lo farò,» replicò
lui, sorprendendola in senso opposto. «Ma dopo la
Expo,» concluse
laconico.
Pepper rimase in
silenzio, attonita, ma non osando chiedere di più. Fu Tony a
girarsi
appena verso di lei, con sguardo venato di tristezza:
«Il motivo personale è
che non voglio il suo aiuto dopo che mi ha trattato come un rottame
da scartare. Quello razionale è che mi sto dando tempo. Non
voglio
allarmarlo con l'intossicazione e precludermi un posto nel suo circo
prima di essere certo di aver battuto ogni strada. E al momento credo
di aver fatto almeno qualche
progresso.»
Picchiettò sul
reattore e le rivolse un tenue sorriso che le alleggerì il
cuore. Non parlava quasi mai di
quello che aveva evasivamente ribattezzato "progetto
collaterale", ovvero l'ideazione del nuovo reattore arc, ma
vederlo così tranquillo la rassicurò enormemente.
«Ora, se lei vuole
tornare a questo...» Tony si schiarì la voce e
accennò alla mappa
di Flushing Meadows spiegata sul tavolino, in una discreta richiesta
a cambiare argomento, «... io torno a questo,»
finì, riprendendo ad
occuparsi dei suoi calcoli e schemi.
Pepper fu ben lieta di
assecondarlo e riprese a scrutare il registro che aveva in mano,
compilandolo man mano che osservava la piantina.
«Qui che cosa dovrebbe
esserci?» indicò un padiglione ridotto a uno
scarabocchio nero per
tutte le volte che Tony vi aveva scritto, cancellato e riscritto
sopra.
L'uomo sembrava troppo
immerso nel suo turbine di calcoli per darle pieno ascolto.
«Uh, devo decidere,»
svicolò la domanda. «Come vede, non ho le idee
molto chiare in
proposito,» accennò al groviglio d'inchiostro
impresso
sull'edificio.
«Tony, avremmo dovuto
presentare il programma completo già una settimana fa, non
possiamo
ritardare ancora la...»
«È una sorpresa,»
proruppe lui, senza alzare lo sguardo dalle sue formule.
«Una... sorpresa?»
ripeté lei, titubante e poco incline a mostrarsi entusiasta
per
l'ennesima cosa che l'avrebbe colta impreparata.
Tony dovette captare la
sua apprensione, perché si distolse di nuovo dai suoi
traffici.
«Una bella
sorpresa.» puntualizzò «Non deve
preoccuparsi, anzi, sono sicuro
che le piacerà. Mi dia solo un po' di tempo per
perfezionarla...»
concluse con un guizzo di sorriso rassicurante, prima di tornare
chino sui fogli.
Pepper si rilassò un
poco, convinta dallo sguardo limpido di Tony, più che dalle
sue
parole. La sua apprensione fu sostituita da una sana, semplice
curiosità che rese più vivace la successiva
mezz'ora di lavoro,
impiegata nel digitalizzare la disposizione della Expo con l'aiuto di
JARVIS.
Tony continuò a
rimaneggiare il suo progetto con frustrazione crescente, a giudicare
dalle sopracciglia strettamente corrugate, dalla frequenza cui
si passava una mano tra i capelli come a rimescolare le idee e dalla
bocca inclinata in una piega sempre più insoddisfatta.
Pepper non
intervenne: erano giorni che lavorava nervosamente, come se non
riuscisse a venire a capo di qualcosa. Aveva ripreso a passare tempo
in laboratorio anche quando lei era lì, cosa che le aveva
rammentato
quanto la mettesse a disagio quella stanza, nella quale non era
ancora mai entrata da quel giorno di quasi un anno
prima.
Tony emise
improvvisamente un sospiro sconfortato.
«E anche le
permutazioni del litio sono da scartare,» annunciò
con fare
forzatamente pimpante, sbarrando al contempo ciò che stava
scrivendo
con un gesto secco della penna.
Lasciò ricadere il blocco sul
tavolo in un gesto brusco. Pepper si accigliò,
indecisa su come commentare, ma prese nota del suo pallore
improvviso mentre strappava la pagina dal blocco e la accartocciava.
«Ero sicuro che
potessero...» cominciò a farfugliare distratto,
gettando il foglio
a terra con stizza.
Si interruppe e si
sfregò con fare nervoso i corti capelli sulla tempia.
«Come non detto. Fa
niente.»
Tornò a guardarla con un mezzo sorriso un
po' incrinato,
ma Pepper vedeva con chiarezza lo sforzo che stava facendo per
controllare il respiro, che adesso udiva distintamente costretto. Tony
colse la sua
espressione allarmata e si schiarì la voce, facendo per
riprendere a
parlare, ma si bloccò quando la donna si portò
dietro di lui e gli
poggiò le mani sulle spalle. Lui cercò subito la
sua mano, che Pepper trovò ghiacciata quasi quanto quella
meccanica e scossa da un
lieve tremito. Cercò di controllarlo intrecciando le dita
alle
sue, in uno di quei gesti istintivi a cui si abbandonava quando il
panico iniziava a farsi strada in lui.
«Pep?» esalò, in un
respiro sforzato.
«Sono qui,» lo
rassicurò come sempre, stringendogli più forte la
mano e percependo
con l'altra i battiti concitati del suo cuore. «Stai
bene?» chiese poi, fallendo nel non far trapelare la sua
apprensione.
«Più o meno,» deglutì
lui, annuendo rapido. «Per ora è sotto
controllo,» aggiunse più
stridulo, aumentando la stretta nel tentativo di non lasciarsi
sopraffare.
Pepper credeva di
percepire chiaramente le ondate di panico che si stava sforzando di
reprimere, con molto più successo delle ultime volte, quando
si era invece trovato aggrappato a lei nel tentativo di respirare.
Avevano entrambi sperato
che quello di qualche settimana prima fosse un episodio isolato; si
era invece ripetuto più volte, facendo vivere Tony in uno
stato di
tensione costante. Dopo un attacco particolarmente violento, Pepper gli
aveva suggerito di contattare Ian per
farsi prescrivere degli ansiolitici e lui si era mostrato
sorprendentemente poco ostile all'idea, nonostante avesse detto di
voler aspettare ancora prima di parlare col medico. Ian aveva
comunque già preso a contattarlo con più
insistenza nell'ultimo mese,
spingendo per una visita di controllo che Tony continuava a
procrastinare adducendo impegni inesistenti.
«Stavamo parlando di...
dei padiglioni, giusto?» esalò all'improvviso
l'uomo, accennando
alla piantina con la mano artificiale.
«Tony? Ora non dobbiamo
per forza...»
«Se tengo il cervello
occupato migliora,» chiarì concitato, rivolgendole
un fugace
sguardo spaurito e quasi implorante mentre ancora lottava col panico
alle porte.
Pepper titubò un
singolo istante prima di assecondarlo e riattaccare a parlare della
Expo, pur mantenendo il contatto con lui. Tony si riagganciò
stentatamente al discorso, un po' ascoltandola, un po' calmando il
respiro, un po' gesticolando a scatti con la protesi mentre parlava. Si
sentì infine
abbastanza sicuro per lasciare la sua mano e impegnarla di nuovo con
la penna. Pepper mantenne le proprie posate delicatamente sulle sue
spalle, percependo la vibrazione della sua voce che le attraversava.
Le abbandonò solo quando le sentì rilassarsi del
tutto,
soffermandosi a sfiorargli i capelli sulla nuca prima di scostarsi da
lui e riprendere a lavorare come se nulla fosse accaduto.
Intercettò
il suo sguardo, che come sempre valeva più di mille parole
ed
esprimeva pura, sincera gratitudine mista a sollievo. Dopo una decina
di minuti, raccolse il foglio accartocciato, lo spiegò con
cura
e
riprese a lavorare parallelamente ai suoi progetti, recuperando la
sua parlantina ironica nel discutere della Expo.
«Le Hammer Industries?
Dobbiamo seriamente invitare quel pagliaccio?» prese infatti
a
lamentarsi con la consueta vivacità, puntando il gomito
prostetico
sul tavolo e poggiando la guancia al pugno chiuso con fare scocciato.
«Sarebbe una mossa del
tutto imparziale che...»
«Infatti Hammer è
stato così imparziale al
processo.»
«... potrebbe
accattivarci le simpatie del governo,» terminò
inflessibile lei,
sfidandolo a controbattere.
«Ma certo, diamo uno
stand anche a Knight, visto che ci siamo!» agitò
la mano meccanica
a mezz'aria in un moto d'esasperazione, abbandonando la penna e
facendo per alzarsi in preda al nervoso.
Pepper lo inchiodò al
suo posto con un unico, penetrante sguardo, anche se le stava
segretamente venendo da sorridere nel veder riemergere l'indole
ribelle e capricciosa di Tony, sebbene mettesse a dura prova i suoi
nervi.
«Hammer è il nuovo
beniamino del Dipartimento della Difesa,» gli
ricordò serafica,
rimediandosi solo un'occhiata sbieca da parte sua. «Stern
è un
Senatore del Congresso particolarmente legato a quel settore. E deve
ancora approvare la sua licenza per le protesi...» concluse,
lasciando che fosse lui a trarre le relative conclusioni.
Per il momento, sembrava più
incline a far ruotare incessantemente su se stesso un modellino
dell'armatura con pigre spinte della mano sana. Infine mandò
un
teatrale sospiro, roteò gli occhi più di quanto
fosse necessario,
incrociò strettamente le braccia e incassò la
testa tra le spalle,
immusonendosi.
«Hammer concesso,»
masticò tra i denti.
Poi si rallegrò di
colpo, sollevando in alto l'indice come se gli fosse appena sovvenuta
l'idea del secolo, mettendola immediatamente sul chi vive.
«In cambio voglio che
l'inaugurazione si tenga qui, nello State Pavilion,» se ne
approfittò subito, piantando il dito sulla struttura
più centrale.
Detto ciò, si fiondò
con improvvisa energia nei suoi "progetti collaterali", senza aspettare
replica e considerando evidentemente chiusa la
questione. Pepper squadrò con occhio clinico la scelta di
Tony, che
nel frattempo si stava impegnando ad evitare qualsiasi contatto
visivo tenendo la testa china sui suoi fogli e ologrammi.
«Non sarebbe meglio il
Palazzo dei Congressi, in caso piovesse?» lo
dirottò con
nonchalance verso un secondo edificio, leggermente
discosto
dall'Unisfera.
«Lo State Pavilion ha
un tetto.»
«Con un buco al centro,
Tony.»
«Perfetto,» commentò
tranquillamente lui, concentrato a scrivere con la sinistra.
Gli occhi di Pepper
s'illuminarono di una luce sospettosa e saettarono nuovamente alla
piantina
di Flushing Meadows. Individuò il padiglione in esame e
ticchettò
brevemente un'unghia sulla carta, mentre il suo sospetto prendeva
mano mano forma.
«Tony?»
«Pepper?»
«Non
ha intenzione di fare quello che penso, vero?»
«Non saprei, ma
probabilmente sì. Di solito ha un intuito
formidabile.»
«Allora le consiglio
vivamente di toglierselo dalla testa, perché è la
cosa più stupida
che potesse venirle in mente,» sentenziò,
scoccandogli un'occhiata
torva.
«Uh, ok. Terrò conto
della sua opinione, quando lo farò lo stesso.»
L'uomo non alzò neanche
la testa dal foglio, come se stessero discorrendo dell'argomento
più
banale del mondo.
«È completamente
impazzito?»
«I sintomi
dell'intossicazione includono sbalzi d'umore e depressione, ma non
follia nel senso stretto del...»
«Tony, ti degni di
guardarmi?» sbottò lei, alterata.
Lui sospirò ed eseguì
rassegnato, lasciando con un gesto brusco la penna e abbandonando per
l'ennesima volta ciò che stava scrivendo.
«Ti sto guardando,» le
fece notare piattamente, invitandola a parlare.
«Hai intenzione di
presentarti come Iron Man» affermò lei, senza
sforzarsi di farla
suonare come una domanda.
«La mia immagine
pubblica è legata ad Iron Man, che
sarà la mascotte della Expo.
È inevitabile che compaia nelle sue vesti.»
«Indossare l'armatura
nelle tue condizioni equivale...» si bloccò,
frenandosi appena in
tempo nel rendersi conto di ciò che stava per dire
sovrappensiero.
«... a un suicidio?»
completò lui, con assoluta calma e un'alzata di sopracciglia.
Pepper si morse le
labbra, senza capire se fosse serio o ironico. In entrambi i casi non
era certo rassicurante e si chiese quanto fosse effettivamente a suo
agio in quel momento, considerando che aveva sfiorato un attacco di
panico neanche mezz'ora prima. L'unico segno di tensione visibile era
la mano sana serrata in un pugno. La rilassò di colpo con un
profondo sospiro, come se il solo pensiero di affrontare
quell'argomento lo sfinisse e stesse comunque cercando la forza per
farlo.
«Pepper...» cominciò
a bassa voce, in quello che sarebbe probabilmente stato un tentativo
di persuaderla che quell'idea folle fosse del tutto
sensata.
«No. Non provarci
nemmeno,» lo troncò di netto, senza
però riuscire a imporre la
ferrea decisione che avrebbe voluto alla sua voce.
L'unica cosa a cui
riusciva a pensare era l'immagine di Tony nell'armatura mentre questa
gli risucchiava ogni energia, il reticolo sul suo petto che si
allargava e tutto ciò che poteva andare storto –
un guasto, un
malore, un errore, Tony che precipitava, Tony che soffriva, Tony che
moriva davanti a lei, di nuovo.
«Pepper,» riprese lui,
come se non l'avesse mai interrotto, ma esitò, portandosi la
mano al
volto a coprire brevemente l'occhio, per poi continuare monocorde,
senza guardarla: «Non ti chiedo di
fidarti di me perché sarebbe ipocrita, ma cerca almeno di
non
considerarmi un idiota completo,» non si sforzò
neanche di
risultare convincente.
Sembrava semplicemente
esausto, sfibrato dall'ennesima discussione senza uscita che si
trovavano ad affrontare.
«Sei solo incosciente e
sconsiderato, oltre che egoista, ma questa non è una
novità,» le
uscì detto, prima di potersi trattenere.
«In questo caso credo
di potermi permettere di essere egoista,» replicò
seccamente lui, e
rialzò di scatto lo sguardo ora velato da una traccia di
risentimento.
Pepper incassò in
silenzio la replica. Non aveva davvero avuto intenzione di lasciarsi
sfuggire quelle esatte parole, nonostante le ritenesse vere. Se per
un momento si sentì in colpa, il ricordo di tutte le
risposte
caustiche e prive di tatto che aveva ricevuto dall'uomo davanti a lei
bastò a mettere a tacere la sua coscienza. Non poteva farle
quello, non dopo tutto ciò di cui avevano parlato;
non quando la
possibilità di perderlo era così vicina, reale e
ancora
inevitabile.
Ora Tony sembrava
innervosito e prese a stringersi il polso meccanico con la mano sana,
in quello che ormai Pepper riconosceva come un tentativo di
mantenersi ancorato al qui e adesso e di non soccombere a tutto
ciò
che minacciava di sopraffarlo. Stavolta non si portò vicino
a lui e
si limitò a rimanere in piedi al suo fianco, con le braccia
rigidamente incrociate a impedirsi qualsiasi gesto.
«Ho fatto i miei
calcoli,» esordì Tony, con voce appena tremante,
non seppe dire per
frustrazione, paura o incertezza. «Per eccesso,
l'intossicazione
salirà circa al 65% dopo l'utilizzo dell'armatura. Per eccesso,»
sottolineò, quando Pepper non riuscì a nascondere
la sua
contrarietà nell'udire una cifra così alta e
minacciosa.
Si costrinse a non
intervenire e lo lasciò continuare, nonostante si
accigliasse sempre
più e le sue labbra divenissero sempre più
sottili ad ogni parola
che pronunciava.
«Ho pianificato tutto e
non volerò fin lì: userò il jet per
farmi portare
esattamente sopra la
Expo e andrò in caduta libera fino all'ultimo secondo, senza
dispendio di energia dai propulsori. Atterro, fuochi d'artificio,
champagne per tutti, mi godo il mio momento di gloria e la tolgo.
Fine. La userò per neanche cinque minuti totali,
Pep.»
L'unica reazione che si
concesse lei fu di serrare ulteriormente le braccia, mentre cercava
di analizzare quell'idea da ogni angolazione possibile in cerca di
una falla, di una svista di così eclatante e insormontabile
da
convincere Tony a rinunciare – nonostante la natura stessa di
quella proposta fosse di per sé irrazionale. Ma il suo
sguardo era
determinato come sempre, ed era sicura che avesse perso più
di
qualche ora di sonno per architettare quella follia, sicuramente
conscio dell'opposizione che avrebbe incontrato da parte sua. Almeno
aveva avuto la decenza di non nasconderle nulla, e per quello non
poté che sentirsi sollevata.
«Avrò anche un asso
nella manica,» continuò Tony spronato dal suo
silenzio, con
l'ombra di un sorriso teso. «Ma devo parlare con Ian prima di
esprimermi in merito. Riguarda quei "progressi" di cui
parlavo,» spiegò conciso, sfregandosi il pizzetto.
«Non hai comunque il
permesso di usare le protesi fuori casa,» gli fece notare,
sperando
contro ogni aspettativa che magari a quelle non avesse pensato.
«E tecnicamente l'armatura è ancora
un'arma.»
«Potrei aver convinto
un certo Senatore a bendarsi gli occhi e girarsi dall'altra parte in
cambio di qualche esclusiva sull'Haz-Tek. E visto che inviteremo
anche le Hammer Industries su tua
insistenza...» alzò i
palmi con un sorriso sbieco, a significare che ormai ciò che
era fatto era fatto.
Pepper scosse la testa,
maledicandosi per la proposta, ma non indietreggiò d'un
passo.
«Le protesi e
l'armatura non sono compatibili. L'hai detto tu stesso,» le
sovvenne, sforzandosi senza troppo successo di non suonare trionfante.
Tony fece una lieve
smorfia insoddisfatta, ma non si scompose ulteriormente.
«Non sarò certo
aggraziato come una farfalla, ma dai test non dovrebbero...»
«... hai fatto dei
test?» boccheggiò lei, allibita.
Il suo cuore mancò un
colpo al pensiero delle ore che aveva ripreso a trascorrere in
laboratorio e di ciò che poteva aver fatto proprio sotto al
suo
naso, di nascosto, tacendole di nuovo il tutto.
«Pepper, puoi smettere di
essere paranoica per dieci secondi?»
sbottò a quel punto
Tony. «Sarò pure malmesso fisicamente, ma ho
ancora
un quoziente
intellettivo di duecento e passa: credi che non sappia calibrare un
paio di test in modo da non uccidermi? E comunque, risalgono a mesi
fa e mi servivano per tutt'altro,» spiegò con
irritazione
crescente, continuando ad artigliare il polso della protesi.
Lei rimase in
silenzio, immersa in una nube di pensieri fosca e indefinita, se non
per quell'unica certezza che continuava a strizzarle il petto sempre
più ad ogni battito, e che espresse infine ad alta voce:
«Tony, è troppo
rischioso.»
«Non più rischioso di
starsene a casa ad aspettare che l'intossicazione faccia comunque
il suo corso,» mormorò cupamente lui di rimando.
Pepper trasalì.
«Hai detto che
stavi...»
«Sto facendo
progressi,» la anticipò, con fermezza.
«Vorrei solo...» mosse la
mano a mezz'aria in un moto frustrato, come se volesse afferrare
qualcosa fuori dalla sua portata, «... concedermi delle
distrazioni,»
concluse con voce più grave, cercando infine i suoi occhi.
Pepper vacillò, come
sempre quando incontrava quell'iride calda e profonda in cui avrebbe
potuto immergersi, ormai segnata da troppo dolore. Non sapeva se
interpretare qualche sottinteso riferito a loro in quella frase,
solcata da una nota
di rimpianto per tutto ciò a cui aveva dovuto rinunciare in
quell'ultimo anno. Una parte di lei in
realtà capì ciò che intendeva dire, ma
fu subito soffocata dalla
paura, dalle immagini che le erano sfrecciate in testa poco
prima, e si obbligò a rompere il contatto visivo con lui,
sapendo
che altrimenti non sarebbe stata in grado di mantenere la sua
posizione.
«Così finirà per
uccidersi,» asserì, scacciando ogni residuo di
incertezza e
riprendendo un tono formale, come se ciò potesse conferire
più
autorità alle sue parole. «E le ho già
detto una volta che non voglio farne
parte.»
La sua voce rimase ferma, ma i suoi pensieri
sfrecciarono al
giorno dell'incidente e a quando l'aveva trovato in laboratorio,
facendole tremare le ginocchia nella consapevolezza che ne aveva già
fatto parte. A quel punto,
contrariamente ad ogni sua aspettativa, Tony sorrise.
«Questo mi rassicura,»
disse soltanto, in modo criptico.
Pepper non replicò
subito, confusa e dubitando di essersi espressa chiaramente. Lo vide
rilassarsi e poggiare i gomiti sul tavolo, continuando a sorridere
sotto i baffi:
«Quando me l'ha detto
la prima volta, voleva licenziarsi,» le rammentò
tranquillo,
richiamando un momento che sembrava avvenuto secoli prima. «E
sono
riuscito a convincerla sia a rimanere, sia a cambiare idea riguardo a
Iron Man. Sono sicuro di poterci riuscire anche adesso,»
concluse,
con un occhiolino impertinente.
«Non sarà così
semplice,» lo rimbeccò lei, lasciando
però andare un sospiro di
sollievo quando vide che Tony aveva appena rimaneggiato l'ologramma
della Expo, spostando l'inaugurazione nel luogo che gli aveva
proposto lei inizialmente.
«Ho tutto il tempo che
mi serve per convincerla.»
«Non credo che la mia
approvazione farebbe molta differenza,» osservò
lei, senza
nascondere il disappunto.
«Se non riuscirò ad
averla, pazienza.»
«Ovvio, lo farà lo
stesso,» dedusse lei, con un secco sospiro.
«Rinuncerò,» la
contraddisse, facendosi serio. «Niente Iron Man senza il suo
consenso. Promesso,» ribadì, cercando di nuovo i
suoi occhi adesso
basiti e sostenendoli senza esitazioni.
«Non è molto bravo a
mantenere le promesse,» gli fece notare debolmente, ancor
più
dubbiosa.
«Mi impegnerò.
Soprattutto a convincerla, ma anche a mantenere la
promessa,»
concluse con un fugace sogghigno.
Nessuna ombra calò sul
suo sguardo limpido e Pepper, contro ogni buonsenso, volle credere a
quelle parole.
***
2 Febbraio, 20:30, Villa Stark
«E
lei è sicuro che questa roba...»
«Dilitio.»
«Qualunque
cosa sia...»
«Doc,
non mi faccia dubitare della sua preparazione in chimica.»
«Insomma,
è sicuro che quell'intruglio
funzionerà?»
Tony
sospirò appena e roteò l'occhio con fare esausto
anche se il
medico non poteva vederlo, cercando al contempo di non farsi sfuggire
il cellulare incastrato tra spalla e orecchio mentre scriveva al
computer.
«Sono
sicuro che contrasterà il palladio?
Sì,» prese fiato prima di
continuare. «Sono sicuro che non mi ridurrà in
poltiglia? No. Per
quello mi serve il suo parere di segaossa,» concluse, senza
perdere
un battito sulla tastiera.
Ci
fu una breve pausa dall'altro capo, interrotta in sottofondo dal bip
di qualche macchinario ospedaliero.
«Ho
l'impressione che questo sia più il campo del Dottor
Banner,» sparò
infine Ian, senza nascondere il proprio nervosismo.
«Può
darsi,» Tony quasi imprecò all'acutezza del
medico,
«ma come può
immaginare, quella con la ciurma di Fury è una situazione
delicata e
qualsiasi mossa avventata potrebbe far affondare la nave. Nello
specifico, la mia bagnarola. E so che lei saprà essere molto
discreto,» lo blandì.
«Se
me l'avesse detto prima...»
«L'avrebbe
semplicemente saputo prima e saremmo nella stessa
situazione,»
tagliò corto lui
con ovvietà, troncando sul nascere un'altra sfuriata di
un'ora. «Quindi, può passare alla
villa in settimana?»
«Sarò
alla sua porta domattina,» replicò seccamente Ian.
«Mh,
allora dovrò darmi da fare. Non mi sgridi per le occhiaie
quando mi
vedrà,» concluse a mo' di saluto, già
pronto a riagganciare, ma la
voce del medico risuonò ancora una volta:
«Non
la sgriderò certo per quello,»
il suo tono prese una piega decisamente minacciosa. «Nel
frattempo,
non...»
«Non
faccio stronzate. Ricevuto,» concluse lui, chiudendo la
chiamata con
un sospiro stremato e un sorrisetto decisamente disubbidiente a
solcargli le labbra.
Tornò
alle sue schermate sparse senza apparente ordine logico attorno a
lui, lanciò un'occhiata all'ora e concluse che poteva
concedersi
mezz'ora di progetti "ricreativi" prima di tornare a
concentrarsi sul dilitio. Si sarebbe forse meritato una pausa, dopo
otto ore di lavoro ininterrotte, ma sapeva che, anche non essendo
fisicamente in laboratorio, la sua mente avrebbe continuato ad
arrovellarsi su schemi, calcoli e formule. Tanto valeva sfruttare
quell'energia latente.
Riprese
a ticchettare sulla tastiera olografica dinanzi a lui, con un breve
sospiro di stanchezza.
Era
passato molto tempo dall'ultima volta che aveva lavorato davvero
sotto pressione. Non
quella innocua di un contratto sul punto di scadere o di una
conferenza imminente che non aveva preparato, e neanche quella
più
incalzante di un processo alle porte con una protesi ancora da
completare. Piuttosto, il tipo di malsana urgenza che può
suscitare
la canna di un mitra premuta sulla nuca o il lento avanzare di
viticci plumbei e tossici sul proprio petto. Almeno,
in quel secondo caso poteva lavorare con tutti i comfort a
disposizione e non arrangiandosi in una grotta buia, umida e gelida.
Quel fatto avrebbe dovuto consolarlo: il laboratorio era familiare,
era casa, era il suo mondo che lo accoglieva anche
quando
tutti gli altri lo respingevano o lui li allontanava da sé.
E
adesso non gli apparteneva più, perché tutto
ciò che stava facendo
era progettare e costruire cose che avrebbero continuato a vivere
quando lui non ci sarebbe più stato. Un retaggio freddo,
autosufficiente. Lavorava a pieno ritmo,
circondato dal suo solito caos e dalla sua musica spaccatimpani, ma
gli mancava quella scintilla di vitalità che lo spingeva a
traversare la stanza da una parte all'altra sulla sedia girevole
derapando come un bambino, che lo faceva battibeccare per minuti
interi con Dum-E e U sorridendo sotto i baffi e che lo portava a
ficcare la testa nel motore di una delle sue auto quando aveva
bisogno di schiarirsi le idee, incurante di indossare un completo
firmato o la tuta da lavoro. Adesso
lavorava per lo più in silenzio, con una calma dettata dalle
sue
eterne difficoltà a controllare la protesi, e non riusciva a
scacciare la sensazione che qualcuno o qualcosa sbirciasse
regolarmente da sopra la sua spalla, come giudicando il suo operato
in attesa di un errore che l'avrebbe rallentato.
Si
sentiva derubato dell'unica costante positiva della sua intera vita,
che fosse
il suo sfogo quando da ragazzino litigava con suo padre, il suo
personale parco giochi quando era dell'umore giusto, o il suo rifugio
nei molti, troppi momenti di debolezza. Quel
luogo l'aveva visto partire e tornare, cadere e rialzarsi, morire e
rinascere. Sapeva
che, qualunque cosa lo avrebbe salvato anche
stavolta, sarebbe
accaduta lì. Lo sentiva nelle ossa, nelle mani che, pur
rallentate,
armeggiavano a colpo sicuro tra i macchinari, nel battito del suo
cuore che riverberava appena contro il cilindro metallico nel suo
petto a ricordargli che non aveva alcuna intenzione di fermarsi.
Ma
aveva così poco tempo... e aveva paura. Aveva
pensato di non dover
mai più convivere con quel costante crampo allo stomaco che
pareva
ramificarsi in tutto il suo corpo come una pianta infestante,
congiunta a quella venefica sul suo petto, Gli occludeva la
mente, restringeva a tunnel la sua visuale, sabotava i suoi sforzi
fisici e mentali. Almeno nella grotta aveva avuto la consolazione di
poter
decidere come morire. Adesso poteva solo scegliere
come
impiegare il tempo che gli restava, sperando con tutto se stesso che
non andasse sprecato.
Non
sarebbe mai stato abbastanza, questo lo sapeva. La
schiena di suo padre era sempre molti passi avanti a lui e gli occhi
di Yinsen lo guardavano dall'alto velati di delusione. Avrebbe potuto
fare molto di più, con la sua vita.
Inspirò
profondamente, avvertendo la lieve occlusione al petto che cominciava
a rubargli il respiro nel farsi più insistente e serrata.
Doveva
smetterla di immergersi in riflessioni così contorte che
finivano
sempre per concludersi con la consapevolezza della sua imminente
dipartita, soprattutto
quando era da solo.
Piuttosto,
doveva pensare ai progressi, a ciò che aveva concluso di
positivo,
anche se ogni volta sembrava un misero granello di polvere messo a
confronto con una montagna di errori e problemi pronta a franare e
sotterrarlo. Doveva pensare alla Mark IV quasi pronta, alle
potenzialità del dilitio, ai tutori per Kyle, alle chiamate
dello
SHIELD per le consulenze, alle protesi che funzionavano, alla Expo, a
Pepper,
al fatto che avrebbe forse indossato di nuovo l'armatura e a quanto
fosse
così vicino a capire come curare il suo
cuore. E doveva
pensare a tutti i progetti che doveva portare a termine.
Il
progetto.
Un
lieve sorriso stemperò le linee di tensione sul suo volto:
non
vedeva l'ora di rivelare quella sorpresa a Pepper.
Quel
semplice pensiero bastò a risollevarlo e a farlo virare
verso
l'umore allegro e frizzante che aveva sempre accompagnato i suoi
traffici in laboratorio. Si trovò a canticchiare
distrattamente a
bocca chiusa sulle note di Runnin' with the Devil,
mentre si
ripeteva mentalmente tutto ciò di positivo che si sforzava
di
trovare, nonostante quella maledizione che si allargava sul suo petto.
Non sarebbe stata quella a fermarlo: ovunque guardasse trovava motivi
per non arrendersi e non aveva intenzione di deludere di nuovo tutti,
soprattutto quando aveva così tanto da perdere.
Aveva
toccato più volte il fondo ed era sprofondato nel fango, ma
adesso
poteva dire di essere davvero nel suo punto più basso: nonostante
tutti gli sforzi fatti per riguadagnare l'uscita era caduto di nuovo,
schiantandosi nello stesso punto dal quale aveva cercato di scappare
per tutta la sua vita.
Ma da qualche settimana si era reso conto di
aver ingiustamente rinnegato quel fondo.
Non
si era mai accorto che là sotto, assieme agli scarti, agli
errori e
ai frammenti imperfetti di sé, c'erano anche dei diamanti
sepolti
nel fango.
Buonasera/Buongiorno! (dipende dai punti di vista, immagino...)
Ecco a voi un bel... niente. Ovvero, un capitolo di transizione.
Scusate, è che dovevo mettere qualche punto fermo riguardo all'organizzazione dell'Expo e a tutto il contorno psicologico/fisiologico e burocratico in questo particolare frangente della storia. Però un po' di fluff ce l'ho messo, su <3
Precisazioni varie ed eventuali: 1) la AccuTech è una società realmente esistente nell'universo Marvel e l'Haz-Tek è una sorta di esoscheletro ispirato all'armatura di Iron Man inteso per uso civile; 2) Il discorso sulle fisime di Tony riguardo al proprio corpo è fondamentale per tutto ciò che seguirà; 3) La frase finale è vagamente ispirata a Via del Campo di De André ("dai diamanti non nasce niente/dal letame nascono i fior"), con le dovute rielaborazioni.
Qualunque fatto lasciato "in sospeso" verrà chiarito nel prossimo capitolo :)
Ringrazio tantissimo Emyclarinet, T612 e _Atlas_ (che si becca pure una medaglia per aver inserito la duecentesima recensione <3) per aver commentato lo scorso capitolo. E un grazie anche a 50shadesofLOTS_Always, che continua a seguire da dietro le quinte, per aver citato Phoenix nella sua long Rescue Heart <3
Mi rendo conto che il capitolo è meno "carico" rispetto agli ultimi standard, ma il prossimo dovrebbe uscire a breve e compenserà :)
A presto,
-Light-
P.S. Una precisazione che volevo fare da tempo: quando scrivo "(la) mano" o "(la) gamba" senza ulteriori specificazioni mi riferisco sempre agli arti sani di Tony; in caso contrario è sempre esplicitato che si tratta delle protesi. Idem per quando cammina: se lo fa senza bastone è sempre specificato. Ho ritenuto opportuno rendere chiaro questo fatto, in quanto avrà rilevanza crescente col passare dei capitoli.
EDIT: piccolo extra grafico qui sotto, fatto a tempo perso senza troppe pretese, perché ho bisogno di vedere un Tony felice <3 (e sì, ho sbagliato lato delle protesi perché ero distratta mentre disegnavo *sigh*)
© Marvel