Anime & Manga > Rossana/Kodocha
Ricorda la storia  |      
Autore: bontina    12/07/2009    7 recensioni
Sorrise, spensierata, felice. Contagiò anche me, ed insieme cominciammo a saltellare e ridere per le affollate strade di Tokyo. Non m’importava dove stessimo andando, non m’importava di tutte quegli autisti che suonavano isterici sui clacson delle loro auto, non m’importava di quelle persone che guardandoci sorridevano, non m’importava di nulla, solo di lei.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
viva

...perché lei era lei...

Questa qua è per te

e anche se non è un granché

ti volevo solo dire

che era qui in fondo a me…

Semplicemente adoravo quando muoveva i capelli in quel modo. Quando quel rosso si mischiava con il cioccolato dei suoi occhi e con il rosa delle sue labbra. Mi voltai di scatto, evidentemente non ero il solo a pensarlo. Quel tizio, quell’insulso tizio si era fermato per fissarla, mentre sfacciatamente le lanciava maliziose occhiate. Probabilmente lei non se n’era neppure resa conto perché continuava tranquilla quel suo gioco maledettamente seducente. Ma lei non sapeva neppure questo, era troppo ingenua per capirlo. Ed io? Beh, io ero geloso, geloso marcio a dirla tutta, ma non l’avrei ammesso, mai. Le presi una mano, stringendola forte, quasi volessi assicurarmi che lei fosse solo mia, mia e di nessun altro. Riprendemmo a camminare per il centro, fermandoci ad ogni vetrina, ed in ognuna di queste trovava sempre qualcosa di eccezionale da dover comprare, come quelle bambine che quando escono con le proprie madri si danno alla pazza gioia facendo acquisti di cui non ne ricorderanno neanche l’esistenza.  

È per te che lo sai

di chi sto parlando, dai

e ti piacerà un minuto

e poi te ne scorderai…

“Allora Aki, vieni anche tu domani? Ti prego, ti prego…”

Sgranò gli occhi e lentamente mise su quel faccino da angioletto che solo lei sapeva fare.

“Ti prego!”

Sbatté le sopracciglia, come per volermi incantare. Come se avessi saputo dirle di no. Sorrisi del mio stesso pensiero, era assurdo. Quella ragazza mi aveva sconvolto la vita, come un uragano era arrivata e aveva messo tutto sottosopra. Aveva donato un po’ di colore al grigio della mia quotidianità. Senza saperlo mi aveva aiutato, era stata un po’ come una guida, come quelle migliori amiche che ti tirano fuori dai guai, o quei fratelli che ti reggono continuamente il gioco, ma lei era più di un’amica, più di una sorella. Lei era lei. Ma lei non sapeva neppure questo, ed io non sarei mai stato capace di rivelarglielo.

Annuì con il capo, per farle capire che ero disposto a seguirla anche domani in quella stramaledettissima piscina, che poi, diciamola tutta, avrei mai potuto lasciar andare la mia fidanzata da sola in piscina? E sottolineo piscina, che equivale a dire costume! Ma probabilmente lei non avrebbe saputo neanche questo. Certo, di suo non l’avrebbe mai capito, così ingenua e modesta non avrebbe mai pensato che io fossi tremendamente geloso di lei, soprattutto quando indossava solo un costume.

Perché sei viva viva

così come sei

quanta vita mi hai passato

e non la chiedi indietro mai…

Lei cominciò a saltellare tutta felice, mentre qualche passante si girava incuriosito nella nostra direzione.

“Dai Sana, controllati! Siamo nel bel mezzo di un marciapiede! E poi è pieno di gente!”

“Ma a me non importa della gente!”

Sorrise, spensierata, felice. Contagiò anche me, ed insieme cominciammo a saltellare e ridere per le affollate strade di Tokyo. Non m’importava dove stessimo andando, non m’importava di tutte quegli autisti che suonavano isterici sui clacson delle loro auto, non m’importava di quelle persone che guardandoci sorridevano, non m’importava di nulla, solo di lei. Lei che continuava a sgambettare, tenendomi stretta la mano, mentre le sue codine facevano su e giù allo stesso ritmo del nostro passo. Lei che sorrideva e chiudeva gli occhi perché il sole le dava troppo fastidio. Lei che non si preoccupava del cellulare che continuava a squillare ormai da… da quanto ormai? Cinque, dieci, venti minuti? Avevo perso la condizione del tempo e dello spazio e lei con me. Si fermò all’improvviso, sotto l’ombra di un albero. Girò il viso e mi guardò dritto negli occhi.

“Aki, ma tu non hai fame?”

Sorrisi, aveva sedici anni ormai, ma era rimasta sempre la stessa, quella bambina maledettamente impicciona e dannatamente bella.

“Ma come, ti sei già stancata?” le chiesi, sorridendo in modo sghembo. Lei mise quasi il broncio, poi incrociò le braccia sotto il seno.

“Non mi sono stancata, ho detto che ho fame!”

“Ma che mangiona che sei! Attenta a non ingrassare troppo però, io non voglio una balena come ragazza!”

Corrugò la fronte e se avesse potuto avrebbe fatto uscire il fumo dalle orecchie. Cacciò fuori il martelletto rosso, pronta a lanciarmelo in testa. Io inizia a correre e lei a inseguirmi con il braccio alzato pronta a colpirmi non appena si fosse avvicinata. Accelerai un po’ per aumentare le distanze, non mi andava proprio di farmi prendere da quel coso rosso. Chissà poi da dove li tirava fuori, avrei dovuto scoprirlo, prima o poi, magari avrei potuto far sparire le sue scorte, e poi che razza di ragazza minaccia il proprio ragazzo con un martelletto???? Lei, solo e soltanto lei.

E sei viva viva

per quello che sei

sempre pronta, sempre ingorda

sempre solo come vuoi…

Mi allontanai dal centro, avvicinandomi sempre di più al gazebo, il nostro gazebo, poi mi andai a sedere sulla panchina. Pochi istanti dopo arrivò anche lei, sventolava ancora quel martelletto sopra la sua testa, agitandolo pericolosamente.

“Ehi, lumaca! Finalmente sei arrivata!”

“Hayama, io ti ammazzo!” iniziò a correre come una pazza a destra e sinistra, lanciandosi al mio inseguimento, mentre di tanto in tanto riusciva a colpirmi con quell’odioso martelletto rosso. D’un tratto, sfinita, si buttò sul prato e lanciò il martelletto lontano, come per volermi rassicurare di non essere armata. Mi accasciai anch’io accanto a lei, avvicinando lentamente il mio viso al suo.      

“Allora signorina Kurata, ha deciso di arrendersi?”

“No, ho deciso di continuare!”

All’improvviso cacciò fuori un altro martelletto, ed io ancora steso sull’erba non ebbi neppure il tempo di rialzarmi che me la ritrovai sopra, mentre goffamente colpiva la mia testa con quel coso rosso. Ma quanti ne portava con sé? Iniziai a ridere e pino piano anche i colpi si indebolirono, approfittai della debolezza del momento e ribaltai le posizioni. Sana adesso era stesa sotto di me ed io su di lei. La guardai per un istante infinito, poi iniziai a farle il solletico. Lei iniziò a ridere di gusto, mentre mi supplicava di smetterla.

“Ti prego Aki, dai… ti prego… smettila!”

Continuava a ripeterlo ed io continuavo a non ascoltarla. Le brillavano gli occhi, speravo fosse davvero felice, felice con me. Delle lacrime le rigarono le guance rosse, mentre lei continuava a sghignazzare e a cercare di liberarsi dalla mia presa. Poi alzò gli occhi, incrociando i miei. D’istinto mi fermai, come se ancora una volta tutto il resto non contasse nulla. Mi persi nel cioccolato delle sue iridi, incantato, attratto prepotentemente da lei, come una calamita, come se lei fosse il mio sole.

“Ti amo!”

Non mi resi neppure conto di averlo detto veramente, e quando finalmente me ne capacitai abbassai lo sguardo imbarazzato. Lei continuava a fissarmi, aveva le labbra leggermente aperte, forse cercava le parole giuste da dire, forse lei non ricambiava, forse lei… 

“Aki, guarda quella nuvola!”

Annuii lentamente con il capo, respirando con calma, pronto a guardare questa nuvola. Perché lei era Sana. Perché dopo averle detto ti amo le mi faceva notare una nuvola. Una maledettissima nuvola. Alzai lo sguardo verso l’alto, e in un batter d’occhio le sue labbra furono sulle mie. Perché lei era Sana. Sorrisi, mentre cercavo di approfondire il bacio. Lei si staccò di poco, troppo presto perché io potessi realizzare.

“Anche io Aki, anche io ti amo!”

Questa qua è per te

che non ti poi spegnere

non hai mai avuto tempo

devi troppo vivere…

Perché lei era Sana. Perché lei era mia. Perché mi amava e perché l’amavo. Perché non eravamo io e lei, perché eravamo noi. Perché saremo stati noi. Sorrisi e lei con me, poi la baciai, quasi per festeggiare il momento. Dopo un po’ lei si allontanò, mettendosi seduta sulla panchina. Abbassò lo sguardo, come se volesse dirmi qualcosa d’imbarazzante. Poi di scattò alzò gli occhi catturando i miei e sparò fuori parole incomprensibili per la troppo velocità con cui le aveva dette.

“Che hai detto?”

Chiesi confuso e frastornato. Lei abbassò nuovamente lo sguardo, ma questa volta lo tenne fermo sulle sue converse gialle canarino.

“Aki, io ho una fame pazzesca!”

Io scoppiai a ridere, era tremendamente tenera. Mi avvicinai a lei presi dolcemente la mano.

“Che ne dici del sushi?”

“Dico che l’abbiamo mangiato anche ieri!”

“Adesso fai pure i capricci?”

“Ma io non voglio il sushi!”

“Adesso ti lamenti pure quando sei affamata?”

Storse il naso, quasi per cercare di non farsi convincere.

“Hot dog e patatine?”

“Ma allora è proprio vero che vuoi ingrassare?!”

“Akito Hayama non osare fare più battute di questo genere, capito? E ringrazia il cielo che ho fame e che abbia finito i martelletti!”

Aveva finito i martelletti? Finalmente! Adesso dovevo solo trovare il fornitore e corromperlo per non rifornirla più.

“E va bene!”

“Va bene per l’hot dog o per le battute?”

“Scegli tu, ma per una sola!”

“Hayama ti odio!” disse mettendo il broncio e ridendo con gli occhi.

“Peccato Kurata che io ti ami!” lei sorrise.

“Lo sai che è bellissimo quando lo dici?!”

“Ti amo!” sorrise ancora, felice.

“Ho scelto l’hot dog!” disse, cacciando la lingua a due centimetri dal mio viso. Lei si stava già voltando, quando le trattenni il polso facendola girare nuovamente verso di me e improvvisamente la baciai. Perché lei era così, era troppo presa da ciò che faceva per accorgersi delle conseguenze. Perché si era preoccupata per me quando non c’era nessuno disposto a farlo, perché era stata madre, sorella ed amica. Perché mi aveva insegnato ad amare. Perché era così matura e così bambina. Perché era lei.

“Sai Kurata, baci molto meglio adesso! All’inizio eri proprio un impiastro!”

Lei si staccò all’istante, gonfiando le guance, evidentemente irritata dall’affermazione.

“Sai Hayama, oggi è il tuo giorno fortunato!”

È per te questa qua

Per la tua golosità

Ti strofini contro il mondo

Tanto il mondo non ti avrà…

Ci sedemmo ad un tavolo per due all’aperto, a Sana non era mai piaciuto restare chiusa in quei locali, diceva che la puzza di fritto si mischiava con il profumo di pesca dei suoi capelli. Sorrisi al ricordo, ormai ricordavo ogni dettagli che mi avesse mai raccontato. Erano passati tre anni da quando ero finalmente riuscito a dirle che mi piaceva, dopo quella gara, dopo anni di incomprensioni e verità mancate, dopo aver provato più volte a dimenticarla, dopo aver provato persino a non ammettere la verità. Tutto inutile. Certo non le avevo mai detto ti amo, oggi era stata la prima volta. Ci avevo messo tempo per capirlo e soprattutto per dirglielo. Lei però mi aveva aspettato, non mi aveva messo fretta, non me l’aveva detto, forse aveva avuto paura che io non fossi stato pronto a un qualcosa come il ti amo. Eppure oggi… perché lei era Sana, continuavo a ripeterlo, e sapevo che era davvero così, perché lei era Sana. Era popolare, bella, conosciuta, tutti avrebbero potuto desiderarla, ma era e restava solo e soltanto mia, la mia Sana. Sorrisi dei miei pensieri, mentre lei ordinava un hot dog che di hot dog non aveva niente a parte l’hot dog. Ci aveva fatto mettere insalata, pomodori, tonno, maionese, ketchup e patatine.

“Ehi Aki, tu che prendi?”

“Sushi!”

Ordinai anch’io e aspettai che la cameriera si allontanasse.

“Sbaglio o ci hai fatto mettere tutti gli ingredienti possibili ed immaginabili in quella sottospecie di hot dog??!!”

“Sbaglio o la tua ragazza deve mangiare per vivere?”

“Sbaglio o la mia paghetta andrà a farsi benedire?”

Lei rise sarcasticamente, storcendo il muso.

“Molto divertente Hayama!”

“Dai piccola, stavo scherzando!”

I suoi occhi si illuminarono, quasi avesse visto una stella cadente.

“Mi hai chiamata piccola!”

“Non ti piace?”

“Ma si certo che mi piace, piccolo!” sorrise anche lei, mentre io divenni leggermente rosso per l’imbarazzo.

Perché sei viva viva

così come sei

quanta vita hai contagiato

quanta vita brucerai…

Appena arrivò la cameriera con i vassoi, Sana si precipitò sul suo piatto iniziando a divorarne il contenuto. Prese il panino in mano e iniziò a morderlo. Inutile dire che già al primo morso tutto il contenuto era drasticamente caduto sul vassoio, lasciando tra le mani di Sana solo il panino e i pochi resti sfuggiti dalla caduta. Io scoppiai a ridere, divertito dall’accaduto.

“Ma come cavolo hanno fatto questo hot dog? Possibile che non ne sappiano fare uno decente?”

“Possibile che sia tu a non saperlo mangiare?!”

“Hayama!” urlò, facendo voltare tutti nella nostra direzione.

Poi iniziò a lanciarmi le patatine una dopo l’altra, ed io in risposta le lanciai i chicchi di riso. Continuammo così per un po’, fino a quando la mia camicia divenne completamente gialla e rossa. Delle foglie verdi di insalata risaltavano il rosso dei capelli di Sana, da cui spiccavano anche i chicchi di riso, mentre in faccia era ricoperta di maionese. Sui miei jeans c’erano invece delle chiazze di pomodoro mentre il ketchup finito abbondantemente sulla mia camicia stava iniziando a colare anche sui jeans. Ci alzammo e iniziammo a squadrarci.

“Ho vinto io Kurata, stai messa peggio tu!”

“Ti sbagli Hayama! Dovresti guardarti in faccia!”

E così dicendo mi piazzò una bella dose di maionese e tonno sul naso, cospargendolo poi su tutto il viso.

“Aki, io però avrei ancora fame!!”

Scoppiammo a ridere insieme, mentre mano nella mano, sporchi come non mai, ci avviammo, dopo aver pagato conto e danni, verso la gelateria.

“Allora, come lo vuoi questo gelato?” le chiesi, prima di avviarmi per prenderlo.

“Una coppetta. Pesca e limone!”

Sorrisi. Sapevo il perché della sua scelta ma volevo sentirlo dire da lei.

“E perché?”

“Perché il cono non so mangiarlo!” disse, cercando di cambiare discorso. Io sorrisi per questa rivelazione, era davvero una bambina. Poi le poggiai un dito sotto al mento, facendole alzare la testa.

“Perché pesca e limone?”

“Perché sono due gusti che mi piacciono e…”

“E??”

“E perché ti amo!” disse tutto d’un fiato. Io sorrisi, poi le posai un dolce bacio sulla guancia, mentre lei mi abbracciava, stringendosi forte a me.

Che sei viva viva

per quella che sei

niente rate, niente sconti,

solo viva come vuoi…

Ci sedemmo su una panchina del parco piuttosto appartata, nessuno dei due aveva voglia di rimanere sotto lo sguardo indiscreto della gente a cause del nostro abbigliamento.

“Vuoi un po’ di gelato?”

“Si!” mi allungai per assaggiarne un po’, poi realizzato il mio intento tornai indietro. Lei sorrise.

“Ma guardati! Ti sei tutto sporcato intorno alle labbra!” così dicendo prese un fazzoletto che aveva in mano e si avvicinò. Lentamente seguì tutto il contorno delle mie labbra con il fazzoletto, pulendomi dai resti di gelato. Ad un tratto le fermai una mano, attirandola verso di me, poi annullai completamente le distanze. Lei si lasciò andare, portando le braccia dietro il mio collo. Un attimo… portando le braccia dietro il mio collo? Non appena mi scostai dalle sue labbra la vidi mettere il broncio, mentre osservava triste la sua coppetta capovolta a terra.

“Oggi non devo proprio mangiare!” sorrisi anche io, era tutto tremendamente buffo.

“Che ne dici se andassimo a casa a fare una doccia?” chiesi, malizioso.

“Hayama io la doccia la faccio a casa mia e tu a casa tua!”

“Certi certo!” alzai i palmi delle mani in segno di difesa.

Lei mi guardò con lo sguardo di chi la sapesse lunga, poi mi prese per mano e ricominciò a saltellare.

Questa qua è per te

e non è niente facile

dire quello che non riesco

mentre te vuoi ridere…

Frizionai i capelli con l’asciugamano, presi una maglietta e la infilai velocemente. Andai in camera, cercando le chiavi della moto, per poi trovarle sotto al letto… che fosse stata Sana a nasconderle lì?

Parti con un rombo sfrecciando oltre il limite di velocità per le strade affollate di Tokyo. In pochi secondi fui sotto casa sua. Spensi il motore, sicuro che mi sarebbe toccato aspettarla ancora un bel po’. Perché lei era così, una ritardataria di prima categoria, una tuttofare disastrosa e una casinista per eccellenza. Mi guardai intorno e non vidi né l’auto di occhiali da sole né quella della madre di Sana, probabilmente in casa non c’era nessuno. Anche se controvoglia mi costrinsi ad aspettarla fuori, a lei certo non sarebbe piaciuta una sorpresa del genere, si sarebbe trovata solo in imbarazzo. Perché lei era così. Diventava rossa come un pomodoro solo a pensare certe cose, non capiva mai doppi sensi troppo volgari o audaci, non era maliziosa. Perché lei era Sana. L'energica Sana che tira il mondo dietro di sé, che sorride anche se vorrebbe piangere, che piange anche se vorrebbe sorridere. 

Perché sei viva viva

così come vuoi

quanta vita mi hai passato

e non la chiedi indietro mai…

Scese gli scalini davanti al portone, ancora non aveva notato la moto, ne ero sicuro. Alzò gli occhi e mi sorrise, poi li abbassò, notando su cosa ero appoggiato.

“Cosa diavolo hai portato? Forse non ti hanno detto che la discarica è dall’altro lato della città!”

La ignorai, circondandola con le mie braccia.

“Facciamo un giro?”

“Non ci salgo su quel coso!”

“Non ti fidi di me?”

“Non mi fido della moto!”

“Ma la guido io!”

“Motivo in più per non salire! E dire che mi avevi quasi convinta!”

Si svincolò dalle mie braccia, allontanandosi.

“Dove vai?”

“A prendere il casco! Non voglio morire per assecondare i desideri del mio ragazzo!”

Perché sei viva viva

per quella che sei

sempre pronta, sempre ingorda,

sempre viva come vuoi…

Scese dalla moto, nonostante avesse messo il casco aveva tutti i capelli arruffati, sembravano una palla di fieno. Il sole stava tramontando dietro gli alberi, mentre il rosso e l’arancione s’impadronivano del cielo. Ci sedemmo per terra, lei tra le mie gambe, stretta nel mio abbraccio. Tremava, colpa del suo abbigliamento troppo estivo.

“Dai, prendi la mia giacca!”

“Grazie Aki!”

Restammo in silenzio, a guardarci, perché non c’era niente da dire, perché era impossibile descrivere tutto l’amore che provavamo, perché eravamo noi, perché lei era Sana, perché io l’amavo. Ma avvicinai alle sue labbra, poi feci rotta verso l'orecchio. 

“Ti amo!” le sussurrai stando attento a non toccarla per la troppa vicinanza.

“Giura che non cambierai mai idea e che mi amerai per sempre!” disse lei, quasi a supplicarmi.

“Lo giuro!” Non c'era bisogno di prometterlo, sarebbe  stato così, ma volevo accontentarla.

Mi baciò, assaporando il sapore delle mie labbra ed io delle sue.

“Lo giuro anch'io se t'interessa!”

“Certo che m'interessa, m'interessa per sempre!”

“Per sempre!”  Le strinsi forte la mano, mentre con l'altre le circondai le spalle. Lei abbassò la testa sulla mia spalla, poi socchiuse gli occhi..

“Per sempre!” 

Questa qua è per te

che sai sempre scegliere

e io invece non ho scelta

te la devo scrivere…



Angolo autrice

Buon pomeriggio a tutti! Questa è la mia prima fanfic in assoluto, quindi vi prego di essere clementi con me! So che non ha molto senso come storia, ammetto che è venuta fuori in un momento di pazzia, mentre distesa sul letto ascoltavo Ligabue. A proposito, le parti in azzurro costituiscono il testo di una sua canzone, il cui titolo è "Viva!". Lasciate ogni tipo di commenti,  almeno mi aiuterete a migliorare! 1baci8 a tutte quelle che  mi sosterranno, ammesso che qualcuno mi sostenga, e a chi leggerà soltanto...
                                                                                                                                               ...bontina...
  
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Rossana/Kodocha / Vai alla pagina dell'autore: bontina