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Autore: lady lina 77    30/09/2018    3 recensioni
Una nuova fanfiction, una AU (che sarà molto lunga), che parte dal tradimento di Ross della S2. Cosa sarebbe successo se Elizabeth si fosse accorta prima di sposare George, della gravidanza del piccolo Valentine? Cosa sarebbe successo se avesse obbligato Ross a prendersi le sue responsabilità?
Una storia dove Ross dovrà dolorosamente fare i conti con le conseguenze dei propri errori e con la necessità di dover prendere decisioni difficili e dolorose che porteranno una Demelza (già incinta di Clowance) e il piccolo Jeremy lontano...
Una storia che, partendo dalla S2, abbraccerà persone e luoghi presenti nelle S3 e 4, pur in contesti e in modalità differenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Nuovo personaggio, Ross Poldark, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Clowance era nata da tre giorni e Demelza aveva lasciato il letto quasi subito. Non poteva permettersi di poltrire, aveva due bambini piccoli da accudire, una casa grande da mandare avanti e Prudie non poteva fare tutto da sola. Anche se si stancava subito ed era perennemente senza forze, si era imposta di farcela anche quella volta!

La bimba sembrava piuttosto tranquilla, piangeva solo quando era affamata e per il resto stava buona e composta nella culla o nella fascia che si legava in vita, quando doveva portarla in giro per casa. Era una bambina splendida, dai lineamenti delicati e perfetti, con degli occhi chiari e trasparenti e un cipiglio deciso quando si svegliava per la poppata.

Clowance sapeva cosa voleva, era una Poldark... In teoria...

Demelza si era imposta di essere forte e non piangere, anche se di Ross non si era vista nemmeno l'ombra. Piangere per cosa? Non stava succedendo quello che aveva sempre preventivato?

Ross forse aveva voluto credere a quelle sue promesse di esserci, non lo riteneva un bugiardo ma di certo era stato un illuso a pensare di poter gestire la situazione, e il suo silenzio e la sua assenza di quei mesi ne erano la prova. Aveva una nuova famiglia, l'aveva per scelta e aveva voltato pagina, non aveva più tempo per loro e in fondo era giusto così. Aveva scelto Elizabeth e stava costruendo con lei la sua vera famiglia, di quella che aveva reso illegittima non gli importava più nulla. Non sarebbe venuto, non si era presentato nemmeno per conoscere Clowance e non aveva avuto tempo nemmeno di risponderle con una lettera per accertarsi delle loro condizioni dopo quei mesi di silenzio.

Era finita, ora lo aveva capito anche Ross e adesso lei doveva accettarlo e voltare pagina, magari seguendo Dwight e Caroline che erano partiti per Londra quella mattina, dopo essere passati da Nampara per salutarla e per rinnovarle il loro invito ad unirsi a loro. E forse lo avrebbe fatto, ora ne era quasi convinta anche se quella decisione le sarebbe costata sofferenza e dolore. Ma in fondo perché restare? Dwight e Caroline le avevano lasciato un foglio con scritto l'indirizzo della loro casa e una chiave per entrare quando fosse arrivata, a qualsiasi ora del giorno o della notte. Era un gesto bellissimo e di fiducia e amicizia il loro, erano i suoi salvatori in quei giorni tanto bui, l'unico appiglio per iniziare forse una vita migliore. In fondo, cosa c'era in Cornovaglia per lei, adesso?

Su Ross era calato il silenzio e, anche se Demelza aveva il cuore a pezzi e tutto questo la faceva sentire una nullità, non voleva che i suoi figli vivessero le sue medesime sensazioni e forse andarsene sarebbe stata davvero la scelta giusta. Clowance era troppo piccola per capire ma Jeremy no, Jeremy cercava il suo papà e la gioia per la nascita della sorellina si era trasformata presto in un cocente delusione per lui. Per mesi aveva atteso la nascita di Clowance con ansia, collegandola al ritorno del papà a casa e ora che, giorno dopo giorno, non lo vedeva arrivare, si era immalinconito ed era diventato capriccioso e irascibile. Piangeva spesso, cosa che non aveva mai fatto. E Demelza non era in grado di consolarlo, non aveva la forza di fare nulla se non faccende di ordinaria amministrazione della casa che le permettevano di non pensare. Era sempre stanca, pallida, aveva perso peso e le sembrava di essere un fantasma, quando si guardava allo specchio. Cercava di lottare con se stessa per mangiare qualcosa ma il suo stomaco era come chiuso e spesso finiva col vomitare il poco cibo che aveva mandato giù. Per fortuna il latte pareva non mancarle e la piccola Clowance aveva i pasti assicurati ma, se le sue condizioni non fossero migliorate, presto anche l'allattamento ne avrebbe risentito, assieme alla sua salute. Non poteva permettersi di stare male, di piangere, di ammalarsi. Aveva due figli piccoli che avevano già perso il padre, erano soli e lei non li avrebbe abbandonati al loro destino.

"Dovresti piangere ragazza, ti farà bene".

Demelza, seduta sul letto e pronta per andare a dormire, osservò Clowance che riposava tranquilla fra le sue braccia, avvolta nella sua copertina bianca di lana. Il tempo era pessimo, quel giorno il buio della sera aveva abbracciato la Cornovaglia poco dopo le quattro del pomeriggio e di notte probabilmente avrebbe nevicato. Strinse a se la bambina mentre Jeremy se ne stava col faccino attaccato al vetro della finestra ad attendere chissà cosa, chissà chi... "Non posso Prudie, non voglio... Non servirebbe a niente".

"Servirebbe ad alleggerirti l'animo, ti stai ammalando e piangere e urlare un pò ti farebbe bene. Ti tornerebbe anche l'appetito...".

"Domani mangerò!" - le rispose, secca.

Prudie scosse la testa. "Potresti cenare anche stasera, volendo. Preparo del brodo per Jeremy, mangiane con noi anche tu".

Guardò suo figlio. Cenava da solo con Prudie, da quando era nata Clowance e sapeva quanto triste potesse essere per lui ma non ce la faceva. Si sarebbe gettata nel fuoco per i suoi bambini, soprattutto ora, ma non aveva la forza di fare nulla... Si odiava, se fosse stata più forte avrebbe potuto essere una madre migliore e se fosse stata più bella e più perfetta e colta, Ross non l'avrebbe lasciata. E invece era solo la figlia di un minatore, una ragazza che agli occhi di una famiglia come i Poldark avrebbe sempre contato poco, un banale oggetto di poco valore da gettare via quando non serviva più. Così aveva fatto Ross, dopo tutto...

Aveva coronato il suo sogno d'amore con la donna che il suo cuore voleva e lei e i bambini non gli servivano ormai, facevano parte di un passato che Ross sicuramente voleva dimenticare.

"Mamma...".

La vocina di Jeremy la richiamò alla realtà. "Amore, dimmi...".

Jeremy abbassò lo sguardo e poi appoggiò la fronte al vetro della finestra. "E' buio...".

"Sì, stasera le nuvole han fatto venire presto la sera. Usciremo domani a giocare".

"Domani papà arriva?".

Prudie, che stava piegando delle coperte, sussultò. E Demelza prese a tremare senza riuscire a fermarsi, come se quella semplice domanda, che Jeremy le aveva posto innumerevoli volte, avesse frantumato ogni sua difesa. In un attimo il peso di quei mesi dolorosi e difficili le piombò sulle spalle, sentì quasi un dolore fisico frantumarle le ossa e spezzarle il cuore e vide tutto nero. Era troppo debole per resistere ancora e quella domanda di Jeremy era stata la goccia che aveva fatto inaspettatamente traboccare il vaso.

Prudie si accorse che stava male, che stava succedendo qualcosa e in un attimo le fu vicino per sorreggerla con Jeremy che, spaventato, si era avvicinato al letto.

"Mamma...".

"Signora...".

Con le poche forze che le restavano, diede la neonata a Prudie. "Portali di sotto...".

"Ma... Ragazza...?".

Demelza chiuse gli occhi. "Portali di sotto per favore. Voglio rimanere sola per un pò". Pregò che la ascoltasse, che li portasse subito via. Non voleva che i suoi figli la vedessero cadere in mille pezzi e affogare in un pianto disperato che si era tenuta dentro per troppi mesi e che ora urlava per uscire.

Prudie la guardò e sussultò quando vide i suoi occhi finalmente lucidi e le lacrime che avevano iniziato a cadere. Prese saldamente Clowance fra le braccia e poi prese Jeremy per mano. "Su, si va di sotto a preparare la cena mentre mamma riposa. Poi magari più tardi verrà a bere la zuppa con noi".

Jeremy la guardò. "Mamma... piangi?".

Lo accarezzò sulla guancia, dolcemente. "Sono solo stanca e ho un pò di raffreddore tesoro. Mi lacrimano gli occhi... Va con Prudie, dopo scenderò a mangiare con voi quando la zuppa sarà pronta".

Jeremy la guardò smarrito, aveva capito che stava mentendo e nonostante avesse solo tre anni, divenne serio quasi fosse già adulto. "Mangi davvero? Con noi?".

"Sì...".

Prudie lo portò via, cercando di distrarlo con una battuta e Demelza si gettò sui cuscini, col viso, affondando in essi. E appena i passi per le scale si furono attutiti e nessuno poteva sentirla, scoppiò a piangere.

Pianse ogni lacrima che aveva in corpo, ogni lacrima che per mesi aveva tenuto dentro di se, urlò tutto il suo dolore e singhiozzò talmente forte che le fece male lo stomaco.

Pianse per il suo amore che se n'era andato e l'aveva dimenticata, pianse per la vita incerta che l'attendeva, pianse perché lasciare Nampara significava lasciare l'unico luogo che avesse sentito casa sua da quando era nata, pianse per i suoi bambini che sarebbero cresciuti senza un padre e senza alcuna certezza... Pianse perché era disperata ed aveva paura, perché era stanca e debole e non riusciva a riprendersi, pianse perché non avrebbe avuto nessuno a cui appoggiarsi, sarebbe stata sola e ogni decisione sui bambini sarebbe stata una sua esclusiva responsabilità. Pianse per Jeremy che aspettava ancora un padre che non lo voleva più e che forse non lo aveva nemmeno mai amato, pianse pensando a cosa avrebbe detto ai suoi figli da grandi, quando gli avrebbero chiesto di lui...

Pianse per ore, pianse senza riuscire a fermarsi dopo che per mesi si era imposta di non farlo. Garrick, che riposava per terra accanto al letto, saltò sul materasso e si stese al suo fianco, leccandole dolcemente una guancia. Le rimase vicino, in silenzio, senza abbandonarla, dandole quell'amore discreto e puro che solo i cani sanno dare. Lo strinse a se, cercando come da bambina, di trovare in lui un appiglio per non sprofondare. Bagnò il cuscino, le lenzuola, la sua camicia da notte e pian piano si sentì più leggera e la morsa allo stomaco si attenuò. E poi, sfinita, si addormentò e cadde in un sonno breve ma profondo, buio e senza sogni né incubi. Le lacrime si asciugarono sulle sue guance lasciando una traccia di sale sul suo viso e sulle sue labbra e dormì, cercando in quel sonno la pace per rialzarsi, cenare e ricominciare a vivere.

Fu il profumo della zuppa a svegliarla, che arrivò alle sue narici dalla fessura sotto la porta. Sapeva di carne, di carote e di patate, di casa e di serate invernali attorno al camino.

Si costrinse ad alzarsi, ricordando quanto promesso a Jeremy. Era sfinita, si sentiva svuotata di tutto ma, per la prima volta da mesi, incredibilmente leggera. Era debole, il pianto e lo stomaco vuoto l'avevano spossata ma in un certo senso si sentiva più forte di poche ore prima.

Forse Prudie aveva ragione, aveva bisogno di piangere per riprendere a vivere...

Si guardò allo specchio, sembrava un fantasma da quanto era pallida e non voleva essere così. No, i suoi figli non l'avrebbero vista in quello stato, aveva loro e loro erano un valido motivo per vivere.

Anche lontano dalla Cornovaglia.

Si pettinò, si risciacquò il viso, si tolse la camicia da notte e si vestì. Poi si avvicinò al comodino del letto, prendendo ed aprendo la busta che Dwight aveva lasciato per lei. Lesse quell'indirizzo di quella città lontana e a lei sconosciuta ma che poteva rappresentare il suo futuro. Non voleva appoggiarsi eccessivamente sui suoi due amici ma al momento doveva ingoiare il suo orgoglio e rimanere da loro, finché non si fosse ripresa. Poi avrebbe iniziato a camminare nuovamente da sola, coi suoi figli.

Si guardò attorno, in quella stanza dove era diventata donna e madre. Lasciare Nampara sarebbe stato doloroso ma sarebbe stato ancora più difficile restare, ora che Ross aveva reso chiaro che per loro non ci sarebbe più stato. Non avrebbe permesso che i suoi figli crescessero affacciati a quella finestra, ad aspettare qualcuno che non sarebbe mai venuto per loro. No, loro meritavano di più! E pure lei!

Ross aveva fatto la sua scelta e lei avrebbe fatto altrettanto, non doveva chiedergli il permesso per andarsene, per legge lui non aveva più alcun diritto su di loro, oltre che doveri.

Deglutì, prese un profondo respiro e scese al piano di sotto con Garrick che le trotterellava dietro. Aveva pianto, si era disperata e ora si sentiva nuova. Doveva riprendere a mangiare, preparare i bagagli, sistemare le ultime incombenze e poi partire.

Prudie, appena la vede, la osservò preoccupata ma poi le sorrise notando la sua espressione più forte e decisa. "Tutto bene?".

Demelza annuì, chinandosi ad abbracciare Jeremy che le correva incontro. Lo prese in braccio, lo baciò sulla fronte e gli fece il solletico sul pancino. "Mai stata meglio! Anzi, ho deciso che faremo un viaggio".

Prudie, che stava mescolando la zuppa sul fuoco, le sorrise. "Londra?".

"Londra, sì! Dobbiamo preparare i bagagli e prenotare la carrozza per il viaggio. Ci metteremo all'opera domani".

Jeremy le tirò il colletto del vestito. "Dove andiamo?".

Lo strinse a se, controllando Clowance che dormiva nella cesta, sulla panca dov'era seduta. "In una grande città! Vedrai, ti piacerà! Andremo da zia Caroline e da Dwight, nella loro nuova casa. Sarà bellissimo vedrai! Tu, io, Garrick, Prudie e Clowance ci divertiremo un sacco e faremo tante cose nuove".

Jeremy a quelle parole, abbassò lo sguardo, quasi timoroso. "Papà?".

Si morse il labbro, ora veniva la parte difficile. "Papà non viene, resta quì! Pazienza, ci divertiremo tanto senza di lui...".

Jeremy non sembrava eccessivamente contento. "Sì mamma...".

Lo strinse a se, cercando di infondergli coraggio. "Ti fidi della mamma?".

"Sì".

"E allora tranquillo, ti prometto che saremo tanto felici".

"Giura!".

"Giuro...".

Prudie divenne pensierosa, si avvicinò e le poggiò una mano sulla spalla. "Come ce lo paghiamo il viaggio? Se non vuoi usare i soldi che il signore ha lasciato... e non hai voluto quelli del dottore e di sua moglie...".

Demelza si morse il labbro, aveva pensato anche a quello poco prima, mentre si spazzolava i capelli. Voleva iniziare una nuova vita e doveva liberarsi di tutto quello che l'aveva legata a Ross. C'era qualcosa che ancora non era riuscita a lasciare e, visto il valore, ora poteva fare al caso suo. Sarebbe stato difficile fare anche quel passo ma in fondo quell'oggetto non le serviva più a niente. "Domani, mentre fai i bagagli, andrò a Truro. Posso vendere la fede, è un anello d'oro e dandolo al banco dei pegni, ci ricaverò la cifra necessaria per il viaggio".

Prudie impallidì. "La fede? Ma...".

Demelza la bloccò seccamente, non voleva sentire obiezioni al riguardo. "Non mi serve più, posso venderla! Ciò che mi serve ora è mangiare ed essere in forze per allattare Clowance e andare in città domani. Portami la zuppa per favore".

Prudie non aggiunse altro. Si avvicinò alla pentola, prese un piatto e lo riempì fino all'orlo.


...


Aveva aspettato alcuni giorni prima di partire e quando la neve aveva smesso di scendere dando una breve pausa dal gelo alla gente della Cornovaglia soffocata da quell'inverno durissimo, si era messa d'accordo col cocchiere e aveva lasciato Nampara.

Era stata la cosa più difficile di tutte, quella. Erano partiti al mattino presto quando i bambini ancora dormivano e lei, dopo aver messo in carrozza i due piccoli con Prudie e Garrick e caricato i bagagli, aveva passato alcuni minuti da sola girando una ad una le stanze ormai deserte e silenziose di quel posto che avrebbe sempre amato e sempre portato nei suoi ricordi. Accarezzò quel letto testimone di un amore che per lei era stato assoluto, sia verso Ross che verso i bambini che lì vi erano nati, guardò quella cucina dove aveva cucinato da sguattera prima e da moglie poi, sfiorò la scrivania nella biblioteca dove spesso, con Ross, si era soffermata a guardare mappe e piantine delle loro miniere, diede un'ultima malinconica occhiata al suo amatissimo giardino.

Girò tutta la casa, mentre ancora una volta il suo viso era inondato di lacrime. Era la fine di un'epoca, di un mondo, della sua vecchia vita. Ma era giusto così, era la casa di Ross quella, la casa che gli era stata lasciata in eredità dai suoi genitori e lei e i bambini la stavano occupando illegittimamente, dopo l'annullamento del matrimonio. Il loro futuro era altrove adesso...

Uscì, chiuse la porta con la chiave, se la mise in tasca e si asciugò le lacrime. Poi si diede un tono, salì sulla carrozza e prese in braccio Clowance, stringendola a se ed ispirandone il profumo buono che ogni neonato aveva impresso sulla pelle.

Diede segno al cocchiere di partire e per prima cosa, prima di incamminarsi verso Londra, si diresse verso l'ultima tappa prima di iniziare quella nuova vita.

Percorsero i sentieri infangati che da Nampara portavano a Trenwith, con la carrozza che sobbalzava e rischiava di impantanarsi ad ogni curva e, quando furono abbastanza vicini, chiese al cocchiere di fermarsi e diede Clowance a Prudie. "Aspettami quì coi bambini. Vado a portare a Ross le chiavi di Nampara, torno subito".

Prudie strinse a se i due piccoli ancora addormentati. "Non li porti con te? Non vuoi che il signore li veda, prima di...".

Lo sguardo di Demelza si indurì. "No, non vedo motivo per farglieli incontrare. Jeremy piangerebbe, a Ross non importerebbe e a me verrebbe il fegato amaro. Non è più il loro padre, non mi pare che loro gli manchino e prima Jeremy si dimentica di lui, meglio è". Dopo aver pianto si sentiva forte, decisa, pronta a fare quanto necessario per i suoi figli e per la loro felicità. Scese dalla carrozza, percorse il sentiero che portava a Trenwith, oltrepassò il giardino e bussò con decisione.

Credeva sarebbe arrivata una domestica ad aprirle, era mattino presto, ma con sorpresa si trovò Ross davanti, con la mantella indosso e probabilmente pronto ad andare in miniera. Sussultò, spalancando gli occhi come se vedesse un fantasma, appena realizzò che lei era davvero lì. "Demelza...".

"Non ti agitare, mi fermerò solo un attimo" – rispose, freddamente. Sentì di volerlo picchiare, in quel momento... Come aveva potuto non venire nemmeno a conosocere la loro piccola, bellissima Clowance? Come poteva guardarsi allo specchio sapendo di non aver preso in braccio la sua bambina? Come poteva aver dimenticato Jeremy?

Non saresti dovuta venire a Trenwith”. La voce di Ross sembrava stanca e lui sembrava di colpo invecchiato di dieci anni.

Demelza osservò Ross e si accorse che, nonostante cercasse di apparire fermo, la sua voce tremava e faticava a guardarla in viso. Era sfinito dalla situazione, era evidente. E lei era stanca, aveva partorito da poco e nulla le era stato d'aiuto, in un momento tanto delicato. “Non mi fermerò molto, devo solo darti una cosa” - ripeté, con un filo di voce.

Ross abbassò il capo, immaginando più che bene perché lei fosse quì. “Ho ricevuto la tua lettera... Il bambino... La bambina? Beh, come sta? Volevo venire ma è successo un disastro quì e... cerca di capire... ho bisogno di tempo per gestire tutto e capire come farlo... Avevi ragione, è difficile, quasi impossibile far funzionare le cose e sto cercando un modo... Scusa se non ho potuto fare altro che scriverti una lettera di risposta”.

Lettera? Di cosa parli?”. Demelza lo guardò e non provò nulla. Il suo cuore era talmente dolorante e a pezzi che non riusciva più a sentire niente. Dolore, rabbia, delusione... Avrebbe voluto avvertirli ma la sua mente e il suo cuore erano come una tavola bianca e opaca. Si sentiva svuotata, morta, finita per quel che riguardava loro due. E se non fosse stato per i suoi due bambini, si sarebbe abbandonata all'oblìo ma doveva vivere, con loro e per loro. Erano la sua ragione di lotta e nessuna delle farfugliate giustificazioni o scuse di Ross avrebbe più potuto ammorbidirla o farla vacillare dalla sua decisione. “Non devi giustificarti, non fa niente, non sei obbligato a prestare attenzione a noi”.

Demelza...” - chiese lui, accigliato - “Non hai ricevuto la mia lettera?”.

Non so di cosa parli e onestamente non mi interessa”.

Ross sussultò, sorpreso e smarrito. “Sei sicura? Demelza, so che sei arrabbiata ma ti prego, questo tuo atteggiamento non aiuta”.

Non sono arrabbiata, sono solo molto stanca”.

Lui abbassò il capo. “Lo vedo... Sei così pallida, sembri malata. E sei dimagrita così tanto...”.

Mi riprenderò!”.

Lo so, sei più forte e brava di me in questo. Credi che per me sia facile tutta questa situazione?”.

Lei fece un sorriso strano, privo di gioia o sarcasmo. “Non so come sia per te, ma ti assicuro che al momento io sto peggio”.

Ross sospirò, si sentiva ferito e in colpa, era evidente. “Come stai? E il nostro bimbo? Demelza, vederlo era quanto più desideravo”.

Lei deglutì. Non era la LORO bambina. Era solo sua... “Stiamo tutti bene”.

E' un maschio? O una femmina?”.

Non ha importanza”.

Ross ispirò profondamente, frustrato. “Demelza, ti prego”.

Lei non disse nulla, non ne aveva la forza. Allungò la mano, prese quella di quell'uomo che un tempo era stato suo marito, una mano che l'aveva accarezzata, che aveva stretto la sua e l'aveva sorretta mentre cresceva e, in un gesto che le fece sentire una profonda fitta al cuore, fece scivolare fra le sue dita la chiave. “Credo che debba ridartela”.

Ross osservò quanto aveva fra le mani mentre un'espressione di terrore prendeva possesso del suo viso. “Cosa significa?”.

E' la chiave di Nampara. E' casa tua ed è giusto che la riabbia tu, a me non servirà più”.

Lui si avvicinò, prendendola per le spalle. “Demelza, che significa?”.

Me ne vado. Coi bambini, lontano da qui... Prudie vuole venire con me e io non sono riuscita a farle cambiare idea. Devo andare via o impazzirò e questo farà solo male ai miei figli”.

Ross spalancò gli occhi. Era annientato e si sentiva impotente, terrorizzato... “Te lo proibisco”.

Lei si scostò da lui. “Non ne hai alcun diritto, lo ricordi che non sono più tua moglie?”.

Non ne ho diritto? Te ne vai coi miei figli, dannazione!”.

Lei sorrise tristemente. “Non sono più i tuoi figli, hai fatto una scelta e non siamo più la tua famiglia. Non legalmente almeno e nemmeno di fatto visto che da mesi nemmeno vieni a farci visita”.

Gli occhi di Ross divennero lucidi. “Sarei venuto a Nampara, devi solo darmi tempo. E' tutto complicato e faccio del mio meglio ma sarei venuto! Davvero! Non mi importa cosa dice la legge, ho due figli con te e io mi sento e mi sentirò sempre loro padre. Amo i miei figli e... Dannazione, DEVI aver ricevuto quella lettera!”.

Ross, non sono una bugiarda! Non SO di cosa parli!!!”.

Ross, disperato, scosse la testa. “Come può essere...?”. Poi si voltò verso la porta di Trenwith che aveva chiuso alle sue spalle e il suo sguardo divenne improvvisamente cupo. “Demelza, posso spiegarti tutto...”.

Lei lo bloccò, stava per dire qualcosa che non era pronta e non voleva sentire. “La tua famiglia ora è questa, Ross. E' a loro che devi pensare, ad Elizabeth e al bambino che nascerà. Non hai risposto al mio messaggio quando ho partorito, non inventare scuse, e ora mi rendo conto che hai fatto bene, ciò che succede a noi non ti deve più riguardare. Hai la tua famiglia, quella che hai sempre sognato e desiderato, e io devo mandare avanti la mia, scegliendo il meglio per i miei bambini”.

Demelza, andare dove? Per fare cosa? Dannazione, devi restare, sono qui e sarò sempre qui per voi”.

Lei scosse la testa. “Andrò ovunque ci sia un posto per me dove ricominciare. Andrò dove sarò serena e lo saranno i miei figli. Andrò dove Jeremy potrà dimenticarti e non passerà più ore alla finestra ad aspettarti, piangendo e chiedendomi se è colpa sua se sei andato via. Andrò dove potrò lavorare, sono la figlia di un minatore e non sono certo la prima che viene abbandonata dal suo uomo. Se davvero ami i bambini, non fare storie e fammi andare via in pace. Per il loro bene e per il tuo, lascia che vada via. Tu potrai iniziare la tua vita serenamente con il bambino che nascerà e io potrò ricostruire la mia, di vita”.

Ross le strinse il polso, la attirò a se. “Demelza, ti prego, non è come pensi, questo non è quello che io voglio... Dimmi almeno dove hai intenzione di andare, dove cercarti...”.

Non voglio che tu mi cerchi, questo è un addio Ross. Ti auguro di essere felice, davvero! Ora potrai vivere con la donna che sogni da sempre, con il tuo amore, quello vero. Non pensare a me, a noi... Andrà bene, io saprò cavarmela e tu in pochi mesi ti sarai dimenticato di me e dei bambini e sarai semplicemente felice come lo è ogni uomo a cui la donna che ama da un figlio”.

Ross la lasciò andare, capì anche lui che non poteva fermarla e che forse davvero non ne aveva alcun diritto. L'aveva persa e chiederle di restare forse sarebbe stato l'ennesimo atto egoistico nei suoi confronti. Era stanca, distrutta, sull'orlo di una malattia e se voleva il suo bene e il suo bene era lontano da quell'inferno, doveva lasciarla andare. “Sarei venuto da te, quando Elizabeth partorirà, io...”.

Demelza sorrise, tristemente. “Ross, lo sai meglio di me che poi saresti rimasto bloccato da altre scuse. Non saresti venuto e io non permetterò che i miei bambini restino sempre alla finestra di casa ad aspettare qualcuno che per loro non troverà mai tempo”.

Ross strinse i pugni, arrendendosi all'evidenza di quella realtà. Ormai capiva anche lui che non c'era alternativa, che non ce n'erano mai state. “Ti prego, almeno scrivimi, di tanto in tanto”.

No Ross. Non ne vedo il motivo”.

E i bambini?”.

Lei sorrise tristemente. “Saranno felici, farò in modo che lo siano”.

Poi lo guardò un'ultima volta e lo vide fragile, sperso, indifeso e impotente. Sembrava un uomo finito ma era certa che presto sarebbe rinato e che sarebbe stato felice di nuovo. Era la decisione giusta, quella che aveva preso. Deglutì, si morse il labbro e si impose di non piangere oppure tutti i suoi buoni proponimenti sarebbero svaniti in un attimo. Gli si avvicinò, gli diede un delicato bacio sulla guancia e poi si allontanò cercando di impedire alle lacrime di scendere. “Buona fortuna, Ross”.

Girò le spalle, accelerò il passo e si diresse al cancello di Trenwith. A pochi metri, nascosta fra gli alberi, c'era la carrozza con Prudie e i suoi figli. Era ora di partire, era ora di andare via e cercare di vivere. Lontano...

Salì sulla carrozza, chiuse il portellone e sprofondò fra i cuscini, cercando di regolarizzare il suo respiro.

Prudie le strinse la mano. “Come stai?”.

Bene, credo...”.

Lo hai visto?”.

Sì, mi ha aperto lui di persona... Sembrava stanco e ha parlato di una lettera... E' arrivato qualcosa per me nei giorni scorsi, da Trenwith?”.

Prudie scosse la testa, pensierosa. “No, nulla”.

Demelza alzò lo sguardo e fissò il soffitto mentre anche quell'ultima illusione svaniva. “Lo immaginavo...”.

Sei sicura di volerlo davvero fare?”.

Demelza guardò i suoi bimbi che dormivano ancora tranquilli e incoscienti di quello che succedeva attorno a loro. “Sì, lo sono. Non c'è motivo per restare, lui ha scelto e lo devo fare pure io. In fondo lo sapevo fin dall'inizio, è solo colpa mia”.

Cosa?” - chiese Prudie, spalancando gli occhi.

Lei sorrise tristemente, mentre la carrozza iniziava il suo placido cammino. “L'ha sempre amata, Elizabeth. Come avrebbe potuto amare me, la figlia di un minatore? Non sono mai stata alla sua altezza e nemmeno lontanamente paragonabile alla perfezione di Elizabeth. L'ha sempre amata Prudie, sempre. E il vero amore a volte ci mette tanto, a volte si perde e deve percorrere strade tortuose per ritrovarsi ma poi ce la fa, dovessero volerci anni, lacrime e dolore. Il vero amore vince sempre...”.

Prudie restò in silenzio e con quel pensiero e quelle parole, Demelza lasciò la Cornovaglia.

  
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