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Autore: Emmastory    30/09/2018    5 recensioni
Un anno è trascorso alla foresta delle fate. Ormai è inverno e non più primavera, e con il tempo che scorre e la neve che cade, la giovane Kaleia non sa cosa pensare. Il tempo si è mosso lesto dopo il volo delle pixie, con l'inizio di un viaggio per una piccola amica e il prosieguo di uno proprio per lei. Che accadrà ora? Nessuno ne è certo oltre al tempo e al destino, mentre molteplici vite continuano in un villaggio e una foresta incantata. (Seguito di: Luce e ombra: Il bosco delle fate)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Capitolo XVII

Magia bianca e magia nera

Come ormai ero abituata ad aspettarmi, la moltitudine dei miei pensieri mi aveva fatto compagnia per tutta la notte, prendendomi metaforicamente la mano e tacendo solo quando ero finalmente riuscita a scivolare nel sonno. Nient’altro che ricordi della serata trascorsa e del mio vivere di fata, fino ad ora costellato di difficoltà che insieme a Christopher ero riuscita a superare. Anche se da poco, avevo ricevuto in dono un ciondolo proprio da lui, notando che sembrava brillare in base al mio stato d’animo e alla stabilità dei miei poteri, mostrando il suo vero color smeraldo e saltando agli occhi di chiunque si fermasse ad ammirarlo. Seppur sveglia, restavo con il viso schiacciato nel cuscino, sentendo il regolare battito del mio cuore e la pacatezza del mio respiro. Uno sporadico raggio di sole filtrava oltre il vetro della finestra chiusa, e mattiniera come sempre, non potevo negare di essere felice. Lieto di salutare il nuovo giorno, anche Bucky si era svegliato, scattando in piedi come una molla e squittendo nello scendere dal letto, con un velocità tale da rischiare di schiantarsi al suolo. Per sua fortuna, un tappeto attutì la sua caduta, e quando finalmente arrivò a terra, diede inizio ad una seconda scalata fino alla finestra. Emozionato come mai l’avevo visto, guardavo fuori con gli occhietti scuri pieni di speranza, grattando saltuariamente il vetro con gli artigli di una zampa. “Che c’è? Vuoi uscire, piccolo?” chiesi, sorridendo nel vederlo così attivo rispetto a ieri, quando sembrava aver mangiato così tanto da non riuscire a muoversi. Guardandolo, vidi un sorriso stamparsi sul suo dolce musetto, e appena un attimo dopo, un leggero movimento della testolina. Non sapevo se gli scoiattoli come lui potessero davvero annuire, ma lasciandomi vincere dalla tenerezza dell’espressione che vantava in quel momento, decisi di aprire la finestra, rivelandogli un modo come un altro per raggiungere la sua tanto amata foresta, che ormai ero arrivata a considerare l’elemento di entrambi. “In piedi di buon’ora, vero, fatina mia?” disse una voce alle mie spalle, che pur non voltandomi riconobbi quasi subito. Era Christopher, e bofonchiando contro la morbidezza del cuscino su cui ogni notte posava la testa, non sembrava avere alcuna voglia di alzarsi. “Scusa, Bucky mi ha svegliata.” Risposi a malapena, incantata dalla bellezza del paesaggio visibile appena oltre quell’immacolato vetro. “Da quando prendi ordini da un topo?” scherzò, regalandomi un debole sorriso e liberandosi dalla morbida trappola delle coperte al solo scopo di sedersi sul letto. “Chris, anche tu? Non è un topo, quante volte ancora tu e Sky continuerete a ripeterlo?” chiesi di rimando, non cogliendo affatto la sua solita vena goliardica, che alle volte diventava leggermente irritante. “Finchè saprò che ti fa scaldare tanto. Sei bellissima quando ti arrabbi.” Continuò lui, portando avanti quel gioco che mi sforzavo di odiare e in cui fallivo ogni volta. “Christopher!” chiamai, esasperata e divertita al tempo stesso, andando a sedermi con lui e posandogli un bacio sulla guancia. “Scusa, Kaleia.” Replicò allora lui, alzando le mani in segno di difesa. Sospirando, annuii lentamente, e con la stessa lentezza, uscii dalla stanza. “Non sei davvero arrabbiata, giusto?” chiese poco dopo, confuso dalla mia decisione e forse in colpa per ciò che aveva fatto. Voltandomi, lasciai andare la maniglia della porta, e sorridendo, attesi che mi venisse incontro. Non appena fu abbastanza vicino, mossi un solo passo nella sua direzione, e nello spazio di un momento, lo accolsi fra le mie braccia. “Come potrei avercela con il mio dolce custode?” dissi in un sussurro, abbozzando l’ennesimo sorriso preludio di un casto e caldo bacio sulle labbra. Colto alla sprovvista, Christopher esitò per un attimo, ma a disastro scongiurato si unì a me nel bacio, lasciando che ne controllassi ogni istante con amore. Volendo osare, non esitai nel chiedere di approfondirlo, grata di un permesso che ero comunque sicura di non veder negato. Innamorati come sempre,ci baciammo fin quasi a non aver più fiato in corpo, e non appena arrivò il momento di staccarci, mi mordicchiai il labbro, alla furtiva ricerca del suo sapore. “Kaleia, tesoro…” mi chiamò, dolce come solo lui sapeva essere. “Sì, amore mio?” risposi, prendendogli le mani per infondergli il coraggio che gli mancava. Grato e forse anche sorpreso dal mio gesto, lui rimase fermo e inerme a fissarmi, lasciando che il verde dei suoi occhi si fondesse con l’azzurro dei miei. Di nuovo senza fiato, non riuscii a parlare, e tradendo ogni mia speranza, la magia di quel momento si spezzò. Eravamo ancora vicini, così tanto da riuscire a toccarci, ma le mie mani non sfioravano più le sue, ed era come se la connessione fra noi, magica o naturale che fosse, avesse smesso di esistere. Confusa, non proferii parola, e attimi dopo, altre due parole abbandonarono le sue labbra. “Ti amo.” Disse soltanto, romantico come ogni volta che eravamo insieme. In quel momento, un ennesimo sorrise mi si dipinse in volto increspandomi le labbra, e annuendo, lo rassicurai ancora. “Ti amo anch’io, protettore.” Risposi, utilizzando forse per la prima volta quel titolo di cui solo pochi al nostro mondo potevano fregiarsi. “Preferisco l’altra parola, cara, sai?” mi fece notare, serio e al contempo stranamente interessato all’alquanto personale modo che avevo di rivolgermi a lui. “Quale, custode?” azzardai, stringendogli di nuovo le mani e lasciandomi sfuggire una risata. “Precisamente.” Replicò lui, sorridendo con dolcezza e cogliendomi di sorpresa con quello che ben presto divenne un altro magnifico contatto delle nostre labbra. Respirando a fondo, abbandonai le mie mani nelle sue, lasciandogli stavolta condurre quella danza e ritrovandomi letteralmente con le spalle al muro, bloccata in una trappola dalla quale non avrei mai voluto fuggire. Ero fra le sue braccia, fra le braccia di un uomo che riusciva a farmi sentire amata, unica e speciale soltanto sfiorandomi, e ogni volta che accadeva, non potevo mai fare nulla per fermare la miriade di brividi intenti a percorrermi la schiena. Stavamo insieme da relativamente poco, ma a noi non importava, in quanto l’unica cosa a contare davvero era la nostra felicità. Totalmente presa dal bacio, chiusi gli occhi, e solo quando li riaprii mi resi conto del tempo che era effettivamente trascorso. Il sole era ancora alto nel cielo come ogni mattina, ma dando uno sguardo alla piccola sveglia posta sul mio comodino, capii che avevamo dedicato alle effusioni una manciata di minuti. Non che la cosa ci disturbasse, anzi, ma dato il suo mestiere e i miei poteri di fata, io e lui tendevamo ad avere sempre gatte più grosse da pelare. A tal proposito, arrivando in salotto fummo accolti entrambi da Willow, evidentemente contenta di vederci e decisa a mostrarcelo miagolando senza apparente sosta, finchè proprio Christopher non si abbassò per accarezzarla. Fuori fra l’erba, Bucky non era con me, e almeno per una volta, la gatta di casa non si sarebbe divertita a tormentarlo. Arrendendomi alla sua tenerezza, l’accarezzai a mia volta, e notando che aveva la ciotola vuota e lo stomaco pieno, rimasi immobile per non indurla a scappare, poi la vidi sedersi su due zampe e giocherellare con una sorta di canna appesa al muro, da cui pendeva una piuma colorata. Un giocattolo che mia madre le aveva comprato durante una giornata fuori porta, e del quale la mia amica a quattro zampe sembrava essere entusiasta. Improvvisamente, non sembrava avere occhi che per quello, e ridendo di gusto, andai ad accomodarmi sul divano. “Non ti va di uscire oggi?” mi chiese Christopher, curioso. “No, restiamo qui. Ogni tanto è bello rilassarsi.” Risposi, mettendomi comoda e chiudendo gli occhi per un attimo, per poi aderire allo schienale del divano e respirare profondamente. Quasi senza volerlo, liberai un debole sbadiglio, e per tutta risposta, Christopher mi cinse un braccio attorno alle spalle. Un gesto che mi piaceva, e per cui in ogni situazione sembrava trovare sempre il tempo, specialmente durante occasioni e presentazioni, come era successo con i suoi genitori o sua sorella Leara. Non la vedevo da tempo, e nonostante le nostre differenze, prima fra tutte il suo essere parte di una famiglia di protettori come suo padre e suo fratello, a volte mi scoprivo intenta a pensare a lei e a come potesse sentirsi. Sapevo bene di poter semplicemente chiedere a Christopher, ma ad essere sincera, dovevo ammettere che vagare con la mente e immaginare scenari differenti dal normale fosse più stimolante e mi aiutasse a mantenere la calma, elemento chiave nella gestione dei miei poteri. Seduta sul divano, scivolai nel silenzio, e sporgendomi leggermente, pur senza alzarmi, ricordai di aver lasciato sul tavolino poco distante quel famoso libro dalla copertina nera, per molto tempo scartato e solo ora ripreso in mano. Conoscendomi, sapevo di non avere una chiara idee delle mie vere radici di creatura magica prima e ibrido poi, e nonostante Christopher fosse letteralmente a pochi centimetri da me, leggere quelle pagine mi sembrava la cosa giusta da fare. Certo, l’eventualità che contenesse altre brutte notizie sul conto di noi fate esisteva ancora, ma con il passare del tempo avevo pensato, arrivando a convincermi che se il peggio non aveva mai una fine, anche i mali stessi a volte non arrivavano per nuocere. In altre parole, conservavo un ottimismo a dir poco invidiabile, del quale il mio caro custode appariva orgoglioso. Ad ogni modo, e dopo solo pochi minuti passati a leggere ogni pagina girandole una ad una ad intervalli regolari, il caso volle che arrivassi di nuovo a quella che avevo ricevuto dalla signora Vaughn e che poi vi avevo conservato, ossia la pagina che testimoniava a chiare lettere quella che lei considerava una realtà, ovvero la possibilità che io e Sky fossimo ibridi, o che forse, per qualche assurdo scherzo del destino, tale sorte fosse capitata solo e soltanto a me. Non avendo mai conosciuto i nostri veri genitori, né io né lei potevamo esserne completamente sicure, e ignorando stoicamente delle probabili mezze verità appese a degli immaginari fili, vivevo la mia vita con lentezza e calma piatta, sfruttando ogni giorno per quello che era e ringraziando il sole, le stelle e la luna per avermi concesso di spenderlo accanto a chi amavo. Riflettendo, pensavo spesso alla fortuna che avevo nel poter contare su Christopher e sulla sua famiglia, ma anche su Sky e sul resto della mia, che ovviamente comprendeva anche compagni a due o quattro zampe. Calmo e tranquillo, Christopher mi guardava leggere, e pur non scoprendo alcuna novità, continuavo, documentandomi sulle origini di ognuna di noi e su come potevamo mescolarci agli umani senza alcun problema. In genere non dovevamo far altro che nascondere le ali ed evitare di spargere in giro la nostra sottile polvere di fata, e il nostro aspetto, in tutto simile a quello di un normale essere umano, avrebbe fatto il resto. Tutto questo mi portava a pensare al rapporto di Sky con Noah, e quando finalmente posai il libro, con le mani vuote e prive di qualunque altra notizia che già non conoscessi, Christopher parve avere un’illuminazione, e alzandosi in piedi, mi lasciò da sola in salotto per pochi minuti, per poi tornare indietro con in mano un altro tomo, che al contrario del primo, aveva la copertina chiara. “Ami leggere, perciò ho pensato che potesse servirti. Appartiene alla mia famiglia da generazioni, e non l’abbiamo mai mostrato ad anima viva. È prezioso, perciò fa attenzione, e non aprirlo a meno che il tuo cuore non ti dica di farlo, intesi?” mi avvisò, posandolo sul piccolo tavolo davanti a me e tenendoci sopra la mano perché non si aprisse. Annuendo, lo vidi spostarla, e solo allora, vidi che a chiuderlo c’era un lucchetto. Piccolo, sobrio ed elegante, quasi si nascondeva fra le pagine, dando al loro contenuto quell’alone di mistero che sembrava caratterizzare ogni essere del mondo magico. Ormai ero una fata adulta, ma sentivo di aver ancora molto da imparare, potendo comunque affermare con certezza una lezione che avevo già appreso in tenera età dalle fate più anziani, ovvero la divisione degli incantesimi e dei sortilegi del nostro mondo in due distinte categorie. Magia bianca e magia nera.

 
   
 
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