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Autore: Shainareth    01/10/2018    5 recensioni
Quando tieni la mano di un uomo che ti fa battere forte il cuore e ti fa sentire frastornata ed eccitata, allontanati da lui. Non è l'uomo per te.
Se tieni la mano di un uomo che ti fa sentire confortata e sicura, tienti stretta a lui. È l'uomo che dovresti sposare.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO SETTIMO




Nino si sentiva inquieto. Quando Adrien gli aveva fatto quella confessione poco prima della pausa pranzo, lui era andato subito sul chi va là. Per tante buone ragioni. Anzitutto, c’era da considerare che Adrien era sì, un ragazzo sognatore, ma comunque abbastanza maturo e con la testa sulle spalle; pertanto, per arrivare a fare un’affermazione del genere, significava che doveva essere certo di ciò che provava. In secondo luogo, questa cosa come avrebbe potuto influire sulla sua non proprio rosea situazione familiare? Suo padre lo teneva sempre sotto stretta sorveglianza, per questo a Nino venne spontaneo chiedersi se Adrien non avrebbe sofferto la mancanza di privacy – dovuta anche alla sua immagine pubblica – che un’eventuale relazione sentimentale invece avrebbe richiesto. Ancora, chi era la fortunata che era riuscita a fare breccia nel cuore del modello adolescente più famoso di tutta Parigi?
   Il primo nome che era venuto in mente a Nino, come c’era da aspettarsi, era stato quello di Marinette: non erano già stati scambiati per una coppia da più di una persona? Non andavano forse d’amore e d’accordo su tutto? Non sembravano illuminarsi non appena si trovavano insieme? Nino doveva forse dedurne che quella domenica mattina passata al parco era stata rivelatoria per Adrien?
   La cosa che però preoccupava Nino era un’altra: se non fosse stata Marinette, la ragazza di cui Adrien si era innamorato, lui cos’avrebbe dovuto fare? Dirlo o non dirlo ad Alya? Sentendo tutto il peso della posizione scomoda in cui si trovava, il giovane si fece coraggio e, al termine delle lezioni pomeridiane, si rivolse ad Adrien con tutta la calma di cui fosse capace e gli sorrise. «Mi offri qualcosa da bere?»
   «Avrei preferito che una domanda del genere me l’avesse rivolta una ragazza, ma… affare fatto», ribatté l’altro, facendolo ridere e guadagnandosi un pugno sulla spalla da quell’amico che gli era caro come un fratello.
   «Quindi ti piacciono le donne intraprendenti», concluse Nino, cominciando ad indagare mentre attraversavano la strada che li avrebbe condotti al parco vicino.
   Adrien sorrise. «Sì, certo», ammise senza remore, inducendolo ad assottigliare le labbra in un’espressione pensierosa. Marinette sapeva essere molto intraprendente, ma non quando si trattava di avere a che fare con il ragazzo di cui era innamorata. Ciò stava a significare che costituiva un’eccezione nei gusti di Adrien o che quest’ultimo si stava riferendo ad un’altra?
   «E lei lo è?» domandò allora, mentre insieme si avvicinavano ad un distributore automatico. «La ragazza che ti piace, intendo.»
   Il giovane modello rimase in silenzio per qualche istante, inserendo le monete nella fessura dell’apparecchio. «In realtà è proprio di questo che volevo parlarti», disse poi, recuperando la prima lattina che era stata erogata e passandola all’amico. «La persona di cui sono innamorato non ricambia i miei sentimenti.»
   Nino strabuzzò gli occhi, incredulo: sul serio esisteva una donna al mondo capace di non cadere ai piedi di Adrien Agreste? Si ricordò ben presto della sua, di donna, e se ne compiacque: almeno Alya, per quanto bene potesse volere al loro amico, di certo non aveva mai dato segno di essere una sua fan. «Ok…» cominciò allora, spostando il peso del corpo da un piede all’altro, mentre Adrien recuperava anche la seconda lattina. «Per affermare una cosa del genere, immagino che tu ti sia dichiarato…»
   «Qualcosa del genere, sì», rispose con una smorfia. I suoi occhi persero la loro naturale lucentezza e la linea della sua bocca tremò appena. «Lei è stata chiara: ama qualcun altro. Che però non ricambia.»
   «Oh», si lasciò scappare Nino, provando una stretta al cuore per lui. E per Marinette. «Che situazione… spiacevole.»
   «Abbastanza, sì», ammise Adrien, lo sguardo fisso sulla bibita che aveva comprato e che ancora rimaneva sigillata. «Soprattutto perché lei soffre per colpa sua e io non posso fare nulla per aiutarla.» Con un moto di rabbia, finalmente si decise ad afferrare la linguetta di metallo e a tirarla via. Riprese a camminare, dirigendosi non più verso il parco ma in direzione del fiume. «C’è però una cosa che volevo chiederti», ricominciò dopo qualche attimo, affiancato dall’altro ragazzo. «Vorrei che tu fossi sincero.»
   «Non lo sono sempre stato?»
   «Certo. Per questo mi sono rivolto a te: sei il mio migliore amico e so che non mi tradiresti mai.»
   Su questo Adrien poteva esserne più che certo, considerò Nino, inorgogliendosi per quella fiducia incondizionata da parte sua. Riconsiderò il suo dubbio circa l’eventualità di raccontare quella storia ad Alya e decise che non lo avrebbe fatto. «Di che si tratta?»
   L’altro esitò, scendendo con lui gli scalini che portavano al lungosenna. «Di recente mi è stato fatto notare che forse…» Tentennò, cercando una panchina su cui sedersi. La trovò e riprese a camminare. «Forse mi piace anche qualcun’altra», soffiò infine, lasciandosi cadere sulla seduta.
   Rimasto in piedi di fronte a lui, per Nino fu facile intuire di chi stesse parlando. «Marinette.»
   «Marinette», confermò Adrien con un sospiro, rifuggendo ancora il suo sguardo. Sembrava combattuto e per nulla certo di ciò che aveva appena affermato. Ammetterlo ora ad alta voce lo faceva sentire più confuso di prima: libero e colpevole al contempo.
   «Ti vuole molto bene, lo sai?»
   «Ed io ne voglio a lei.»
   «Sai anche che tu le piaci?»
   Finalmente sollevò gli occhi su Nino, mostrandogli un’espressione vagamente stupita. «Sì… cioè, è una mia fan. Come tante altre.»
   Il suo amico trattenne il fiato: davvero Adrien non aveva ancora capito niente? Convenendo con se stesso che sarebbe stato super partes in quella circostanza, Nino sedette accanto a lui. «D’accordo, mettiamola così, allora…» cominciò, ponderando bene alle parole da usare. «Ricordi l’altro giorno, quando siamo andati a casa di Max per il torneo?»
   «Che c’entr…» Quelle parole si persero al vento quando Adrien comprese dove lui volesse andare a parare. «Intendi quando hanno travisato il mio rapporto con Marinette.»
   Nino annuì. «Devi ammettere che il vostro è effettivamente un rapporto fraintendibile.»
   «È proprio questo che non riesco a capire: perché la gente lo pensa?»
   «Perché vi siete scambiati un pegno.»
   «D’amicizia», precisò Adrien.
   «D’accordo, certo», gli venne incontro l’altro, sollevandosi il cappello per grattarsi la testa e cercando di fargli aprire gli occhi in modo diverso. «Spiegami, allora, perché tu pensi che forse Marinette ti piace.»
   «Che lei mi piaccia è un dato di fatto», rispose lui all’istante. «È una delle persone migliori che io conosca. È gentile e altruista, buona e…»
   «Ti piace passare del tempo con lei?»
   «Molto», confessò ancora, continuando a rimanere fermo nella propria posizione. «Come mi piace passarlo con te.»
   «Spero che nessuno pensi che siamo una coppia.»
   «Grazie al cielo questo ancora non me lo hanno chiesto», rise Adrien, lieto che il suo amico avesse deciso di smorzare la tensione in quel modo. «È solo che ho una…» Tacque, non riuscendo a trovare la parola esatta. «Predilezione?» domandò quasi a se stesso, non del tutto certo che fosse il termine giusto.
   Nino posò la lattina vuota per metà accanto a sé, si tolse il cappellino e se lo rigirò fra le mani. «Lo abbiamo notato tutti», disse allora, evitando di guardare verso il giovane per non metterlo a disagio. «Ed è anche per questo che in molti fraintendono.»
   «Beh… non dovrebbero.»
   «Ti sei mai accorto che, quando si tratta di Marinette, cominci quasi a scodinzolare?» Adrien si volse a fissarlo con tanto d’occhi, la mascella spalancata quasi l’altro gli avesse fatto un oltraggio. Ed in effetti, come gatto, sentirsi paragonare ad un cane… «Non guardarmi così, è la verità», si difese Nino, facendo spallucce. «Ho perso il conto di tutte le volte che ne hai tessuto le lodi, che lei fosse presente o meno.»
   «Solo perché le merita, tutto qui», si giustificò Adrien, sentendosi sempre meno sicuro di sé.
   Nino si umettò le labbra. «Sai… prima di mettermi con Alya, anch’io avevo una cotta per Marinette.»
   «Io non ho una cotta per Marinette!» protestò esasperato il suo amico.
   «Però poi mi sono reso conto che non avrei concluso nulla, rimanendo fermo dov’ero», lo ignorò lui, proseguendo con il filo del discorso. «Tu mi hai fatto coraggio e mi hai spinto a farmi avanti, ma io ho peggiorato le cose, inventandomi di essere preso invece da Alya. Neanche lo avessi previsto.» Sorrise, divertito dallo strano senso dell’umorismo della vita. «Con Marinette ero sempre nervoso, con Alya invece riesco ad essere me stesso senza problemi. Mi dà sicurezza e grazie a lei sento di essere cresciuto, migliorato in qualche modo. E credo che questo sia dovuto anche al fatto che, prima di metterci insieme, eravamo già molto amici.»
   «Anche io e la ragazza che amo siamo molto amici», ci tenne a puntualizzare Adrien, incrociando le braccia al petto con aria stizzita. «E non ho problemi a dirle ciò che provo. Nessun imbarazzo.»
   «Che tipo di rapporto avete? Alla pari?»
   «Sì, certo. Anche se… beh, a volte mi sento un po’ sciocco, accanto a lei…» fu costretto ad ammettere, perdendo di nuovo parte della propria sicurezza. «Lei è più in gamba di me.»
   «E che tipo di rapporto hai con Marinette?»
   Pur tentennando perché preso in contropiede da quella domanda, Adrien rispose: «Alla pari, anche in questo caso. Però… temo che alle volte lei abbia soggezione. Cioè… che sia lei a considerarmi il più in gamba dei due.»
   «Ed è così?»
   «Stai scherzando?! Marinette è… è… grandiosa!» esclamò con tutto l’affetto che sentiva di provare per lei, aprendo le braccia ai lati del corpo per enfatizzare la sua affermazione. «Ha tante belle qualità, è una tosta e sa fare tante cose!»
   «Quindi ti senti inferiore anche a lei…» concluse Nino, cercando di capirci qualcosa. A conti fatti, al momento gli sembrava che Adrien gli stesse parlando di Marinette e dell’altra ragazza come se fossero la stessa persona. Soprattutto, non lo aveva mai visto parlare di qualcun altro con quello stesso entusiasmo.
   «Cosa…? No… siamo alla pari», replicò il giovane Agreste, non capendo davvero dove lui volesse andare a parare. «Anche se spesso è lei a sentirsi da meno, rispetto a me, mentre a volte mi sembra che sia il contrario», considerò poco dopo, a mezza voce.
   «Questo è un rapporto alla pari», commentò l’altro, cominciando a tirare le somme. «Prendi Kim.»
   «Cosa c’entra, lui, ora?!»
   «È corso per un pezzo dietro a Chloé, mettendola su un piedistallo e comportandosi, di fatto, come se lui fosse solo uno zerbino da calpestare. Senza amor proprio.»
   Di nuovo Adrien non si trattenne dal ribattere con fare stizzito. «Se sono in disaccordo con la persona che amo, glielo dico senza fare troppe storie. Non le sono inferiore e lei mi tratta molto meglio di come ha sempre fatto Chloé con Kim.»
   «E questo ti fa onore», si complimentò Nino, posandogli una mano sulla spalla nella speranza di tranquillizzarlo. «Ad ogni modo, Kim ha dovuto rinunciare a lei, si è messo il cuore in pace e ha persino iniziato a frequentare un’altra ragazza. Una sua cara amica.»
   Adrien sospirò, abbandonando la posa piccata mantenuta fino a quel momento. «In soldoni, mi stai consigliando di lasciar perdere la ragazza che amo e che non ricambia i miei sentimenti e di concentrarmi invece su qualcuno che potrebbe avere maggior affinità con me?» Scosse il capo. «Non ne sono convinto. Soprattutto perché l’affinità ce l’ho anche con… beh, con lei», balbettò, quasi sul punto di pronunciare il nome di Ladybug. Per quanto si fidasse di Nino, almeno quel particolare voleva tenerlo per sé per evitare sospetti di sorta circa la sua seconda identità. «Inoltre, anche se facessi come dici tu, non so quanto funzionerebbe: Marinette è già innamorata di qualcuno.»
   Nino inarcò le sopracciglia scure. «Come lo sai?»
   «Me l’ha detto lei, più o meno», rispose Adrien, scuotendo le spalle e prendendo un sorso dalla lattina.
   «E… ti ha anche detto di chi si tratta?»
   «No. Né io ho chiesto. So però che anche lei non ha la fortuna di veder ricambiate quelle attenzioni.»
   Stringendo di nuovo le labbra e corrucciando la fronte con aria fortemente perplessa, Nino provò una fitta di dispiacere per Marinette ed un lieve moto di rabbia nei confronti del giovane che gli sedeva accanto. Non voleva fargliene una colpa, ma Adrien a volte sapeva essere davvero ottuso. O più semplicemente, concluse fra sé un attimo dopo, Adrien non aveva la malizia necessaria per pensare di essere al centro dei pensieri della loro amica. «Ciò nonostante… sei stato colto comunque dal dubbio che lei possa piacerti. Come ragazza, intendo.»
   Mordicchiandosi il labbro inferiore, Adrien annuì. «Visto che in molti fraintendono… può darsi che io non mi accorga di certe cose perché mi riguardano troppo da vicino… e anche perché non ho… esperienza.»
   Nino gli sorrise con affetto. «Già, può darsi.»
   «Eh», mormorò l’altro, passandosi nervosamente una mano fra i capelli biondi e abbassando lo sguardo. D’istinto, tornò con la memoria alle confidenze che lui e Marinette si erano scambiati, benché lei non ne fosse cosciente. «Credi…» Si umettò le labbra con la punta della lingua e cercò dentro di sé il coraggio per continuare. «Credi che, se iniziassi a frequentarla davvero, ne uscirebbe fuori qualcosa di buono?»
   «Un passo alla volta», disse Nino, muovendo un braccio verso di lui e calcandogli sul capo il proprio berretto. «I sentimenti sono una questione delicata e il cuore delle persone è fragile. Va trattato con i guanti.»
   «Quello di Marinette di sicuro», convenne Adrien, tirando in giù la visiera per nascondersi alla sua vista. «Non voglio prenderla in giro. Non voglio che soffra ancora. Ci tengo troppo, a lei.»
   Ancora una volta Nino sorrise, intenerito dalla sensibilità e dall’affetto che quel giovane provava per la loro amica. «Siate onesti l’uno con l’altra, allora. Vedrai che, in un modo o nell’altro, sarete entrambi capaci di fare chiarezza con voi stessi.»

Adrien e Nino erano andati via insieme. Nulla di insolito, a ben guardare, tuttavia Marinette non poteva fare a meno di sentirsi inquieta. Questo perché, non sfuggendole mai niente che riguardasse il ragazzo di cui era innamorata, si era accorta dell’espressione turbata con cui lui aveva lasciato l’aula. Cos’era accaduto? Inoltre, anche lei non riusciva ancora a scacciare dalla mente il sogno fatto quella notte, sogno del quale ancora si vergognava non poco e che le causava tanto, troppo imbarazzo. Avrebbe dovuto semplicemente accantonarlo come tanti altri, lo sapeva bene; in fin dei conti, una volta non aveva sognato una fuga d’amore con un gorilla alieno che era ricercato per tutta la galassia? Ancora ne rideva fra sé, quando ci ripensava… Perché, dunque, questo nuovo viaggio onirico avrebbe dovuto essere diverso? Sì, diamine, aveva baciato Chat Noir, ma… ma.
   Volgendo lo sguardo all’orizzonte, verso l’imponente Notre-Dame che, pur nella splendida Parigi, dal suo balcone sembrava spiccare come una rosa nel deserto, Marinette dovette riconoscere ancora una volta di aver provato un brivido caldo per quel sogno. Era stato talmente realistico che ancora le pareva di sentire il respiro di lui sul viso, il morbido contatto delle sue labbra sulle proprie. Come avesse voluto rigirare il coltello nella piaga, la sua mente la riportò al vero bacio che si erano scambiati tempo prima, per San Valentino; di certo era stato un atto dovuto all’emergenza del momento, una sorta di manovra di soccorso come poteva esserlo la respirazione artificiale. Ciò nonostante, Marinette si domandò se quel gesto non avesse avuto molta più importanza del dovuto: era il bacio d’amore che nelle fiabe salva la bella principessa. Si strinse nelle spalle, abbassò lo sguardo e ridacchiò fra sé. Istericamente, per quella dannata situazione; divertita, perché di nuovo aveva paragonato Chat Noir ad una principessa.
   Come fosse stato una calamita per il suo cuore, qualcuno giù in strada attirò la sua attenzione: Adrien. Era in compagnia di Nino ed entrambi stavano tornando verso la scuola dalla Senna. Curiosa, Marinette li seguì con lo sguardo e li vide fermarsi all’incrocio, in attesa che il semaforo diventasse verde per i pedoni. Di sicuro Adrien stava andando a lezione di scherma, pensò la ragazza, che sapeva a memoria ogni suo impegno quotidiano. I suoi occhi si persero nella contemplazione di quella testa bionda e lei posò il gomito sulla ringhiera del balcone, il mento sulla mano. Sospirò, innamorata come sempre. Che avesse provato un brivido d’eccitazione per un sogno che riguardava un’altra persona era irrilevante. Se ne convinse in quel momento: il suo amore per Adrien non era certo così fragile da essere messo in crisi da una cosa del genere, figurarsi.
   Quelle sue considerazioni vennero interrotte bruscamente quando vide l’oggetto dei suoi desideri alzare il capo e voltarsi nella sua direzione: i loro sguardi si incrociarono. Dopo un attimo di giustificato stupore da parte di entrambi, Marinette drizzò la schiena di colpo e se resistette all’impulso di correre in casa a nascondersi fu solo perché Adrien le sorrise e sollevò la mano per salutarla, imitato poco dopo da Nino. Come fosse stata un automa, la ragazza rispose agitando la destra a mezz’aria, timidamente, mentre sulle labbra le si disegnava quel solito, sciocco sorriso che spegneva ogni sua funzione vitale. Il semaforo scattò e i due giovani attraversarono la strada, tornando a voltarle le spalle.
   Le gambe di Marinette cedettero e lei si ritrovò accucciata sui talloni, il viso bollente per l’imbarazzo nascosto fra le mani. Adrien aveva forse pensato che lei lo stesse spiando? Che seguisse ogni sua mossa? Il che era vero, per carità, ma lui non doveva saperlo in alcun modo! Era già parecchio imbarazzante che sapesse delle foto che tappezzavano le pareti della sua camera…
   Prese fiato e si fece coraggio, tornando a sbirciare in direzione della scuola. Adrien e Nino si erano fermati ai piedi della scalinata di ingresso, probabilmente per salutarsi. Non fecero in tempo a farlo che qualcosa di inaspettato investì in pieno Adrien, scaraventandolo a terra. Nino urlò, Marinette si erse di nuovo sulle gambe, temendo che l’amato si fosse fatto male. Quando si rese conto di ciò che stava accadendo, non perse tempo e scappò in casa. «Tikki!» chiamò agitata, mentre il piccolo kwami già accorreva da lei. «Trasformami!»
   Un attimo dopo era già sospesa in aria, diretta come un razzo verso l’aggressore di Adrien. Lo sbalzò via con un calcio, facendolo rotolare lontano, e subito si pose a difesa dell’amato, yo-yo alla mano in caso di un nuovo attacco. «Non azzardarti mai più a fare una cosa del genere!» esclamò, il sangue che le ribolliva nelle vene. Nessuno poteva trattare Adrien in quel modo. Nessuno poteva trattare chiunque altro in quel modo. «Voi due», disse poi, rivolgendosi ai suoi amici senza però distogliere lo sguardo dall’akumizzato, «via di qui. Mettetevi in salvo.»
   «Ladybug!» mormorò Adrien, alzandosi sulle ginocchia e guardando la scena con stupore. Si sentiva ancora stordito per la botta ricevuta e solo adesso stava cominciando a capire cos’era successo. Avvertì Nino accanto a sé, accorso subito per dargli aiuto. «Tutto bene, amico?» si sentì chiedere. Neanche rispose, concentrato com’era sulla figura in rosso che gli stava davanti. Era lei la donna per cui spasimava davvero, la persona più importante, l’unica padrona del suo cuore. Ancora una volta era lì, bella, fiera e coraggiosa, pronta a dare il tutto e per tutto per difendere chiunque avesse avuto bisogno di lei.
   Un verso roco ferì le loro orecchie. Era basso, cavernoso, e solo dopo alcuni istanti riuscirono a capire che si trattava di una risata. Partiva dal profondo della gola dell’akumizzato e diveniva via via più alto, accompagnando i movimenti dell’essere che si stava rimettendo lentamente in piedi. Quando accadde, si volse nella loro direzione, mostrando un cappello a falde larghe, sormontato da una grossa piuma scarlatta, e una cappa azzurra sul cui petto spiccava una grossa croce. Non era molto alto e questo lasciava intuire che forse si trattava di un ragazzo. Calzava degli stivaletti larghi e scuri che gli arrivavano a metà polpaccio e le sue mani erano fasciate in guanti dello stesso colore. Nella destra stringeva quello che aveva tutta l’aria di essere un fioretto, che gli conferiva in tutto e per tutto l’aspetto di un moschettiere uscito direttamente dalle pagine di uno dei romanzi di Alexandre Dumas. «Ladybug», disse atono, mentre con un gesto elegante della mano si toglieva il cappello per renderle omaggio con fare cavalleresco. «Sono felice tu sia qui. Devo prendere il tuo miraculous, ma non subito», iniziò a spiegarle coprendosi di nuovo il capo con calma, come se non avesse alcuna fretta di rispondere all’attacco ricevuto. «Prima ho una missione più importante da compiere.»
   «Di che stai parlando?» pretese di sapere la ragazza, per nulla intenzionata ad abbassare la guardia, benché quell’ennesimo duello di spade la impensierisse alquanto.
   «Quel bel faccino alle tue spalle», rispose l’akumizzato, assottigliando gli occhi in direzione di Adrien, «ha avuto l’ardire di portarmi via qualcosa di prezioso.»
   «Di che si tratta?» cercò di capirci di più Ladybug, sperando che nel frattempo i suoi amici si dessero una mossa e sparissero da lì. E magari anche che Chat Noir accorresse al più presto; in due avrebbero avuto maggiori possibilità di vittoria, soprattutto considerato il fatto che il suo collega era uno schermidore molto più in gamba di lei.
   «Marinette Dupain-Cheng.»
   Quasi le scivolò lo yo-yo di mano, mentre la mascella di Adrien ricadeva verso il basso, rivelando tutta l’incredulità che quell’affermazione aveva suscitato in lui. «Ma di che diavolo…?» annaspò, troppo stupito per riuscire ad articolare il resto della frase.
   Il moschettiere socchiuse gli occhi, fissandolo con livore attraverso quelle fessure inquietanti. «Vi ho visti, ieri mattina», sibilò con rabbia. «Al parco. Mano nella mano.»
   «Era inciampata, non volevo che cadesse…» tentò di giustificarsi il giovane con voce incerta, non sapendo se dovesse tranquillizzare prima il nemico o, piuttosto, Ladybug. Non poteva permettere che anche lei fraintendesse il rapporto che aveva con la sua compagna di classe. Oltretutto, aveva già rischiato che accadesse una cosa del genere per colpa di Lila: e se Ladybug si fosse convinta che lui era un ragazzo poco serio? Doveva rimediare. «Marinette è solo un’amica.»
   Adrien non poteva neanche sospettarlo, ma nel tentativo di salvare le apparenze, le sferrò invece l’ennesima, crudele stilettata in pieno petto. Il cuore le fece male, la vista le si offuscò e dalla gola risalì tutta la frustrazione per quella dannata verità che le devastava l’anima. Marinette avrebbe potuto lasciarsi andare al pianto, forse; Ladybug no. Fu per questo che, cercando di scacciare le lacrime che erano salite a bagnarle le ciglia, la ragazza serrò i denti e strinse di nuovo la presa attorno alla propria arma.
   «Ciò che affermi è irrilevante, se poi le tue azioni ti smentiscono appieno», ringhiò ancora l’akumizzato. «Pagherai per avermela portata via! Non ti perdonerò! Mai!»
   Con un inaspettato e rapido movimento, il moschettiere si scagliò contro di lui. Ladybug lo intercettò, riuscendo a deviare la lama del nemico. «Via di qui!» urlò di nuovo a Nino e Adrien, che ancora rimanevano fermi dov’erano. Accidenti! Ma chi diamine è, questo tizio?! Marinette davvero non riusciva ad associarlo a nessuno di sua conoscenza. Gli unici altri akumizzati che avevano usato una spada come arma erano stati il maestro di scherma di Adrien, monsieur D’Argencourt, e Kagami. Suppongo quindi che anche questa volta l’akuma debba trovarsi nell’arma con cui mi sta attaccando, ragionava fra sé la ragazza, mentre cercava di attirare l’attenzione del moschettiere lontano da lì per permettere ai suoi amici di fuggire.
   Rimase delusa, perché l’akumizzato non la seguì e, anzi, tornò a rivolgersi con fare aggressivo verso Adrien. Quest’ultimo spintonò via Nino e parò il colpo di spada con la borsa dei libri, che venne letteralmente tagliata in due. Per un attimo il giovane sudò freddo, ma poi si ricordò che Plagg era nel taschino interno della sua camicia e tirò un vago sospiro di sollievo. Non durò a lungo, perché l’altro ripartì subito all’attacco, pronto a sferrare un nuovo affondo. Il filo indistruttibile dello yo-yo di Ladybug gli si attorcigliò attorno al braccio, impedendogli il movimento fatale. «Adrien, scappa!» gridò ancora l’eroina, terrorizzata che potesse accadergli qualcosa. Lui la fissò negli occhi per un lungo istante, ma alla fine decise di darle retta e, dando voce a Nino di correre a casa, si allontanò velocemente da lui e dal luogo dello scontro per non metterlo in pericolo.
   L’akumizzato, però, fu lesto a liberarsi dalla presa del nemico e seguì Adrien, reclamando vendetta. Ladybug gli si mise alle costole e l’altro tentò l’affondo, che per poco non colpì l’obiettivo. La ragazza urlò disperata, il cuore che batteva a mille per paura di non fare in tempo, e, stringendo i denti, fu lei ad avventarsi su Adrien, riuscendo così a schivare un nuovo attacco e salvando il giovane. Rotolarono insieme per un tratto di strada e, senza quasi neanche lasciargli il tempo di capire cosa stesse accadendo, Ladybug agguantò l’amato per la cintola e se lo issò in spalla con una forza bruta che mai ci si sarebbe aspettati di trovare in un corpicino così sottile e sinuoso. «Dobbiamo andarcene da qui, alla svelta», gli spiegò spiccia, ricorrendo al proprio yo-yo e balzando così da un tetto all’altro del quartiere. Fu solo quando furono in prossimità della villa di Gabriel Agreste che si decise a metterlo giù. «Va’ a casa. Sbrigati», gli ordinò in tono freddo, mentre Adrien ancora tentava di recuperare l’equilibrio sulle gambe. Essere sballottati in aria in quel modo non era del tutto piacevole… avrebbe dovuto tenerlo a mente, la prossima volta che gli fosse capitato di fare la stessa cosa a Marinette o a chiunque altro.
   «Grazie…» riuscì a farfugliare infine.
   Lei gli voltò le spalle, rifuggendo il suo sguardo. «È il mio lavoro», disse atona.
   Adrien s’irrigidì. Ladybug non si era mai comportata in modo tanto freddo, di sicuro non con lui – né quando portava la maschera né quando non la portava. «Ladybug…» iniziò, non sapendo in realtà cosa dirle. Non avendo idea del perché fosse in quello stato umorale, non poteva sbilanciarsi in alcun modo. Non come Adrien, per lo meno. Era arrabbiata con lui? Impossibile… non ricordava di aver fatto nulla di male. A meno che non si fosse bevuta la balla raccontata dall’akumizzato, e cioè che lui e Marinette stavano insieme. E anche se così fosse stato, questo avrebbe significato solo che Ladybug era gelosa di lui. Impossibile anche questo. O no?
   Non ebbe tempo di fare o dire altro, che la ragazza sparì, lasciandolo però con un saluto vago e imbronciato. Risoluto a vederci più chiaro, anziché tornare a casa, Adrien si allontanò di corsa da lì. Riuscì a trovare un posto sicuro solo dopo diversi minuti e subito ricorse ai poteri del proprio miraculous. Trasformato in Chat Noir e col cuore che tremava per la sorte dell’amata, alle prese con un avversario capace di darle del filo da torcere, Adrien si affrettò a tornare da lei per darle man forte. La trovò a qualche isolato di distanza, che di nuovo sfuggiva agli attacchi del nemico. Senza pensarci un secondo di più, vedendola in seria difficoltà, il giovane lanciò il suo bastone verso il moschettiere, che si schermò con un braccio per evitare di essere colpito al capo. «Chat Noir!» esclamò Ladybug, tirando finalmente un sospiro di sollievo.
   «Ti sono mancato?» domandò lui, balzandole accanto dopo aver recuperato la propria arma.
   «Per una volta sì.»
   «Come sarebbe a dire per una volta?!»
   L’akumizzato non attese che loro potessero scambiarsi altri convenevoli. «Era ora che ti facessi vedere, randagio», iniziò, ricomponendosi e salutando il nuovo avversario con un ostentato inchino, tipico dei gentiluomini del diciassettesimo secolo.
   «Il piacere è tutto mio, D’Artagnan», rispose lui, inchinandosi a sua volta con fare lezioso. «Certo che, per proporci l’ennesimo spadaccino, Papillon deve aver finito le idee», commentò sottovoce, rivolgendosi alla collega.
   Lei si strinse nelle spalle. «Peccherà di originalità, forse, ma sa bene che la scherma è il mio punto debole, perciò… tanti auguri», disse quasi divertita, battendogli una mano sulla spalla.
   Chat Noir ghignò, lieto che l’amata avesse recuperato il sorriso. «Non preoccuparti, m’lady, ti proteggerò io da questo vile marrano!»
   «Voglio ben sperarlo», replicò Ladybug, lasciando che il partner si frapponesse tra lei e il nemico. «Se avessi tardato ancora ad arrivare, probabilmente mi avrebbe fatta a fettine.»
   «Nah, di sicuro ti saresti inventata qualcosa», le diede invece credito il giovane, certo delle capacità della propria collega. «Ma ora ci sono io, perciò non preoccuparti di niente.»
   «A quanto pare, dovrò togliere di mezzo voi prima di sfidare Adrien a singolar tenzone», li richiamò all’ordine l’akumizzato. «Pertanto, se sei pronto, randagio, possiamo iniziare il nostro du…»
   «Un momento!» lo interruppe Chat Noir, che voleva vederci chiaro in tutta quella faccenda. «Perché tutto questo astio verso quel povero ragazzo?»
   L’altro serrò le mascelle. «Mi ha portato via Marinette!»
   «E due…» sospirò l’eroe, demoralizzato. Voleva davvero metterlo in cattiva luce agli occhi della sua buginette? «Fammi capire… pensi davvero che Marinette fosse tua?»
   «No!» affermò con foga Ladybug, sentendosi punta sul vivo e anticipando per questa ragione la risposta del moschettiere. «Come ti salta in testa che una ragazza tanto assennata possa intendersela con un… un…» Non riuscendo a trovare delle parole sensate, ruggì esasperata. «Insomma, chi diavolo sei?! E come conosci, Marinette?!»
   «Frequenta la mia stessa scuola», iniziò allora a spiegare l’akumizzato, pur con voce che tradiva tutta la sua frustrazione. «Ma non l’avevo mai notata finché non ha fatto una selezione per entrare nel corso di scherma di monsieur D’Argencourt.»
   «Ah», commentò atono Chat Noir, arrivando alla conclusione che quel tizio fosse un suo compagno e che in quell’occasione dovesse aver perso la testa per Marinette. Certo che ne aveva di ammiratori, lei… Non che Adrien si sentisse di dar loro torto: la sua amica era una delle ragazze più carine che conosceva e, meglio ancora, aveva un cuore d’oro ed un cervellino niente male. Dietro di lui, la stessa Marinette rimaneva basita ad ascoltare ciò che quello spadaccino stava raccontando, certa come mai prima di allora di non sapere affatto di chi si trattava.
   «Da quel momento, ho cominciato a seguire ogni sua mossa…»
   «Si chiama stalking, lo sai?» borbottò Chat Noir, incrociando le braccia al petto con fare decisamente irritato: guai a lui, se avesse solo provato ad infastidire Marinette. La quale, alle sue spalle, si fece piccola piccola per via dei sensi di colpa: con Adrien, lei non era poi così dissimile da quell’esaltato vestito da moschettiere…
   «…e poi l’ho vista in televisione», continuò quello, stringendo le mascelle e falciando rabbiosamente l’aria con la lama della spada. «Ho visto la sua camera tappezzata di foto di quel damerino biondo.»
   «E non hai pensato che potesse essere soltanto una sua fan?» gli tenne testa Chat Noir, deciso a difendere la sua amica fino alla fine.
   «Era ciò di cui mi ero convinto, difatti», rispose l’altro.
   Le mie amiche hanno ragione a dire che i ragazzi non capiscono un accidenti… Fu questa la conclusione a cui giunse Marinette, tirando un parziale sospiro di sollievo.
   «Fino a che ieri mattina non ho visto quei due insieme, al parco, che passeggiavano felici mano nella mano», ringhiò ancora l’akumizzato.
   Chat Noir si passò le dita artigliate sul viso con aria demoralizzata. «Non potresti semplicemente aver frainteso?»
   «Non ha importanza.»
   «Ce l’ha eccome!» ribatté, sempre più indignato. «Non puoi saltare a conc…»
   «Non ho più voglia di perdermi in chiacchiere», lo interruppe il moschettiere, cambiando improvvisamente idea. «Prima mi occuperò di quel dannato e poi mi prenderò i vostri miraculous!» Non finì di dirlo che una fitta alla testa lo costrinse ad inginocchiarsi a terra e a portarsi entrambe le mani sotto la tesa del cappello. «Sì… sì… va bene… ho capito…» annaspò in tono sofferto. «Prenderò prima i miraculous di Ladybug e Chat Noir e poi mi occuperò di Adr…» Gridò, come se qualcuno gli avesse perforato la mente, in modo così straziante che i due eroi provarono una stretta al cuore. Era Papillon la causa di quella sofferenza?
   «Non c’è tempo da perdere», disse risoluta Ladybug, decisa a mettere fine a quel supplizio. «Chat Noir, dobbiamo portargli via la spada. Sono sicura che l’akuma si nasconde lì.» Forte della distrazione dell’avversario, avanzò spedita verso di lui con l’intento di sottrargli l’arma.
   «Attenta!» esclamò Chat Noir che, più accorto di lei, la spintonò di lato e parò un fendente improvviso col proprio bastone. Era bastato un attimo perché l’akumizzato tornasse del tutto sotto al controllo di Papillon e ne eseguisse gli ordini. Piantandogli la suola della propria calzatura sul petto, l’eroe lo calciò lontano da sé e si mise in posizione da combattimento. «Visto che Adrien non c’è», iniziò poi, un sorriso spavaldo in volto, «sarò io a difendere l’onore di Marinette.»












Con una settimana di ritardo rispetto alla tabella di marcia, e a quasi un mese dall'ultimo aggiornamento, rieccomi qui. Chiedo mille volte scusa, ma gli imprevisti, il lavoro, altri progetti (importanti) ed il calo di ispirazione dovuto anche ai flame dei fan (che sono la cosa che più mi allontana dai fandom) mi hanno tenuta lontana da questa storia (e più in generale dal computer).
Sono alle prese con il quindicesimo capitolo e sono ormai lanciata verso il finale. Non lo credevo possibile, e invece... ringrazio per questo soprattutto Raffy Chan, che ascolta i miei scleri, condivide i suoi con me e mi consiglia per il meglio. ♥
Non mi dilungo oltre e mi scuso ancora per la lunga attesa. Un abbraccio e un grazie a tutti voi che siete ancora qui a leggere questa storia.
Shainareth





  
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