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Autore: coldays    01/10/2018    2 recensioni
CLASTIAN, What if? in Edom
E se il fuoco celeste non avesse funzionato e Clary fosse rimasta intrappolata all'Inferno con il suo demoniaco fratello? E se decidesse di non cedergli, di continuare a resistere a lui e i suoi Ottenebrati? Riuscirebbe a resistere sola nel regno di Edom, o troverà un improbabile alleato? Riusciranno i suoi amici a salvarla? Ma si trova realmente in pericolo?
Poiché accade sovente con ciò che si è perso e poi ritrovato che lo si ritrovi diverso da come lo si è lasciato...
"Quella di ogni Shadowhunter è una vita di sangue e cicatrici ma tu, sorella, sei stata crudele con me..."
Ritorno sul fandom dopo anni, con una nuova Clastian shipposissima, enjoy!
Genere: Erotico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clarissa, Jace Lightwood, Jonathan
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
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A way out
«everything I do, it comes undone
and everything is torn apart
and it’s the hardest part…»

The hardest part, Coldplay

Clary non avrebbe saputo dire per quanto tempo rimase sdraiata a terra, ad osservare il punto in cui la sua famiglia, i suoi amici e Jace erano scomparsi. Intorno a lei gli Ottenebrati si affaccendavano intorno a suo fratello, e lei sperava solo che la lasciassero lì a morire, o che le piantassero una spada nel petto per quello che aveva fatto al loro padrone.
Nulla di questo accadde, e dopo quelle che avrebbero potuto essere ore, mentre Sebastian veniva portato via, diede l’ordine di trasferirla nelle sue stanze. Due donne le si avvicinarono e la trasportarono per scale strette e corridoi lugubri, in una parte del castello che aveva parzialmente resistito al crollo. Da una delle finestre vide come il cielo fosse nero con striature rosso sangue, simili a nuvole, ma dalla forma più aggressiva, e demoni; di ogni forma e colore, si trovavano ovunque il suo sguardo si posasse, e Clary pensò con ironia che coloro che i demoni proteggevano era colui che li disprezzava più di ogni altra cosa.

Il vento soffiava leggero sulle strade di Parigi, e Sebastian si tolse la sciarpa per metterla al collo della ragazza che camminava al suo fianco, totalmente  ignara delle occhiate invidiose che le venivano lanciate, consapevole soltanto del paesaggio che si estendeva davanti ai suoi occhi, facendola fremere per il desiderio di racchiuderlo nel suo blocco da disegno, e dei suoi pensieri confusi. A volte immaginava la sua testa come una matassa di cui si fossero persi i fili principali, che la costringeva a vagare nei suoi pensieri; avrebbe potuto fare chiarezza, se fosse riuscito a sbrogliarla?  “Cosa provi quando uccidi i demoni?” gli chiese improvvisamente, costringendolo a fermarsi per guardarla come se avesse perso il senno. “Voglio dire… non credo che ecco, io potrei riuscire ad… uccidere un angelo.” Sebastian rise, capendo la sua reale domanda. “Se mi stai chiedendo se provo pietà verso coloro a cui devo il mio sangue, verso i soldati di mia madre, che tu hai relegato nelle profondità dell’Abisso, tra l’altro, la risposta è no. Non hai forse capito, Clarissa, quanto i Nephilim siano spietati? Non ti è ancora chiaro quanto siate ipocriti? Risparmiereste un Angelo solo per il suo bell’aspetto. Io, d’altro canto, sono ben lontano da tutto ciò. Esiste solo ciò che si trova sul  mio cammino o no.” Clary sembrò pensierosa per un attimo “Ma io  sono sempre stata sul tuo cammino, ho sempre cercato di ostacolare te e Valentine… fino ad ora”, si corresse. Lo sguardo che le rivolse suo fratello era indecifrabile. “Tu sei mia sorella, sei esattamente come me.”

La sua stanza era nettamente in contrasto con il resto dell’edificio, e del mondo che aveva comunque visto nel suo breve soggiorno. Le pareti erano tinte di un lieve azzurro, e delle spesse tende bianche erano chiuse su una finestra che occupava mezza parete. Su un lato si trovava un enorme letto a baldacchino, e dall’altro una spaziosa scrivania con sopra ammucchiati quelli che sembravano tempere e pennelli di ogni tipo, ma Clary era troppo stanca per prestargli davvero attenzione, così si diresse verso una poltrona e vi si lasciò cadere. Il fatto di aver salvato Idris e avervi rispedito i suoi amici era una magra consolazione, se confrontata con l’idea di spendere una vita da sola qui. Forse suo fratello l’avrebbe trasformata in una shadowhunter oscura, pensò, confortata quasi dall’idea di poter sfuggire alla sua stessa mente, prima di abbandonarsi al sonno.
Quando Clary riaprì gli occhi le sembrò che niente fosse cambiato, ma dal colore del cielo –il nero era meno intenso, in favore del rosso- capì che doveva aver dormito per delle ore, ma questo non era servito a placare il suo dolore, né la paura viscerale che le infondeva il pensiero di suo fratello, non dopo ciò che gli aveva fatto. La compassione che aveva provato nel vederlo morente, per mano sua, era sparita nell’istante in cui il suo sangue demoniaco aveva corroso Eosforos; da quel momento la paura l’aveva immobilizzata, e non riusciva a trovare una spiegazione a tutto ciò che era successo in seguito. Perché non aveva ucciso nessuno di loro, ma al contrario li aveva rispediti ad Idris? Perché non aveva lasciato che il lampadario le crollasse addosso? Voleva divertirsi a torturarla in seguito?
E adesso era sola, disarmata, in un pianeta morente e tossico, alla completa mercé  di Sebastian e dei suoi Ottenebrati. Avrebbe potuto lasciarsi morire di fame, eppure dubitava che lui glielo avrebbe permesso; chissà se sarebbero riusciti a raggiungerla, o se avrebbero fatto in tempo.
Iniziò a camminare per la stanza, pensando a come poter fuggire da quel posto, trovare uno stilo e creare un portale inter dimensionale, o riaprirne uno già esistente…
Sobbalzò al rumore della porta che veniva aperta, rivelando la figura di una donna alta e bionda, dal fisico asciutto, che la guardava severamente; un’ottenebrata, dedusse, dal colore della sua tenuta. Del resto, dubitava che qualsiasi altra creatura potesse aggirarsi per questo castello – o per questo mondo, per quel che valeva. “Hai un odore nauseabondo, sei così ottusa da non notare il bagno nella tua stanza?” La donna la guardò con disprezzo, arricciando le labbra. Con un cenno indicò a Clary la porta che lei aveva precedentemente aperto in preda al suo delirio, sperando fosse una via di fuga, e richiuso delusa. Arrossì leggermente, prima di notare con sconcerto gli occhi della donna, di un azzurro brillante. “Tu non sei un’Ottenebrata! Sei riuscita a sfuggirgli allora!” La donna rise apertamente, spegnendo anche il più piccolo barlume di speranza. “No, non lo sono, ho spontaneamente scelto di seguirlo. Per questo sarò io ad occuparmi di te, sebbene dopo ciò che hai tentato di fare meriteresti solamente di marcire nelle segrete.” Continuava a guardarla come se fosse un insetto molesto, più infastidita che realmente arrabbiata per aver quasi perso il suo padrone. “Ne sarei felice, piuttosto che seguirlo ciecamente o volontariamente.” Sputò le parole quasi con sfida, incrociando le braccia al seno. Il manrovescio che la colpì in pieno viso le annebbiò la vista per un attimo, facendole sanguinare il labbro. Clary le si scagliò contro, dimentica di ogni tecnica di combattimento, e dopo averle assestato un pugno, si ritrovò con il fiato spezzato da una ginocchiata nello stomaco e una gomitata nella schiena. Cadde a terra, con il respiro irregolare, e la donna dai lunghi capelli biondi se ne andò lasciandola lì.
Clary non aveva nessun dubbio che quello fosse il suo personale inferno, neanche sul fatto che questo fosse solo un assaggio di ciò che l’avrebbe aspettata appena suo fratello avesse deciso di farle visita. Mettendosi in piedi a fatica, aiutandosi con il muro, aprì la porta del bagno e vi si accasciò contro. Il biancore della porcellana era abbagliante, le pareti ricoperte da piastrelle bianche e azzurre con una grande vasca che occupava quasi tutta la parete laterale. Si spogliò lentamente, non riuscendo a trattenere le lacrime; era ricoperta da lividi, tagli e bruciature d’icore, ma il dolore fisico era quasi piacevole; ogni centimetro di pelle che scopriva lentamente, era un centimetro di pelle con ancora impresso il tocco di Jace, così gentile e amorevole, anche in questa terra intrinseca di disperazione. Le lacrime scorrevano calde sulle sue guance, e guardò l’acqua che lentamente riempiva la vasca con un terrore bianco; avrebbe cancellato ogni traccia di Jace? Avrebbe cancellato anche il più piccolo residuo del suo profumo, del suo tocco?
Quando l’acqua iniziò a strabordare, bagnandole i piedi, si ritrasse come spaventata; è soltanto acqua, si disse, e l’acqua non può ferirti, prima di decidere di immergervisi. L’acqua fredda la risvegliò di colpo dallo stato confusionale in cui era precipitata, donando sollievo anche alle sue ferite.
Jace, perdonami. Ovunque io sia, nessuna parte di me dimenticherà mai nessuna parte di te; la mia pelle riconoscerà e conserverà sempre il tuo tocco, così come le mie orecchie troveranno sollievo da questi suoni infernali quando sentiranno la tua voce, ed i miei occhi dalla polvere e da queste abominevoli creature quando si poseranno su di te, pensò, abbandonandosi nuovamente alle lacrime.
Non fu sorpresa, stavolta, aprendo le ante dell’armadio, nel trovarsi di fronte una marea di vestiti, se possibile anche di più di quelli dell’appartamento che aveva distrutto, tutti della sua taglia e dalla fattura e colori meravigliosi; sfumature di azzurro e verde, rosso e nero. E divise da cacciatrice, sia rosse sia nere, di un materiale che le sembrò più elastico e resistente di quello normale. Ne scelse una nera, nella speranza di trarne conforto, ma la sua pelle non ne ebbe alcuno; la nuova stoffa le sembrò così estranea, sebbene aderisse perfettamente alla sua pelle. Su un basso tavolino notò dallo specchio un vassoio con acqua, zuppa e pane che le ricordò improvvisamente quanto tempo fosse passato dal suo ultimo pasto. Eppure non avrebbe accontentato  suo fratello; non avrebbe accettato nulla di ciò che lui le metteva a disposizione, se non il necessario. Il cibo, decise, non lo era. Non avrebbe di certo lasciato che lui la drogasse, o la rendesse la cavia di qualche esperimento, piuttosto sarebbe morta di fame e allora forse avrebbe trovato un po’ di pace… Eppure la sua gola era secca dal pianto e l’aria così pesante del posto –se non fosse stata solo un altro modo per tenerla prigioniera, sarebbe stata grata delle finestre impossibili da aprire.
Prese un sorso d’acqua –un sorso solo, non sapeva se e quando ne avrebbe avuta altra.
La porta si aprì di scatto, rivelando la donna bionda con le sopracciglia alzate –Clary, nonostante sentisse di odiarla, ammirò la sua espressione; le ricordava un po’ Izzy, e la sua aria di supponenza, con l’inarcatura delle sopracciglia che proprio non riusciva ad imitare…
“Jonathan sarà felice di sapere che aveva ragione, suppongo” disse tra sé, osservando il cibo intatto; poi, rivolgendosi a Clary “Non è per caso di tuo gradimento? O hai lo stomaco chiuso dopo il nostro piccolo incidente?”
Clary si limitò ad osservarla, inclinando la testa. “Come ti ho già detto, preferirei morire piuttosto che accettare qualcosa da Sebastian.” Avrebbe voluto sorridere, ma il risultato era più simile ad una smorfia. La donna in tenuta rossa rise, portando una mano davanti la bocca, come se fosse sinceramente divertita. “Eppure la divisa che indossi è un dono di Jonathan, così come la camera in cui stai, così come l’acqua che hai usato per il tuo bagno quasi prosciugando il castello, sai? Non ne capisco il motivo, ma visto che sei già in divisa, ho il compito di portarti in palestra.”
Detto ciò si voltò, ma non proseguì oltre prima di accertarsi che la seguisse per i lunghi corridoi, vagamente rischiarati da una luce rossastra. Clary le camminava dietro, cercando di memorizzare il percorso e qualsiasi dettaglio, alla ricerca di una via di fuga, fino a quando non si trovò sulla soglia di una sala enorme, con il soffitto alto sostenuto da spesse travi simili a quelle dell’istituto. Le pareti di pietra erano decorate da armi di ogni tipo e misura, stili, tenute e persino degli scudi. Era una palestra incredibile, capace di far impallidire quella dell’Istituto, con il suo aspetto gotico e monumentale. Una luce rossastra filtrava dalle finestre, e delle torce si trovavano appese lungo tutte le pareti; sebbene le costasse ammetterlo, era un luogo stupendo.
“Se cercherai di ucciderti con una qualsiasi di queste armi il castello lo saprà, e di conseguenza l’intero esercito del Re di Edom arriverà in tuo soccorso.”
Clary la guardò scettica, sebbene ormai poco la sorprendesse davvero. “Il castello ha vita propria? Il Re di Edom?” La donna la guardò con impazienza, come se si stesse rivolgendo ad una bambina. “Tutto, in questo mondo, risponde a Re Jonathan, in modo particolare la sua dimora; se un’eccessiva quantità del tuo sangue sarà versata, Jonathan lo saprà. Io non tenterei la mia fortuna.” E se ne andò, lasciandola lì da sola, chiudendosi la porta alle spalle. Clary si aggirò per l’enorme sala, cercando di riconoscere le diversissime armi ed attrezzature, sebbene con scarso successo; erano decisamente troppe perché potesse conoscerle tutte. Dal momento che era lì, tanto valeva allenarsi; se non per affrontare suo fratello, perché avrebbe richiesto più di un paio di ore di allenamento, almeno per affrontare la bionda, qualora avesse deciso nuovamente di usarla come sacco da boxe. Cercò di richiamare alla mente i suoi allenamenti con Jace, sebbene richiamare quei momenti alla  mente le stringesse il cuore; quando l’unico problema era Jocelyn e la sua infinita apprensione ed avversione verso quella che era la sua vita da Shadowhunter… Si riscosse immediatamente quando una folata di vento le colpì le spalle. Se c’è vento, pensò, deve esserci una finestra o almeno uno spiraglio aperto, un punto in cui il controllo di Sebastian sul castello è più debole. Senza riflettere si gettò sulla parete dedicata all’arrampicata, che scalò con difficoltà – ma la sua mente, come sempre, era già fuori da queste mura, proiettata verso la libertà e la fuga da suo fratello. Gli spazi in cui arrampicarsi, andando in alto, diventavano più piccoli e ripidi; più volte Clary scivolò e perse la presa ma, quando riuscì ad arrivare in cima, le sue mani sanguinavano nei punti in cui le unghie si erano spezzate ed in cui si era graffiata con la parete. Con un altro sforzo raggiunse quella che era la trave più bassa, abbastanza larga da poterci camminare tranquillamente, e vi si sedette per recuperare fiato. Fino a quel momento non si era ritrovata a guardare in basso, e quello che vide le provocò un’improvvisa sensazione di vertigine che le fece girare la testa. Durante tutti i suoi allenamenti – o in qualsiasi altra circostanza, comunque- non si era mai trovata così in alto, soprattutto senza nessuna protezione, e ne era terrorizzata. E se fosse caduta, come avrebbe reagito il castello? Nessuno aveva fatto cenno alla possibilità di finire spiaccicata a terra e diventare un meraviglioso tappeto… O forse Jonathan non la riteneva capace di una cosa del genere, di arrivare fino alle travi? Rinvigorita da una nuova ondata di rabbia, scattò in piedi e si aggrappò alla trave che si trovava a meno di mezzo metro sopra la sua testa; facendo leva sulle braccia riuscì a sedervisi. Sebbene continuasse a saltare, sempre con meno risultati, e ad aggrapparsi per risalire il sempre più distanziato e sottile intrico di travi, le sembrava di non raggiungere mai il tetto, di trovarsi sempre sotto quella delicata brezza che le spostava i capelli nel momento in cui si chiedeva se fosse il caso di continuare. Cadde e scivolò diverse volte, precipitando anche per alcuni metri prima di raggiungere l’ultima trave, con una caviglia possibilmente slogata e le braccia doloranti; con le braccia aperte in modo da restare in equilibrio iniziò lentamente a camminare verso delle scale che portavano a quelle che in realtà erano porte. Clary iniziò a correre sui gradini, incurante del dolore alla caviglia, volando sulla stretta scala a chiocciola; esultante e felice com’era, non notò le porte della palestra aprirsi, né che la leggera brezza era sparita. Non le sembrò strano che le porte non fossero chiuse, Sebastian non l’avrebbe mai immaginato, pensò. Fu solo quando si trovò sulla piccola terrazza, possibilmente il punto più alto del castello, che notò quanto fuori fosse caldo e umido, senza la minima traccia di vento.  Sentì il suo cuore sprofondare, e ricordò “Tutto, in questo mondo, risponde a Re Jonathan”;  Sebastian si è preso gioco di me fino ad adesso…
Non ebbe bisogno di avvicinarsi alla bassa ringhiera per avere la conferma di essere, in realtà, in trappola: una barriera impenetrabile circondava tutto  il castello, e né pugni né calci la scalfirono.
Quando Clary rimise i piedi sulla piccola trave, si rese conto che non sarebbe potuta scendere nello stesso modo in cui era salita; non le restava che saltare, così chiuse gli occhi.
Se solo Jace potesse vedermi adesso, cosa direbbe?
“Non temere, Clarissa. Non lascerò che ti spiaccichi al suolo.”
Beh, non le sembravano le parole confortanti di Jace, né la sua voce…
Inspirò di colpo, riaprendo gli occhi.


coldays' corner
Ciao a tutti! Sono tornata abbastanza in fretta con il secondo capitolo, e spero di riuscire ad aggiornare con la stessa frequenza, nonostante i diversi impegni universitari.
Non "temete", i nostri eroi si incontreranno\scontreranno presto! In ogni caso here I am, spero di sentire i vostri pareri\critiche\consigli, anche perchè si tratta di una coppia un po' delicata e, credo, abbastanza inesplorata quindi sono aperta a tutto. Grazie anche ai lettori silenziosi, ci vediamo al prossimo capitolo :)
Baci, 
coldays.
  
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