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Autore: KiarettaScrittrice92    01/10/2018    0 recensioni
[Dolce Flirt]
Vanille è una ragazza decisa e grintosa, sempre pronta a mettersi in gioco e dimostrare di sapersela cavare da sola... O almeno lo era prima di trasferirsi.
La sua vita cambia radicalmente quando, nel suo secondo anno di liceo, deve cambiare scuola, ritrovandosi nel Dolce Amoris, un liceo tutt'altro che tranquillo, i cui fioccano ragazzi bellissimi e ragazze non sempre simpatiche.
Chissà, forse quest'avventura la porterà a trovare l'amore.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Mano nella mano
 

Sbuffo per la quarta o quinta volta nell'arco della mattinata, se si può intendere mattinata il lasso di tempo che va da quando la sveglia ha suonato, momento del primo sospiro, ad ora, che sto facendo il mio ingresso a scuola.
Credo che ciò che m'innervosisce di più sia il fatto che pure ieri sono scappata con la coda fra le gambe. Oggi però è venerdì, perciò non perderò quest'ultima occasione per scoprire la verità. A costo di armarmi della mia amata polaroid per documentare tutto, avrei dimostrato a tutto il liceo, o meglio a coloro che mi prendevano in giro per questa stupida storia dei fantasmi, che avevo ragione.
Come a confermare ciò, sento la voce di Castiel alle mie spalle.
«Allora, piccoletta, è apparso ancora?» mi domanda, facendomi voltare e mostrandomi quel suo odioso ghigno divertito.
«Ciao anche a te Castiel.» gli dico, con aria scocciata.
«Sul serio ieri sei andata di nuovo in giro per il liceo dopo le lezioni?» dice spegnendo la sigaretta sul muro, per poi sbuffare l'ultima nuvoletta di fumo, e buttarla nel posacenere prima di entrare al liceo.
«Per la cronaca, sì. L'ho visto ancora.» gli rispondo a tono, riferendomi nuovamente alla prima domanda.
«Io ne dubito...» fa lui seguendomi all'interno e iniziando a percorrere con me il corridoio.
«Ok... lo ammetto... Sono scappata a gambe levate prima di aver visto qualcosa, ma ho comunque sentito sentito lo stesso identico rumore dell'altro giorno.»
«Ergo, ti sei fatta paura da sola un'altra volta.» dice lui trattenendo una risata.
«Non è vero! Ricordi queste?» tiro fuori dalla tracolla il pacco di sigarette che ieri ho trovato vicino alle scale.
Facendo questo, qualcosa scivola dal suo interno, qualcosa di cui non mi ero accorta ieri sera, presa dalla foga di scappare.
Mi chino per raccoglierlo, ma lui è più veloce di me e allunga le sue dita sul piccolo pezzo di plastica che riconosco subito, prima ancora che lui gli dia un nome.
«Hey, questo è il mio plettro!» esclama tenendo tra le dita il piccolo triangolo nero dalle venature rosse.
«Il tuo cosa?» domando sgranando gli occhi.
«Non sai cos'è?» mi chiede lui tra lo sconvolto e il divertito.
«So benissimo cos'è un plettro, ma…»
«Non dovresti andare in giro a prendere le cose altrui sai?» mi ammonisce lui, infilandoselo in tasca.
«Innanzi tutto non sapevo nemmeno che fosse qui dentro. - dico mostrando il pacchettino che ho ancora in mano - E poi, l’ho trovato vicino alle scale, quindi…»
Improvvisamente una scintilla mi attraversa il cervello, come quando nei fumetti o nei cartoni animati si accende la lampadina dell’idea e finalmente diventa tutto chiaro. Probabilmente questa mia illuminazione è visibile anche dall’esterno, perché l’aria strafottente e ribelle del rockettaro di fronte a me si corruccia un po’, aggrottando le sopracciglia rosse come i suoi capelli.
«A che stai pensando ragazzina?» mi domanda, e non capisco se è un tono di sfida o di mera curiosità.
«Non è che sei tu l’ombra del liceo e stai facendo tutto questo per spaventarmi o per farmi passare per stupida?» dico con un tono sospetto, mettendo una mano sul fianco, come se ora fossi io a volerlo rimproverare.
Lui scoppia a ridere e per un attimo ho l’impressione che lo faccia perché il suo scherzo ha funzionato, ma poi dà voce ai suoi pensieri e tutte le mie convinzioni s’incrinano.
«Io non so nemmeno di cosa parli. Mi pare di avertelo detto ieri che quel pacchetto di sigarette non è mio. Non so come ci sia finito il mio plettro lì.» si giustifica e, lo ammetto, sembra sincero, ma non lo conosco abbastanza per esserne così sicura.
Sbuffo per l’ennesima volta, scuotendo la testa, rassegnata. In quel preciso istante suona la campanella.
«Accidenti, devo ancora prendere i libri!» impreco scocciata correndo verso l’armadietto.
«Buona giornata, ragazzina!» sento urlarmi da lui, in lontananza.
Arrivata davanti al mio piccolo spazio personale del corridoio, mi volto verso di lui, vedendolo entrare con tutta la sua nonchalance dentro una delle aule, senza libri o qualsiasi altra cose facesse intendere che stia andando a seguire una lezione.

 

 

È ufficiale, sembro una pazza. Una pazza che gira per il liceo, fingendosi un’investigatrice alla stregua di Sherlock Holmes, per provare che non è pazza. Che bel controsenso.
Insomma la gente normale quando suona la campanella dell’intervallo va fuori a prendere un po’ d’aria, chiacchierare con gli amici, mangiare un boccone o fumarsi una sigaretta. Io no, io invece mi dirigo per la milionesima volta verso le scale tentando di cercare l’ennesimo indizio. Come se il mio uomo, o donna, o ombra che sia, vivesse lì ventiquattr’ore su ventiquattro, come una specie di barbone.
Stranamente però trovo quello che cerco. Quasi sgrano gli occhi quando vedo lì, per terra un piccolo quaderno. Mi avvicino, chinandomi e facendo per raccoglierlo.
È un quadernino nero, con una rosa rosso fuoco stampata proprio al centro della copertina. Scorro il dito sulla spirale che ha al dorso, prima di aprirlo e notare gli scarabocchi che ci sono all’interno. Sono parole alla rinfusa, stralci di note, piccoli pentagrammi con pezzi di canzoni.
Tiro un sorriso, finalmente soddisfatta di ciò che ho trovato. Questo è di certo un grosso indizio per scoprire chi è che si aggira di notte nel liceo.
Faccio appena in tempo a infilare il quaderno nella borsa che sento una voce conosciuta che attira la mia attenzione.
«Lo so bene, ma rimane il fatto che non credo sia un dramma così grande se lo scopre.»
Mi volto, vedendo Nathaniel dire quelle parole, quasi sussurrarle, a Castiel. Mi fa quasi strano vederli così vicini, mentre parlano tranquillamente, senza che stiano alzando la voce o siano sul punto di arrivare alle mani.
Appena io mi volto, però, si zittiscono entrambi. Il rosso mi lancia un occhiata scocciata, dando le spalle sia a me che al suo interlocutore, per poi allontanarsi. Lui invece mi saluta con uno dei suoi soliti sorrisi gentili.
Io ricambio appena. Nella mia testa iniziano a ronzare un milione di idee e di domande, prima fra tutti, che quei due mi stanno nascondendo qualcosa e sono quasi sicura che riguardi questo mistero che tanto mi assilla.

 

 

Al contrario dei giorni precedenti, la fine delle lezioni arriva velocemente, allo stesso modo di come velocemente gli studenti del Dolce Amoris abbandonano il liceo, come scappassero anche loro da qualcosa.
Aspetto con calma, come al solito, rifugiandomi, questa volta, in un aula tranquilla. Non ho molto da fare, in fin dei conti ho tutto il weekend per fare i compiti. Passo la maggior parte del tempo sul cellulare, spulciando i post di Facebook e sorridendo a qualche foto che Lety, la mia migliore amica nel vecchio liceo, ha postato negli ultimi giorni. Il resto del tempo lo passo sfogliando il quaderno che ho trovato. Scoprendo che a chiunque appartenga se la cava piuttosto bene con la musica e le note.
Quando inizia a fare buio, decido che è l’ora. 
Esco dall’aula e, dopo aver infilato il cellulare in tasca, afferro la polaroid gialla dalla tracolla e mi dirigo verso le scale. Continuo a ripetermi di non scappare, che devo andare fino in fondo, forse nel tentativo di darmi coraggio, ma nonostante tutto sento il cuore martellarmi in  petto furioso.
Arrivata sul luogo inizio a guardarmi intorno, strizzando gli occhi e assottigliando lo sguardo nella speranza di vedere qualcosa, ma questa volta pare non succedere assolutamente nulla.
Rimango lì per svariati minuti, guardandomi intorno, senza il coraggio di emettere un solo fiato o chiamare quel qualcuno, chiunque egli sia. Le mani ancora strette attorno alla mia macchina fotografica.
All’improvviso, però, sento un rumore, che mi fa quasi saltare in aria dallo spavento. Faccio un grosso respiro. Devo stare calma. Calma. Non devo scappare. Ce la posso fare.
Poco dopo il rumore, ecco che si avvicina l’ombra. Senza pensarci nemmeno un secondo, come fosse un gesto quasi automatico, sollevo la macchinetta gialla all’altezza dei miei occhi e, pur non vedendo nulla scatto una fotografia, sperando non sia sfocata. 
Il lampo del flash illumina la sagoma e nel momento stesso in cui questa protesta per l’abbaglio io scopro chi è.
«Ehi, ma che fai?!» dice portandosi una mano davanti agli occhi.
Spalanco la bocca, sconvolta.
«Ma…» cerco di dire, ma nessun’altra parola mi esce dalla bocca.
Lui si avvicina a me e la luce della luna che entra da una delle finestre lo illumina un po’, confermando quello che ho visto poco prima.
«Maledizione Vanille, mi hai quasi accecato!» protesta di nuovo lui.
«Nathaniel… Cosa ci fai tu qui? Non dirmi che sei tu quello dello scherzo del fantasma?!» domando.
Non è possibile. Insomma lui non farebbe mai uno scherzo del genere. O forse sì? È possibile che ho inquadrato così poco il giovane e perfetto delegato degli studenti? Eppure non mi pareva uno da scherzi infantili come quello.
Lui sospira, smettendo di passarsi le mani sugli occhi, ancora un po’ feriti dal mio flash.
«Non ti farei mai uno scherzo del genere, Vanille. - dice avvicinandosi a me e subito, sento il cuore ricominciare a battermi più velocemente in petto e il sangue salirmi alle guance, il tutto mentre lui prende con due dita il quadratino di carta uscito dalla mia polaroid - Sapevo che non avresti lasciato perdere e che saresti venuta ancora qui pure stasera, perciò sono rimasto qua per spiegarti tutto…» 
Mi lecco le labbra, riponendo la macchina fotografica nella borsa, senza però togliere lo sguardo da lui, che sta scuotendo la foto, in modo da far apparire l’immagine.
«Quindi tu sai che succede?» domando stupita.
«Qui sotto le scale c’è una stanza, come una specie di cantina. Castiel e un suo amico vengono qui per provare, dopo le lezioni. Perciò i rumori che hai sentito in questi giorni, erano loro…» mi spiega tranquillamente lui, porgendomi poi la fotografia.
«Perciò… Suonano qua sotto?»
«Già.»
Prendo il piccolo pezzo di carta, osservandolo. Terrificante. È venuta mossissima, anche avessi voluto provare a qualcuno che c’era qualcosa sotto le scale, da quella foto non si sarebbe visto assolutamente nulla. Forse ero troppo spaventata per tenere la mano ferma.
«Però, - dico rialzando lo sguardo verso di lui, come se improvvisamente mi fossi ricordata di qualcosa - se non sbaglio, esiste il club di musica, no?»
«Sì, ma non sono mica liberi di fare ciò che vogliono.» mi dice con un sorriso divertito lui.
«E tu che ci fai qui? Suoni con loro?»
Nathaniel scuote la testa, smuovendo quei suoi meravigliosi e perfetti capelli biondi.
«No… Io, purtroppo, mi sono ritrovato immischiato nella faccenda quando Castiel ha rubato le chiavi dello scantinato. Visto che se ci beccano puniscono entrambi ho deciso di coprirlo ed è per questo che cercavamo di mantenere il segreto. Tu però non la smettevi di curiosare, perciò ci siamo detti che se ti avremmo messa al corrente saresti stata più tranquilla.»
«Allora era di questo che parlavate oggi in corridoio…» dico, comprendendo finalmente tutto.
«Esatto. Non dirai nulla, vero?» mi chiede, assumendo un’espressione quasi supplichevole a cui non riuscirei a resistere nemmeno se volessi.
«No, certo che no! Perché dovrei…» gli sorrido io, rassicurandolo.
Lui ricambia il gesto. Come al solito il suo sorriso è incredibilmente gentile e riconoscente, davvero ancora non comprendo come possa esistere un ragazzo del genere.
«Vieni, - dice poi, prendendomi un po’ alla sprovvista - ti presento Lysandro!»
Mi fa strada, portandomi verso il sottoscala. Proprio come aveva detto, in un angolo che non avevo notato in quei tre giorni, c’è una porta in metallo, leggermente socchiusa. Scendemmo entrambi un paio di gradini, ritrovandoci in un enorme stanza vuota, tutta cementata. Al centro, seduto su una cassa di legno vi era un ragazzo. 
Non appena ci vide si alzò in piedi, avvicinandosi a noi.
«Ciao, piacere di conoscerti.» mi dice porgendomi la mano.
«Piacere mio…» rispondo, soffermandomi a guardarlo.
È un ragazzo alto e particolarmente bello, con uno stile a dir poco eccentrico. I vestiti in stile vittoriano, che ricordano quasi qualcuno proveniente da un’altra epoca, fanno molto gotic. Esattamente come la particolare acconciatura dei capelli, più corti da un lato e più lunghi dall’altro. Credo che siano neri, ma alla radice sono stati ossigenati e paiono quasi bianchi. Ciò che però mi colpisce di più sono i suoi occhi e a questo punto mi domando se porta le lenti a contatto, oppure è nato così. Il suo occhio sinistro e di un bellissimo verde acqua, mentre quello destro è castano chiaro, molto simile al colore dello sguardo di Nathaniel.
«Io sono Lysandro.» si presenta, con un sorriso gentile e leggermente imbarazzato.
«Vanille.» rispondo velocemente.
«Mi scuso per l’altra sera. Credo di essere stato io a spaventare te e la tua amica.» dice, portandosi una mano dietro la nuca e arrossendo leggermente.
«No, no. Non ti preoccupare. - scuoto le mani davanti a me in segno di negazione - E poi Li non è per niente mia amica.» dico ridendo, cercando di dare un aria spiritosa a quella che non so se sia più una battuta o un insulto nei confronti della cinese.
«Comunque credo che tu abbia qualcosa che mi appartiene.» mi dice, mostrandomi il palmo della mano.
Improvvisamente mi ricordo del quaderno che questa mattina ho trovato vicino alle scale.
Apro la mia tracolla e comincio a rovistarci dentro, finché non lo trovo.
«Le canzoni scritte sopra sono tue?» domando, porgendoglielo.
«Diciamo di sì. Non sono ancora perfette, ma comunque sono sempre qualcosa.» cerca di giustificarsi lui, ma io scuoto subito la testa.
«Sono riuscita a leggere qualcosa questa sera, mentre aspettavo che la scuola si svuotasse. Sono davvero belle!» gli dico entusiasta.
«Grazie. - risponde lui - Beh, ora se non vi dispiace, credo che me ne tornerò a casa. Ci vediamo domani a scuola.»
«Domani è sabato Lys…» lo rimbecca Nathaniel.
«Oh giusto, allora a lunedì.» si corregge lui, uscendo poi dalla porta.
Beh, alla fine dei conti sono piuttosto contenta di aver fatto luce su questa storia, in qualche modo. Poco importa se non potrò raccontare la verità a nessuno, almeno ora so la verità e so di non essere completamente pazza.
Tiro fuori il cellulare dalla tasca dei jeans, osservando l’ora.
«Accidenti, sto facendo tardi! Se non mi sbrigo a rientrare mia madre mi uccide!» esclamo, senza ricordarmi che Nathaniel è ancora a fianco a me.
«Ti accompagno a casa.» mi dice tranquillamente lui, risalendo i due gradini.
«Cosa?! No, non ce n’è bisogno!» tento di dire io, sentendo le guance diventare nuovamente incandescenti, mentre lo seguo.
«Insisto, si sta facendo buio.»
Faccio un sospiro.
«E va bene…»
«Vado a prendere la giacca e la borsa in sala delegati e torno.» mi dice, per poi chiudere a chiave la porta in metallo e allontanarsi con passo svelto.
Io invece con tutta calma comincio a percorrere il corridoio. Poco dopo lui mi raggiunge di nuovo.

 

Per tutto il tragitto fino a casa mia abbiamo chiacchierato, praticamente mano nella mano. Il mio imbarazzo era completamente sparito. Abbiamo discusso di questo nuovo piccolo segreto tra di noi, ridendo del fatto che sarebbe stato divertente se il resto della scuola fosse davvero convinto dell’esistenza di un fantasma nel liceo.
Non so con esattezza cosa significhi per lui il fatto che mi tenga la mano, forse è solo una questione di gentilezza. Sta di fatto che io lo trovo un gesto estremamente dolce, tanto che ora che siamo arrivati a casa, quasi mi dispiace che sia finito questo nostro momento.
Chissà, se ci sarà un’altra occasione per stare così vicina a lui in questo modo.

 

  
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