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Autore: LanceTheWolf    02/10/2018    1 recensioni
Lan-Chen aveva una vita normale, un lavoro normale, una famiglia normale e dei sogni come tutte le giovani donne delle sua età. Poi la sua vita è cambiata, Lei è cambiata. In pochi sanno cosa è successo: la sua famiglia è allo scuro di tutto e ritiene che i suoi continui viaggi, le strane persone che frequenta, non siano altro che un periodo. Che stia semplicemente passando uno di quei momenti assurdi che prendono a tutti e che prima o poi passeranno proprio come sono giunti. Per lei, al contrario, ogni parola non detta ha il solo scopo di difenderli.
Si svolge molti Avatar dopo Korra.
NB: Questa raccolta partecipa al Writober 2018 a cura di Fanwriter.it
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Iniziativa: Questa storia partecipa al “Writober 2018” a cura di Fanwriter.it.
Numero Parole: 1038
Prompt: Nuvole (Red List – 2/10/2018)
 

Nuvole


“Nulla di fatto”, pensò Lan-Chen osservando la ragazza al suo fianco e lasciandosi sfuggire un sospiro. Lei e Nuo-Shi avevano ottenuto qualche dritta dal curatore della mostra, ma niente di certo.
La guerriera taceva e neanche lei non aveva voglia di aprire bocca, quindi preferì non farlo fin quando non arrivarono alla locanda nella quale la Nobushi dimorava. Anche una volta lì, però, si limitò ai soliti convenevoli.
All’indomani Nuo-Shi sarebbe partita.
Un nuovo sospiro.
Lei, invece, cosa avrebbe fatto?
Pensierosa si mosse verso casa.
 
***
 
Era l’alba ormai ed era sola per le strade.
I piedi le dolevano.
Bloccò il passo accostandosi a una parete, vi si sostenne e si sfilò quei due strumenti di tortura che insistevano col volersi fingere calzature.
Il sollievo fu immediato.
“Grazie agli spiriti!”, esclamò sollevata.
Quei trampoli erano tanto dolorosi quanto era dolce il sollievo ottenuto dal toglierli.
Afferrò le scarpe per i tacchi sottili, tenendole entrambe in una mano, per poi tornare a poggiare pesantemente contro il muro alle sue spalle.
Chiuse gli occhi, godendo per qualche secondo del contatto fresco e rassicurante del suolo sotto i piedi scalzi, e li riaprì più per necessità che per reale volontà: era tardi e doveva tornare a casa, malgrado ne avesse davvero poca voglia.
“Qualche altro minuto non mi ucciderà”, si disse socchiudendo lo sguardo e, proprio in quel momento i lampioni cominciarono a spegnersi uno dopo l’altro.
Sorrise.
Considerò con ironia che l’inesistente padrone di quella strada la stesse cacciando, come in un locale ci si libera da clienti molesti superato l’orario di chiusura.
“Deve essere un segno del destino”, suggerì a sé stessa e si sarebbe scostata da quella parete, sarebbe andata, non fosse che lo sguardo, ancora volto al lampione sulla sua testa, s’incantò a osservare il cielo.
La notte stava fuggendo lenta, inseguita dal primo chiarore, lasciando dietro di sé uno strascico viola che lentamente sfumava verso un candore surreale.
Il sole ancora non si vedeva, ma quell’alba incedeva costante, gettando chiazze dorate sulle nuvole in cielo.
 
Attese. Lan-chen attese, fin tanto l’oro non sfumò in un arancio sempre più intenso che annunciava l’arrivo del giorno.
Le nuvole candide sembravano pascolare in quel cielo, morbide come cotone.
 
La mente corse rapida all’ultima volta in cui aveva visto l’alba, all’ultima volta che aveva alzato gli occhi al cielo. Non si era più azzardata a tanto: anche quella volta c’erano nubi, ma erano nubi scure e letali: un nuvolo di spiriti furiosi che si abbatteva conto lei e contro tutti quelli che la stavano aiutando a mettere in sicurezza il Villaggio di Min.
Quanto tempo era passato?
Era stato poco dopo l’attentato all’imperatrice, dopo poco che lei e il resto dei sopravvissuti erano scappati con la coda tra le gambe per poi nascondersi ai quattro angoli del globo.
Era stata la richiesta d’aiuto proveniente dal villaggio ai confini della Palude Nebbiosa a convincere sua nonna che lei, Lan-Chen, avrebbe fatto al caso soddisfacendo il bisogno di quei contadini.
Sua nonna e le sue manie, ma… aiutare quella gente le aveva fatto bene, una parte di lei si era… Avrebbe voluto dire “rasserenata”, ma no, il termine giusto era… “arresa”. Sì, si era arresa all’evidenza e alla ineluttabilità del destino. Non poteva ribellarsi, non poteva nulla, tanto valeva accettare quanto accaduto e tentare di andare avanti. E alla fine… alla fine era ritornata lì, nella sua città natale, fingendo che non fosse mai accaduto nulla per non far inquietare i suoi cari. Si era rimessa a lavoro, tornando a essere una dei tanti, un ingegnere come tanti altri, addetta all’emblema più glorificante della città di Zaofu: la lucente monorotaia che serpeggiava maestosa sulle teste dei suoi cittadini.
 
Le nuvole nel cielo continuavano a muoversi lente, sospinte dal vento e per un attimo Lan-Chen le trovò incredibilmente simili a lei; a lei trascinata dagli eventi e mai realmente consapevole delle sue azioni, ma… era stata bene quando aveva aiutato la gente di quel villaggio assediato dagli spiriti, riuscendo addirittura a mettere da parte il rancore che aveva provato per quel ragazzo del fuoco che, come lei, era fuggito lontano dalla Capitale e che si era ritrovata inaspettatamente tra i piedi, proprio tra quei contadini.
“Il destino”, disse a mezza bocca, accennando un ghigno divertito nel nominare quel fato che sembrava divertirsi alle sue spalle, godendo, giorno dopo giorno, della sua angoscia.
Era stata bene, non poteva negarlo. Aiutare gli altri le impediva di pensare a sé stessa e la stanchezza accumulata riusciva a farla dormire la notte.
 
Le nuvole, ormai completamente bianche, sembravano rotolare verso le montagne.
Lo sguardo di Lan si posò sulle cime boscose che circondavano la città, facendo di Zaofu un gioiello lucente incastonato nel verde. Un verde vivido e intenso come lo sguardo di Nuo-Shi.
Era stata bene, anche in quelle ore, quando aveva spento ogni pensiero personale dirigendo i suoi intenti esclusivamente nell’aiutare la donna.
 
Ancora gli occhi al cielo e a quelle nuvole.
Era davvero come loro?
Sì, lo era.
Loro potevano accarezzare il cielo con la delicatezza di una piuma o esplodere dirompenti come la tempesta.
Lei poteva essere morbida come la sabbia e tagliente come il metallo.
Questo era, questo le rimaneva dopo che le avevano strappato il suo sogno più grande: non avrebbe mai avuto la targa che sognava nell’Aula Magna della Facoltà d’Ingegneria, ma… poteva avere altro, forse.
Non poteva più sperare in riconoscimenti pubblici ora che l’imperatrice conosceva il suo volto. Non c’era più spazio o speranza in quel che rimaneva della sua vita per le quelle velleità da ragazzina: velleità certo a cui aveva dedicato ogni singolo momento cosciente degli anni passati, per cui aveva lottato, perso il sonno e piegato la testa innumerevoli volte, per finire col trovarsi solo con un pugno di mosche in mano.
 
Quelle nuvole avevano il vento che le spingeva verso il loro destino.
Lei aveva trovato degli amici.
 
I primi passi cominciarono a echeggiare nelle strade, la Città del Metallo si stava svegliando. Poco distante, la monorotaia stridette, sospesa sotto quel cielo, al passaggio del primo treno.
Era davvero ora di andare e quelle nuvole spinte a ovest dal vento sembravano volerle indicare la direzione: Nuo-Shi non avrebbe continuato il suo viaggio da sola.
   
 
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