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Autore: Nat_Matryoshka    03/10/2018    0 recensioni
"Durante una notte di tempesta, un anno dopo la fine della guerra, su Naboo nacque un bambino. Aveva i capelli neri come le nuvole che avevano coperto il cielo per tutto il giorno e occhi brillanti come stelle. Era figlio di una principessa e di una canaglia.
Ben Solo aveva dieci anni quando, nella zona più periferica della capitale, nacque una bambina. I suoi genitori la chiamarono Rey e, una volta che fu abbastanza grande da camminare, la affidarono al Maestro Luke Skywalker, per poi sparire senza lasciar traccia. "

*
[What if || Scritta per la Reylo Fanfiction Anthology 2018, "Two Solitudes That Meet"]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Han Solo, Padmè Amidala, Rey
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 3
 
 

 


Qualche mese dopo
 
 



L’uomo era caduto senza far rumore, con grazia, la stessa grazia triste delle foglie in autunno. Sul suo viso anziano, però, non si leggevano né dolore né paura: era… desolato. Come se quel suo ultimo, disperato tentativo fosse fallito, e non ne avesse altri a disposizione per cercare di sistemare le cose.

“L’ha ucciso.”

Una voce rauca si indeboliva mentre pronunciava quelle tre parole, mischiandole con le lacrime. Una donna che non conosceva, ma che amava l’uomo e chi l’aveva ucciso, riusciva a percepirlo: era lontana e si agitava sul seggio del Senato che le spettava, inerme come la bambina di sette anni che non aveva potuto salvare la creatura. L’ha ucciso l’ha ucciso l’ha ucciso l’ha…
Una spada rossa brillava per un attimo e poi si spegneva, ed era rossa. Anche il sangue che aveva riempito le vene dell’uomo era rosso, anche quello che scorreva impazzito nel corpo del ragazzo. Perché non hai parlato, padre? Cadi a terra in un silenzio assordante e mi guardi con occhi pieni di pena, ma io non ne ho bisogno. Ho dovuto farlo, capisci? Lui mi controlla. Lui mi ha giurato che diventerò migliore, che scoprirò finalmente chi sono grazie a lui.

Ma è tutto sbagliato.

La mano che stringeva la spada tremava, tremava anche lui. Una lacrima scivolava veloce sul viso di Ben, e non faceva in tempo ad asciugarla che altre la seguivano, gli annebbiavano gli occhi. Cadeva in ginocchio provando a mantenere un’espressione stoica, ma le emozioni iniziavano a fluire prepotenti fuori dalla sua mente, dalle labbra…
 


*
 
Rey era impegnata a concentrarsi per iniziare l’allenamento, quando quelle immagini avevano iniziato ad invadere la mente senza alcun preavviso. Non era riuscita a bloccarle, sarebbe stato impossibile farlo: due voci le parlavano nello stesso istante, gli eventi si succedevano come in un Holocron di cui lei era l’unica spettatrice. Si era portata una mano alla fronte, un gemito impercettibile le sfuggì dalle labbra. L’ha ucciso!

Aveva rivolto lo sguardo verso Luke, spaventata, e non si era stupita di trovarlo immobile, con lo sguardo fisso davanti a sé, la bocca tesa in una linea netta.  Il manico della spada gli era caduto di mano, il suono del metallo che colpiva la pietra rimbombava tra gli alberi, ferendole le orecchie. Poi si era alzato in piedi ed era sparito in un attimo alla volta del Palazzo, correndo come Rey non lo aveva mai visto correre, e in ogni suo passo si nascondevano le paure e le parole che non era in grado di urlare. Lei aveva deglutito, in attesa. Un’attesa di ore, che aveva provato ad ingannare alzandosi in piedi e camminando per il bosco, sperando che la luce che filtrava tra gli alberi la aiutasse a calmarsi…

L’uomo giaceva a terra, abbandonato come un burattino senza fili. Il ragazzo si muoveva avanti e indietro per la stanza, come lei, ma nel suo incedere c’era una disperazione difficile da immaginare. Rey aveva provato in tutti i modi a bloccarla, eppure la voce dell’uomo continuava a insinuarsi nei suoi pensieri, gentile e ferma. Ben, Ben, lo chiamava. Ripeteva semplicemente il suo nome, e il tono era così dolce e triste da spezzarle il cuore.

La sua prima reazione, quando quelle immagini le avevano attraversato la mente, era stata di incredulità: non era possibile. Ben non poteva aver calato la spada sul padre, su Han Solo, l’eroe di guerra che solo raramente tornava a palazzo dalla sua famiglia. Non poteva essersi spinto fino a quel punto, non il Ben che conosceva… il ragazzo serio e taciturno, ma che sapeva come essere gentile. L’uomo che lottava con lei e le aveva insegnato come migliorare la presa sulla spada, Ben che le scompigliava i capelli quando la vedeva finalmente concentrata nello studio e aspettava che lei gli facesse la linguaccia prima di andarsene. No, non poteva crederci.

Eppure…

Luke non si era fatto vedere per ore: una volta che il sole aveva iniziato a tramontare all’orizzonte, Rey aveva capito che sarebbe stato inutile attenderlo ancora. Si era spostata dal bosco, piena d’ansia, e non aveva potuto far altro che varcare il cancello dei giardini e sparire tra i vicoli di Theed, in cerca di una qualunque distrazione che staccasse la sua mente da quando aveva visto. Alla fine era salita sulle mura antiche, dove si poteva ammirare, in lontananza, il sole che lasciava lentamente il posto alla notte: seduta sul parapetto di pietra, lasciava penzolare le gambe e si guardava le punte degli stivali ricoperti di lana senza sapere che fare. Non voleva tornare a palazzo e affrontare le conseguenze di quel che era successo, la paura di ascoltare i racconti di Luke, di scoprire a che destino sarebbe andato incontro Ben, era troppo forte. Eppure sapeva che non sarebbe potuta restare lì all’infinito…

Sei andato incontro al tuo destino a testa alta, Kylo Ren. Non sei soddisfatto?

Di nuovo quella voce sinistra, intrisa di odio, disgustosamente melliflua. Rey si era premuta con forza le mani sulle orecchie e aveva provato a concentrarsi sul giorno in cui lei e Ben erano rimasti vicini, a guardare piccoli insetti simili a lucciole che volavano sull’erba, ma le sue parole le prendevano a morsi il cuore senza che potesse fermarle. Immaginò come dovesse sentirsi Ben, perché le loro menti erano chiaramente collegate e quel che percepiva lei non era altro che una proiezione di quello che stava rivivendo lui, ora le era chiaro. Doveva essere terrorizzato, confuso, pieno di furia e di disperazione… ma non riusciva a scusarlo. Odiava il fatto che avesse ceduto all’oscurità dentro di lui, così come a volte le capitava di odiare la bambina che era stata.

Va’ via! mormorava, un urlo sottovoce che scuoteva la sua anima. L’altro rideva, e ogni risata era una coltellata nel fianco.
Hai abbandonato quello che eri. Hai abbracciato chi sei. Strappati Ben Solo di dosso, non hai più bisogno di lui.

Uccidilo.

No!

Completa il tuo percorso.

Abbandonò la città mentre le luci artificiali sostituivano il calore del sole e un’aria fredda portava i passanti a chiudersi in casa. Ormai non le restava altro da fare che tornare al suo alloggio e aspettare che Luke arrivasse, grave e teso come lo aveva visto andar via ma accompagnato da notizie ancora più terribili. Si morse le labbra e, senza quasi accorgersene, accelerò il passo. La sua paura più grande, quella che conteneva tutte le altre, era di veder cambiare completamente il rapporto tra lei e Ben. Che quei momenti distesi tra loro, quella scintilla di sollievo che illuminava gli occhi di Ben quando Rey ricambiava il suo sguardo, sparissero per sempre, come un sogno.

Quasi non fossero mai esistiti.

Scosse la testa e si strinse nel poncho che indossava per coprirsi dall’umidità della sera. L’unico modo che aveva per scoprirlo era farsi coraggio e andare a casa… anche se era proprio il coraggio, a mancarle. Il coraggio di accettare quanto era accaduto.

Stupido, stupido, stupido! gemette mordendosi il labbro. Sperò ardentemente che Ben la sentisse, ma non ne era completamente certa. Chissà dov’era, in quel momento.
 

*
 
Luke l’aveva raggiunta nel suo alloggio qualche ora dopo, dove l’aveva trovata distesa sul letto. Non aveva bussato, ma non era stato difficile percepire la sua presenza, una volta varcata la soglia di casa: era inquieto e triste, un dolore così immenso e totale da farle male agli occhi e al cuore, come se avesse fissato una luce accecante troppo a lungo.

Le si era seduto vicino e aveva iniziato a parlare. Non era uno dei suoi soliti discorsi, una frase ogni tanto intervallata da silenzi e dalle domande della sua allieva, no: prima con voce tremante, poi man mano più sicura, le aveva raccontato quel che era successo. Le aveva spiegato come Ben Solo avesse trapassato il corpo di Han Solo, del suo amico di giovinezza ed eroe di guerra, e di come Han era caduto nella sala buia del trono, sotto gli occhi del figlio. Le raccontò della voce che perseguitava le notti del nipote (e anche quelle di Rey, ma non poteva saperlo), di Snoke che era stato ucciso anni prima ma continuava a vivere come spirito nella Forza e cercava di far rinascere il suo regno di terrore e sopraffazione grazie all’influenza che esercitava su Ben. Del dono che gli aveva lasciato, e di come quella capacità fosse stata nascosta al mondo, così come la vera natura di Ben. Di come il nipote lo avesse fissato con uno sguardo vuoto che gli faceva paura, di come lui si fosse trattenuto dal commettere l’omicidio del bambino che per tanti anni lo aveva chiamato zio correndo tra le sue gambe, felice… e di come, per quello, si era sentito debole e impotente. Fermo nel mezzo della sala, aveva gridato e gridato, usando la Forza per provare a piegare Ben, spezzarlo come si spezza un ramo secco con un solo colpo violento. Mormorava parole sempre più fredde, mentre sfiorava il lenzuolo su cui Rey era distesa ed era come se ogni pausa lo facesse invecchiare e ogni minuto era un anno, un secolo.

Si interruppe per qualche minuto, e la ragazza temette che sarebbe uscito senza dire nulla, lasciandola nel buio della notte senza il conforto di una presenza amica. Ma si trattò di un silenzio di breve durata: riprese a parlare poco dopo, con voce spenta.

“E poi ho guardato nei suoi occhi, Rey. Non c’era nulla… il bambino che conoscevo, il ragazzino che ho allenato, se n’era andato. Snoke l’ha preso, gli ha fatto assassinare suo padre per legarlo a sé e lui non ha esitato. Non sono riuscito ad ucciderlo perché Leia avrebbe sofferto ancora di più… non meritava di vedere morti sia il marito che il figlio. Ma non posso dimenticare quegli occhi.”

Qualcosa, nella desolazione di quella frase, la fece ribellare.

Si girò e si tirò a sedere, improvvisamente più vigile di quanto fosse mai stata durante tutta la giornata, consapevole che una piccolissima speranza esisteva ancora. Non sapeva nemmeno perché stesse reagendo in quel modo: avrebbe dovuto sentirsi male quanto il suo maestro, amareggiata e delusa… ma, sotto la cenere di quei sentimenti, qualcos’altro nasceva, quasi con prepotenza. Quando tutti cercavano di dissuaderla, la sua anima alzava la testa. Non poteva arrendersi e abbandonare Ben: lui non l’avrebbe mai fatto con lei, lo sapeva.

“Sei sicuro che fosse proprio lui, Maestro, e non la creatura che Snoke sta cercando di creare?”
Luke esitò per un attimo, un secondo che però aumentò il coraggio nel suo cuore. Scosse la testa. “Non ha importanza, Rey. Ho fallito… abbiamo fallito tutti. Ho sbagliato io per primo, quando non ho fatto di più perché i suoi demoni non avessero la meglio… ero convinto che ce l’avrebbe fatta, che li avrebbe sconfitti da soli. È solo colpa mia.”

“Come puoi arrenderti così?”prima che potesse accorgersene, era saltata in piedi e camminava avanti e indietro per la stanza, come una creatura in gabbia. “Se è rimasto qualcosa di Ben… ancora qualcosa di lui, della sua anima, voglio trovarla. Voglio aiutarlo a tornare indietro. Non potrà riportare indietro suo padre né riparare ai suoi errori, lo so, ma non possiamo lasciarlo solo. Non posso.” Si prese la testa tra le mani. La scosse, aspettando che Luke parlasse, che la sgridasse o…
Lo sentì ridacchiare appena, amaro. “Cosa ti fa pensare che ci sia ancora qualcosa da salvare in lui, Rey? Se l’avessi visto in faccia, capiresti che non sto scherzando. Nessuno sa ancora nulla, ma non appena Leia tornerà dovrà tenersi un processo. Pagherà per quanto ha fatto… probabilmente verrà imprigionato, e resterà lì dentro per tutta la vita. Né tu né io possiamo farci nulla.”

Rey si morse un labbro. Sapeva che c’era del vero nelle parole di Luke, che Ben era un assassino a tutti gli effetti e avrebbe ricevuto una punizione per i suoi crimini, ma non riusciva a smettere di pensare al suo sorriso. Se esisteva ancora una minima possibilità di aiutarlo, di aiutare il bambino che era stato e che ancora viveva in lui insieme all’adulto che soffriva, lei l’avrebbe afferrata.

Luke si alzò. Lo fece quasi senza rumore, muovendo appena l’aria attorno a sé.

“Vai a letto, Rey. Domani sarà una giornata dura.”

La salutava sempre in quel modo, ma non c’era niente del suo solito tono tranquillo in quelle poche parole. Rey rimase girata verso la finestra, la sua sagoma illuminata solo dalla luce fioca di una candela che aveva acceso per darsi forza e che profumava debolmente di fiori e muschio. Fuori aveva iniziato a piovere: i prati bevevano avidamente l’acqua che li avrebbe resi sempre più verdi. Il suo Maestro si tirò il cappuccio sulla testa e uscì, lasciando il vuoto nella stanza.
Rimase in piedi per un tempo che le sembrò infinito, fino a che i piedi non iniziarono a farle male e la schiena implorò perché si distendesse sul letto. Si spogliò, spense la candela e si tirò le coperte fino al viso per proteggersi dai pensieri negativi che rischiavano di farle scoppiare la testa, ma erano molto più forti e rumorosi di lei, e minacciavano di sopraffarla.

 





Non seppe nemmeno come avesse fatto ad addormentarsi: doveva essere stata la forza della disperazione. Aveva stretto il lenzuolo nel pugno per calmarsi, e dopo essersi rigirata due o tre volte era finalmente riuscita a prendere sonno. Un sonno agitato, pieno di incubi in cui la voce di Snoke ordinava a lei e a Ben di uccidersi e poi rideva. Sogni pieni di troni di pietra nera, mani sporche di sangue, la sua spada che affondava nel petto di Ben e nemmeno un grido scappava dalle sue labbra, come se fosse felice di morire in quel modo, per sua mano. Immagini di loro che combattevano, poi cadevano e cadevano fino ad un bosco che le sembrava familiare ma non era quello dei suoi allenamenti, e per un attimo le ricordava tutti i momenti felici che avevano vissuto.

La principessa Leia piangeva. Ben non aveva il coraggio di asciugare le sue lacrime.

E poi si ritrovò in una stanza bianca, illuminata dalle luci tenui di Ohma-D’un, di Rori e della terza luna, che facevano capolino dalla finestra aperta. Ben era disteso su di un letto simile al suo, ma di legno nero, con le coperte rosse che lo avvolgevano in un abbraccio straziante. Sembrava addormentato, ma non appena lei si avvicinò aprì gli occhi castani e la fissò, le labbra tremanti di un bambino, l’anima messa a nudo di un uomo solo con i suoi errori.
Quando le parlò, la sua voce era a malapena un sussurro.

“Vieni da me. Ti prego.”

 
 
   
 
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