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Autore: Nat_Matryoshka    04/10/2018    0 recensioni
"Durante una notte di tempesta, un anno dopo la fine della guerra, su Naboo nacque un bambino. Aveva i capelli neri come le nuvole che avevano coperto il cielo per tutto il giorno e occhi brillanti come stelle. Era figlio di una principessa e di una canaglia.
Ben Solo aveva dieci anni quando, nella zona più periferica della capitale, nacque una bambina. I suoi genitori la chiamarono Rey e, una volta che fu abbastanza grande da camminare, la affidarono al Maestro Luke Skywalker, per poi sparire senza lasciar traccia. "

*
[What if || Scritta per la Reylo Fanfiction Anthology 2018, "Two Solitudes That Meet"]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Han Solo, Padmè Amidala, Rey
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 4
 


 


Non aspettò le prime luci dell’alba per muoversi.

Proprio mentre Ben le aveva teso la mano e le dita di Rey erano arrivate a toccare la superficie fredda e liscia dei suoi guanti di pelle, il sogno si disfece attorno a lei, lasciandola distesa sul letto, gli occhi spalancati fissi sul soffitto. Prima ancora che potesse formulare qualunque pensiero sensato o provare a razionalizzare quanto aveva visto, era già in piedi.

Non sapeva nemmeno lei perché stesse rovistando nei cassetti per riempire una vecchia borsa di abiti, ma una sensazione prepotente di urgenza la spingeva a sbrigarsi, a sgattaiolare fuori dal suo alloggio con il cuore in gola, sperando che nessuno la vedesse. Il trambusto di poche ore prima doveva aver fatto passare a tutti la voglia di starsene in giro fino a tardi, ma la prudenza non era mai troppa, in quelle circostanze… e lei non poteva rischiare di essere vista. Avrebbe mandato in malora tutto il suo piano.

Ammesso che si potesse considerare “piano” la sua idea folle di andare a cercare Ben e accompagnarlo in tutto ciò che stesse per fare.

Era l’istinto a guidarla, e negli anni aveva imparato a fidarsi così tanto dei segnali che le inviava la Forza da non dubitare mai della saggezza delle decisioni che le faceva prendere, per quanto assurde e affrettate potessero sembrare. Ben le aveva chiesto aiuto, tanto bastava: si sarebbe fatta trovare nel primo posto in cui era sicura sarebbe andato. Per fortuna gli hangar non erano lontani dai suoi alloggi, ma nemmeno tanto vicine al Palazzo da rendere rischiosi i suoi movimenti. 

Decise di costeggiare il perimetro interno dell’edificio, poi corse a perdifiato attraverso i cespugli e i bassi arbusti del giardino, sperando che nessuno si affacciasse dalle finestre in un attacco di insonnia. Ringraziò mentalmente se stessa per non aver atteso l’arrivo del giorno per muoversi, seguendo quell’istinto che le diceva che Ben era in procinto di allontanarsi da Naboo e che nemmeno lui aveva intenzione di attendere molto per farlo. Se provava a chiudere gli occhi per un istante, tutta la confusione e il dolore che aveva percepito si trasformavano in determinazione: Ben stava progettando qualcosa. Si muoveva freneticamente, la rabbia veniva messa da parte per lasciar posto alla freddezza delle decisioni meditate con calma, prendeva la sua spada e si allontanava dalla stanza, addormentando le guardie che avrebbero dovuto sorvegliarlo con un gesto della mano. La principessa dormiva nella sua stanza, ma non poteva fermarsi un attimo di più a pensare a quanto aveva fatto, non quando aveva un compito da svolgere.

Forse sarà l’ultimo.

Corse finché l’hangar, quello da cui partivano le navi che portavano lo stemma della casa reale di Naboo, non apparve davanti a lei. Per fortuna conosceva abbastanza quell’edificio da entrare eludendo i sistemi di sicurezza, e sapeva per certo quale fosse la nave verso cui Ben si sarebbe diretto per primo.

Tra X e Y Wing di recente costruzione, droidi astromeccanici spenti e altre navi in disuso che attendevano solo un pilota per farle funzionare, spiccava un vecchio mercantile Corelliano dall’aria vissuta che il suo proprietario doveva aver amato molto. Rey si concesse un piccolo sorriso: conosceva quella nave. L’aveva vista volare innumerevoli volte nei cieli di Naboo, diretta chissà dove, e le storie che la vedevano protagonista passavano di bocca in bocca tra i contrabbandieri e gli avventurieri che incontrava nelle locande di Theed… storie di come quella nave – un pezzo di ferraglia, all’apparenza – era partita da Tatooine ed era entrata nella leggenda, accompagnando la Principessa e suo fratello nella loro lotta contro l’Impero. Ogni volta che ascoltava uno degli uomini parlare delle rotte che aveva percorso, e di come avesse corso lungo quella di Kessel in meno di dodici parsec, non poteva fare a meno di fantasticare per ore intere e, una volta fuori dalla taverna, fingeva di riempire il suo speeder di merce di contrabbando e di partire all’avventura anche lei, verso le zone più inesplorate della galassia. Vederla spiccare tra le altre navi, quasi fosse in attesa di qualcuno che la riaccendesse per partire per nuovi viaggi, le fece stringere il cuore. Anche lei aveva una missione da svolgere, lasciarsi andare ai ricordi non sarebbe servito a nulla.

Contrariamente alle proprie aspettative, riuscì a penetrare senza troppi problemi all’interno: i sistemi di sicurezza erano facili da eludere, e aveva acquisito parecchia esperienza grazie allo studio dei vari modelli di mercantili. Strisciando tra le casse ammassate negli angoli, attenta a non urtare nulla, si fece strada fino a trovare i famosi condotti di cui gli avventurieri amavano parlare, quelli che permettevano ad Han Solo di nascondere la merce da portare in giro per pianeti. Per fortuna sembravano essere stati utilizzati molto spesso, per cui nascondersi al loro interno fu semplice quasi quanto lo era stato entrare.

La prima parte del piano riguardava solo infilarsi lì e attendere. Il resto sarebbe venuto dopo… almeno sperava.

Per fortuna non dovette attendere molto, prima di udire il rumore del portellone che si apriva e i passi del prossimo pilota farsi strada verso la cabina di pilotaggio. Quello che la stupì maggiormente, però, fu di udire la voce profonda del ragazzo che la chiamava, come se avesse sempre saputo che l’avrebbe trovata lì, accucciata tra fili e pezzi di ricambio, con gli occhi chiusi e le ginocchia strette al petto, quasi cercasse di rendersi invisibile.

“Rey? So che sei lì dentro.”

Rimase in silenzio. Cos’altro avrebbe potuto fare? Il suo primo impulso era stato quello di saltare fuori, di aggredirlo a parole e fargli capire senza mezzi termini che l’avrebbe seguito ovunque, impedendogli di fare qualcosa di stupido… ma ora che era lì, sola, in procinto di partire per chissà dove, sentì che la fiducia in se stessa veniva meno. Perché aveva seguito il suo istinto in quel modo stupido? E se Ben l’avesse scaricata lì nell’hangar con le cattive, impedendole di proseguire?
No, non l’avrebbe fatto: una parte di sé, quella che manteneva la calma anche quando il resto della mente la perdeva, le diceva che non aveva nessuna intenzione di farle del male. Eppure, quanto era successo il giorno prima ancora la scuoteva.

“Non potevi essere da nessun’altra parte… ti ho sentita agitarti da quando ti sei svegliata. Se stai pensando che io abbia intenzione di tirarti fuori di lì con la forza, ti sbagli di grosso… sarebbe inutile, so quanto sei testarda.” Sorrideva, eppure le labbra si incurvavano senza il minimo divertimento. “Ti accorgerai da sola che non sarà un viaggio di piacere, il mio.”

Il collo iniziava a farle male, ma non aveva nessuna intenzione di uscire e dargli soddisfazione. Sentì che Ben azionava alcuni comandi, poi tirava una leva e, come per magia, la porta dell’hangar si apriva per liberarli. Probabilmente stava usando la Forza, si disse, e non poté non ricordare l’espressione arrabbiata di Luke ogni volta che la adoperava per scopi non ortodossi (“non è così che funziona la Forza!”, gridava)… e si chiese dove potesse essere il suo Maestro. Cosa stesse pensando, se avesse percepito le sue azioni in qualche modo, come lei aveva capito che Ben stava macchinando qualcosa.
Ben ruppe di nuovo il silenzio.

“Ho impostato le coordinate per raggiungere la Via Lattea. Non so nemmeno se siano esatte o meno, le ho prese da un vecchio memoriale scritto da un avventuriero di Chandrila, ma non ha importanza… devo arrivarci. È l’unico motivo per cui non sono rimasto a Theed, a pagare per i miei crimini.”

La sua voce era grave, ma non tremava: la determinazione che aveva percepito la sera precedente non si era affievolita. Continuava a manovrare la nave che era stata di suo padre, a toccare quei comandi con le stesse mani che avevano guidato la spada nel suo cuore, e non sembrava preoccuparsene minimamente. Sapeva di aver commesso un’azione orribile, imperdonabile, ma come pensava di fare ammenda sparendo in un angolo della galassia da cui in pochissimi erano tornati?

Stremata dal dolore alle spalle e stufa di restare nascosta come una scatola di merce, Rey spinse le mani contro la grata sopra la testa e la spostò di lato, uscendo fuori dal suo nascondiglio. Ben le gettò solo un’occhiata distratta: doveva aver davvero percepito ogni sua intenzione e movimento, da quando si era alzata dal letto fino a quando era sgattaiolata nel Falcon. Che stupida era stata, a pensare che la loro connessione si interrompesse proprio quando le serviva…

Sprofondò in uno dei sedili imbottiti poco lontani dalla cabina di pilotaggio, davanti ad una scacchiera di Dejarik piuttosto impolverata. Aveva deciso di evitarlo e di non rivolgergli la parola fino a che quella situazione di imbarazzo iniziale non fosse calata, ma la destinazione che segnavano le mappe la colpì troppo per farle mantenere la sua promessa.

“Mortis?!?” esclamò, forse a voce un po’ troppo alta. “Ma si trova nel settore Selvaggio! È lontanissimo, ci vorranno almeno due mesi per arrivare…”

“Non guidando questa nave.” Ben si era voltato finalmente nella sua direzione con un sorrisetto sghembo che, per la prima volta, coinvolgeva anche gli occhi. Ci doveva essere qualcosa dell’Han Solo orgoglioso della propria nave in lui, più di quanto volesse ammettere. “I resoconti dei viaggiatori che l’hanno raggiunto sono confusi e frammentari, ma non ho altra scelta… intorno a Mortis si allarga il Sentiero delle Anime, la Via Lattea. Se c’è qualcosa di vero nei racconti, se la Forza nasce in quel settore dimenticato da tutti, forse…”

Anche tu credi alle favole, Ben? A quelle che ti raccontavano da bambino prima di dormire, e mai avresti pensato di diventare tu il protagonista di quelle storie… alle leggende che passano di bocca in bocca e ognuno vi aggiunge qualcosa, finché non portano una parte di tutti quelli che le hanno raccontate. Ci credi davvero? O stai solo cercando una redenzione semplice, attraverso il sacrificio?

Scosse la testa con tanta forza da farsi male. Ben continuava a guardare i comandi davanti a sé, perso nei suoi pensieri. Notò che stringeva tra le dita un paio di dadi dorati e li rigirava da un palmo all’altro senza nemmeno guardarli.

“Sono solo… storie” mormorò debolmente. “Leggende. Non sappiamo nemmeno se esista davvero, un pianeta di nome Mortis. Né una Via Lattea in cui le anime si raccolgono prima di dissolversi nella Forza.”

Quando i suoi genitori l’avevano abbandonata affidandola a Luke, non si era data pace. Per giorni aveva pianto e si era agitata, sperando che tornassero a prenderla, aspettandoli fiduciosa. Il suo Maestro non le aveva più parlato di loro per non darle false speranze, ma un giorno aveva dovuto dirle che probabilmente erano morti, oppure sarebbero venuti a reclamarla da un pezzo… sempre se la desideravano davvero, e non l’avevano affidata a Luke solo per togliersela dai piedi, spaventati dal suo strano dono. Crescendo e ascoltando quelle storie, la tristezza nata dall’idea di essere stata solo un peso per loro si mischiava alla speranza di poterli cercare, un giorno, in quel luogo a metà tra i sogni e la realtà. Se davvero erano morti, forse la stavano aspettando lì… 

“Sembri mio zio, a volte.” Scosse la testa e rimise a posto i due dadi dorati sopra i comandi. “Nelle leggende spesso si nascondono le verità più profonde… e, come ti ho detto, non ho altra scelta. Posso solo provare ad arrivarci, compiere la mia missione, e quel che succederà dopo lo sa solamente la Forza. Se non hai voglia di seguirmi, posso tornare indietro e riportarti su Naboo.”

Considerò seriamente quella possibilità. Tornare a Theed, far finta che nulla fosse mai successo, mentire a Luke e alla Principessa riguardo Ben, continuare ad allenarsi… e percepire ogni suo spostamento, ogni sua scelta. Vederlo nei sogni, sentirlo gioire e soffrire, e perdersi per sempre nell’infinità della galassia. O forse tornare vincitore.
Ma non poteva lasciarlo andare. Non avrebbe sopportato di sentirlo nella sua testa e restare impotente, senza alcuna possibilità concreta di aiutarlo.

“La scelta è solo tua.”

Rimasero entrambi in silenzio. Sopra i comandi, i dadi tintinnarono debolmente, scontrandosi.

Gli rivolse un’occhiata di sottecchi e decise che, per quel giorno, non aveva voglia di continuare a discutere. Tirò fuori la sua borsa dalla buca dove l’aveva infilata e ne estrasse la spada, rigirandosi l’elsa metallica tra le dita come Ben aveva giocato con quel cimelio appartenuto a suo padre, cercando di non pensare per un attimo al viaggio che avevano appena iniziato. Fuori, il sistema di Naboo iniziava ad allontanarsi, e con quello la presenza di Luke.
 






Una volta Luke l’aveva mandata a cercare ingredienti per impacchi medici al mercato. Finite le compere, si era infilata in una piccola locanda tranquilla di Theed, una delle sue preferite, dove si poteva mangiare frutta dai colori più strani e ascoltare le storie dei contrabbandieri che si riposavano su quel pianeta verdeggiante prima di ripartire per le loro rotte.

Seduta ad uno dei tavolini nascosti, aveva sentito un uomo anziano parlare di Mortis. Un pianeta lontano, che appariva come una forma nera e indistinta a chi era tanto coraggioso da avvicinarvisi, ma che nascondeva un cuore di foreste lussureggianti e vulcani, rocce crudeli e fiumi di lava sotterranea. La Via Lattea era piena di pianeti di quel genere, aveva sentenziato mostrando alcuni appunti scarabocchiati su di un foglio giallastro, coperto di disegni che non era riuscita a vedere bene. Un nastro di asteroidi e piccoli pianeti sparsi, stelle di ogni genere che brillavano, e lune misteriose a cui nessuno ancora aveva dato un nome. Nessuno che avesse voglia di viaggiare sicuro si sarebbe mai avventurato lì: le rotte conosciute si spingevano fino a Dantooine, fuori dall’Orlo Esterno, ma non osavano oltre.

L’uomo mostrava i suoi disegni a chiunque fosse curioso di ascoltarlo, e affermava che quelli che giungevano a Mortis finivano per perdere la ragione, inseguiti da visioni e immagini dei propri cari perduti.  La Via Lattea, il Sentiero delle Anime, la strada celeste che percorrevano coloro che avevano lasciato il mondo terreno e cercavano pace nella Forza… così raccontavano le antiche religioni, ma quelle storie avevano conquistato pian piano anche la gente comune e chi non credeva nella Forza.
Annuiva convinto, rispondeva a chi lo invitava a smettere di raccontare bugie, spergiurava di essere davvero arrivato su quel pianeta e di poter raccontare con esattezza quanto gli era accaduto. L’uditorio lo ascoltava, attento. Solo in pochi mettevano in discussione quello che stava narrando.


Lei aveva ascoltato quelle storie con interesse e distacco, lo stesso stato d’animo di quando tirava giù un tomo dalla biblioteca e leggeva le avventure degli antichi Sensibili, o dei mercanti spaziali che avevano lasciato i loro resoconti alla famiglia Naberrie… i racconti non l’avevano più abbandonata. Anche dopo giorni e mesi, non aveva potuto dimenticarli. Perché, per quanto potesse trattarsi solo di leggende, non era detto che non contenessero un fondo di verità: ogni storia era basata su qualcosa di vero.

Forse sarebbe stata lei a scoprirlo.
 
 
 
   
 
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