Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Moony16    03/10/2018    1 recensioni
Berlino non era ancora una città sporca di sangue quando Caroline vi arrivò contro la sua volontà in quell'estate del 1940, quando nessuno avrebbe potuto immaginare la piega che avrebbe preso la storia. Con sè, solo una nuova identità, un nuovo nome, la stella di Davide finalmente strappata via dai vestiti e una vita intera lasciata alle spalle.
L'accompagna Joseph, un giovane ufficiale delle SS, il perfetto ariano, uno di quei uomini che potrebbe benissimo stare tra le figurine che la ragazze si passano tra i banchi di scuola, in una rivista del partito nazionalsocialista o in un volantino che incita alla guerra, per riprendersi il "Lebensraum", lo spazio vitale tedesco.
Cosa li lega? Nulla in realtà, se non un'infanzia passata insieme e un debito che pende sulla testa del giovane come una condanna.
***
LA STORIA E' INCOMPLETA QUI, MA LA STO REVISIONANDO E RIPUBBLICANDO SU WATTPAD NELL'ACCOUNT Moony_97, DOVE LA COMPLETERO'
Genere: Guerra, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Storico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Erano le nove e cinquantotto minuti e Caroline guardava l’orologio angosciata.
Non aveva dormito quella notte, era stata distratta tutto il giorno prima e quella mattina aveva versato il caffè su Joseph invece che sulla tazza. Lui aveva imprecato tanto forte che molto probabilmente aveva svegliato mezzo vicinato, poi era uscito di casa furioso. Lei aveva risistemato la cucina e i letti, poi si era vestita. In quel momento era seduta e guardava l’orologio con angoscia.
Ti aspetto domani mattina alle dieci al solito punto. Se non verrai capirò …
Le parole di Dimitri le rimbombavano nelle orecchie mentre lei non sapeva ancora cosa fare. Ripensò al giorno prima, in quella cucina, seduti sopra quella sedia, e avvampò. Aveva rimuginato sulle sensazioni che aveva provato in quel momento, in un cui la sua lucidità era andata via insieme al suo buonsenso, alla pelle d’oca quando le sue labbra si erano poggiate sul proprio corpo, alle sue mani che vagavano sulla propria schiena e al suo profumo così buono tanto vicino. Poteva rinunciare a tutte quelle cose? Poteva rinunciare alle chiacchierate, ai baci, ai suoi occhi blu? Erano stati lontani per un periodo e le era mancato terribilmente. Aveva bisogno di lui per stare bene, per sentirsi viva, amata e donna. Lui la faceva sentire sé stessa. Ma il gioco valeva la candela?
Erano le nove e cinquantanove minuti. 
Sentiva lo stomaco in subbuglio, una miscela insopportabile di sentimenti. Lo avrebbe messo in pericolo?
Perché doveva essere lei quella giudiziosa tra i due? E perché Joseph aveva dovuto metterle in testa pensieri tanto angosciosi e logoranti? 
Sospirò Caroline, mentre si alzava e si stringeva alla sua sciarpa. 
Ci aveva provato, dopotutto, no? Aveva provato a stargli lontano, lui aveva insistito. Aveva provato a comportarsi in modo ragionevole, lui l’aveva sconvolta. Sconvolta, il verbo adatto: non si era mai sentita in quel modo, non aveva mai provato sensazioni simili. L’aveva sedotta, e adesso lei lo rivoleva. 
Erano le dieci in punto.
Caroline guardò con un ultimo sguardo l’orologio, poi mettendo da parte l’esitazione e il tremore che le procurava la consapevolezza di star facendo qualcosa di sbagliato, si fiondò nel corridoio, fece le scale di corsa e con passo svelto si affrettò per raggiungere il solito punto in quell’angolo che era partecipe di quasi tutti i loro incontri, in ritardo di neanche cinque minuti. Si sentiva come Eva che coglie la mela sotto invito del serpente, incapace di resistere alla tentazione, di dire di no pur sapendo di sbagliare. Nella sua mente si giustificava con mille modi con scuse che sembravano patetiche anche a lei, dicendosi che aveva fatto la sua parte, che lui sapeva a cosa andava in contro (anche se in realtà non ne aveva la più pallida idea), che Joseph non lo avrebbe scoperto, che aveva il diritto di stare bene anche lei. Mentre il sorriso vittorioso nel viso di Dimitri l’accoglieva e le sue braccia la stringevano in un abbraccio sollevato, Caroline pensò che si, quella era di sicuro la scelta migliore anche se non la più giusta.
Dimitri sapeva che lei sarebbe venuta, forse un po’ in ritardo, titubante probabilmente, ma aveva la certezza che sarebbe arrivata. 
Il giorno prima l’aveva sconvolta, ne era consapevole, e non gli dispiaceva affatto. Dopotutto, in guerra e in amore tutto è concesso, e lui voleva continuare a vederla. Non aveva nessuna intenzione di rinunciare a lei, aveva già perso troppo e avrebbe fatto di tutto pur di conservarla accanto a sé. Non importava cosa sarebbe accaduto, non importava se non avevano futuro, lui voleva avere la possibilità di stringerla come in quel momento anche solo un’altra volta. E se per avere questo avrebbe dovuto fare leva sulla sua scarsa esperienza e sulla propria capacità di baciare una donna e di farle perdere la ragione, beh lo avrebbe fatto. Dimitri sapeva che lei non aveva chiuso occhio quella notte, ripensando a come aveva sfregato le sue mani e la sua bocca su di lei, ritornando alle sensazioni dei denti e della lingua sulla carne sensibile del suo collo. L’aveva guardata arrivare quasi di corsa, impaurita che lui si fosse stancato di aspettare, senza sapere che lui avrebbe potuto attendere un suo si per tutta la vita, per poi abbracciarla sotto lo sguardo dei passanti. Non l’aveva baciata, prolungando l’attesa e il desiderio della ragazza: sapeva che, con i sentimenti che li animavano, sarebbe stato un bacio decisamente sconveniente in un luogo tanto trafficato. Con un sorriso le aveva preso la mano e Caroline non aveva capito che, se fino a quel momento era stata lei a reggere il gioco, adesso era passato nelle mani forti e callose di Dimitri. 
***
Come era arrivato, l’autunno passò, in un girotondo di foglie rosse e secche, che cadevano sospinte dal vento. Il cielo era sempre più spesso occupato da nuvoloni neri, la pioggia era fredda e incessante, il vento gelido. Le giornate si accorciarono sempre di più e ormai Joseph tornava a casa quando il cielo era scuro.
Si vedevano già gli addobbi natalizi, le luci sfavillanti intorno le vetrine, gli alberi di natale decorati con lucine e palline colorate, i genitori che tenevano per mano pacchi con i regali per i loro figli, i dolci di pan di zenzero nelle vetrine. Tutto emanava aria di festa quel diciotto Dicembre e non sembrava neanche che il loro paese fosse in guerra. 
Quella mattina Caroline si era svegliata allegra anche se infreddolita. Nella sua camera non c’era la stufa e lei, nonostante gli strati di coperte sempre più numerosi, sentiva sempre freddo. Aveva indossato la sua vestaglia di lana, verde e abbastanza grande da avvolgerla due volte, poi sopra i due paia di calzettoni aveva messo le sue ciabatte pelose e morbide. Vestaglia e ciabatte erano state un inaspettato regalo di Joseph che, vedendola tremare ogni mattina, la settimana prima era tornato a casa con quei due pacchetti. Caroline si era stupita quando, tirandoli fuori glieli aveva lanciati quasi in faccia dicendo “ e smettila di lamentarti per il freddo, una buona volta!”. Aveva cercato di essere sgarbato, ma la ragazza non aveva potuto fare a meno di notare che le pantofole erano tremendamente simili a quelle che amava mettere quando era bambina mentre la vestaglia era del suo colore preferito. Lo aveva ringraziato cucinando una torta di melassa il giorno dopo, la preferita del ragazzo, dicendo che ogni tanto una buona merenda andava anche a lei. Joseph aveva capito e riso sotto i baffi, ma non le diede la soddisfazione di ammettere quanto gli piacesse. Probabilmente il Natale rendeva davvero tutti più buoni, altrimenti quel comportamento sarebbe stato inspiegabile e dannatamente fuori luogo. 
Caroline continuava a vedere Dimitri, ed era riuscita perfino a comprare della lana (a Joseph aveva detto che le serviva per farsi dei guanti, cosa per altro vera) e a confezionargli un cappellino blu. Era una cosa stupida, ma non avrebbe potuto fare di meglio, e poi era convinta che i cappelli, in quel periodo dell’anno, non fossero mai troppi. 
Quella notte era venuta giù la prima nevicata e lei non vedeva l’ora che arrivassero le dieci per poter scendere e godersela insieme a Dimitri. Aveva cominciato a cucinare la colazione per il soldato canticchiando una canzone natalizia e ciabattando per tutta la cucina con aria allegra.
«non sei molto intonata, lo sai?» aveva esordito Joseph, anche lui in vestaglia e con un piccolo sorriso divertito a increspargli le labbra. Non si era svegliato bene quella mattina, ma sentirla canticchiare in cucina l’aveva un po’ rincuorato. Lei non si era girata e aveva continuato con la sua canzoncina armeggiando davanti i fornelli.
«è per la neve che sei così allegra?» aveva chiesto, mentre si sedeva al suo posto e accendeva la radio.
«certo! E poi tra qualche giorno è Natale! Lo sai quanto lo amo, no? A proposito, devi assolutamente comprare delle decorazioni e un albero per questa casa, al resto poi ci penso io» aveva detto finalmente girandosi verso di lui.
«si ci avevo già pensato, avevo intenzione di andare oggi. Il diciotto dicembre non sono mai in vena di lavorare, quindi ho preso un giorno di permesso. E poi devi comprarti un vestito elegante» lei era rimasta a interdetta a quelle parole, poi si era girata di nuovo verso la colazione.
«un vestito? Perché?» aveva chiesto,  mettendogli davanti le uova fumanti, il caffelatte caldo e del pane. Poi prese la marmellata e si sedette a tavola con lui: lei si accontentava di pane, marmellata e di una tazza di tè. Joseph non aveva risposto, aspettando che lei si sedesse, poi con l’aria più disinvolta che riuscì a trovare le spiegò.
«c’è una festa, un galà, organizzato per gli ufficiali delle SS, e mi hanno invitato» lei lo aveva guardato ridendo sotto i baffi.
«e dovrai pure ballare?» chiese, mettendo l'accento su quell'ultima parola. Joseph abbassò lo sguardo sul suo piatto nascondendo un po’ di imbarazzo. Non voleva chiederle aiuto, ma era esattamente ciò che stava per fare.
«beh è un galà …» aveva risposto con nonchalance. La risatina di Caroline divenne ridarella, nel guardare la sua faccia. Il fatto era che Joseph era un pessimo ballerino, lo era sempre stato e Caroline sapeva che la cosa non sarebbe mai potuta cambiare, neanche con mille lezioni di danza. Lo sapeva perché quando era piccola, a sette o otto anni, aveva preso lezioni di ballo e di danza classica: dopotutto all’epoca faceva parte della parte più ricca e rispettabile della società. Aveva più volte provato a insegnargli qualcosa, anche quando erano un po’ più grandi, nella speranza di trovare qualcuno con cui esercitarsi ma lui era tremendamente scoordinato, rigido come un palo e non azzeccava neanche un tempo. 
«va bene, quindi tu dovrai ballare davanti tutti gli ufficiali e le loro signore. E io che c’entro?» aveva chiesto intuendo la risposta, ma non volendo rendergli le cose più semplici: se voleva il suo aiuto, come minimo doveva chiederlo. Non che lo meritasse, d’altra parte però non aveva molta scelta.
«tu verrai con me. Così nel caso dovessi ballare, avrei qualcuno a cui pestare i piedi senza fare figuracce» lei lo aveva guardato con un sorriso sadico, sventolandogli la mano sinistra davanti.
«mi servirà un anello, allora: non accetteranno niente di meno che la tua fidanzata ufficiale, in un posto del genere» in realtà, sperava di dissuaderlo. Magari capendo che avrebbe speso un patrimonio solo per un galà avrebbe desistito, ma lui la sorprese.
«lo so. Indosserai quello di mia madre» aveva detto fissandola negli occhi. E Caroline seppe di non aver nessuna chance di fargli cambiare idea. Non credeva però che le avrebbe affidato mai un oggetto così prezioso, suo padre era morto di fame piuttosto che vendere quell’anello e probabilmente era l’unico oggetto che legava Joseph a sua madre.
«e non capiranno che la tua fidanzata è anche la tua cameriera? Alcuni di quelli sicuramente sono stati qui» disse incrociando le dita. Joseph sbuffò.
«i camerieri per questo tipo di gente sono come la tappezzeria, Caroline. Non ti guardano neanche, non fanno caso a te, e anche se per un momento il loro sguardo si posa su di te, nessuno potrebbe mai ricollegare la sciatta cameriera con la donna che si presenterà al galà, in tiro e con un anello al dito. L’unica cosa che avrebbe potuto tradirti sono i capelli, per questo ho insistito tanto per farti mettere l’uniforme e quindi la cuffietta» lei rimase in silenzio per un attimo.
«avevi programmato tutto?»
«no, volevo renderti il più anonima possibile. E mi sta tornando utile, a quanto pare» rispose lui con mezzo sorriso. A quel punto, Caroline si arrese. Aveva esaurito le argomentazioni, non aveva idea di come ribattere, quindi abbassò gli occhi sul proprio pane con la marmellata d’arance.
«sappi che sceglierò il vestito più costoso possibile» disse risentita, prima di ricominciare a mangiare. Joseph accennò un sorriso, e si concentrò anche lui sulla propria colazione.
Le  strade innevate erano uno spettacolo e Caroline non riusciva a smettere di sorridere. Joseph non sembrava condividere la sua allegria e stava qualche passo indietro, la faccia calata nel cappotto elegante che indossava e un cappello a coprirgli la testa bionda: sembrava che ad ogni passo si aggiungesse tristezza al suo viso. 
Dopo l’ennesima volta che Caroline si era ritrovata avanti da sola, lo aveva affiancato sbuffando.
«insomma, ma si può sapere che cos’hai oggi?» lui la fissò un attimo negli occhi, raddrizzandosi.
«cosa ho?» le aveva risposto con gli occhi più tristi che Caroline gli aveva visto negli ultimi mesi. Lo fissò per un attimo, cercando di capire. Cosa aveva? Era legato al passato, questo era ovvio, nella vita di quel nuovo Joseph non c’era spazio per la tristezza. E lei faceva sempre più fatica ad accostare quel viso a quello del suo Jo. Poi però, come colpita da un fulmine, ricordò. 
«Joseph, io l’avevo dimenticato» disse con una vocina pentita. Lui scrollò le spalle.
«questo era ovvio …» disse distogliendo gli occhi e superandola. Lei lo affiancò.
«sai gli ho portato i fiori tutti gli anni … anche quando avevo smesso di scriverti. L’ho fatto fino all’anno scorso. Io … non so perché l’ho dimenticato. Non l’ho mai fatto, forse perché mi ricordava il momento in cui te ne sei andato» gli disse, afferrandolo per un braccio. Lui spalancò gli occhi grigi a quella scoperta.
«hai portato dei fiori alla tomba di mio padre per tutti questi anni? Anche quando non potevi permetterli?» lei abbassò gli occhi imbarazzata.
«beh, pulivo la lapide e gli lasciavo un mazzo di fiori. Quando non potevo comprarlo lo rubavo di nascosto dalle tombe con più fiori … so che è di cattivo gusto, ma che alternative avevo?» disse imbarazzata.
«ma non è questo il punto. Io volevo farlo perché tuo padre era una brava persona, un uomo senza pregiudizi che amava la vita e che avrebbe dato qualsiasi cosa per te. E io gli volevo bene» concluse la ragazza.
Lui l’aveva fissata per un lungo attimo con aria stupita, poi aveva distolto lo sguardo.
«grazie» disse secco ma visibilmente sincero. 
«non me lo aspettavo, credevo avessi cominciato ad odiarmi già dopo il 1933» aveva aggiunto con un mezzo sorriso amaro.
«odiarti? No, quello solo dopo essere venuta in questa città con te» aveva detto lei senza guardarlo in faccia. Lo odiava? Ne era stata sicura per un periodo senza però detestarlo sul serio, poi era arrivata a desiderarne la morte, adesso invece era tornata allo stato iniziale, solo che adesso sapeva bene di non odiarlo. 
«questo si che mi rincuora» aveva detto con voce divertita, mentre riprendevano a camminare nell’aria fredda di Berlino. Lei aveva riso per sdrammatizzare, poi aveva cambiato repentinamente argomento.
«allora, io dico di cominciare dal vestito, perché già so che fare acquisti con te è sfiancante, dopo però compriamo gli addobbi!» lui aveva annuito, accontentandola, così si erano diretti verso la boutique dove lei aveva comprato già l’abito per il funerale del cugino di Joseph, mesi prima. 
«come lo vorresti questo vestito?» le aveva chiesto Joseph, stupendola.
«quindi lo sceglierò davvero io?» lui aveva fatto spallucce.
«credo che voi donne sappiate meglio come valorizzare voi stesse» lei aveva annuito pensierosa.
«intanto devo sembrare una gran signora, quindi sarà meglio indossare dei guanti, così non mi si vedranno le mani» constatò, ottenendo subito l’approvazione dell’uomo.
«e poi a me stanno bene il verde, l’azzurro, il blu … insomma l’abito dovrà essere di uno di questi colori, magari non troppo scollato, e stretto in vita con un cinturino» Joseph annuì sovrappensiero. 
«starai benissimo. E poi, è impossibile negarlo, hai un bel portamento» lei si era tutta inorgoglita a quel complimento, raddrizzando la schiena.
«lo so. Fino a qualche anno fa ero abbastanza ricca, è normale che sia così» disse imperiosa. E Joseph ricordò chi effettivamente fosse, le lezioni di ballo, le feste a casa dei suoi genitori, i vestiti raffinati e i giocattoli costosi. Lei era stata ricca come lui difficilmente sarebbe arrivato ad essere. 
Li accolse la stessa ragazza bionda, questa volta però con un bambino in braccio che fece andare Caroline in brodo di giuggiole. Joseph aspettò pazientemente che le due donne smettessero di fare faccine e versi strani al bambino, poi finalmente riuscì a ricordare a Caroline il motivo per cui erano lì.
«Elly, ricordi del vestito che devi comprare, no?» aveva detto, cercando di non suonare acido, in una breve pausa tra le chiacchiere delle due. La proprietaria era arrossita e aveva cercato di ricomporsi.
«davvero, mi scusi, mi sono persa in chiacchiere. Allora, cosa le serve?» Caroline le aveva descritto l’abito che aveva in mente, così la donna sparì nel camerino. Dopo qualche minuto riapparve con un vestito lungo e verde scuro, con dei guanti coordinati. Diversamente da come aveva chiesto la ragazza aveva lo scollo abbastanza profondo e manichette di velo , il corpetto ricoperto di strass  che dal cinturino in giù si facevano sempre più radi. Era elegantissimo, così come i guanti che le arrivavano fin sopra i gomiti, a metà braccio. Caroline lo aveva guardato stupita e, quando lo aveva provato, se n’era tremendamente innamorata. Era uscita dal camerino in trepidante attesa, e sia Joseph che la commessa l’avevano osservata per qualche secondo, prima di esprimersi. Sembrava aver subito una trasformazione, stava divinamente, sembrava fosse nata per indossare quel vestito. Joseph non aveva detto niente, si era solo girato a guardare la commessa dicendo : «lo prendiamo. Però ci servirà un cappotto, una borsa e delle scarpe» aveva detto, intontito da quella visione. Con quell’abito addosso, Caroline sembrava una ninfa, una donna di classe. Era stata una pessima idea, decidere di portarla con lui quella sera.
Erano usciti dal negozio con due espressioni dimetricamente opposte: lui imbronciato e pensieroso, lei raggiante. Avevano abbinato degli accessori marroni, che probabilmente Caroline non avrebbe messo mai più ma di cui andava pazza. 
Il resto della mattina lo avevano passato comprando addobbi di ogni tipo. Joseph non aveva mai avuto né il tempo né tanto meno la voglia di addobbare la casa per il Natale, ma adesso era tutto diverso.
Pranzarono in un ristorantino vicino casa, sommersi dalle borse con gli acquisti. Gli avrebbero portato l’albero di Natale nel primo pomeriggio e Caroline era raggiante. Con la sua allegria lo aveva un po’ contagiato e adesso mangiava la sua zuppa calda con un lieve sorriso nel viso, mentre lei continuava a sproloquiare su dove avrebbero messo gli addobbi, sul vischio nella porta di casa, sulle lucine nelle finestre e sulle altre mille cianfrusaglie che avevano comprato. 
Joseph di certo però non si sarebbe aspettato di divertirsi ad addobbare la casa fino allo stremo. Non c’era un angolo dell’appartamento in cui non ci fosse un addobbo natalizio, Caroline cantava stonata canzoncine di natale, seguita a ruota da lui, mentre si arrampicavano sulla scala per arrivare persino ai lampadari.
Quella sera avevano cenato insieme continuando a ridere come se non ci fosse un domani. Caroline aveva sparecchiato con naturalezza e lui non aveva sentito il bisogno di bere whiskey prima di andare a dormire, ma anzi erano rimasti a chiacchierare insieme come vecchi amici. Joseph si sentiva felice come raramente gli accadeva, mente Caroline … beh quello era il suo Jo non c’era cosa che non avrebbe dato perché lui fosse sempre così, perché quando toglieva la maschera da SS lui era semplicemente fantastico. Ma non si illudeva più la ragazza, sapeva che il giorno dopo tutto sarebbe tornato come prima e che quella era solo un’allegra parentesi della vita che le avevano rubato. 


19/12/1929
Caro Jo
È il primo Natale qui senza di te. Mamma oggi ha tirato fuori le palline e gli addobbi per l’albero e per la casa e io mi sono sentita dannatamente triste pensando che questa volta non ci saresti stato tu ad addobbare la parte più alta dell’albero, quella a cui non arrivo. Casa nostra è piena di lucine e io ho insistito per mettere una ghirlanda di vischio sulla tua porta, perché davvero, vederla spoglia in quel modo mi faceva venire un groppo allo stomaco. 
Ieri sono andata al cimitero. Ho messo un mazzo di fiori sulla lapide dei tuoi genitori e ho lasciato lì quel biglietto senza aprirlo, come avevi chiesto. Però, davvero, secondo me non dovresti sentirti in colpa, se non puoi andare a trovarli (non provare a negarlo, lo so che è così). So di non poterti capire, però io credo che le persone che non ci sono più vivano più nel ricordo dei vivi che nelle tombe fredde e nelle lapidi dei cimiteri. Tua madre e tuo padre vivono e vedono attraverso i tuoi occhi, e non saranno dei fiori sul marmo a cambiare le cose. 
Ti ho pensato tanto ultimamente, forse perché si avvicina l’anniversario della tua partenza. È quasi un anno che non ci vediamo e a me sembra sia passato un’infinità di tempo, ma allo stesso tempo mi sembra ieri che sei andato via. Se chiudo gli occhi sento ancora te che mi abbracci e il tuo solito odore nelle narici. Strano che ho dimenticato la tua voce ma non il tuo odore.
Mamma dice che nelle mie lettere con te dovrei essere allegra e che con tutto quello che stai passando dovrei provare a farti fare due risate, e di solito lo faccio, ma non oggi, non posso, non ci riesco. Ci sono troppe cose tristi di cui parlare oggi, troppe mancanze e desideri. Ho provato a convincere i miei a venire a Berlino, ma non possono, e so già che i tuoi zii non mi ospiterebbero mai, anche solo per farti un dispetto. E io vorrei solo rivederti un’altra volta. 
Sei un uomo di parola Jo, per questo credo che prima o poi ci rivedremo: me lo hai promesso, ricordi? Non vedo l’ora che questo accada, di sentirmi chiamare Elly da te (nonostante lo abbia sempre odiato) e scherzare sul fatto che sei diventato altissimo (perché non ho bisogno di foto per sapere che diventerai un gigante da grande, mentre io probabilmente resterò minuscola) e battibeccare su quale colore dei nostri occhi sia più bello. Non vedo l’ora di poterti abbracciare e sentire di nuovo il tuo odore, perché da quando te ne sei andato mi sembra di non riuscire più a essere me stessa al cento per cento.
Con amore
Elly
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Moony16