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Autore: Blackvirgo    03/10/2018    1 recensioni
Il sacerdote la osservò allontanarsi e portare via ogni luce dal mondo e dalla sua vita.
No, promise a se stesso. Perché se Lantis lo aveva derubato del sonno, lei gli avrebbe portato via la vita. No, amore mio.
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Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it, prompt 3.Insonnia.
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emeraude, Zagato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La principessa era seduta sui gradini, ai piedi del trono, lo sguardo fisso sulle dita intrecciate in grembo. Quando li alzò fu per appoggiarli su Zagato che, nel suo lento incedere, pareva prendesse forma dalle ombre che lo circondavano. Sorrise, nel vederlo, perché pareva si fossero dati appuntamento lì mentre, con tutta probabilità, erano state le loro inquietudini a smaniare per farli incontrare.
“Vieni a sederti accanto a me,” gli mormorò quando il sacerdote si inchinò davanti a lei, il viso rivolto a terra, gli occhi nei suoi.
Lui obbedì: lo faceva sempre.
“Non riesci a dormire, mio sacerdote?”
Zagato piegò appena le labbra nell’accenno di un sorriso, ma lo sguardo rimase cupo. Aveva sempre avuto il sonno leggero, ma questi ormai pareva rifuggirlo. Forse era stato Lantis a rubarglielo e a portarlo con sé ovunque fosse andato a finire. “Pare che siamo in due. Cosa vi turba, principessa?”
Emeraude scosse il capo e le lunghe chiome dorate vibrarono come animate da vita propria. “Ora niente.” Solo il giorno prima, quella domanda avrebbe avuto una risposta ben diversa: tu, io. Noi. Il futuro di Sephiro e dei suoi abitanti. Ma, ora che aveva preso la sua decisione, si sentiva in pace come non lo era mai stata: certo non dopo che Zagato era entrato nella sua vita, ma neppure prima quando era troppo giovane e sola per capire cosa fosse davvero la pace. “Mi accompagni in giardino?” Glielo chiese con un sorriso luminoso. Aveva voglia di sentire l’aria e il cielo sulla pelle per l’ultima volta.
Zagato si alzò in piedi e le porse la mano per aiutarla ad alzarsi. Emeraude l’accettò: si lasciò attraversare da un brivido che ora non le provocò più timore o vergogna, ma solo l’eco di un rimpianto. Aveva rinunciato alla felicità con il Sacerdote ancora prima di conoscerlo, ma non avrebbe mai potuto vivere nel rimorso di aver causato la rovina di un mondo intero. E rinunciare a tutto era stato doloroso, straziante, come strapparsi dal cuore i sentimenti uno per uno. Ma, ora, quel che rimaneva del suo cuore era leggero.
Percorsero silenziosi i corridoi del castello: Emeraude che pareva splendere di luce propria e Zagato, sempre un passo indietro, ma fedele come un’ombra.
Sorpassarono due guardie che abbassarono appena il capo nel vederli uscire a quell’ora di notte e, nel buio reso delicato dalle stelle, si diressero oltre il porticato, vicino al grande albero. Emeraude se lo ricordava ancora quel giorno, quando il tempo si era dilatato all’infinito e le lacrime le avevano rigato il viso. Quando Zagato aveva confessato a Lantis i suoi sentimenti per lei.
“Hai più avuto notizie di tuo fratello?”
Zagato scosse il capo. Lantis non aveva mai amato le regole, le costrizioni, l’etichetta. Ma non si era aspettato che se ne andasse così, senza neppure un addio.
“Ti manca molto?”
Il sacerdote si strinse nelle spalle, gli occhi ridotti a due fessure. Non gli mancava e basta: era arrabbiato con lui per averlo tagliato fuori, era amareggiato e deluso per non essersi meritato neanche un addio. Era frustrato perché solo Lantis avrebbe potuto stargli vicino in quei momenti così difficili, di frustrazione e insonnia perenne, e invece se n’era andato lasciando un vuoto in più nella sua vita.
“Anch’io avevo un fratello, una volta,” raccontò Emeraude, la voce dolce come la brezza che faceva oscillare le fronde. “Si chiama Ferio. Non lo vedo da molto tempo.”
Zagato si voltò verso di lei, stupito.
“Da quando sono diventata colonna di questo mondo non potevo permettermi di dividere la mia attenzione con altri affetti.”
Zagato colpì l’albero con il pugno chiuso. Se solo fosse servito a qualcosa – se avesse colpito Lantis o la sua frustrazione o quell’enorme cumulo di regole che lui, ogni giorno, contribuiva a far sì che venissero rispettate – l’avrebbe picchiato fino a consumarsele, le mani.
“Dovrei capire qualcos’altro da questa vostra affermazione?” Strinse il sangue fra le dita: era caldo e denso e inafferrabile. E continuava a scorrere nelle sue vene e a gocciolare a terra. Era esattamente come il suo amore per Emeraude: nella vita o nella morte, non sarebbe mai stato in grado di liberarsene.
La principessa abbassò lo sguardo. “Lo sai che per noi non c’è futuro.” Si avvicinò a lui, l’erba fredda e morbida sotto i piedi nudi. “Non c’è mai stato, né mai ci sarà.”
“È per questo che mi hai portato qui? Per dirmi qualcosa che – sappiamo benissimo entrambi – non potrà mai cambiare?”
“No.” La mano di Emeraude percorse lentamente il braccio di Zagato fino ad accarezzare il suo volto. Lo fece girare verso di lei e, alzandosi sulla punta dei piedi, gli sfiorò le labbra con le proprie. “Domani la leggenda diverrà realtà.” Gli sorrise e a lui parve bella come non l’aveva mai vista. “Addio.”
Il sacerdote la osservò allontanarsi e portare via ogni luce dal mondo e dalla sua vita.
No, promise a se stesso. Perché se Lantis lo aveva derubato del sonno, lei gli avrebbe portato via la vita. No, amore mio.  
 
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