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Autore: _Akimi    05/10/2018    1 recensioni
[TanaHina Day 5/10 - Writober - Futuro/AU]
"«Qualcosa mi dice che Suga non ti ha mai detto nulla.»
Un cambiamento, una confessione che sembrava anticipare un qualcosa a cui Hinata non credeva di essere pronto; poteva essere una sciocchezza, ma lo aveva visto così serio solo in poche altre occasioni e sapeva che non vi era motivo per scherzare ora.
Non aveva mai chiesto del suo vivere ad altri; non sapeva perché - forse una parte di lui voleva dimenticarsi la non-poco-palese cotta che aveva avuto nei suoi confronti al liceo, ma non ne era valsa molto la pena perché ora che lo aveva di fronte, tutto sembrava essere come prima.
«Senti, ho fatto delle cazzate tempo fa. Cose che ho dovuto...come dire, scontare. Non ne vado orgoglioso, ma so che se ne parlerà lì dentro anche se io non vorrò. Sarà da stupidi, ma preferisco mantenere le cose come prima.»"
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ryuunosuke Tanaka, Shouyou Hinata
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(再発足)


Hinata non era il tipo di persona che dimenticava facilmente alcuni dettagli del suo passato; vero, si distraeva spesso, perdeva frammenti di vita qua e là, ma alcune cose - e lo diceva con certezza - non le avrebbe scordate neppure dopo un lungo passare di anni.
Erano memorie che rimanevano, forse inutili dettagli agli occhi di altri, ma un certo sorriso o un determinato gesto rievocavano facilmente tempi che covava nella sua memoria, conservandoli con cura.
Ed era strano, pensando a quanto cattivo si fosse mostrato il mese di Ottobre sino ad ora, rincontrare un segmento del proprio passato in un contesto del tutto casuale, nella stessa città che li aveva visti conoscersi e che li aveva cresciuti assieme.
Nulla di volontario o struggente; il loro ritrovarsi non ricordava una romantica scena di un qualche film al cinema, ma era in ogni modo una sorpresa - lo si percepiva sul viso di entrambi - vedersi dopo anni di vite diverse e complicati imprevisti.
Un silenzio inspiegabile, sapendo quanto fossero stati legati duranti gli anni del liceo, ma Hinata sperava che tale scomparsa fosse un buon segno per il maggiore, un naturale distaccarsi per dare più spazio ai reali problemi del mondo degli adulti.
E, osservandolo curioso, Tanaka Ryūnosuke sembrava davvero più maturo da quando si erano salutati per l’ultima volta.

«Almeno otto dannati anni, sono sicuro di non sbagliarmi.»
Una voce inaspettatamente roca, ma che non mancava di quell’aggressivo fervore già caratteristico da ragazzino; era un timbro che riportò alla mente gli ironici slogan durante le partite, le battute scambiate negli attimi di pausa e le parole più serie che aveva dedicato solo nei momenti in cui gli altri non avevano più coraggio da mostrare in campo.
E Tanaka sembrava avere sempre qualche forza residua, una riserva a cui lo stesso Hinata aveva attinto nei giorni no, nel bisogno, senza mai aver reso il favore.
Poteva recuperare adesso, se il tempo lo poteva concedere.
«Tanaka-senpai, non sei cambiato di una virgola.»
Non lo diceva per circostanza, ma Abitudine era ciò che percepì guardandolo negli occhi e - forse azzardatamente – anche stringendolo in un abbraccio che oscillava tra timido imbarazzo e confidenza storica.
Pareva non averlo mai visto andare via, non essersi mai divisi, anche se Hinata non sapeva dire che cosa li avesse spinti così lontano.
Lo sapeva, la scuola e la vita erano due cose differenti; lo aveva capito quando, stoltamente, si era ritrovato senza nessuno in un’Università nella più lontana Osaka, ma un senso di insolita malinconia lo attaccava ora, vedendo che nulla era poi così cambiato tra loro.
Pensandoci, non era sicuro che fosse del tutto positivo.
«Tu sì invece;» esclamò accennando un ghigno soddisfatto; sembrava contento per lui e sì, anche questa sua empatia non lo aveva abbandonato; «Suga mi ha detto che sei diventato un secchione, oltre che uno dei migliori della nazionale.»
Un accenno di rossore diede vita al viso di Hinata, consapevole di non essere stato dimenticato; il più grande gli riservava troppa gentilezza, ma non poteva certo dire di non apprezzarla.
Non era più un gran talento, se paragonato alle altre personalità della squadra, ma sentirselo dire da qualcuno che lo conosceva - anzi, da Tanaka in particolare - lo faceva sentire di nuovo il testardo ragazzino dei tempi della Karasuno.
«Hai detto due mezze verità, quindi accetto i complimenti con modestia.»
Increspò le labbra spontaneamente vedendo l’altro fare lo stesso, come se la medesima complicità che li aveva accomunati durante l’adolescenza non se ne fosse mai andata.
Ed era piacevole, seppur non potesse ricambiare le gentili parole nel medesimo modo; quasi si sentiva in colpa, sapendo che aveva perso i contatti un po’ con tutti - ad esclusione di Kageyama e Sugawara.
Si sentiva invadente nel domandare che fine avesse fatto, com’era la sua vita e la sua famiglia - ricordandosi della grinta che sua sorella maggiore aveva sempre riversato in campo durante le loro partite.
Si sentiva invadente, sì, eppure doveva essere certo che questo incontro non finisse casualmente come casualmente era iniziato; un tentativo, un’ultima speranza per riallacciare quei rapporti andati perduti per inerzia, più che per intenzione.

«Sai, non pensavo di ritrovarti qui a Sendai; in realtà anni fa Suga-san mi ha detto che ti sei mai trasferito altrove;» l’unica e ultima informazione che aveva di lui, una magra consolazione a giustificare una pigrizia altrimenti inspiegabile. «ma per caso sei anche tu qui per la rimpatriata?»
Non era una reale domanda, ma una proposta mal mascherata, un modo per dirgli che doveva esserci perché - al momento - non era certo di poter gestire un ritorno così importante.
Non era mai stato bravo ad esprimere sé stesso fuori da un campo da pallavolo e per quanto se ne fosse dimenticato per anni, tra di loro era rimasto qualcosa di sospeso, confusamente sospeso.
Tante confessioni non dette, fraintendimenti e silenzi - forse, realizzava Hinata, motivo naturale di quell’anomalo allontanamento.
«Ah, la rimpatriata...»
Una risposta tentennata e uno sguardo sottile, quasi a mostrare un senso di pudore che lo portava fuori dal personaggio; Tanaka non era timido né vergognoso - sapeva stare al suo posto se necessario, ma Hinata non riconosceva un’espressione così afflitta sul suo volto, così distante anche dalla delusione che aveva avuto la meglio di lui nei casi di qualche match perso.
«Noya-san non c’è, si è trasferito da poco ad Hong Kong per lavoro e, senza offesa, non credo che ci sia un buon motivo per venire.»
Il mormorio sommesso offese Hinata più di quanto potesse immaginare; si sentiva uno scarto da gettare via, come se la sua compagnia valesse poco o nulla.
Lo sapeva che l’amicizia che legava l’altro a Nishinoya era diversa: erano sempre stati quelli del secondo anno, un dinamico duo, gli animali da festa della Karasuno, ma era proprio la loro chiassosa personalità a non far quadrare i conti.
Il vecchio Tanaka - se ne esisteva effettivamente uno - non avrebbe mai declinato un invito a trascorrere del tempo con degli amici, ma forse Hinata si sbagliava.
Tanaka Ryūnosuke era cambiato e lui doveva ancora rendersene conto.
«Allora non ci andrò nemmeno io.»
Era irremovibile, un’affermazione che non chiedeva permesso né perdono; una frase per dire che da lì non sarebbe scappato facilmente e che, arrivati a questo punto, Hinata non se ne sarebbe ritornato ad Osaka prima di averlo convito.
«Stai minacciando un tuo senpai, Hinata Shōyō?»
Voleva parere rabbioso, corrucciando la fronte come se si stesse preparando ad uno scontro fisico, ma l’altro lo conosceva abbastanza bene per sapere che non vi era strato sufficiente per difendersi dalla sua ostinazione.
«Va bene, ma avvisi tu Suga, l’ho bidonato stamattina e non credo che sopporterebbe un cambio di idea così repentino.»
Bene. Doveva considerarlo già fatto.


 
♦•♦


Non era stata una bugia, ma neppure una piena ritrattazione. Aveva cambiato di nuovo idea, all’ultimo minuto lì, in un parcheggio isolato non molto lontano dal vecchio viale che percorrevano per andare alla loro vecchia scuola.
A qualche metro potevano vedere l’insegna del negozio di Ukai, un ricordo che li avrebbe fatti sorridere senza la tensione che, invece, aleggiava tra i sedili già da lunghi minuti.
Una macchina italiana, vecchia e malconcia, ma Tanaka ne discuteva come se l’avesse voluta per tutta la vita - forse gliene aveva già parlato quando era all’ultimo anno di liceo - un dettaglio che dimostrava che qualcosa del vecchio Ryū non aveva cessato di esistere.
«Ci saranno anche Ennoshita e Kiyoko, per divertirsi non bisogna per forza avere un pazzo come Noya-san accanto.»
Sarebbe stato diverso, certo, perché erano passati anni da quando si erano tutti salutati e un’assenza era pur sempre tale, considerando quanto Yū si facesse rumorosamente riconoscere in mezzo agli altri.
Sarebbe stato diverso perché non erano più abituati a vedersi ogni giorno, qualcuno di loro si era sposato, altri non sapevano ancora che fare delle loro esistenze, ma per Hinata non doveva trattarsi di un show per dimostrare di avercela fatta.
Nessuna regola universale, solo vecchi amici con il desiderio di parlare di vecchie cose.
«Sì, è vero, ma devo aspettarmi tutte quelle cazzate di circostanza e ti assicuro, guasterei solamente la festa.»
Le nocche schiarirono nello stringere con foga il volante, un minimale gesto che non sfuggì agli occhi di Hinata; non poteva dargli torto, si sarebbero trovati a chiedere e rispondere su argomenti a cui forse non erano realmente interessati, ma era la vita e poco credeva ad un Tanaka incapace di relazionarsi con il mondo.
«Mi spiace, ma non puoi avere il primato in tutto;» non sembrava particolarmente convinto dal tono allegro di Hinata, ma era un tentativo misero, un’ultima prova; «sai che Suga e Daichi si saranno vestiti al meglio, mentre io sembro ancora un 15enne. Litigherò con Tsukishima appena ci vedremo e sinceramente preferirei sentire te parlare di ragazze per tutto il tempo, piuttosto che sorbirmi i borbottii continui di Asahi e Yamaguchi.»
Aveva vinto qualcosa, almeno un principio di sorriso che non accennava a scomparire; era poco forse, ma sufficiente a ricordargli che, diamine, lui era Tanaka Ryūnosuke ed aveva affrontato avversari ben più temibili di un paio di pettegoli in cerca di un gossip.
«Sì, ragazze...non ho avuto proprio il tempo di fidanzarmi.»
«Io ci ho provato;» Hinata alzò le spalle, lasciandogli intendere che nella vita non tutto sarebbe andato come volevano e non per questo dovevano sentirsi dei falliti o condannati ad un supplizio eterno. -«ed è andata male, quindi non mi interessa che cosa tu abbia fatto negli ultimi 8 anni. So che sei Tanaka-senpai, è sufficiente, fidati.»
Non era mai stato bravo ad incoraggiare gli altri; era stato il contrario, a dire il vero, tra loro due.
Tanaka era l’animatore, colui che scioglieva il ghiaccio e che metteva tutti a suo agio; aveva sempre difeso Hinata, forse anche in momenti in cui non se lo meritava realmente.
Lo aveva preso sul serio nelle occasioni in cui altri lo sottovalutavano, lo aveva appoggiato e capito anche quando il suo unico modo di esprimersi erano versi e onomatopee di poco senso compiuto.
Doveva rimanere con lui, o almeno, supportarsi a vicenda ancora una volta.

«Qualcosa mi dice che Suga non ti ha mai detto nulla.»
Un cambiamento, una confessione che sembrava anticipare un qualcosa a cui Hinata non credeva di essere pronto; poteva essere una sciocchezza, ma lo aveva visto così serio solo in poche altre occasioni e sapeva che non vi era motivo per scherzare ora.
Non aveva mai chiesto del suo vivere ad altri; non sapeva perché - forse una parte di lui voleva dimenticarsi la non-poco-palese cotta che aveva avuto nei suoi confronti al liceo, ma non ne era valsa molto la pena perché ora che lo aveva di fronte, tutto sembrava essere come prima.
«Senti, ho fatto delle cazzate tempo fa. Cose che ho dovuto...come dire, scontare. Non ne vado orgoglioso, ma so che se ne parlerà lì dentro anche se io non vorrò. Sarà da stupidi, ma preferisco mantenere le cose come prima.»
Un pigro status quo - chiedeva questo, accennando con gli occhi una silenziosa supplica e domandando comprensione.

Si fidava di Hinata, seppur avesse deciso di rimanere vago anche con lui; si fidava, ma non cambiavano i giochi: era la società a dettare un pensiero simile, a vedere con sospetto persone che, avendo sbagliato e rimediato ai loro errori, speravano solo di rifarsi una vita. Qualcosa di semplice e comune, nulla di stravagante o impossibile.
Tanaka non aveva mai avuto grandi aspettative per il proprio futuro, forse era proprio tale inerzia ad averlo guidato verso una cattiva strada.
E, notando l’espressione perplessa di Hinata, sapeva che non se la sarebbe cavata con un consueto “È passato, storia chiusa.”, perché no, non era affatto una vicenda conclusa.
Un’etichetta identificativa lo avrebbe seguito ovunque, poco importava quanto fosse abile a mentire o a nasconderlo; -Keiyosha- la vita del carcere, il senso di libertà una volta rilasciato e un susseguirsi di scomode verità che avevano sfidato la fiducia di tutte le persone che lo avevano atteso fuori.
Sua sorella lo aveva perdonato dopo anni e Tanaka non voleva rivivere la stessa umiliazione da capo.
Poteva aspettarselo da Saeko - erano famiglia, dopotutto, ma gli altri potevano dimenticarsene e continuare le loro vite meglio di quanto lui stesse vivendo la sua.
Anche Hinata, sì, doveva continuare sul suo percorso, e un aspetto di lui non era cambiato: non lasciava nessuno indietro.
«Qualsiasi cosa tu abbia fatto, non esistono “cose come prima.” Siamo cresciuti, quindi è tutto diverso, che lo si voglia o meno.»
Il cambiamento portava timore, lo era per lo stesso Hinata, abituato com’era ad essere avventato; nonostante i mal di stomaco e il tremare di gambe, era sempre andato avanti, affrontando tutto ciò che si era trovato davanti senza alcuna riserva.
Tanaka non era così differente da lui, anzi, aveva sempre mostrato più fegato di altri - un’abilità naturale che spesso gli aveva invidiato.
Poteva essere temuto e amato al tempo stesso - solo lui, Ryū.

«Non eri così saggio, un paio di anni fa.»
«E tu non eri un fifone, eppure eccoci qua.»
Una piccola critica velata da un sorriso sincero; iniziavano entrambi a condividere una certa riluttanza nel presentarsi alla rimpatriata, ma pareva quasi divenuta di secondo piano.
Contavano loro e Tanaka lo sapeva bene, non sarebbe uscito dalla macchina senza aver prima dissipato le curiosità dell’altro.
«Mi hanno dato cinque anni, rapina qui, a Sendai. Non so perché quell’idiota di Suga ti abbia parlato di trasferimento, a meno che il carcere valga come trasloco.»
Sentiva i suoi occhi su di sé, il riflesso dei capelli arancio sul parabrezza e solo ora - nel silenzio - poteva percepire il suo respirare leggero.
Era stupito, nulla che Tanaka non avesse già visto, ma nel suo sguardo mancava la venatura di rabbia che sua sorella si era fatta crescere nelle iridi, indelebile come la peggiore delle cicatrici.
«Perchè?»
Voleva ridere di lui, dirgli che non tutte le scelte avevano valide motivazioni.
Perché era stato stupido, perché voleva soldi facili, perché pensava di non essere beccato.
Era entrato in un giro, qualche colpo senza conseguenze e all’inizio erano stati troppo piccoli per accontentarlo, ma alla fine aveva superato i limiti e lo avevano sbattuto dentro in pochi mesi.
«Non lo so, volevo cercare scorciatoie a quei tempi.»
Una mezza verità, ma era stato comunque più sincero con lui in miseri quarti d’ora che con la sua famiglia negli ultimi anni; era differente, forse perché non si sarebbero mai più visti e, pur non parlandone, sapeva che Hinata aveva avuto un debole per lui nel secolo d’oro delle loro vite. Lo avrebbe perdonato senza tentennamenti.
«Come stai facendo adesso.»
Colpito al cuore, non lo ricordava così attento. Gli piaceva, sì, questa piccola novità.
«Forse, ma credo che sia difficile lasciarmi convincere arrivati a questo punto.»
«Basterebbe un melonpan per corromperti.»
Non solo colpito, ma definitivamente affondato.
«Non dimentichi proprio nulla, tu, eh?»
No, Hinata non era il tipo di persona che dimenticava facilmente alcuni dettagli del suo passato; continuava a distrarsi spesso, disperdendo frammenti di memorie di vita qua e là, ma Tanaka rimaneva il suo senpai - e qualcosa di più - anche dopo così tanti anni. Sempre.
 
  
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