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Autore: ChiiCat92    06/10/2018    1 recensioni
"Ovunque si voltasse, vedeva solo nero, un nero denso e pastoso che come corde di uno strumento maledetto vibrava di condanna."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ardyn Izunia
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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06/10/2018

 

Missing Moment


Ovunque si voltasse, vedeva solo nero, un nero denso e pastoso che come corde di uno strumento maledetto vibrava di condanna.

Il suo corpo, impiastricciato, sporco, non gli apparteneva più. Aveva solo i suoi pensieri, e l'opprimente consapevolezza della fine che stava per arrivare.

« Non è giusto. » riuscì a mormorare.

Anche la sua voce, come tutto il resto di sé, non era più quella di un tempo, quando la sua risata cristallina risuonava ingenua nei corridoi del palazzo, inseguendo i fischi argentini di suo fratello. Giocavano ad inseguirsi, a nascondersi, senza sapere che un giorno uno di loro avrebbe tradito.

« È Izunia. » disse al vuoto, una mano sul cuore. Sotto il nero strato di orrore che lo ricopriva, riusciva a sentirlo battere. Era ancora umano, c'era ancora speranza. « Lui...vuole il trono! È lui il corrotto! »

Gli occhi accesi di disperazione, giallo intenso come ambra battuta, vagarono nel vuoto dell'oscurità che lo circondava.

Lo poteva percepire, sulla pelle, che qualcuno lo osservava, che il vuoto non era vuoto. Lo sapeva, perché erano stati Loro a donargli quel potere, a rendere sensibile il suo spirito, a sceglierlo.

« Vi prego. » camminò nel buio di qualche passo, il respiro che si faceva più grosso, lacrime nere bruciavano sulle guance. « Non ho fatto niente, non ho fatto niente. »

Silenzio. Ardyn conosceva quel silenzio, ne aveva assaporato le vellutate sfumature quando pregava nel tempio.

Gli Dèi erano muti quando si chiedeva loro la grazia, ma urlavano a gran voce la loro rabbia, il loro sdegno.

« Shiva! » chiamò, piegato dall'inevitabilità del destino che lo attendeva. « Almeno tu...almeno tu devi rispondermi…! SHIVA! »

L'aria si faceva sempre più fredda e sottile quando la Dea si manifestava, il respiro crepitava di cristalli di ghiaccio, e tutto intorno si faceva leggero.

Ardyn percepì il suo tocco gelido sulla guancia, le sue mani erano come di vetro lucente.

« Credevamo di poterci fidare di te. » mormorò la voce disincarnata della Dea.

Ardyn sentì pungere ghiaccio là dove sarebbe dovuta cadere una lacrima. « Potete ancora fidarvi di me. » suonava patetico persino alle sue stesse orecchie. Quanti peccatori chiedono perdono con quel tono di voce, quanti assassini con le mani ancora sporche di sangue, quanti blasfemi con la bocca piena di bestemmie.

« Mi dispiace, Ardyn. Troppo a lungo il tuo cuore è rimasto a contatto con l'oscurità. Non sei più quello di un tempo, e mai potrai tornare a esserlo. »

« VOI MI AVETE DATO QUESTO POTERE! » si ritrovò a urlare, scostandosi malamente dal tocco di Shiva. « VOI MI AVETE DATO IL COMPITO DI MONDARE I PECCATI, ED È QUELLO CHE HO FATTO! » poi ricadde al suolo, svuotato di ogni energia, in un mare brulicante di ombre che come mani cercavano di afferrarlo. « Voi. Tutto quello che ho fatto, l'ho fatto per voi. »

« Il tuo spirito corrotto non può essere accolto nell'Aldilà. » disse una voce, lontana e profonda.

Ardyn non alzò neanche gli occhi. Non avrebbe visto altro che buio, perché il suo Giudice non gli avrebbe mostrato il volto.

« Ma neanche la condizione di vivente è più adeguata per te. » continuò una seconda voce.

Sforzandosi, il giovane uomo avrebbe saputo dire a chi appartenevano, ma il suo odio e la crescente, rovente rabbia, erano rivolti a Shiva. Così vicina, eppure così lontana.

Era stata la sua consigliera, la sua mentore, e adesso senza indugio piantava in lui un coltello di ghiaccio.

« Ardyn Lucis Caelum, sei condannato a vagare non-morto sulla terra per il resto dell'eternità. Un giorno, forse, capirai l'entità del male che ti abita il cuore, e sarai perdonato.»

L'ultima cosa che percepì fu la sensazione di soffocare. Il cuore si fermò, per sempre muto in petto, e l'aria cessò di portare ristoro ai suoi polmoni.

Crollò inerme ai piedi dei Dodici, scosso da violenti singulti, mentre le ombre banchettavano con quello che era rimasto di lui.

L'ultimo angolo di luce rimasto nel suo animo venne strangolato e ucciso, come una piantina a cui è negato il sole.

Quando riaprì gli occhi tutto era per sempre cambiato.

Intorno a lui c'erano solo macerie, quelle lasciate dalla sua vita in frantumi.

Si alzò, barcollante sulle gambe del suo nuovo corpo, quello che avrebbe avuto da quel momento fino alla fine dei tempi.

Respirò aria bruciata, inghiottendo con avidi sorsi. I piaceri umani gli erano stati negati, compreso quello della morte.

Da lontano osservò la sua città, splendente gioiello incastonato nell'azzurro del cielo.

In quel momento, Izunia stava sicuramente occupando il suo trono, baldanzoso e sicuro di sé.

Ardyn pensò placidamente che il fratello avrebbe pagato per quello, fino all'ultima goccia del suo sangue nobile.

Ma non adesso. Adesso veniva il tempo dell'attesa, il tempo dei giochi, il tempo della costruzione.

Quando la sua furia si sarebbe abbattuta sui Lucis, neanche gli Dèi sarebbero riusciti a fermarlo.

Dalla culla alla tomba li avrebbe accompagnati per mano, e avrebbe insegnato loro il vero significato della sofferenza.


 
   
 
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