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Autore: ___Page    08/10/2018    2 recensioni
«Non ci riesco Sabo» confessò con sofferenza, gli occhi fissi sul dolce.
«Guarda che è spaziale!» insistette il biondo.
«Lo so!» ribatté Ace, frustrato. «Lo vedo»
Si vedeva che era una bomba e non solo calorica, che era stato fatto con cura e attenzione.
Andiamo! Solo un boccone!
«Non ce la faccio» sussurrò per la settordicesima volta. «Doc, che mi prende?» si girò implorante verso Law che sollevò un sopracciglio.
«Starai per morire»
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*Questa storia partecipa alla Challenge delle Parole Quasi Intraducibili (FairyPiece version) organizzata dal forum FairyPiece – Fanfiction & Images*
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Nico Robin, Perona, Portuguese D. Ace
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Manabamate: 
uno dei sintomi più evidenti dell’innamoramento, cioè l’improvvisa e inspiegabile mancanza di appetito persino davanti a un piatto prelibato. (Rapa Nui - lingua dell'Isola di Pasqua)
 
FRAGOLA


 
A Annapis...


Ace non capiva.
Fissava il piatto di fronte a sé e non capiva. 
La porzione di dolce appoggiata al suo centro, la forchettina di plastica posata di lato, le fragole luccicanti che troneggiavano sulla fetta, tagliate a regola d’arte e con millimetrica precisione.
E non capiva.
Sarebbe stato così semplice, afferrare la forchettina, affondarla nei savoiardi intrisi di succo d’arancia e mangiarne un boccone. Un boccone sarebbe stato abbastanza ma il suo stomaco si rifiutava di collaborare, sigillato come una porta a compartimento stagno.
E Ace non capiva. E ancor meno di lui capivano i proprietari delle quattro paia di occhi che lo fissavano intenti.
«Fratello andiamo» lo incitò Sabo, sinceramente preoccupato.
Non poteva dargli torto, era davvero preoccupante. Lui senza appetito era un evento che si annoverava, senza esagerare, nell’ordine dei cataclismi perché,  se davvero Ace non aveva fame, allora il mondo stava per finire. E Ace davvero non aveva fame.
Da giorni.
Non se n’era reso conto prima, tra allenamenti, studio matto e disperatissimo e il suo fermo intento di aiutare sua mamma a ridipingere il salotto prima che papà tornasse dal viaggio di lavoro. Se l’era cavata per giorni con spuntini veloci e leggeri ma l’allarme non era risuonato forte e chiaro perché, in fondo, aveva sempre mangiato.
Ma tra un ridimensionamento della sua pantagruelica fame a la totale mancanza di appetito ne passava e in quel momento Ace, digiuno dalla cena, aveva la nausea all’idea di mandare giù anche solo una forchettata di quel tiramisù, che aveva tutta l’aria di essere una prelibatezza.
«Non ci riesco Sabo» confessò con sofferenza, gli occhi fissi sul dolce.
«Guarda che è spaziale!» insistette il biondo.
«Lo so!» ribatté Ace, frustrato. «Lo vedo»
Si vedeva che era una bomba e non solo calorica, che era stato fatto con cura e attenzione.
Andiamo! Solo un boccone!
Allungò la mano, afferrò la forchetta e lo stomaco collassò su se stesso, producendosi in una serie di spasmi per niente piacevoli con tanto di sonoro.
«Non ce la faccio» sussurrò per la settordicesima volta. «Doc, che mi prende?» si girò implorante verso Law che sollevò un sopracciglio.
«Starai per morire» rispose piatto, tirando poi dentro la pancia per evitare la gomitata di Koala senza essere costretto a lasciarla andare.
Ace si addossò allo schienale della sedia e si riavviò i capelli, con un sospiro sconfitto. E fu in quel momento che il problema in apparenza futile della sua inedia divenne un’autentica tragedia.
Il momento esatto in cui riaprì gli occhi e la vide, ferma a pochi metri dal tavolo che guardava verso di loro, verso di lui, verso la sua porzione di tiramisù ancora intatta, l’espressione ferita.
 Ace si rimise dritto, in allerta.
«Ehi!» la salutò provando a sorridere ma capì che era già troppo tardi quando lei partì in quarta, lanciata verso la cucina. «P-Perona!» scattò in piedi e tentennò quei dieci secondi di troppo prima di decidersi a inseguirla e non si accorse di Robin che, ridacchiando sotto i baffi, mormorava al suo passaggio “Manabamate”.
Scartò due tizi che non aveva mai visto, sicuramente imbucati alla festa, sfrecciò oltre il divano e si schiantò praticamente sulla porta a scorrimento, faticando sia per aprirla sia per richiuderla, una volta scivolato nella stanza.
Il livello di entropia della cucina di casa di Robin e Nami, in quel momento, sfiorava più o meno quello dell’universo primordiale ma Ace non ci fece assolutamente caso, intanto perché la cucina di casa sua era così sempre, tranne quando qualcuno dei genitori veniva in visita, e poi perché la sua attenzione era totalmente focalizzata sulla ragazza seduta alla penisola, capelli rosa tirati tutti da una parte sulla spalla e una forchetta in mano, con cui pescava direttamente dalla teglia di tiramisù alle fragole.
Quel tiramisù alle fragole che aveva preparato con tanto impegno e tanto… amore. Sì, Perona si era impegnata e ci aveva messo davvero tanto, molto amore, a cominciare dalla ricetta che aveva modificato apposta per lui, che non poteva assumere caffeina in alcun modo né quantità.
Era stato un esperimento e non le era costato poco, lei che in totale sapeva cucinare quattro piatti.
La pasta in bianco, gli gnocchi di semolino liofilizzati, le uova strapazzate e, per un qualche inspiegabile dono ancestrale, la crema al mascarpone. Ma il tiramisù lo aveva fatto sempre e solo nella classica maniera fino a quel giorno. E Ace, la sola ed unica ragione per cui aveva osato abbandonare la cara vecchia ricetta, presentando un dolce che poteva anche fare schifo, ad una festa universitaria dove conosceva sì e no sette persone, non solo non lo aveva nemmeno assaggiato ma addirittura sembrava disgustato dalla sua creazione.
Grazie tante!
Con le lacrime agli occhi mise in bocca un’altra forchettata di dolce.
Cavolo e dire che a lei non sembrava così male. Forse c’era un filo troppo di succo d’arancia che inaspriva il tutto e la crema le era venuta quel pelino meno leggera ed eterea del solito ma era buono, accidenti!, nel complesso era buono!
«Perona?»
La ragazza sollevò il capo di scatto e Ace sussultò quando vide i suoi occhi luccicare di lacrime. Oh merda, no! No, no, no! Lui era pessimo a gestire gli sfoghi emotivi, non sapeva cosa fare, cosa dire e in generale odiava vedere le persone piangere!
Odiava vedere lei piangere!
La conosceva da una vita, la sorellina di Zoro, la cuginetta di Robin, anche se avevano solo due anni di differenza, e da quando Perona gli aveva chiesto una mano per preparare l’esame di biologia avevano passato insieme quasi ogni pomeriggio delle quattro settimane precedenti e si era affezionato anche di più.
E no, non gli piaceva l’idea che piangesse e per evitarlo era pronto a uscirsene con una delle sue battute cretine se non che la nausea tornò alla carica quando vide cosa stava facendo.
«Lasciami in pace» mugugnò Perona, la voce mogia, ricominciando a portarsi forchettate di tiramisù alle labbra.
Lo stomaco di Ace si contrasse in protesta.
Oh porco mondo, ma cosa gli prendeva? A parte che quel tiramisù aveva l’aria di essere spettacolare ma poi non era come se lo stesse mangiando lui!
«Che c’è?» domandò Perona tornando a guardarlo e subito desiderò non averlo fatto. Le lacrime si decuplicarono nei suoi occhi. Mio dio, gli faceva così schifo che gli veniva la nausea pure a vederlo mangiare dagli altri. «Senti se non ti piace okay ma non serve che…»
«Non è per il tiramisù»
Era vero, non era per il tiramisù. Ci aveva pensato, che potesse essere colpa della frutta ma no, erano fragole, Ace adorava le fragole.
«È che non ho fame» si strinse nelle spalle con un sorriso mozzafiato dei suoi ma Perona ignorò l’improvvisa carica galoppante del suo cuore e, con una smorfia, fece schioccare la lingua. «Certo. Tu che non hai fame…» sbuffò sarcastica e amareggiata.
«È… È vero!» si avvicinò agitato mentre lei ricominciava a ingozzarsi di tiramisù, ma con quella classe innata che la contraddistingueva in ogni cosa che faceva. «Suona strano pure a me ma sono giorni che non ho fame» provò a ridere ma non gli riuscì molto spontaneo.
«Oh Ace ti prego!» protestò la ragazza, ormai al limite. Ancora un po’ e non sarebbe riuscita a trattenere ancora i singhiozzi. Si sentiva così delusa. «Sei stato con me ogni giorno nelle ultime quattro settimane e ti ho sempre visto mangiare»
«Ma molto meno del solito! E stasera lo stomaco mi si è completamente chiuso!» continuò ad argomentare, caparbio, osservando la forchetta affondare, staccare un pezzo di savoiardo e crema, infilarsi tra le labbra di Perona. Affondare, staccare un pezzo di savoiardo e crema, infilarsi tra le labbra di Perona. Affondare, staccare un pezzo di savoiardo e crema, infilarsi tra… t-tra le labbra… di Perona.
E a un certo punto Ace si ritrovò a fissare solo le labbra di Perona che si schiudevano, scivolavano sulla forchettina e guizzavano per mandare giù. Si schiudevano, scivolavano sulla forchettina e guizzavano per mandare giù. Si schiudevano, scivolavano sulla forchettina e… e g-guizzavano… per mandare giù…
Quelle labbra così simmetriche e carnose, piene al centro, rosse senza bisogno di rossetto, rosse come una fragola. Quelle labbra che a Ace piaceva veder ridere.
No. Che Ace amava veder ridere.  Ridere, imbronciarsi, schioccare, schiudersi, scivolare sulla forchettina, guizzare per mandare giù.
La conosceva da tutta una vita, la sorellina di Zoro, la cuginetta di Robin. Ma in fondo avevano solo due anni di differenza e l’aveva vista crescere e diventare una giovane donna e che fosse bella lo aveva sempre saputo ma mai come in quel momento se n’era reso davvero conto. Mai gli aveva fatto quell’effetto.
Mai il cuore gli aveva battuto tanto forte, mai si era tanto agitato per un suo capriccio, mai lo stomaco gli si era chiuso per la sua presen...
Oh.
Oh!
Oh che coglione!
«Quando sei arrivata…» mormorò senza rendersi conto che lo aveva detto ad alta voce. Ma, purtroppo, lo aveva detto eccome ad alta voce e, purtroppo, Perona lo aveva sentito forte e chiaro.
Sollevò il capo di scatto.
«Quando sono arrivata?» domandò, sperando che Ace scambiasse la sua voce incrinata per indignazione. Oh magnifico! Non erano i suoi dolci a dargli la nausea, era proprio lei! «Senti vattene! Esci dalla cucina e lasciami in pace, che è inquietante stare qui a mangiare con uno che mi fiss…»   
Perona sapeva di fragole. Di fragole, mascarpone e succo d’arancia e sì, Ace lo sapeva, sapeva che quel tiramisù era spaziale, bastava guardarlo, ma era niente, niente in confronto al sapore di Perona mischiato alle fragole, al mascarpone e al succo d’arancia.
Lei era spaziale. E mentre la baciava e la stringeva e si sentiva morire, quando Perona rispose al bacio, lo stomaco di Ace si rilassò di nuovo, per la prima volta in due settimane. Due settimane per capire che la non-fame era una fase acuta di innamoramento in piena regola.
Per i suoi standard, ci aveva messo anche poco. E ora la fame era tornata ma non era cibo ciò che voleva.
Si staccò da lei solo per riprendere aria e Perona ebbe un momento molto confuso per realizzare che non era più seduta e quando si era alzata in piedi e gettata senza più alcun ritegno tra le calde e rassicuranti braccia di Ace?
«Ace…» lo chiamò trasognata ma non ebbe tempo di indagare oltre quando lui sorrise e fece vagare gli occhi sul suo volto. «Sia benedetto l’esame di biologia» soffiò roco e il cervello di Perona entrò in corto di nuovo.
Si tese in avanti per riportare le loro bocche a contatto ma Ace si tirò indietro. «Aspetta» le chiese, staccando un braccio da lei per recuperare la forchetta e staccare ancora un po’ di tiramisù dalla teglia. Un boccone piccolo e si girò verso di lei, chiedendole con gli occhi se le andava di mangiarne ancora un po’, solo un altro po’.
Per tutta risposta, Perona schiuse le labbra e Ace per un momento pregò di morire lì e subito, in quel momento, con la creatura più bella e sensuale del pianeta tra le braccia ma si riprese subito.
Non poteva dare una simile soddisfazione a Law.
Spinse la posata tra le labbra di Perona, la sfilò, la gettò sul tavolo, attese che Perona mandasse giù e poi si avventò di nuovo sulla sua bocca, sgusciando con la punta della lingua ad accarezzare la sua, prima che il sapore del dolce svanisse, per poi continuare ad assaporare lei.
Non aveva ancora voglia di mangiare, non in senso letterale, anche se lo stomaco non protestava più. Ma quel tiramisù, quello meritava assolutamente di essere assaggiato.
E, d’altra parte, Ace amava le fragole.







Angolo dell'autrice: 
Mi sembrava sadicamente bellissimo dare a Ace una qualsivoglia intolleranza/allergia/maleficio per cui non potesse assumere caffeina. 
Vorrei ringraziare Zomi per la consulenza che mi ha fatto e per esserci sempre. 
Un bacione grande a tutti. 
Page. 
 
 
  
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