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Autore: HikariMoon    08/10/2018    0 recensioni
Sono passate solo poche settimane dal ritorno di Mai, Kenzo e Hideto dal futuro. Il passato di Maestri della Luce sembra ormai solo un capitolo chiuso. Ma non è così e sarà Mai a rendersene conto per prima. Il passato infatti tornerà a bussare nelle loro vite in modo improvviso e del tutto inaspettato. Ma non sarà solo quello ciò con cui dovranno confrontarsi. Mai troverà il coraggio di ricominciare a duellare a Battle Spirits? Kenzo e Hideto riusciranno ad aiutarla? Chi è la misteriosa persona che Mai troverà in coma? E riuscirà a risvegliarsi? La decisione da prendere è solo una: trovare la forza di ricominciare a vivere continuando a sperare che, un giorno, i portali di Gran RoRo tornino ad aprirsi.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hideto Suzuri, Kenzo Hyoudo, Mai Viole/Shinomiya, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Battle Spirits Resurgence - I Guerrieri della Luce'
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Capitolo 2

Mai rimase muta a osservare Elisabeth servire in modo impeccabile il tè, come aveva visto solo alle cerimonie e come a casa loro facevano soltanto quando venivano i genitori di suo padre da Kyoto.

“Mia nonna è un’appassionata di tè. Suo padre lo coltivava e vendeva e, dopo la guerra, hanno viaggiato per tutto il mondo per cercare vari sapori. Poi, è tornata in Giappone e ha conosciuto mio nonno. Mi ha insegnato a servire il tè da quando avevo quattro anni.”

La Guerriera Viola annuì meccanicamente, lasciando che lo sguardo vagasse sul giardino. Da un lato era il tipico giardino giapponese, con lo stagno e i cespugli curati alla perfezione. Ma dall’altro lato, quello in cui c’era il delicato bungalow di legno sotto cui erano sedute, era un tripudio di fiori colorati, tra cui spiccavano due roseti, uno bianco e uno giallo.

“Tieni.”

Mai afferrò la tazzina, chinando leggermente il capo. Afferrò la tazza, ma non l’avvicinò alla bocca. Elisabeth stava invece bevendo e aveva già mangiato uno dei dolcetti che la cuoca, la signora Yoshida, le aveva dato in mano mentre uscivano.

Alla fine, bevve uno sorso, perlomeno per non insultare la sua ospite, che si era impegnata per lei. Ma i dubbi e le domande si fecero fin troppo forti per ignorarli ancora e Mai posò la tazza alzando lo sguardo su Elisabeth.

“Come? Come fa Yuuki a essere qui? Era morto. Dovrebbe essere morto. E perché lo hai aiutato? Con tutto quello che hanno detto di noi. Perché?”

Elisabeth sospirò e posò a sua volta la tazza. Le sorrise, giocherellando con il tovagliolo.

“È stato un caso, un paio di giorni dopo che avevano dato la notizia. Ricordo che avevano dedicato molto spazio all’omicidio del Guerriero Bianco.”

Mai trasalì e abbassò lo sguardo. Ricordava quei giorni, il dolore e la paura di uscire di casa. La sua famiglia aveva guardato il telegiornale solo quando lei dormiva.

“Sono iscritta a un’associazione di volontariato, come lo era stata mia madre. Aiutiamo i senzatetto, diamo qualche coperta, un piatto di riso caldo, un po’ di conforto. I miei genitori avrebbero aiutato tutti, se solo ne avessero avuto la possibilità.”

Elisabeth zittì e strinse gli occhi, inspirando ed espirando un paio di volte. Riaprì gli occhi e tornò a sorridere.

“Stavo per tornare a casa. Aveva cominciato a piovere e Kosuke era appena arrivato. Uno dei senzatetto era un ex-collega di mio padre, quando lavorava all’ospedale, finito in strada dopo aver perso moglie e figlio in un incidente stradale.”

“È terribile”, sussurrò Mai.

Elisabeth annuì. “Già. Si avvicinò bussando al finestrino e chiedendomi di potermi parlare. Continuava a guardarsi attorno, come se avesse paura di essere seguito. Scambiai uno sguardo con Kosuke e lo feci salire in macchina.”

“Signor Matsumoto, che sta succedendo? Non lo racconterò a nessuno, ma deve dirmi qual è il problema.”

L’uomo sospirò, strofinandosi il viso. “Sei una cara ragazza, assomigli tanto a tuo padre. Se non mi aiuti tu, non ho idea di cosa poter fare.”

Elisabeth gli fece cenno di proseguire, sempre più perplessa e incuriosita.

“C’è un ragazzo, dove vivo. Ha urgente bisogno di cure mediche.”

“Vuoi che lo portiamo in ospedale?”

L’anziano sgranò gli occhi e scosse la testa, afferrandole convulsamente un braccio. Kosuke si mosse sul sedile anteriore.

“Lo ammazzano. Non puoi portarlo lì. Lo scoprono e finiscono il lavoro. Lo fanno fuori in quattro e quattr’otto.”

La ragazza scambiò uno sguardo allarmato con Kosuke, che sembrava più che pronto a chiamare la polizia. Con un gesto, gli fece capire di aspettare e poi tornò a prestare attenzione all’anziano. Sperava veramente veramente che non c’entrasse la Yakuza.

“Di chi state parlando? Chi sono loro? Chi è questo ragazzo? Se è qualcosa di criminale, io-”

“Ti prego. Non ho potuto salvare mio figlio, aiutami almeno a salvare questo ragazzo.”

Sua nonna diceva sempre che aveva il cuore fin troppo grande: durante l’infanzia aveva tentato di adottare quattro cani, sei gatti, un pappagallo, due macachi, una volpe e una bambina con cui aveva fatto amicizia al parco. A posteriori, sua nonna aveva un sacco ragione.

“D’accordo. Io e Kosuke ti seguiamo, ma al primo sentore di pericolo ce ne andiamo.”

L’uomo annuì e scese. Lei e Kosuke lo imitarono, sollevando i cappucci per ripararsi dalla pioggia e iniziando a seguirlo. Facendo slalom tra pozzanghere e spazzatura, con Elisabeth che sperava che Kosuke avesse un senso dell’orientamento migliore del suo, raggiunsero finalmente la loro metà. Era una casa semidiroccata, una di quelle che rimanevano lì senza venir mai abbattute. Forse un tempo era stato un magazzino.

Entrarono e i due si abbassarono il cappuccio. La ragazza notò che la pioggia sgocciolava da più punti e si augurò che il soffitto non crollasse loro sulla testa. Il senzatetto avanzò verso una piccola costruzione di legno, addossata contro un muro. A terra c’erano vecchi giornali e un paio di scarpe rovinate. Le fece cenno di seguirlo e scomparve all’interno.

Elisabeth inspirò e, confortata dalla presenza di Kosuke alle sue spalle, si infilò dentro la struttura. Un odore pungente saliva da alcuni piatti incrostati, impilati disordinatamente vicino alcuni barattoli di conserve. In un angolo c’era una pila di abiti piuttosto logori e altri giornali.

L’anziano si era accucciato vicino a un vecchio materasso su cui, riparato da una coperta consunta e sbiadita, c’era qualcuno.

“È lui il ragazzo di cui ti parlavo.”

Elisabeth si avvicinò di alcuni passi, cercando di non cedere all’istinto che le diceva di correre dalla parte opposta. Il ragazzo era sofferente, il respiro laborioso e il volto contratto in una smorfia di dolore. L’anziano sospirò e abbassò leggermente la coperta. La ragazza emise un verso strozzato e serrò le mani attorno al braccio di Kosuke, sentendosi girare la testa. La maglietta bianca del ragazzo era pregna e rosso cupo, proprio all’altezza dell’addome. Una benda improvvisata bastava a malapena a fermare l’uscita del sangue. Sangue. Se finiva nelle mire della Yakuza, i suoi nonni non glielo avrebbero mai perdonato.

“Che cosa è successo?”, domandò infine Kosuke.

La ragazza gli fu grata: non era sicura di poter trovare la voce. Non ancora, almeno.

“Arma da fuoco. Ero lì vicino, quando gli hanno sparato. Gli assalitori sono scappati sentendo la sirena della polizia. Poi è arrivato un ragazzino. Si è avvicinato qualche istante ed è corso via sconvolto. Poi mi sono avvicinato io. Era ancora vivo. L’ho portato qui e ho cercato di fermare il sangue. Ha bisogno di aiuto.”

Ma come aiutarlo, se non potevano portarlo all’ospedale?

“Elisabeth, è il Maestro della Luce! Quello del telegiornale.”

Lei trasalì e lo osservò meglio: Yuuki Momose, il Maestro della Luce dato per morto due giorni prima. Strinse gli occhi e inspirò: forse sarebbe stata meglio la Yakuza.

Preso coraggio, raggiunse il letto e vi si inginocchiò accanto. Delicatamente, gli sfiorò la fronte con la punta delle dita. Era bollente. Quando le allontanò, Yuuki gemette e mormorò qualcosa con un filo di voce.

“Ka… jistu…”

“Kajitsu?”, ripeté Elisabeth ad alta voce, la fronte aggrottata. “Chi è?”

“Sta delirando. È così da quando l’ho portato qui. Continua a ripetere frasi sconclusionate. Nomina questa Kajitsu, i Maestri della Luce e parla di una rosa sotto il temporale. Non resisterà a lungo in questo stato.”

Elisabeth rimase a fissarlo, sforzandosi di ricordare tutti i servizi sui Maestri della Luce. Dopo qualche istante le tornò in mente: il mostro fermato dal Re del Mondo Altrove. Momose Kajitsu era sua sorella.

“Cosa facciamo? Vuoi davvero aiutarlo?”

Si voltò verso Kosuke, l’espressione incerta, rimettendosi in piedi. “Non lo so. Ma è una persona. Non possiamo lasciarlo qui così. E non possiamo portarlo in ospedale.”

“L’amico di suo nonno”, propose l’uomo. “Quello della clinica privata. Il signor Nakano non parla sempre di come gli debba un favore?”

“Il dottor Aosawa!”, esclamò con entusiasmo la ragazza. “Certo. Sono sicura che mio nonno può convincerlo ad aiutarci.”

Perché neppure suo nonno, nonostante la sua severità, avrebbe lasciato lì il Guerriero Bianco, indipendentemente da quello che tutti potevano pensare dei Maestri della Luce. Una vita umana era una vita umana.

Kosuke e il senzatetto sollevarono il ragazzo e Elisabeth raggiunse l’uscita per controllare che non ci fosse nessuno. In silenzio e con la tensione a mille, raggiunsero l’automobile e posarono il ragazzo sul sedile posteriore. L’uomo raggiunse velocemente il posto di guida. Elisabeth venne fermata dall’anziano un attimo prima di salire.

“Stai attenta. Nessuno, nessuno deve sapere di lui. Non fidarti alla leggera. Per il suo bene e il tuo.”

La ragazza annuì e salì in macchina. Kosuke partì subito.

Una volta lontani, Elisabeth prese un fazzoletto e delicatamente iniziò ad asciugare la pioggia dal viso di Yuuki.

“Andrà tutto bene.”

Yuuki gemette e i suoi muscoli si contrassero in uno spasmo. Elisabeth faticò a trattenere le lacrime. Era come con suo fratello, di nuovo. E quella volta era stata davvero la Yakuza, con lui che si era trovato al momento sbagliato nel posto sbagliato.

Come potevano esistere persone così senza cuore?

“Devi resistere”, sussurrò stringendogli una mano. “Non puoi arrenderti proprio ora.”

“Chiamai mio nonno e riuscii a convincerlo. Ci raggiunse alla clinica e persuase il suo collega, che fece in modo di mantenere la più totale segretezza. Lo registrarono negli schedari con un nome falso. Restammo lì ad aspettare e penso di essermi addormentata, perché la cosa successiva che ricordo è mio nonno che mi sveglia e l’infermiera che conferma la fine dell’operazione.”

Il dottor Aosawa finì di indossare il camice e li condusse nel suo ufficio. L’aria era carica di tensione e suo nonno non sembrava averle ancora perdonato l’aver preso una decisione così avventata. Si sedettero davanti alla scrivania.

“L’operazione è andata a buon fine, ma le sue condizioni sono critiche. Dovremo tenerlo sotto osservazione per le prossime ventiquattro, quarantott’ore. Fortunatamente, il gruppo sanguigno è tra i più diffusi.”

“E la prognosi?”, interruppe bruscamente il nonno di Elisabeth.

Il medico sospirò e passò stancamente una mano tra i capelli. “Non abbiamo riscontrato danni cerebrali, ma è entrato in coma.”

Elisabeth trasalì e si coprì la bocca con una mano.

“Nelle condizioni in cui l’avete portato, non nutrirei grandi speranze. Sarà già una benedizione che superi la notte. Inoltre, una volta che si sia stabilizzato, non potrò fare altro. Vi ho aiutato per amicizia, ma pur tenendo fede alla mia dignità di medico, non posso mettere a repentaglio questa clinica.”

Elisabeth si interruppe e sorseggiò per alcuni istanti il tè che cominciava a raffreddarsi. Mai fece lo stesso, sconcertata dal racconto. Inconsciamente, si voltò verso la casa e sentì il cuore sprofondarle. Yuuki era in coma da febbraio. Erano a settembre.

“Yuuki superò i primi giorni e convinsi mio nonno a portarlo qui, anche grazie a mia nonna. Le ferite sono guarite, ma non si è mai risvegliato.”

“Quali sono le possibilità che lo faccia?”, sussurrò Mai, afferrandosi con più forza alla tazza ancora stretta tra le dita.

“Forse nessuna”, replicò Elisabeth abbassando lo sguardo. “Forse la cosa più compassionevole sarebbe lasciarlo andare. Ma non posso farlo, non se c’è ancora la più piccola speranza che lui viva.”

Perché era quello che avrebbe voluto fosse stato fatto con suo fratello, pensò Elisabeth iniziando a spostare le briciole del dolce con la punta del dito. Se i soccorsi fossero stati chiamati prima, lui avrebbe potuto essere ancora lì.

Mai, invece, tornò a voltarsi verso il tavolo, osservando con più attenzione la ragazza che, di fatto, aveva salvato Yuuki. C’era altro che non le diceva, un vago rancore che si insinuava nella sua voce. Ma non spettava a lei chiederle di parlare: a conti fatti erano due sconosciute. Anche se, rifletté la Guerriera Viola abbozzando un debole sorriso, c’era qualcosa di affine a parlare con lei.

“Parli come una di noi.”

Elisabeth sussultò a quelle parole, fissandola per un istante, prima di scoppiare a ridere e scuotere la testa.

“Non credo basti una atto di pietà e gentilezza a rendermi un Maestro della Luce, ma lo prendo come un complimento. Non mi dispiacerebbe pensare di essere una riserva.”

Le due ragazze addentarono un altro dei piccoli dolcetti. Anche se Elisabeth sminuiva il suo gesto, Mai non riusciva a non confrontarlo con le reazioni dei loro amici, delle loro famiglie, dove neppure il legame affettivo era bastato a non farli cedere alla paura. Era ironico come una delle poche persone a non voltare le spalle, in un gesto di totale altruismo, fosse stata una perfetta sconosciuta.

“E Kajitsu?”, riprese la Guerriero Viola. “Cosa sai di lei?”

“Quello che ho trovato sul web e negli articoli di giornale. Era una di voi e ha cercato di distruggere Tokyo. E che solo il Re del Mondo Altrove ha fermato la vostro incoscienza, anche se poi voi gli avete impedito di portare benessere all’umanità.”

Mai scattò in piedi prima di poterselo impedire, una furia cocente che montava dentro di lei, che le inumidì gli occhi. Si allontanò dal tavolo, fermandosi accanto una delle colonne del bungalow. Non si sarebbe mai abituata e, dopo il futuro, era dieci volte peggio.

“Solo schifose menzogne. Il potere del Nucleo Progenitore non è una bacchetta magica che cambia le persone, che ferma l’odio e le guerre. Avrebbe cambiato il mondo, non l’umanità.”

Elisabeth si alzò in silenzio, avvicinandosi a Mai ma tenendosi ad alcuni passi di distanza.

“E il Re del Mondo Altrove non voleva niente di tutto questo. Voleva illuderli, per poi distruggerci tutti, perché eravamo inferiori secondo lui. Sacrificabili in nome di non so quale evoluzione.”

La Guerriera Viola strinse la mano attorno alla colonna di legno, la superficie ruvida che graffiava la pelle e le unghie. Elisabeth le posò una mano sulla spalla e lei sussultò.

“Io vi credo.”

Gli sguardi delle due ragazze si incrociarono e Mai, allibita, riconobbe la sincerità dell’altra ragazza.

“Quello che ci fa paura, ci rende più cattivi”, sussurrò la ragazza stringendole una mano. “E ci fa cercare un capro espiatorio, perché non vogliamo guardare lo sporco che è dentro di noi, perché poi non avremmo più scuse. Mio padre mi ha sempre insegnato a guardare oltre le apparenze, a pensare con la mia testa. Io non credo che chi sia nel giusto, cerci di uccidere chi gli si oppone. Voi Maestri della Luce non avete mai fatto male a nessuno.”

“Sei veramente una ragazza speciale”, replicò la Guerriera Viola ricambiando la stretta.

Elisabeth rise un’altra volta. “Non esagerare. Ma spero che potremmo diventare amiche.”

“Mi piacerebbe molto.”

Scambiatesi un sorriso, le due tornarono al tavolino e raccolsero tazze, teiera e dolci restanti per riportarli in cucina. Entrate nella penombra della stanza, vennero accolte da un’indaffarata cuoca.

“Care, grazie per aver portato dentro la roba.”

“Figurati”, replicò Elisabeth affiancandola e sporgendosi oltre per vedere che cosa stesse preparando. “Che fai di buono?”

“Hiyashi Chuka, ma ci vorrà ancor un po’ che sia pronto.”

La ragazza emise un verso di approvazione e tornò da Mai, prendendola a braccetto.

“Andiamo a vedere se Izumi ha finito.”

Le due uscirono in corridoio e raggiunsero la scalinata.

“Perché vai al cimitero?”, chiese la Guerriera Viola una volta arrivate al piano superiore.

Elisabeth arrossì di botto e borbottò qualcosa, lisciandosi il vestito. “Io, cioè… Sì, pensavo potesse essere una cosa carina. Visto che lui non può. Pensi che abbia sbagliato?”

Mai sorrise davanti all’espressione preoccupata della ragazza e scosse la testa.  “Sono sicura che avrebbe fatto loro piacere.”

Elisabeth si rasserenò e fece cenno a Mai di seguirla. Superarono una stanza socchiusa, dove il nonno di Elisabeth stava parlando al telefono con qualcuno. Elisabeth si voltò verso di lei sorridendo.

“Mia nonna. Ha una salute un po’ debole, d’estate va spesso su a Hokkaido.”

Arrivarono davanti alla porta ed Elisabeth allungò la mano per aprirla, ma venne fermata da Mai che le afferrò il polso facendola voltare verso di lei.

“Perché non hai mai cercato di contattarci?”

“Non avrei saputo da dove cominciare. Tu avevi chiuso il blog e anche gli altri avevano cercato di far perdere le tracce. Avevo paura a fare troppe domande, ad attirare l’attenzione. Una perfetta sconosciuta che cerca di punto in bianco i Maestri della Luce: sarei stata sospetta. E, poi, mi avreste mai creduto?”

Mai aprì la bocca per rispondere, ma si fermò e scosse desolatamente la testa. No, non le avrebbero creduto. Non dopo quella notizia, non con la paura che fosse solo una trappola per farli uscire allo scoperto. E ora non aveva più importanza. Yuuki era ancora vivo. Era quello che contava.

Elisabeth aprì la porta, lasciando a Mai la possibilità di entrare per prima. La Guerriera Viola sentì una nuova stretta al cuore a vedere, l’un tempo orgoglioso Guerriero Bianco, inerme e debole in quel letto, i bip dei macchinari a sottolineare la sua condizione. Si avvicinò al letto e strinse gli occhi, faticando a trattenere le lacrime. Elisabeth le fu di nuovo accanto.

“Sai perché mi ostino a volerlo aiutare? Perché è quello che avrei voluto facessero con mio fratello. Si è ritrovato in mezzo una sparatoria della Yakuza. È morto prima di arrivare in ospedale, i soccorsi erano stati chiamati troppo tardi. È morto solo, in una pozza del suo stesso sangue. Non augurerei mai la stessa fine a nessuno.”

Mai sentì il tremore nella voce dell’altra e, istintivamente, si voltò e la strinse tra le braccia. Dopo qualche istante, Elisabeth si staccò da lei e afferrò un mazzo di carte dal tavolino, mazzo della cui presenza la Guerriera Viola non si era neppure accorta.

Elisabeth glielo porse. “Aveva questo con sé, il giorno in cui l’ho trovato. Era suo?”

Quasi tremando, Mai afferrò le carte e iniziò a scorrerle. Carte bianche e carte verdi, quelle di Kajitsu.

“Ammetto di aver preso qualche spunto, per il mio mazzo. Spero non si offenda.”

Mai sorrise e scosse la testa, sfogliando avanti le carte. Bufera Impenetrabile, Supremo Gugnir, Yggdrasill, Cavaliere d’Acciaio, Woden, il Grande Cavaliere Alato e Walhalance dalla Corazza Indistruttibile. Sentì di nuovo le lacrime minacciare di cadere: avevano sempre creduto che quelle carte fosse andate perse, insieme al corpo di Yuuki.

Posò il mazzo e trattenne tra le dita solo due carte, sfiorandole delicatamente con i polpastrelli. Elisabeth la affiancò, guardandole incuriosita.

Hououga, Fenice Implacabile e Ragna-Rock, Cavaliere Signore del Fato. Perché hai preso queste carte?”

Hououga era lo spirit di Kajitsu”, replicò Mai con una voce carica di tristezza. “Ragna-Rock era il simbolo del loro legame.”

Posò le carta in cima al mazzo, allontanando di scatto la mano.

“Vuoi tenerle tu, Mai?”

“No”, rispose senza esitazione la Guerriera Viola. “Penso che sia giusto che gli rimangano vicino.”

Elisabeth annuì e si allontanò verso la porta. Sull’uscio, strinse tra le dita la maniglia e tornò a voltarsi verso Mai.

“Ti lascio un po’ da sola con lui.”

Non aspettò risposta e chiuse delicatamente la porta alle proprie spalle. Mai rimase a fissare la porta, sopraffatta dal silenzio di quella stanza. Lasciò vagare lo sguardo su quelle quattro mura, sulle pareti bianche, i delicati paesaggi appesi al muro, il cassettone di legno in un angolo. E le macchine che tenevano Yuuki in vita.

Mai tornò a guardare il comodino e si accorse della presenza di una cornice. La prese e riconobbe la foto di Kajitsu, identica a quella lasciata vicino al suo memoriale. Elisabeth doveva essere riuscita a ottenerne una copia. Se Kajitsu fosse stata là, ne era sicura, sarebbe bastata la sua voce per risvegliarlo. Ma Kajitsu non c’era più. La ragazza sospirò e, spolverata la sedia dai petali secchi, la spostò accanto al letto.

Si sedette e rimase a fissare il suo volto pallido, ancora più pallido del solito, più scavato. Tutte le ingiustizie subite dai Maestri della Luce le crollarono addosso, un senso di impotenza, di sconforto che non aveva più provato da quando aveva parlato con Kenzo. Erano stati solo dei ragazzini, poco più che bambini, e il mondo aveva vomitato contro di loro il peggio. Quali colpa dovevano ancora scontare? Dopo aver quasi perso le famiglie, dopo aver perso amicizie, dopo essere stati alienati, odiati, dopo aver visto amici morire, dopo quello che era successo a Dan.

Mai allungò la mano e strinse le dita attorno a quelle di Yuuki, chiudendo gli occhi e cercando di rallentare il respiro accelerato. Si concentrò sul regolare bip dei macchinari, il battito debole e stabile del cuore di Yuuki. E, nonostante tutto, quel suono riuscì a calmarla.

“Sarei venuta prima, saremmo venuti tutti. Oh, Yuuki, ti credevamo morto. Dan se n’è addossata la colpa.”

Caldi rivoli di lacrime cominciarono a rigarle le guance, ma la ragazza non fece nulla per asciugarle e anzi si sforzò di abbozzare un sorriso.

“Avremmo dovuto esserci. Non sarebbe cambiato niente, perché eravate entrambi troppo testardi e determinati per il vostro bene. Ma avremmo dovuto esserci.”

“Avremmo dovuto esser lì con voi”, ripeté scuotendo la testa. “Ma ho avuto paura. Se fossi andata avanti anche solo un altro giorno… avrei voluto essere più forte.”

Ma non lo era stata. Era scappata, aveva tagliato i ponti. Ed era tornata a respirare, anche se la paura non se n’era davvero andata, ma almeno non aveva più avuto l’istinto di rannicchiarsi in un angolo e nascondersi da tutto. E poi era scappata nel futuro.

“Ti sei perso un sacco di cose”, proseguì con un nuovo sorriso, usando l’altra mano per strofinare via le lacrime. “Kazan ci ha chiamato dal futuro. Dovevamo solo impedire la totale riconfigurazione della Terra, normale routine. Clarky, Kenzo, Hideto… ci siamo andati tutti. Io sono tornata a prendere Dan.”

Deglutì e sbatté le palpebre. Era ancora così difficile pensare a quel giorno, così vicino secondo il calendario, eppure lontano una vita.

“Era così cresciuto, quasi non lo riconoscevo. Ma amava Battle Spirits come allora, anche se i soliti duelli lo demoralizzavano. Dopo Gran RoRo, dopo aver messo in gioco la vita, come si può biasimarlo?”

Liberò la mano da quella di Yuuki e le strinse entrambe sulle braccia.

“Nel futuro abbiamo iniziato a guarire, abbiamo ritrovato noi stessi e la forza di combattere.” Grazie a Dan. “Abbiamo vinto. Siamo riusciti a portare la pace tra umani e Mazoku. Sì, proprio le creature di Gran RoRo. Erano rimasti sulla Terra. Magisa aveva deciso di non riportarli a Gran RoRo.”

Sospirò ancora e alzò una mano per intrecciare le dita su una ciocca di capelli.

“Forse sperava che ci avrebbe aiutato a superare le differenze. Ci sono voluti sei secoli, però, dai: l’idea ha funzionato”, abbozzò una risata. “E abbiamo anche scoperto che abbiamo tutti lo stesso DNA. I granroriani sono esseri umani che si sono evoluti in modo diverso. Lo sapevi, Yuuki?”

Mai si morse un labbro e alzò lo sguardo verso la finestra. Si perse lunghi istanti a fissare il leggero ondeggiare della tenda sottile. Il cinguettare degli uccellini riempiva l’aria di serenità.

“C’eravate anche voi. Zolder Grave e Flora Perfume”, riprese tornando a sorridere. “Ma ti prego, Yuuki, tramandate anche un libretto d’istruzioni nelle vostre reincarnazioni. Quei due si azzuffano per ogni cosa, si prendono in giro… mi auguro davvero che non sia il loro modo di flirtare!”

Tornò a stringergli la mano. “Avete dei caratteri così estroversi. Ma sono sicura vi ricorderete.”

Mai s’interruppe di nuovo, trovando difficile proseguire. Nel futuro, aveva trascorso giorni chiusa nella sua stanza, rifiutando di accettare che fosse successo davvero. Poi, dopo l’ennesimo tentativo di Clarky di portarla fuori, gli aveva urlato contro di tutto. E non si era fermata, aveva urlato e odiato tutti, da Barone, a Plym, a Zolder. Poi, quando aveva trovato il mazzo di Dan, l’aveva gettato a terra e aveva gridato e gridato, finché la voce era diventata roca e la gola aveva iniziato a bruciarle. Perché era colpa di Dan, del suo maledetto spirito di sacrificio, del suo voler proteggere tutto e tutti. Era crollata a terra e Clarky l’aveva stretta mentre piangeva.

Da quel momento, si era messa anima e corpo ad aiutare con la ricostruzione, almeno fino alla loro partenza, per non fermarsi a pensare. Per non farsi sopraffare da tutti i se, da tutto quello che loro avrebbero potuto fare di diverso. Non riusciva ancora a mettere a tacere la vocina, quella che le ricordava tutto quello che non aveva fatto.

“Clarky è rimasto nel futuro. Ha trovato una casa. Si è innamorato di una ragazza che abbiamo trovato ibernata in una stazione spaziale, Angers Lochè. Spero ne apprezzi anche tu l’ironia”, aggiunse alla fine ridendo nonostante gli occhi lucidi.

“Io, Kenzo e Hideto siamo tornati. Forse riprenderemo la nostra battaglia, passo dopo passo. Finiremo quello che tu e Dan avete iniziato. Dan-”, un singhiozzò le impedì di proseguire e Mai si portò le mani al viso, prendendo lenti respiri.

“Dan, non se n’è andato. Si è sacrificato per salvare la Terra, per salvarci tutti. Perché ovviamente, doveva farlo lui, sempre in prima linea. Se solo fossimo stati capaci di trovare un’altra soluzione, Dan sarebbe ancora qui.”

Tirò su con il naso e allungò entrambe le mani a stringere quella di Yuuki, nuovi rivoli di lacrime che le bagnavano le guance e un sorriso appena abbozzato, colmo di rimpianto e malinconia.

“Era tornato quello di un tempo. Entusiasta, determinato. Ma ci ha lasciato. E io lo sapevo già. Avevo trovato una targa, in un museo distrutto. 30 agosto 2010, il giorno in cui se ne persero le tracce. Il giorno in cui io l’ho portato nel futuro. Ci ho provato, Yuuki. Ma non sono riuscita a fermarlo, anche sfidandolo a Battle Spirits. Forse tu ci saresti riuscito a fermarlo. Sei l’unico di noi che sia mai riuscito a sconfiggerlo in duello.”

Chiuse gli occhi, trattenendo a stento un ulteriore singhiozzo. “Era venuto per duellare, per vincere. Ed è quello che ha continuato a fare. Io sono stata in grado solo di stargli vicino, mi sono illusa che non sarebbe successo nulla, non con la sua determinazione. Non anche Dan. Dopotutto, non avevamo pagato già abbastanza?”

Si morse un labbro. “Non gli ho neppure detto quello che provavo. È stato lui a prendere l’iniziativa, prima di quel maledetto duello. Ti rendi conto, Dan!”, si passò le dita sugli occhi e scosse la testa. “Mi ha promesso che avremmo affrontato il passato insieme. E io gli ho creduto. Mi ero anche esercitata con il riso al curry.”

Portò di scatto le mani al volto, i singhiozzi che non riuscivano più a essere controllati. “No-non è tornato.”

Pianse con i palmi premuti contro il viso, il petto squassato dai singhiozzi e il respiro affannato. Non ne aveva mai parlato così apertamente, né nel futuro, né con Kenzo o Hideto, neppure con sua sorella. Ma lì, in quella stanza, con Yuuki che non poteva risponderle, con Yuuki che, fosse stato sveglio, sarebbe stato l’unico a capirla davvero, era tutto così facile.

“Io non ho fatto nulla. Non gli ho detto che l’amavo, non sono riuscita a impedire che scomparisse. Se solo ci avessi provato, ma non ci ho neppure tentato. Ho sentito un dolore così forte, così lacerante. Credevo non sarei riuscita a sopportarlo, che non sarei più riuscita a muovervi. Come avrei potuto, se mi sentivo il respiro strappato dal petto, se mi sentivo vuota, se mi sentivo il cuore infrangersi. E lo rivedevo, all’infinito, svanire, svanire, svanire. E io non ho fatto nulla.”

Mai abbassò la testa, i capelli che le oscurarono il volto coperto dalle mani. Pianse in silenzio, per minuti che parvero ore, lacrime calde che cercavano di lenire le ferite. Ma che non le avrebbero riportato Dan.









SPAZIO AUTRICE:

Salve a tutti! Secondo appuntamento con la versione rinnovata dell’episodio 0. Anche questo capitolo è rimasto a grandi linee lo stesso, ma sento di aver migliorato e reso più forti alcune parti. Credo di aver sviluppato meglio anche il personaggio di Elisabeth e la sua backstory. Il nome completo di Elisabeth è quindi Reiko Elisabeth Nakano. Ovviamente, spetta a voi decidere se vi piace di più questa versione della storia oppure no.

Non credo di aver molto altro da aggiungere, se non ringraziare chi ha legge e chi troverà magari il tempo di lasciarmi due parole per dirmi cosa ne pensa.

Alla prossima settimana, HikariMoon

  
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