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Autore: Old Fashioned    09/10/2018    26 recensioni
Nel Mondo dell'Amore è tutto molto bello, tutti si vogliono bene, tutti si amano, nessuno offende nessun altro, o se lo fa chiede scusa. Nessuno ha traumi, nessuno ha disagi, nessuno si sente discriminato o prevaricato.
Siamo proprio sicuri?
A scuola, un bambino fa un banale disegno. Per sua sfortuna, e per sfortuna dei suoi genitori, sceglie i colori sbagliati per decorarlo e una volenterosa giovane maestra, molto attenta alle problematiche di disagio familiare, sente il bisogno di consultare in merito la psicologa della scuola. La psicologa rileverà nel disegno elementi disfunzionali e da lì si scatena una concatenazione di eventi e situazioni sempre più gravi e pesanti.
Prima classificata al contest "Racconti al profumo di frutta" indetto da Dollarbaby sul forum di EFP.
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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AVVISO

Signore e signori,
dall’Enciclopedia Treccani: una Distopia è una previsione, descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all’utopia e per lo più in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente, si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi.
Questa storia parla di una distopia. Parla quindi di un contesto immaginario, nel quale alcune tendenze presenti anche ai giorni nostri vengono radicalizzate al punto da apparire quasi grottesche, nell’ottica di dipingere una società fortemente disturbante, angosciante e repressiva.
Perché scrivo questa premessa? Perché per mia sfortuna sono venuto in contatto con persone che non riescono a scindere un’opera di pura fantasia da un’eventuale struttura di pensiero non in linea con la loro, e per questo motivo interpretano un banale racconto di intrattenimento come un insulto o un tentativo di mettere in discussione determinati concetti per loro indiscutibili.
Il mio intento non è quello di offendere, ovviamente. Se tuttavia qualcuno si sente offeso da questa storia, sappia che anch’io mi sento offeso da un sacco di cose, ma rispetto la libertà d’opinione e non vado a insultare nessuno.
Se dopo questo pippone anti-talebani siete ancora qui, vi ringrazio e vi auguro buona lettura.







IL MONDO DELL’AMORE






Capitolo 1

Tanasha lanciò la stampa, quindi infilò i piedi nudi nelle ciabatte infradito di fibra naturale e scese dallo sgabello. Lasciandosi dietro un tinnire di cavigliere etniche, raggiunse lo stanzino della fotocopiatrice e raccolse dal cassetto dell’apparecchio le veline della giornata. Diede una scorsa ai fogli, quindi li sistemò picchiettandoli sulla superficie della scrivania fino a che nel pacco di carte non ci furono più angoli sporgenti. “Vado da Zelda,” annunciò poi.
Poronda e Raynelle, le sue colleghe, si limitarono ad annuire. “Torna presto,” bofonchiò la seconda, sistemandosi una matita tra i dreadlock per tenerseli indietro, “il testo di Omeopatia e Femminismo non si scrive da solo.”
Tanto deve andare in onda fra due giorni, ho un sacco di tempo.”
Ha detto Zelda che se la costringi di nuovo a improvvisare ti spedisce a lavorare coi maschi.”
Tanasha scosse la testa. “No, grazie. Non ci tengo a fare le pulizie.”
Nemmeno se c’è quel bel figo con i tatuaggi?”
Pur china sul computer, Poronda fece una risatina e disse: “Quello mi piacerebbe incantonarlo nei cessi, una volta o l’altra, e poi controllare com’è messo in mezzo alle gambe.”
Raynelle ridacchiò a sua volta, quindi rispose: “In realtà secondo me ci spera, se no non andrebbe in giro con quei pantaloni a vita bassa che fanno vedere il culo.”
Intervenne Tanasha: “E poi se non ci sta gli rifili una bella accusa di molestie, così impara a fare il prezioso.”
È quello che si merita!” provenne dalla stanza attigua. “Tanto i maschi sono tutti stupratori, hanno il gene dello stupro.”
Le tre ragazze si voltarono in quella direzione: era comparsa sulla porta un’attempata e segaligna signora, con i capelli grigi sciolti sulle spalle, sandali monastici e un colorato abito di foggia africana. Al collo aveva un monile di pietre dure che rappresentava i sette Chakra. “Io me li ricordo, prima che arrivasse il Mondo dell’Amore,” sibilò stringendo gli occhi. “Tutti porci, tutti violenti. Non pensavano ad altro che a stuprare, opprimere e prevaricare.” Fece una pausa, quindi in tono funesto aggiunse: “Se nella Storia ci sono state tante guerre e tante violenze, la colpa è degli uomini carnivori che hanno sempre dominato il mondo.”
Sul gruppetto calò un silenzio consapevole. Infine Raynelle in tono conciliante disse: “Per fortuna ora sono arrivate le donne e hanno portato l’amore dove prima regnava l’odio. Non è vero, Lorena?”
Bisognerebbe castrarli tutti, quei porci,” ringhiò la donna per tutta risposta, quindi girò bruscamente le spalle e tornò nel suo ufficio.
Le tre più giovani si scambiarono un’occhiata e fecero una risatina sommessa. “Lo sapete perché si fa chiamare Lorena?” disse Raynelle a bassa voce. “In onore della protagonista di un fatto di cronaca degli anni ‘90.”
Davvero?” Poronda digitò rapidamente qualcosa sulla tastiera, quindi girò il monitor verso le altre due e svelò: “Lorena Bobbitt, quella che ha tagliato il cazzo al marito.”
Beh, qualcuno di quelli là se lo meriterebbe,” commentò Tanasha.
Ben più di qualcuno,” rincarò Raynelle. “Hanno solo quello in mente, non capiscono altro.”
Poronda fece spallucce. “Chi se ne frega di cos’hanno in mente. Tanto gli uomini sono tutti stupidi, vanno bene solo per divertirsi ogni tanto, oppure per fare i lavori pesanti.”
Tanasha le strizzò l’occhio. “Pensi a quel bel figo delle pulizie?” le chiese con aria complice.
Non fece in tempo a sentire la risposta, perché si udì il suono di un carillon e subito dopo dall’interfono una voce profonda e flautata chiese: “Le mie veline, Tan?”
Scusami, Zelda, arrivo subito!” rispose la ragazza, quindi raccolse il pacco di fogli che aveva abbandonato sulla scrivania e si apprestò a raggiungere la responsabile di Canale Mimosa.
Abbandonò la stanza ed entrò nella versione moderna e vagamente new age di un open space: scrivanie disposte apparentemente senza un ordine, pouf colorati, moquette, poster di bambine indie o nere con frasi sulla natura. In sottofondo, fra il trillare dei telefoni, il crepitare delle tastiere e le voci delle occupanti, si udivano rarefatti accordi di sitar e onde oceaniche. Sulla parete di fondo campeggiava una scritta realizzata a mano con colori naturali, che in un tripudio di racemi dorati recitava: Canale Mimosa.
In un angolo, su un tavolino da computer dismesso, era disposto un assortimento di divinità femminili, da Astarte a Maman Brigitte, con dei bastoncini d’incenso che bruciavano qua e là.
Tanasha abbandonò il locale, percorse un breve corridoio e scostò una tenda batik che fluttuava dolcemente investita dal getto dell’aria condizionata.

L’ufficio di Zelda era un sontuoso boudoir con tende di seta, tappeti e cuscini. I monitor dell’emittente e la scrivania con sopra diversi telefoni erano stati relegati in un angolo e in quel tripudio di stoffe sgargianti quasi non si vedevano. Il neon del soffitto era stato sostituito da un lampadario d’ottone e vetri colorati che dava al locale l’aspetto di un lussuoso bordello mediorientale. Nell’aria c’era una fragranza che ricordava il patchouli.
Zelda, alta, imponente, il fisico di una venere paleolitica e la pelle color cioccolato, era in piedi al centro della stanza. Un giovanotto pallido e ossuto, dai capelli tinti di blu, con una svolazzante camicia di seta dello stesso colore, le volteggiava intorno come avrebbe fatto una falena con una lampada e intanto consultava un’agenda elettronica. “Alle quindici abbiamo l’estetista,” fece in tempo a dire, prima che Zelda lo congedasse con un gesto. Nel movimento, gli strass della sua manicure luccicarono fugaci.
Poi la donna si rivolse alla nuova arrivata: “Le veline, cara?” Tese la mano.
Tanasha le porse i fogli. La donna li prese e cominciò a guardarli in silenzio, uno dopo l’altro, con calma. Di tanto in tanto sollevava le sopracciglia. Un paio di volte schiuse addirittura le labbra color carminio come per dire qualcosa, ma rimase in silenzio.
Infine alzò lo sguardo e chiese: “Le hai lette?”
La più giovane si sentì morire. Che fare? Dire di sì o di no? Quale sarebbe stata la risposta giusta, quella che le avrebbe permesso di continuare a lavorare a Canale Mimosa?
Notando il suo imbarazzo, Zelda le rivolse un sorriso. “Coraggio, mia cara,” le disse suadente. “Non mordo mica.”
Sorrise mettendo in mostra una dentatura che sembrava decisamente promettere il contrario.
Beh… qualcuna,” balbettò Tanasha.
L’altra annuì con l’aria della madre che sente il figlio confessare che sì, effettivamente, qualche volta ha fatto qualcosa che non doveva fare. “Ci hai trovato niente di strano?” le chiese poi.
Io… ecco...” Di fronte a quell’imponente donna nera, Tanasha si sentiva come una specie di vermetto tirato fuori dalla mela: molto bianca e molto vulnerabile. Si era cambiata il nome scegliendone uno da nera, ma per quante lampade facesse, sarebbe sempre rimasta una caucasica un po’ più colorata della media, e i suoi capelli, per quanto acconciati a treccine, sarebbero rimasti disperatamente biondi. Verde scuro, al massimo, quando provava a tingerli di nero.
Zelda le rivolse un sorriso e le chiese: “Da quanto tempo sei qui a Canale Mimosa, cara?”
Tanasha deglutì. “Il venti saranno tre settimane,” rispose.
E prima dov’eri?”
A Canale Rosa.”
Zelda annuì. “Ah, certo. Consigli di bellezza e arte della seduzione. Rubriche per cuori solitari.”
Tanasha annuì a sua volta, con energia, ma prima che potesse aprire bocca, l’altra cominciò: “Ma vedi, cara, qui al Canale Mimosa non ci occupiamo di queste cose frivole. Il nostro compito è formare le coscienze, far capire alle donne qual è il loro vero valore e quali sono i pericoli che si troveranno ad affrontare là fuori, nel mondo.” Fece un gesto ampio e circolare con il braccio, quindi soggiunse: “Ecco perché è così importante scegliere con attenzione le notizie da trasmettere.”
Io… credevo che la verità fosse importante,” osò dire la più giovane.
Zelda fece un sorriso sornione. “La verità, la verità,” ripeté. “La verità non è mai pura e raramente è semplice. Chi lo disse?”
Un uomo,” rispose prontamente Tanasha, e la fissò, certa di aver superato con quella risposta un pericoloso trabocchetto.
La nera annuì. “Sì, ma gay,” puntualizzò, “vittima di vessazioni per il suo orientamento sessuale, quindi molto più vicino alla giusta mentalità femminile di tanti fallocrati ottusi convinti di poter dominare il mondo con il loro miserabile pene.”
Certo, Zelda.”
L’altra annuì di nuovo. Con la sua voce profonda cominciò: “Un tempo, vedi, chiunque volesse aprire un’emittente televisiva poteva farlo, e poteva trasmettere ogni genere di notizia.”
Anche quelle false?” intervenne Tanasha, fissandola con occhioni che nonostante tutto rimanevano più azzurri del cielo estivo.
No, quelle false no,” concesse Zelda, “ma tu capisci, mia cara: non tutte sono pronte ad assorbire qualsiasi notizia. Le notizie vanno filtrate, vanno sistemate, come i vestiti acquistati durante i saldi.
Che cosa significa?”
Per tutta riposta, la donna raccolse il pacco di veline e cominciò a sfogliarlo. Lesse: “Schizzare di sperma gli abiti di una donna è violenza sessuale. Questa va bene.” Mise da una parte il foglio. “Guarda con insistenza una donna sul treno, condannato a dieci giorni di carcere. Anche questa va bene. Falsa accusa di stupro, donna incastrata dal diario.” Sollevò la testa e rivolse a Tanasha uno sguardo inceneritore. “Questa non va bene,” sibilò.
La ragazza ritirò la testa fra le spalle. “Ma è successo,” disse con un filo di voce.
E con questo? Il nostro compito non è riferire fatti, ma orientare coscienze. E se per farlo dobbiamo dimenticare qualche fatterello, beh, sarà per una giusta causa: la causa delle donne.” Non attese risposta: di nuovo abbassò lo sguardo sui fogli e a voce alta chiamò: “Raoul!”
Ricomparve il giovanotto dai capelli blu. “Sì, Zelda?”
La donna stese la mano. “Portami una penna,” ordinò concisa.
Certo, Zelda.”
Cominciò a correggere i fogli. Sottolineò alcuni pezzi, altri li cancellò con un deciso tratto dal basso a sinistra verso l’alto a destra, ad altri aggiunse note a margine. Infine restituì il pacco di fogli – ormai decisamente più sottile – a Tanasha e in tono asciutto disse: “Falli sistemare a Shakti.”
A… Shakti?” fece eco la più giovane.
Zelda si erse in tutta la sua notevole statura, assumendo l’inquietante autorevolezza di un idolo tribale. Lentamente disse: “Se sei così interessata alla verità, mia cara, forse potremmo trovarti un posto a Canale Margherita.”
Tanasha, master in giornalismo superato a pieni voti, avvampò: “Cosa? Puericultura e salute della donna?”
Certo. Rimedi naturali, saggezza femminile. Se ti piacciono tanto i fatti, forse quello è il posto che fa per te.” Fece una pausa di qualche secondo, quindi riprese: “Se invece, come me, ritieni che i fatti siano strumenti, da utilizzare per far nascere nelle donne la giusta consapevolezza, allora forse – e dico forse – potremo ancora lavorare insieme.”

§

Sul piccolo schermo comparve l’immagine di un cavallo bianco. L’animale si muoveva incerto contro uno sfondo notturno sui toni del blu e del grigio, alzava e abbassava la testa, si frustava i fianchi con la coda, esprimendo nervosismo e disagio. Un primo piano mostrò gli occhi lucidi e le froge dilatate.
Poi d’un tratto le nuvole alle sue spalle si diradarono lentamente e nel tratto di cielo rimasto libero comparve la luna piena.
A quel punto, al cavallo spuntarono due sontuose ali di penne candide ed esso spiccò il volo, rivelando di essere in effetti una cavalla.
Sull’immagine dell’animale che si dirigeva verso la luna con maestosi battiti d’ala comparve una scritta: Il mondo di Zelda.
Vediamo che freakshow ha tirato fuori stavolta,” disse una voce maschile.
Sta’ zitto,” intervenne un’altra voce, sempre maschile, “vuoi beccarti una denuncia per commenti sessisti e lesivi della dignità della donna?”
Non ci fu risposta.
Sullo schermo frattanto era comparso una specie di salotto orientale con tappeti e cuscini. Varie persone sedevano su bassi divani disposti a semicerchio intorno a un tavolino su cui si trovavano tazze artigianali in ceramica raku.
Tutti gli invitati guardavano con aspettativa nella stessa direzione.
Ci fu uno stracco musicale e poi fece il suo ingresso l’imponente Zelda, con una crocchia di capelli che alzava ulteriormente la sua già notevole statura e un abito di lamé che pareva scelto per mettere in evidenza le sue forme prorompenti.
Sembra un tacchino avvolto nella carta stagnola,” commentò la voce di prima, di nuovo precipitosamente zittita.
Zelda prese posto su una poltrona dallo schienale alto, quindi accavallò solennemente le gambe. Rivolse a tutti i presenti un maestoso cenno di saluto e procedette alle presentazioni.
Dedicò per prima cosa la sua attenzione a un uomo molto alto e di corporatura poderosa. Questi sedeva con le mani in grembo, le spalle ingobbite e l’aria mesta di un orso da circo.
Ciao, Teddy,” lo salutò suadente.
L’uomo assunse l’espressione del cane che vede il padrone prendere il guinzaglio. “Ciao, Zelda,” rispose.
Vuoi parlarci di te, Teddy?”
Beh, io...”
Coraggio.”
Teddy prese un gran respiro. “Io ero un uomo… sbagliato,” buttò lì alla fine. “Sbagliato, facevo cose brutte.”
Zelda si piegò impercettibilmente nella sua direzione. Gli rivolse un sorriso incoraggiante. “Vuoi raccontarcele, caro?”
L’altro annuì come chi ha appena preso una decisione dolorosa ma necessaria. Strinse le labbra, poi disse: “Io andavo a caccia, mangiavo carne.” Sofferta pausa. “Mi piacevano le armi.”
Un mormorio di disappunto attraversò la sala, l’uomo ritirò la testa fra le spalle e cominciò a fissarsi le scarpe. “Passavo il tempo con gli amici,” aggiunse poi senza modificare la propria posizione, “giocavo a football americano, non mi curavo delle esigenze della mia compagna.”
Alla confessione fece seguito un silenzio costernato.
Ed eri felice?” chiese premurosa Zelda.
Teddy scosse la testa. “Io credevo di esserlo. Credevo che la vita fosse quella: stare con gli amici dopo il lavoro, andare a caccia.” Si interruppe, quindi a voce più bassa soggiunse: “Mangiare cadaveri.”
La donna annuì grave, con l’aria di chi nonostante tutto cerca di comprendere. “E poi cos’è successo?” gli chiese.
L’altro alzò la testa. “Ho capito,” rispose. “Mi sono reso conto che la mia era un’esistenza vuota, superficiale. Ho capito che vivevo le armi come un prolungamento del mio stesso fallo e che stavo esaurendo le mie energie in cose futili come giocare con gli amici invece di usarle per cose giuste come dedicarmi alla mia compagna.”
Zelda annuì di nuovo, questa volta imitata da tutti i presenti. Provennero da fuori campo voci femminili che dicevano bravo.
Mi sono reso conto che stavo sbagliando tutto. Ho distrutto le mie armi e ho smesso di vedere quelli che avevo sempre ceduto amici.”
Non erano amici?”
Teddy scosse con decisione la testa. “No, erano egoisti infantili, che mi allontanavano da chi mi ama veramente.”
Sarebbe?”
La mia compagna.”
Vuoi dirle qualcosa, Ted?”
L’uomo fissò con intensità la telecamera, quindi lentamente sillabò: “Non ti ringrazierò mai abbastanza per avermi spinto a crescere, tesoro. Ora ho imparato a vivere le emozioni, ora so piangere.” Emise un sospiro. “Ora so quali sono le cose veramente importanti della vita.” Si terse con discrezione una lacrimuccia.
Scrosciò un applauso, coloro che sedevano accanto a Teddy si protesero a darli pacche sulle spalle. Una donna rasata a zero, con un assortimento di anelli tintinnanti a ogni orecchio e una maglietta con due simboli biologici femminili intrecciati, si alzò da una delle estremità del semicerchio e gli strinse la mano. “Sei il primo maschio a cui non ho voglia di sparare nei coglioni,” gli comunicò.
Grazie,” rispose lui modesto.
Ci fu un altro applauso, poi Zelda si rivolse a una donna che non si sarebbe guardata due volte per strada: magra, occhialuta, caschetto di capelli ingrigiti, tailleur color pastello. “Vuoi dirci chi sei, cara?” le suggerì.
Mi chiamo Igea, pratico terapie naturali.”
Sei una dottoressa, Igea?”
La donna assunse un’aria arcigna. “La cosiddetta medicina tradizionale è il retaggio anaffettivo e spersonalizzante della Scienza, che altro non è se non uno dei modi con cui la cultura fallica e maschilista ha sempre oppresso le donne. Io amo definirmi guaritrice o sciamana.”
Un mormorio meravigliato attraversò il gruppetto degli ospiti. Zelda si limitò a inarcare le sopracciglia, poi chiese: “Potresti spiegarci che significa?”
Io compio un viaggio di cura assieme alla mia paziente, comprendo gli squilibri della sua energia, ne individuo le cause attraverso un percorso di consapevolezza che porta a una crescita reciproca.” Fece una pausa, quindi rivelò: “Io mi arricchisco interiormente, grazie al rapporto con le mie pazienti.”
Come si svolge la terapia?” chiese Zelda.
La donna scosse la testa. “La terapia sarebbe una costrizione, una violenza. Io insegno ad accogliere le malattie come veicoli di crescita spirituale, a convivere con esse, vivendole come uno degli infiniti modi di essere nel mondo.”
E le tue pazienti guariscono?”
Se questo è il corso della natura, sì. Ma qual è poi il senso della parola guarigione? Dobbiamo liberarci dell’esigenza prettamente maschile di modificare le cose a nostro uso e consumo. La natura è un’entità con cui bisogna vivere in armonia, accettando le sue leggi immutabili, non uno strumento per appagare nostre personali esigenze.”
Di nuovo scrosciò un applauso, tutti si sentirono in dovere di manifestare la propria approvazione. Poi Zelda si rivolse a una donna dai tratti orientali, alta ed esile, che indossava panni simili a paramenti religiosi.
Il bel discorso di Igea mi porta direttamente a te, mia cara,” disse Zelda. “Vuoi presentarti al nostro pubblico, per favore?”
L’orientale annuì. “Il mio nome è Samsara, sono una sacerdotessa.”
La conduttrice annuì grave. “Sacerdotessa di cosa, Samsara? Vuoi spiegarlo ai nostri ospiti e a chi ci sta ascoltando da casa?”
L’altra sollevò la testa e con espressione ispirata rispose: “Io venero il Femminile. La Dea, la Natura, la Madre, la forza che dà la vita.”
Zelda annuì grave.
Il Dio delle religioni monoteiste è malvagio e oppressivo, relega la donna in una condizione di inferiorità, essenzialmente perché spaventato dal suo enorme potere.” Il fervore mistico si accese ancora più intenso nei suoi occhi ed ella soggiunse: “La donna ha in sé tutta la forza dell’Universo, perché ha la capacità di creare la vita. Se non fosse stato per il Femminile, dove sarebbe adesso il mondo?”
Nessuno seppe dare una risposta e la domanda rimase ad aleggiare come un severo monito.
Passiamo alla nostra prossima ospite,” disse allora Zelda, quindi si rivolse a una nera di aspetto atletico, che indossava pantaloni mimetici e una maglietta con il primo piano di un cucciolo di beagle dagli occhioni languidi.
Perché non ci dici chi sei e cosa fai, mia cara?” le propose.
Sono Noun. Mi definisco una guerriera dell’amore,” rispose la nera.
Vuoi spiegarci che cosa significa?”
Io colpisco chi non ama. Chi uccide gli animali, chi li alleva per macellarli.”
Che cosa significa che li colpisci, cara?”
Noun si batté la destra chiusa a pugno sul palmo della sinistra, producendo uno schiocco. “Gliela faccio pagare!” proclamò. “Li faccio vivere nel terrore, esattamente come loro fanno vivere nel terrore poveri animali innocenti.”
Giusto!” approvò la donna rasata a zero con gli anelli alle orecchie, “Bisognerebbe ammazzarli tutti, quei bastardi!”
E farli soffrire, anche,” rincarò la sciamana in tailleur color pastello.
Io invoco maledizioni su di loro ogni giorno,” aggiunse pacata la sacerdotessa.
Zelda alzò le mani per calmare gli animi. “Capisco,” disse suadente, “è molto bello che ci siano donne come te, Noun, che si impegnano in prima persona per il benessere dei nostri amici animali.”
L’altra di nuovo strinse il pugno e ringhiò: “Se vedo qualcuno che mangia carne, mi viene voglia di spaccargli la faccia!”
Scrosciò un applauso, si udì anche qualche brava! da dietro le quinte.
A quel punto, Zelda si girò verso una giovane donna piuttosto in carne che indossava una tuta da ginnastica chiara e sedeva con le gambe accostate l’una all’altra. “È a posto l’asciugamano, cara?” le chiese in tono soave.
Ella annuì.
Molto bene, vuoi dire qualcosa ai telespettatori?”
La donna aprì le gambe, mostrando tra esse una chiazza rossa larga un palmo. “I tamponi sono uno strumento di oppressione patriarcale con cui le donne sono costrette ad auto-stuprarsi!” proclamò.
Dunque sei una free bleeder,” constatò Zelda. “Ora vuoi dirci come ti chiami, per favore?”
Ho scelto di chiamarmi Kiran, in onore di Kiran Gandhi, che corse la maratona di Londra sanguinando liberamente. Non usare protezioni è il modo più bello di vivere la nostra femminilità e allo stesso tempo di gridarla al mondo. Di dire: ehi, mondo, noi siamo donne, diamo la vita, viviamo il ciclo mestruale in armonia con la natura!”
La sciamana approvò con un sobrio cenno del capo, quindi si scambiò un’occhiata con la sacerdotessa, che a sua volta annuì.
A quel punto, senza attendere di essere interpellata da Zelda, la donna rasata a zero prese la parola: “Io sono Butch,” annunciò, “e questa qui è Dyke, la mia donna!” Circondò con il braccio nerboruto le spalle di una ragazza con la faccia tatuata e i capelli tinti nei colori dell’arcobaleno, se la tirò addosso e le diede un bacio in bocca con tanto di lingua, poi fece girare un’occhiata tutt’intorno, come sfidando gli astanti a dirle qualcosa.
Nessuno parlò nel gruppetto degli invitati, anche se qualche voce fuori campo espresse la propria approvazione.
Imperturbabile, Zelda disse: “Fa piacere vedere una coppia così unita. Del resto, non vedo il motivo di reprimere i propri sentimenti, quando sono così naturali e forti.”
Ehi, nessuno può reprimerci, ok?” ringhiò Butch fissandola in cagnesco, “Noi siamo libere!”
Zelda fece un gesto a mezz’aria come per scacciare un immaginario insetto, quindi rispose: “Ma certo che siete libere. Non siamo più nel patriarcato fallocrate e repressivo, ora c’è amore per tutti.” Poi, dopo una pausa: “Però ora raccontaci perché siete venute a trovarci, Butch.”
Due pezzi di merda stavano allevando dei figli nella maniera sbagliata, gli riempivano la testa di stronzate. Ma per fortuna siamo arrivate io e Dyke e abbiamo risolto la cosa.”
Che cosa intendi per famiglia sbagliata?”
La donna assunse un’espressione schifata e rispose: “Un maschio e una femmina. Insieme.”
Zelda annuì grave.
Un maschio e una femmina,” ripeté Butch, più che mai scandalizzata. “Sicuramente li avrebbero cresciuti nell’odio e nell’omofobia, gli avrebbero fatto credere che una famiglia, per essere giusta, deve avere un padre e una madre.” Lanciò sugli astanti uno sguardo che di nuovo aveva il bagliore della sfida. La sua compagna la fissò con aria devota.
Cos’avete fatto?” chiese Zelda.
Ci siamo rivolte all’ufficio per la tutela delle minoranze, ovviamente. Abbiamo spiegato quello che stava succedendo, ovvero che c’erano dei bambini in pericolo.” Fece una pausa, poi proseguì: “Ora crescono a casa nostra. Hanno fatto un po’ di storie, all’inizio. Insistevano che volevano i genitori. Si vede che quelli là gli avevano fatto un bel lavaggio del cervello.”
E adesso?”
Hanno smesso di frignare. Abbiamo dovuto anche depurarli, perché quei criminali gli facevano mangiare la carne.”
Un mormorio di disgusto attraversò l’uditorio.
Ma adesso solo frutta. E soprattutto un ambiente giusto, dove imparano il rispetto e la tolleranza.”
Scrosciò spontaneo un applauso veemente.
Quegli stronzi omofobi non rovineranno più nessuno!” disse Butch, ma il proclama si perse nei fervidi battimani.
Dopo un po’, Zelda prese di nuovo la parola: “Abbiamo ora l’ultimo ospite della giornata.” Indicò un ometto smilzo e pelato, che indossava una specie di abito da thai-chi e sedeva compunto sull’orlo del divano. “Vuoi raccontarci la tua storia, caro?” gli propose.
Mi chiamo Cory e sono qui perché ho fatto una scelta di vita.”
Zelda annuì come chi vede svolgersi le cose esattamente secondo le previsioni. “Quale scelta, Cory?”
Ho voluto chiedere scusa per tutte le violenze che il mio genere ha per secoli inflitto alle donne. Certo questo non ripaga tutto il male fatto nel corso della Storia, diciamo che più che altro è un gesto simbolico, che però ha per me un grande significato.”
Vuoi raccontare di quale gesto si tratta?”
Mi sono fatto asportare chirurgicamente il pene.”
L’uditorio rimase raggelato, Teddy sobbalzò come se l’avesse punto una vespa, Butch disse qualcosa che dovette essere coperto da un lungo Biiip.
Cory fissò gli astanti con la serenità di un bonzo in procinto di darsi fuoco, quindi con un tono di remota pacatezza cominciò a raccontare: “All’inizio avevo un po’ paura, naturalmente, ma quando sono arrivato davanti alla sala operatoria ho sentito dentro una grande pace. Ho capito che stavo facendo la cosa giusta.” Emise un sospiro, quindi proseguì: “La penetrazione è stupro, l’uomo si appropria del corpo della donna, lo possiede. E questo… io sento che questo è sbagliato. Ho capito che dovevo fare qualcosa, che se non l’avessi fatto non sarei più riuscito a guardare la mia compagna, e con lei ogni altra donna, senza provare vergogna.” Fece un’altra pausa, inspirò ad occhi chiusi ed espirò lentamente. “Noi dobbiamo chiedere scusa alle donne,” disse poi. Fissò direttamente la telecamera e proclamò: “Scusate, donne. Io chiedo scusa a tutto il genere femminile, mi vergogno di essere un uomo.”
E ora, pubblicità,” annunciò Zelda.

Merda, si é tagliato l’uccello!” L’uomo si girò verso il bancone e a voce più bassa soggiunse: “Zac! Via il cazzo… Dammi qualcosa di forte, Tony.”
Lo sai che hai esaurito la tua quota di superalcolici mensile.”
Correrò il rischio.”
Il barista fece spallucce: “Hai tutta questa voglia di fare un mese di lavori socialmente utili in un reparto di ammalati di cirrosi?”
Senti, fanculo, stiamo parlando di uno che si è appena fatto tagliare via il cazzo. Ho bisogno di berci sopra.”
Anch’io,” intervenne un altro dal fondo della sala. Poi, rivolto a quello più vicino al televisore: “Cambia canale, ‘sta troia mi ha già rotto le palle.”
Quello sogghignò. “Che cosa vuoi, consigli di bellezza o stronzate sulla medicina alternativa?”
Spegni.”
Il televisore tacque.
Gli astanti, tutti uomini, si scambiarono delle occhiate in tralice e per un po’ nessuno disse nulla. Alla fine il barista allineò sul bancone un certo numero di bicchierini, tirò fuori da un armadietto una bottiglia con scritto sopra ‘Succo di mela con zenzero’ e versò un po’ della bevanda, trasparente e di colore ambrato, in ogni recipiente. Si levò il tipico odore del bourbon.
Fanculo la quota di superalcolico,” brontolò. “Questo lo offre la casa, non state a tirare fuori le schede della Salute Armoniosa di ‘sto cazzo.”
Uno degli avventori, alto, corpulento, con una gran barba e un vecchio cappello da baseball, sfilò di tasca una tessera con un microchip decorata con un mandala sui toni del viola e dell’azzurro, la scrutò aggrottando le sopracciglia e brontolò: “Sai dove glielo ficcherei, questo pezzo di plastica fetente? Mangi una bistecca? Te la registrano qui. Ti bevi un goccio? Anche quello va a finire qui. Ti fumi una paglia? Qui. Fai qualsiasi cosa che non sia mangiare fottuta erba o grano buono solo per i piccioni? Tutto qui. E quando hai esaurito lo spazio, ti becchi uno dei loro merdosi corsi di Consapevolezza e Responsabilità. Ma che si fottessero, brutte troie.”
Beh, questo è extra,” disse il barista in tono conciliante, “non finisce sulla scheda.”
Tutti si avvicinarono. Dal fondo della sala si fece avanti un ragazzo e sogguardando titubante i bicchierini chiese: “Anch’io?”
Di sicuro non ti farà peggio della quinoa.”
Quando furono tutti riuniti, uno tirò fuori dalla tasca anteriore della salopette da lavoro un DVD e disse: “Un anno di Champion’s League. Interessa a qualcuno?” Fece ruotare il disco sotto la luce.
Quanto chiedi?” s’informò l’uomo con la barba.
Dieci arcobaleni.”
L’altro sollevò le sopracciglia, il primo si sentì in dovere di precisare: “Un anno intero, con anche le interviste agli allenatori.”
Andata.” Tirò fuori dal portafoglio delle banconote dalle sfumature multicolori e gliele porse.
Non farti beccare con quello,” lo consigliò il barista, “altrimenti è un corso di Rifiuto della Competizione e della Mascolinità Tossica assicurato.”
Il DVD sparì nel profondo di una tasca. Il ragazzo, che stava cautamente sorbendo il bourbon, a quel punto si rivolse a un uomo smilzo, con i capelli bianchi e il volto rugoso, e gli chiese: “Mike, ma è vero quello che hai raccontato l’altra sera?”
Cosa, ragazzo?”
Che quando eri giovane si potevano guardare le partite in TV.”
L’uomo assunse un’espressione sognante. “Certo, potevi guardare tutte quelle che volevi.”
Il più giovane lo fissò meravigliato “Davvero?”
Si potevano guardare anche i film di guerra,” intervenne l’uomo corpulento con la barba.
Di guerra? Con la violenza?”
Sicuro.”
E se ti beccavano non ti facevano fare i corsi di Rispetto e Tolleranza?”
No, c’era la libertà, a quei tempi. I maschi potevano fare quello che volevano, anche studiare.”
Non ci credo. I maschi non possono studiare, non hanno abbastanza neu… neutroni…?”
Intervenne un uomo molto alto, con i capelli biondi e una casacca macchiata di grasso che si tendeva sulle spalle ampie. “È quello che ti hanno sempre fatto credere,” gli disse con un sospiro, “ma la verità è che gli uomini sono intelligenti esattamente come le donne. Anzi, nel passato, quando ancora potevano studiare, ci sono stati grandi scienziati uomini.”
Il ragazzo lo fissò con espressione incredula.
Rick ha ragione,” confermò l’uomo coi capelli bianchi.
A quel punto, il tono della discussione si abbassò. Tutti assunsero un’aria da cospiratori, qualcuno lanciò fugaci occhiate alla porta, per vedere se in strada stava passando qualche Gruppo di Consapevolezza, quelli che di solito erano composti da almeno una decina di esagitate, tutte smaniose di scaricare i loro taser nelle palle dei fallocrati violenti, ma il marciapiede era deserto.
Sembra che non sia così dappertutto,” buttò lì con noncuranza l’uomo con la barba.
Sarebbe a dire?” chiese il biondo.
Ci sono posti dove i maschi sono liberi.”
Un mormorio di meraviglia attraversò il gruppo, il barista diede una seconda occhiata alla strada. “Piano con questi discorsi, ragazzi,” ammonì serio. “Non ci tengo a finire in una Comune per l’Armonia e la Consapevolezza di Genere.”
Posti di merda,” brontolò un uomo di colore con gli abiti sporchi di vernice e un metro che gli spuntava da una tasca.
Ma tu sei nero, Bob,” gli fece notare Mike. “Per un sacco di cose non ti rompono le palle.”
Ah, non pensare che me la passi tanto meglio di voi bianchi,” replicò questi. “Sono pur sempre maschio, ho lo strumento di repressione fallocratica in mezzo alle gambe.”
E ringraziamo che non ce l’hanno ancora tagliato,” brontolò l’uomo con la barba.
Dopo la trasmissione di stasera potrebbe anche succedere,” ringhiò un altro, vestito con una tuta verde da giardiniere, “Per il nostro bene, ovviamente.”
Per il nostro bene,” ripeté il biondo con un ghigno. Si guardò intorno. “Che fine ha fatto Dave?” chiese poi. “Mi doveva due arcobaleni per la bevuta di ieri sera.”
Gli altri si scambiarono un’occhiata. Infine Bob disse cauto: “Non sai niente, Rick?”
Cosa?”
Accusato di molestie. È finito alla Sezione Disassuefazione dall’Aggressività Fallica.”
Merda, la peggiore,” commentò il biondo. “Cos’ha fatto?”
A una tizia era caduto qualcosa e lui si è chinato a raccoglierlo. Hanno detto che l’ha umiliata in modo maschilista facendole pesare la sua momentanea situazione di inferiorità, inoltre hanno stabilito che da quella posizione avrebbe potuto guardarle sotto la gonna.”
Ma l’ha fatto?”
Chi stava narrando l’episodio alzò le spalle. “Non importa. Potenzialmente avrebbe potuto farlo. Sai bene che questo è più che sufficiente.”
Calò un silenzio cupo.
Un altro giro?” propose il barista. “Beviamoci su. Alla faccia della loro Salute Armoniosa del cazzo.”

§

È pronto il bambino, Richard?”
L’uomo cercò senza successo di afferrare un frugoletto con una gran zazzera di capelli biondi che correva per le stanze come un indemoniato. “Un attimo, tesoro.”
Se fai presto ti do uno strappo con la macchina.”
Rick fissò critico la donna e replicò: “Non vorrei che avessi delle noie.”
Perché? Siamo marito e moglie, potrò ben accompagnarti al lavoro in macchina, no?” Poi, a voce più alta: “Leo, tesoro, vieni dalla mamma!”
Il bimbo arrivò di corsa, dribblò all’ultimo momento il tentativo della donna di afferrarlo e si buttò ad abbracciare le ginocchia del padre. “Quando potrò venire in officina con te?” gli chiese.
L’uomo si piegò ad accarezzargli i capelli. “Quando sarai grande,” gli disse. “Ora devi andare a scuola.”
Non ci voglio andare a scuola, le bambine mi fanno i dispetti.”
Richard scambiò un’occhiata con la moglie, poi gli disse: “E tu dillo alle maestre.”
Le maestre dicono sempre che le bambine hanno ragione, anche quando non è vero. Billy l’altro giorno è stato punito, ma era stata Kisha a picchiarlo, lui non aveva fatto proprio niente.”
Ne sei sicuro?”
Il piccolo assunse un’espressione di serietà grave. “Sì.”
E tu sta con i bambini, allora.”
Le bambine vengono a cercarci per farci i dispetti, tanto lo sanno che le maestre danno sempre ragione a loro. Ieri Aalissah e Shakila hanno rubato la merenda a Jimmy e le maestre non le hanno sgridate neanche un po’.” Fece il broncio.
Tu non farti rubare la merenda,” suggerì Rick. “E se te la rubano dimmelo, che vengo io a parlare con le tue maestre.”
Richard,” intervenne la moglie.
Potrò andare a parlare civilmente, no?”
La donna scosse la testa. “Rischi di beccarti un’accusa di molestie e di finire alla Disassuefazione. Se Leo ha problemi ci parlo io con le maestre.”
Sì, poi magari trovi la lesbica che accusa te di molestie.”
Non dire queste cose davanti al bambino,” lo ammonì la moglie, guardandosi fugacemente intorno come per paura che ci fosse qualcuno a origliare, “Se a scuola le ripete potremmo avere problemi.”
Oh, già.” Richard emise un sospiro. “Assistenti sociali in casa, test di disfunzionalità del nucleo familiare e cazzate del genere.”
Già con quella faccenda della bandiera potremmo avere noie.”
L’uomo si voltò verso la porta semiaperta della camera. Si intravedeva appeso al muro un drappo a losanghe bianche e azzurre con al centro uno stemma inquartato sostenuto da due leoni rampanti d’oro. “Era di mio nonno, Schatzi.”
Lo so, ma adesso i riferimenti ai nazionalismi sono vietati, lo sai.” Fece una pausa, poi cautamente soggiunse: “Sarebbe meglio che andasse a finire in cantina, Rick.”
Sai che un tizio mi ha chiesto se la vendo? Mi darebbe un sacco di soldi.”
La donna lo fissò con interesse. “Quanto?”
Da comprarci una macchina nuova.”
E tu?”
Ho rifiutato. È l’unico ricordo che ho di mio padre.”
I due si scambiarono un’occhiata, poi la donna sorrise e gli disse: “Ok, in fondo una macchina nuova non ci serve al momento. Però promettimi che la metterai via.”
L’altro emise un sospiro. “E va bene. Quando torno dal lavoro la tolgo.”
Grazie, tesoro.”
La donna raccolse la borsa e le chiavi della macchina e disse: “Ora andiamo, se no farai tardi. Ricordati che siamo già sotto controllo, quindi è meglio non attirare troppo l’attenzione. Nel caso, andrò io a parlare con le maestre.”

§

Mo’Nique, giovane maestra della scuola elementare, percorse i banchi disposti a ferro di cavallo e depose davanti a ogni persona in accrescimento un foglio bianco. Successivamente prese scatole di pennarelli, matite e tempere di tutti i colori e le collocò a intervalli regolari lungo la fila di banchi, in modo che fossero facilmente raggiungibili da chiunque.
Oggi mi farete il ritratto della vostra famiglia,” disse poi. “Genitore 1 e Genitore 2, e tutti gli altri Genitori che avete, assieme alle vostre sorelline e ai vostri fratellini. Usate tutti i colori che ci sono, mi raccomando. Voglio vedere dei bellissimi arcobaleni.”
Sìì!” risposero i bambini in coro.
Perché è bello l’arcobaleno?”
I piccoli si scambiarono occhiate dubbiose. L’arcobaleno era bello, punto e basta. Chi si era mai posto il problema del perché?
Alzò una mano Jimmy.
Sì, caro?” chiese Mo’Nique.
Perché ha molti colori?”
La maestra annuì, ma poco convinta. A tutti fu chiaro che si sarebbe aspettata qualcosa di più. Alzò la mano Kisha, che rivolse dapprima uno sguardo di superiorità al resto della classe, poi disse: “Perché è il simbolo dell’amore.”
Molto bene,” approvò Mo’Nique. “È il simbolo dell’amore, delle diversità che si uniscono a creare un tutto unico.” Fece una pausa, poi disse: “E ora, recitiamo insieme il significato di ogni colore. Rosso?”
Vita!”
Arancione?”
Salute!”
Giallo?”
Ci fu un momento di silenzio, i bambini si fissarono l’un l’altro dubbiosi.
Coraggio, è facile,” li incoraggiò Mo’Nique. “Giallo?” Indicò un disegno con un sole che splendeva.
Luce del sole!” esclamò Shakila.
Certo, luce del sole,” confermò la maestra. “Verde?”
Natura!”
Molto bene. Blu?”
Serenità.”
Viola?”
Spirito!”
Bravissime! E ora voglio vedere dei bellissimi disegni, forza!”
I bambini protesero immediatamente le mani verso i recipienti con i colori, cercando di afferrarne quanti più potevano. Con un movimento che ricordava quello di un croupier, Aalissah e Shakila raccolsero tutti i colori che si trovavano alla loro portata e li ammucchiarono su uno dei banchi, dopodiché fecero girare tutt’intorno uno sguardo in cagnesco, come per sfidare gli altri bambini a reclamare la loro parte di pastelli e matite.
Nessuno si fece avanti, ovviamente.
Leo, che aveva seguito in silenzio tutto il mantra della bandiera arcobaleno, rimase a fissare per un po’ le bambine che si disputavano i colori, poi prese una matita, un tubetto di tempera bianca e uno di azzurro cielo e con quelli si allontanò dal gruppo principale. Si scelse un banco isolato e stese accuratamente il foglio, disponendovi sopra quel che aveva recuperato. Andò poi a prendere un paio di pennelli e un vasetto con un po’ d’acqua, quindi cominciò a tracciare figure.

Mo’Nique, che da un po’ teneva d’occhio il solitario bambino, gli si avvicinò con il più accattivante dei suoi sorrisi. “Perché non stai con il resto della classe, tesoro?” volle sapere.
Il piccolo levò su di lei gli occhi celesti. Assunse un’espressione imbronciata e rispose: “Se sto con gli altri, le bambine mi portano via i colori, e tu le difendi anche se è colpa loro.”
Ma questo non è assolutamente vero,” protestò la maestra.
Invece sì,” rispose il bambino, con la franchezza priva di filtri dell’età infantile. “Ieri Aalissah e Shakila hanno portato via la merenda a Jimmy e tu non hai fatto niente. Quando è stato Boris a portare via la merenda a Latifa, tu l’hai mandato a fare i lavori socialmente utili. Gli hai fatto pulire la cacca dei conigli per una settimana.”
Boris è stato molto cattivo, Leo. Ha tirato i capelli a Latifa.”
Anche Aalissah ha tirato i capelli a Jimmy.”
Questo non è affatto vero!”
Il bambino la fissò torvo. “Invece sì,” ripeté imperterrito. “L’ho vista io.”
Allora evidentemente Jimmy se lo meritava,” tagliò corto Mo’Nique, “e ora fammi vedere il tuo disegno, forza.”
Il bambino spinse il foglio verso di lei. La donna lo prese e per un po’ rimase a studiarlo perplessa, aggrottando di tanto in tanto le sopracciglia. Ogni tanto abbassava il pezzo di carta e fissava il piccolo, che le rimandava uno sguardo di perfetta tranquillità.
Alla fine la maestra chiese: “E questo cosa sarebbe?”
Io, papà e mamma,” rispose Leo.
Sei sicuro?”
Il bambino annuì. “Certo.” Sul foglio, tracciate con incerta mano infantile, c’erano tre figure: da una parte c'era una maschile molto alta e dall'altra una figura femminile, riconoscibile dai capelli lunghi e dalla gonna, decisamente più piccola. Al centro c’era una terza figura, più piccola delle altre due, che teneva le prime per mano.
Quello sono io,” spiegò premurosamente il bambino.
E gli altri?”
Papà e mamma.”
Non si dice più papà e mamma, caro. Si dice Genitore 1 e Genitore 2.”
No, sono papà e mamma,” ripeté il bambino.
E se, poniamo, qualche bambino avesse due mamme o due papà? Potrebbe sentirsi offeso dalle tue parole, ci hai pensato?”
Sono papà e mamma,” disse Leo imperterrito.
La maestra fece un sospiro, ma rinunciò a insistere.
Riguardò il disegno: l’uomo aveva i pantaloni azzurri e la maglia bianca, la donna un abito marezzato nei due colori, come per un mal riuscito tentativo di fantasia floreale. Il bambino aveva una maglietta a righe orizzontali azzurre e bianche.
Perché solo questi colori?” chiese la maestra.
Papà dice che sono i più belli.”
Davvero? Come mai?”
Perché sono quelli del posto dove abitava il bisnonno Adolf,” rispose il bambino in tono compunto, “la Beviera, che è un posto bellissimo con tante montagne. Papà dice che il bianco è il colore della neve e l’azzurro quello del cielo.”
La maestra lo fissò come se gli si fosse girata la testa all’indietro e avesse cominciato a parlare in aramaico. “Ma caro… non esiste più quel posto,” disse cauta. “Ora non ci sono più le nazioni e nemmeno le bandiere, c’è solo quella con l’arcobaleno. Che cosa rappresenta la bandiera con l’arcobaleno, tesoro?”
Che le bambine possono tirarti i capelli finché vogliono e nessuno le sgrida.”
Leo!”
È così,” replicò il bambino.
Non è affatto vero. Non si dicono queste cose.”
Ieri Aalissah ha tirato i capelli a Jimmy e nessuno l’ha sgridata.”
Mo’Nique alzò leggermente la voce: “Ora basta con questa storia, hai capito? Non è successo niente del genere.”
Invece sì,” rispose imperterrito il piccolo, “l’ho vista io.”
Ti avverto: se non la smetti subito finisci in punizione. Ora prendi dei bei pennarelli e colora come si deve questo disegno.”
A me piace così.” Il frugolo incrociò le braccia sul petto come a sottolineare la sua indisponibilità a ottemperare alla richiesta, poi fissò accigliato la maestra e in tono stizzito proclamò: “La Beviera è il posto più bello del mondo.”

Mo’Nique per un po’ rimase a fissarlo indecisa sul da farsi: sgridarlo con più decisione? Cercare di prenderlo con le buone? Il bambino rimaneva a braccia conserte e si manteneva ostinatamente girato di spalle rispetto ai contenitori di pastelli e matite.
Leo, vogliamo fare un altro disegno? Uno più bello?”
No.”
Vuoi disegnare le montagne? Magari con gli animali che corrono sui prati verdi?”
No.”
La giovane donna inspirò e allontanò il sempre più prepotente impulso di stampare cinque dita sulla paffuta guancia del bimbetto. “Genitore 1 e Genitore 2 vorrebbero più colori, sai? Me l’hanno detto loro.”
No. Papà dice che quelli sono i colori più belli. Io voglio quelli lì.”
E la mamma?” Mo'Nique abbandonò addirittura la definizione di Genitore Numerato per accattivarsi maggiormente la simpatia del piccolo. “Cosa dice la mamma, Leo?”
Anche la mamma dice che sono belli.”
E mettere un po’ di rosso, Leo? Un po’ di giallo?”
No.”
Ma perché?”
L’ha detto il papà.”
Fu come se una benda le cadesse dagli occhi: ecco che di colpo tutto era chiaro. Ovviamente, in quella famiglia c’era una figura paterna tirannica, che esercitava la propria autorità fallocratica su una moglie succube e incapace di opporsi e si poneva come distorto modello educativo per il bambino.
Ecco perché il piccolo si rifiutava di chiamare correttamente i genitori Genitore 1 e Genitore 2: era evidente che in quella famiglia c’era una gerarchia dei genitori.
A quel punto, Leo le fece addirittura pena: sarebbe cresciuto con una mentalità patriarcale, maschilista, che lo avrebbe reso incapace di vivere le proprie emozioni e di avere una vita affettiva corretta. Senza contare che lui stesso avrebbe poi esercitato, una volta adulto, la stessa nefasta influenza su un’eventuale progenie.
Sentì che doveva intervenire al più presto.
In tono suadente, disse: “Non avevo visto bene il tuo disegno. Ma lo sai che è proprio bello? Vorrei farlo vedere anche alle altre maestre.”
Il bambino le rivolse uno sguardo diffidente, ma Mo’Nique gli sorrise e aggiunse: “Avevi ragione, bianco e azzurro è più bello.” Si chinò in modo da avere il viso all’altezza del suo, quindi gli chiese: “Me lo dai, Leo? Poi te lo restituisco.”
Quando?” chiese il bambino, ancora dubbioso.
Domani. Il tempo di farlo vedere a LaBrion, Naranna e Jamaree e poi lo puoi portare alla tua mamma.”
È per papà.”
Mo’Nique annuì: anche quella risposta confermava i suoi timori: quella era una dipendenza affettiva in piena regola. Una figura paterna tirannica stava esercitando il suo malvagio potere e solo lei aveva la possibilità di neutralizzarla.



   
 
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