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Autore: 92Rosaspina    11/10/2018    1 recensioni
"Il battito delle ali di una farfalla in Brasile, può provocare una tromba d’aria nel Texas". Così il fisico Edward Lorenz spiegò, in una conferenza del lontano 1979, la Teoria del Caos, secondo cui il minimo cambiamento può significare una storia del tutto diversa. Da un’azione svolta o non svolta, oppure svolta in modo diverso, possono nascere futuri ed eventi imprevedibili.
Contrariamente al pensiero comune, però, Caos non è disordine. Caos è un ordine così complesso da sfuggire ad ogni tentativo di comprensione dell'uomo. Una sequenza ben definita ma così piena di variabili da risultare imprevedibile.
E se è vero che il minimo cambiamento può condizionare l'epilogo di una storia, e che la vita è fatta di scelte e ogni scelta ha le sue conseguenze, allora le possibilità diventano infinite.
Tutto però ha un inizio ben definito, una comune origine. Un lounge bar nel mezzo di Nuova Domino. E tutto passa sotto lo sguardo indagatore di un occhio carico di conoscenza.
Genere: Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri personaggi, Atemu, Mana, Seto Kaiba, Yuugi Mouto
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                9. Il principe azzurro ha la moto.






La sveglia suonò troppo presto per i suoi gusti: Aki provò l'invitante impulso di afferrarla e scagliarla a tutta forza contro il muro, ficcare la testa sotto il cuscino e chiudere di nuovo gli occhi, ignorando il suo insistente suono squillante, la giornata che l'aspettava, la sua famiglia che l'attendeva.
Mai con tanta riluttanza aveva lasciato il letto per fare la sua doccia ristoratrice. L'orologio mostrato sul display del telefono mostrava le dieci e un quarto: era andata a dormire cinque ore prima, quando la serata era stata ufficialmente chiusa ed erano tutti usciti dalla piscina per rivestirsi e tornare a casa. Yusei ci aveva tenuto a rinnovarle la sua disponibilità, esortandola a contattarlo se ci fosse stato bisogno; aveva poi aggiunto che poteva chiamarlo o scrivergli a qualsiasi ora, tanto aveva il sonno leggero e avrebbe risposto subito.
Mentre l'acqua calda della doccia risvegliava i muscoli e li scioglieva, Aki cominciò a prepararsi mentalmente alla giornata che l'attendeva. Non aveva esagerato, il giorno prima, con il descriverla a Yusei come un “pessimo spettacolo”.
Non sapeva cosa aspettarsi. I rapporti con i suoi familiari erano diventati a lei incomprensibili, quasi estranei, e tutto da quando aveva cominciato a manifestare diverse idee sul suo futuro, a quella che considerava una tenera età di quattordici anni. Esattamente dieci anni erano serviti, perché il loro rapporto prendesse una piega del tutto imprevista ed incontrollabile.
Un po', e questo doveva ammetterlo, se l'era cercata. Il nome Izayoi sembrava marchiarti a vita: si diventava avvocati del diavolo, ricchi proprietari di qualche industria, qualcuno si era dato alla medicina e in un paio d'anni si era ritrovato a vestire il camice del primario di un intero plesso ospedaliero. Il destino dei nuovi nati nella famiglia sembrava segnato, la strada verso il successo e la realizzazione spianata, in molti casi, a colpi di banconote.
Era la parte della realizzazione che Aki non comprendeva.
Si diceva sempre che il miglior regalo che si poteva fare, ad un figlio, era quello di instradarlo come meglio si poteva verso il raggiungimento del suo obiettivo finale: tutti sviluppavano una propensione ad una certa attività e tutti mostravano, inevitabilmente, delle attitudini che, con il tempo, diventavano sempre più evidenti. Tutti avevano bisogno di esprimersi in un modo a loro congeniale.
Il concetto non sembrava essere molto chiaro alla famiglia Izayoi e a chiunque girasse loro intorno. E la cosa che preoccupava tanto Aki, era che molti di loro non sembravano rendersi conto della cosa: partecipavano inconsapevolmente a quel gioco, gli veniva insegnato a mettere il successo e il buon nome della famiglia al primo posto ex-aequo, come se non ci fosse nient'altro di più importante. Si cominciava dagli anni scolastici fino a quelli universitari, per poi far trovare sedie pronte e comode in qualche ufficio dietro un'insegna altisonante.
Aki non aveva mai pensato a sé stessa come una futura impiegata di ufficio, ma negli ultimi anni aveva avuto seri dubbi perfino su quell'eventualità.

Sua madre, doveva ammetterlo, era molto protettiva, a detta sua anche troppo. Aki non era certo conosciuta per le sue manifestazioni d'affetto, che si limitavano a sorrisi tirati e qualche isolato abbraccio, ma sua madre sembrava il perfetto opposto a quella sua eccessiva rigidità. Con il tempo, il loro rapporto si era logorato, e la rossa non sapeva bene a cosa attribuirne lo scomodo “merito”: forse al fatto di essere cresciuta sviluppando atteggiamenti diversi da quelli sperati, forse alla sua poca propensione a mostrare affetto, che sembrava ereditata da quell'arpia avvizzita della zia Seiko. Forse aveva contribuito anche sua madre, dedicatasi anima e corpo alla direzione della sua catena di cosmetici.
Qualsiasi cosa avesse innescato quella lenta rovina, aveva trovato il suo culmine con la partenza di Aki. E lei lo sapeva, lo sentiva nelle loro voci quando parlavano al telefono, lo leggeva nei loro laconici messaggi: in qualche modo li aveva delusi.
A volte si chiedeva davvero se la sua scelta era quella giusta. Lasciare il nido familiare per cercare fortuna altrove...gli intenti erano nobili, certo, ma come stavano davvero i fatti? Aveva un esame da preparare, e in quei giorni a malapena aveva toccato i libri. E fosse stata stanca e provata dalle ore lavorative a cui era sottoposta avrebbe almeno avuto una giustificazione da usare, ma la realtà dei fatti stava proprio lì.
Non si sentiva affatto stanca. Non era affatto provata dalle sue otto, a volte dieci ore di lavoro notturno; che descritto così sembrava chissà cosa, e invece si trattava solo di portare qualche vassoio ai tavoli e, occasionalmente, di preparare bevande alcoliche. Niente di apparentemente deplorevole o umiliante, ma ovviamente dipendeva dai punti di vista, e quelli dei suoi familiari erano molto particolari.

Uscì dalla doccia proprio mentre il telefono le mandò il singolo segnale sonoro che la avvisava della ricezione di un messaggio. Come di consuetudine mattutina, era Judai che le augurava il buongiorno e le augurava buon riposo, prima di tornarsene a dormire ancora un po'. Aki sorrise, bloccando lo schermo dello smartphone e posandolo sulla piccola mensola sotto lo specchio del lavello.
Judai era un altro tipo che poteva meritarsi tranquillamente la definizione di “strano”, e stavolta senza particolari ripensamenti al discorso avuto con Yuya diversi giorni prima: erano proprio Yusei e gli altri membri della crew del Pharaoh's Kingdom a definirlo così. A prescindere dal fatto che fosse consapevole, o meno, dell'infatuazione di Alexis nei suoi confronti, sembrava che nulla potesse realmente scalfire la sua allegria, né farlo desistere dai suoi buoni propositi. E per quanto, a volte, venisse a tutti voglia di scaricargli un pugno in testa, per la faciloneria con cui trattava certe cose o fatti, gli volevano tutti indistintamente bene per quella ventata di allegria e positività che portava con sé. Sembrava quasi estraneo a cose come la negatività e il malumore: perfino Yuya, che si era rivelato uno dei più inclini a sorridere e scherzare, aveva a volte i suoi momenti no, degli attimi in cui sembrava rabbuiarsi e perdere tutta la sua allegria, e Yuzu era l'unica che sembrava in grado di risvegliarlo dal suo stato.
La crew del Pharaoh's Kingdom era un autentico ricettacolo di fenomeni, questo doveva ammetterlo: sei uomini, poco più che ragazzi, che collaboravano tra di loro e coesistevano tranquillamente nonostante i loro caratteri così contrastanti. Appena approdata in quel locale, Aki si era ritrovata di fronte ad una variopinta realtà fatta di serate nel lounge, spettacoli, sorrisi, sguardi d'intesa, battute e scherzi a volte cretini, come quello del ragno finto nell'armadietto di Yusei. Stando a quello che Judai le aveva raccontato, il ragazzo era, più che aracnofobico, totalmente avverso alla maggior parte delle specie di insetti esistenti al mondo: qualsiasi animale dotato di più di quattro zampe lo faceva gridare inorridito e fuggire a gambe levate mentre imprecava, e poco importava se la bestiolina in questione camminasse, saltasse, volasse o strisciasse.
Per qualche motivo, i suoi pensieri finivano sempre a vorticare intorno a Yusei.
La situazione stava diventando snervante. Forse era solo suggestione, ma la rossa percepiva chiaramente il battito del suo cuore accelerare vertiginosamente quando finiva con il ripensare al suo volto, o al suo sorriso, o alle occhiatacce rifilate ad un impiccione del calibro di Judai.
E neanche a dirlo, la precedente serata in piscina non sembrava affatto averla aiutata, anzi. Non aveva mai, in precedenza, visto il suo corpo per intero, se non quel primo giorno quando gli era capitato di restare con le grazie al vento; ma quella sera era arrivato il colpo di grazia per i suoi ormoni già duramente compromessi. E va bene, aveva intuito qualcosa a furia di osservarlo, ma un conto era immaginare e un altro era ritrovarselo davanti così, senza magliette inutili. La scorsa volta, quando lo aveva incontrato sulla moto, le era tornata in mente la pubblicità di un profumo maschile, ma quella sera i pensieri che le si erano accavallati in testa erano impossibili da esporre senza apparire come una depravata. E il bello era stato che Yusei se n'era anche accorto, accidenti a lui...! Le aveva sorriso allegro, aveva reclinato lievemente il capo e le aveva anche detto “Se vuoi mi avvicino, così vedi meglio”. Roba che Judai gli era spuntato dietro la spalla sinistra come un gufo ficcanaso, gli occhi castani spalancati e le labbra piegate nel mefistofelico sorriso del gatto stregato di una certa favola...
Lui sapeva. Sapeva, o forse se lo immaginava e basta, e ci prendeva anche gusto a punzecchiarla. Eppure lei non riusciva proprio ad esserne infastidita, anzi.
Scorse con il dito sulla rubrica del telefono, scrutando nell'applicazione dei contatti, lì dove Yusei aveva aggiunto il suo numero. Non le aveva chiesto il suo, dandole tutto il diritto di scegliere se concederglielo o meno, e lo trovava un gesto molto carino da parte sua. Sapeva che il modo in cui si erano conosciuti era decisamente atipico, e forse sentiva la necessità di fare un passettino indietro e rimettere a posto quella palizzata che aveva sfondato...non di prepotenza, ma quasi. Ma il suo interessamento era genuino e sincero, e gli era grata per quel suo essere così premuroso verso di lei.
Almeno sapeva che a qualcuno importava qualcosa.

L'auto arrivò sotto il suo palazzo che l'orologio segnava un quarto a mezzogiorno, come pattuito precedentemente per messaggio telefonico: Aki riconobbe dalla finestra l'elegante coupé nera fermatasi di fronte al portone. Si diede una rapida occhiata allo specchio del bagno, prese un profondo respiro e si riappropriò del cellulare sulla mensoletta, prima di afferrare la borsetta e correre verso l'ascensore.
Era ancora in tempo per boicottare tutto. Poteva tranquillamente rimandare indietro l'autista e denigrare l'invito, a costo di litigare: almeno avrebbe impiegato il tempo in qualcosa di produttivo e avrebbe litigato per un valido motivo.
Strinse il telefono nella mano destra con forza.
Sarebbe stata una lunga giornata.



Ritrovò Yusei nel garage, al suo solito, per una volta non concentrato su qualche lavoretto sulla moto: a quanto aveva capito il ragazzo aveva finalmente trovato una buona mappatura per la centralina, e il problema dell'erogazione dell'intera cavalleria a disposizione del bicilindrico era stato finalmente risolto. Tuttavia la musica era a volume alto lo stesso, e lui se ne stava poco lontano dalla sua moto, vicino a quei pochi attrezzi ginnici sistemati lì con il tempo. Prono su un tappetino scuro, con i piedi uniti e le braccia divaricate, scendeva lentamente fino a sfiorare il terreno, la schiena dritta e rigida come una tavola, prima di tendere i muscoli delle braccia e risalire. Era in perfetto silenzio, concentrato sui suoi esercizi, la schiena lucida di sudore quanto bastava per fargli capire che era da un po' che stava allenandosi. Senza dire una parola, conscio del fatto di non essere udito a causa dell'alto volume della musica, Judai scese velocemente gli scalini metallici, bruciò la distanza che lo separava dal suo coinquilino e, una volta vicino a sufficienza, eseguì una mezza piroetta per andare poi a sedersi sulla sua schiena. Yusei sbuffò un'imprecazione, sorpreso, Judai lo zittì quasi subito mentre riprendeva a scrivere sul cellulare.
    -  Zut! Continua con le tue flessioni, soldato!- esclamò poi, in tono noncurante.
    -  Fai pena...come Sergente Maggiore Hartman- sibilò Yusei, facendosi forza e sollevandosi ancora, nonostante il nuovo, improvviso peso sulla schiena.
    -  Non sprecare il fiato, soldato! A quante sei arrivato?-
    -  Novantadue...con questa qui-
    -  Miri al cento?-
    -  Ne faccio sempre cento...!-
    -  Ah allora scusa. Non ti ho mai visto allenarti-
    -  Ti ho per caso...risvegliato di nuovo...che stai facendo così lo stronzo?-
    -  Ma sentitelo! Invece di ringraziarmi...ho aggiunto un carico, no? Così lavori meglio!-
    -  Il carico...non si siede di schianto...con quello schermo panoramico che hai al posto del culo! CENTO! Scendi IMMEDIATAMENTE!-
    -  E perché? Sto così comodo...-
Senza rispondere, Yusei staccò una mano dal pavimento, facendosi leva sull'altro braccio, e andrò a stringere tra pollice e indice la pelle direttamente sotto il ginocchio destro di Judai. Il castano si lasciò sfuggire un urlo non proprio virile e scattò in piedi come un soldatino sparato da una molla, liberando il barman dal suo peso. Yusei imprecò, mettendosi in ginocchio sul tappetino, lo sguardo alzato sull'amico che girava intorno alla Bimota.
    -  Seriamente, ti ho svegliato?- chiese di nuovo Yusei.
    -  Ma finiscila, ti stavo prendendo in giro!- rispose Judai, rimettendosi il cellulare nella tasca dei vecchi pantaloni – Mi ero risvegliato e avevo mandato il buongiorno ad Aki, ho provato a rimettermi a dormire e non ci sono riuscito, quindi eccomi qui! E pensare che oggi riposo, potrei dormire quanto mi pare, e invece...-
    -  Tu mandi il buongiorno ad Aki?- domandò allora il compagno.
Inizialmente impegnato nell'osservazione della forcella della Bimota, Judai si voltò a guardare il suo amico. Dal tono di voce era parso...sorpreso, e anche il suo sguardo dava quella sensazione.
     -  Sempre mandato!- rispose poi, con un'alzata di spalle – Come l'ho sempre inviato sulla conversazione di gruppo. A proposito, dovrei aggiungere anche lei secondo te?-
    -  Per carità, no! Con Yuma e Yuya che parlano in continuazione di videogiochi, e tu con le tue foto di modelle alternative...-
    -  Che ne sai, magari piacciono anche a lei!-
    -  I videogiochi?-
    -  Le modelle alternative!-
    -  Judai-
    -  E va bene, va bene, la smetto. Però mi sembra scorretto, insomma...è una conversazione di gruppo per lavoro, per scambiarci turni e informazioni. Ora che lei fa ufficialmente parte della crew, le farebbe comodo essere inserita-
    -  Judai, quella ERA una conversazione di gruppo per lavoro. L'avete trasformata in un bordello tra foto, meme stupidi, filmati di videogiochi e video di gattini che spuntano tra le tette!-
    -  Come se ti dispiacessero, i gatti!-
    -  Non ho detto questo!-
    -  E allora non lamentarti!-
    -  Non mi sto lamentando-
    -  Ma se l'hai fatto fino ad ora!-
    -  Okay, come vuoi tu!-

Con un mezzo sbuffo di nervosismo, Yusei si alzò in piedi e arrotolò velocemente il tappetino, gettandolo poi dietro la panca. Dovette colpire qualcosa di metallico, perché questo cadde a terra con un sordo clangore; Judai immaginò una delle preziosissime chiavi inglesi del compagno finire a terra.
    -  Dormito male?- chiese allora il castano, incuriosito.
    -  No, dormito splendidamente- rispose Yusei – Sono solo un po' pensieroso. Oggi riposi quindi, me n'ero dimenticato-
    -  Mi sostituisce Atem-
    -  E lui quando riposa?-
    -  Domani sera-
    -  Okay, allora questo lo ricordavo bene-
    -  Cos'è, hai voglia di fare baldoria anche tu senza temere di essere bacchettato?-
    -  No, ho bisogno di saperlo in anticipo, visto che mi servirà qualche ora per meditare-
    -  Meditare?-
    -  Perché so che andrò incontro alle fiamme dell'inferno. Gestirvi diventa sempre più difficile-
    -  Potresti rendere le cose molto più semplici, sai?-
    -  Mh, e come?-
    -  Semplice! Non gestendoci!-
    -  ...Vado a farmi una doccia-
    -  Eddaiiiii che musone che sei!-
Yusei sventolò una mano con fare seccato, risalendo la scala e tornando nel loro appartamento, imboccando subito la porta del bagno.
Era pensieroso, davvero. E non era del tutto convinto di aver fatto la scelta giusta. Forse avrebbe dovuto insistere un po' di più con Aki, convincerla a farsi accompagnare, almeno per non restare sola con quella gente che, se aveva ben inteso, badava molto all'apparenza e veramente poco alla sostanza dei fatti. Si ritrovò a ghignare maligno, al solo pensare della reazione dei cravattoni ad una sua possibile entrata in scena: casco alla mano, giacca da motociclista, jeans di quarta mano eternamente sporchi di olio motore e quel segno dorato sul volto.
Sarebbe comparso al ricevimento solo per far saltare qualcuno di loro dalle sedie.
Ora che ci pensava, Aki non gli aveva mai chiesto nulla al riguardo, a differenza del novantanove per cento delle persone che incontrava e si fermavano a guardarlo per più di un minuto; e allo stesso modo non gli aveva domandato nulla sulle sue numerose e, accidenti, visibilissime cicatrici. Aveva visto i suoi occhi caderci sopra con una certa frequenza, quindi le aveva notate, eppure non aveva domandato nulla su di esse, e conoscendola c'era un solo motivo che spingeva Aki a non parlarne, a non chiedere di saperne di più. Yusei sorrise al pensiero che quella ragazza si era tenuta le domande per sé, pur di non sembrare inopportuna.
Diede una rapida occhiata al suo cellulare, prima di lasciarlo sulla mensola della finestra e infilarsi nella cabina doccia. Era da poco passato mezzogiorno, e in fondo aveva lasciato il suo numero ad Aki con assoluto disinteresse. Non era tenuta a chiamarlo o a fargli sapere dove fosse.

Sì, forse doveva insistere di più. Almeno non avrebbe passato il resto della giornata a macerarsi nel dubbio e nell'ansia, perché conoscendosi bene avrebbe fatto quella fine. Nemmeno la fresca doccia ristoratrice aiutò ad arrestare momentaneamente il suo flusso di pensieri, tutto rivolto alla giovane dai capelli rossi.
Ripensava a quello che lei gli aveva raccontato nei giorni scorsi, con un moto di amarezza nel cuore.
Yusei aveva davvero un vago ricordo del padre ricercatore, e della madre gli restava solo il volto sorridente impresso su una vecchia fotografia; ma quel ricordo, seppur indistinto, era dolce e luminoso, così positivo che lui aveva, con il tempo, automaticamente associato l'idea della famiglia alla classica immagine del nucleo famigliare felice tra le mura domestiche. Aki l'aveva messo di fronte ad una realtà ben diversa, a suo parere davvero triste: dalle sue parole aveva conosciuto una famiglia fredda e poco disponibile, poco attenta alle esigenze della figlia.
Magari era solo un'impressione. Forse aveva solo inteso male le sue parole, o forse la sua mente gli stava gonfiando ad arte la faccenda; l'idea che lei avesse voluto appositamente enfatizzare troppo la cosa non gli sfiorò minimamente il cervello, sentiva che Aki non avrebbe mai fatto una cosa del genere, non ne aveva il coraggio.
Poteva essere tutto, ma non una ragazza a caccia di attenzioni.

A farlo uscire dalla doccia fu solo il segnale sonoro del cellulare, e un bestemmione di Judai che si lamentava dell'acqua calda che non gli arrivava al lavello della cucina. Infilatosi alla svelta l'accappatoio sulle spalle, Yusei mise mano allo smartphone e lo sbloccò senza troppo entusiasmo.
Il numero mostrato non era salvato nella sua rubrica.
Arricciando il naso, il giovane aprì il messaggio inviatogli dal numero sconosciuto, socchiudendo gli occhi.

*Questo è il mio numero, segnatelo se vuoi! Sono appena arrivata a casa, che allegria...*

Ci mise qualche secondo di troppo per realizzare, ma quando comprese sentì il suo sorriso farsi ancora più ampio sul volto: almeno sentiva che stava bene. Andò a sedersi sul suo letto e con pochi, veloci gesti, salvò il numero nella rubrica prima di rispondere.

**Già fatto! Che aria tira da quelle parti? È tutto a posto?**

Perché tutta quell'insistenza da parte sua? A volte non riusciva a prevedere neanche le proprie mosse. Aki era sua amica, si era facilmente legato a lei e viceversa, al punto che la giovane gli aveva confessato alcuni dettagli del suo complesso rapporto con la famiglia...ma aveva chiaramente detto di potersela cavare da sola, di poter sostenere tutto questo da sola. Che, magari, stava solo pensando automaticamente al peggio e che la giornata sarebbe invece trascorsa liscia e tranquilla. E lui aveva annuito e detto sì, magari hai ragione.
Lui le aveva offerto la sua compagnia, lei l'aveva rifiutata, a posto così, no?
No?

*Per ora sembra tranquillo. Ci sono già tutti, sembravano aspettarmi.*

Male, molto male. Subito al centro dell'attenzione, ecco come peggiorare le cose. Yusei si grattò la guancia sinistra, accigliato.
Non era affatto tranquillo.

**Non ti avranno fatto storie per il ritardo spero. Può capitare, traffico o cose del genere.**

Eh, magari il traffico, pensò Aki, arricciando il naso e rimuginando tra sé, incerta su cosa scrivere.
Il traffico c'era stato, era vero, ma non era l'unica causa del suo ritardo: era rimasta nascosta nell'ascensore per un tempo non quantificabile, seriamente combattuta tra la consapevolezza di avere un impegno da rispettare e il desiderio di mandare tutto al diavolo, mentre sentiva l'autista di famiglia camminare su e giù per il marciapiede mentre pigiava il pulsante del citofono corrispondente al suo nome.
Era stata davvero tentata dal boicottare tutto.
E invece eccola lì, nel giardino della sua tenuta, curato e maestoso come se lo ricordava: numerosi tavoli erano stati addobbati a festa e con ogni cibaria disponibile, con uno sfarzo e una ricchezza di alimenti da far sembrare minuscolo il generoso banchetto del Pharaoh's Kingdom. Aki aveva passato i primi quindici minuti dal suo arrivo a salutare parenti di cui non ricordava nemmeno l'esistenza, stringendo mani e scambiando sorrisi di circostanza. Pochi attimi e già ne aveva fin sopra i capelli, di quella gigantesca farsa.
Sua madre l'aveva salutata con il suo solito affetto e calore, stringendola forte a sé finché Aki non aveva sentito l'aria mancarle. L'aveva baciata e accarezzata, rimproverata perché si faceva sentire poco, e constatato che sembrava molto dimagrita.
Suo padre, d'altro canto, l'aveva salutata a sua volta, più discreto della moglie ma altrettanto caloroso. E in un primo momento Aki era stata davvero convinta di essersi sbagliata, per una buona volta, di aver pensato male e di essersi fatta condizionare troppo dal passato.
Poi era subentrata zia Sakue e le cose erano precipitate nello spazio di un battito di ciglia.
Zia Sakue non aveva mai nutrito troppa simpatia nei confronti di quella stramba nipote: aveva preso a chiamarla “piccola strega” molto presto, quando Aki, ancora ragazzina, aveva fatto perdere la reputazione della cugina di fronte all'intero plesso scolastico, scoprendo una serie intricata di ricatti e minacce verso altre ragazze meno facoltose e benestanti. L'amore che zia Sakue nutriva per sua figlia Seiko era quasi rivoltante, così come l'ingiustificabile odio che covava per Aki e che, inevitabilmente, l'aveva divisa dal padre suo fratello. Perché cosa poteva fare, suo padre, se non difendere la piccola Aki, a costo di vedere i rapporti con l'amata sorella rompersi e diventare sempre più freddi?
Purtroppo le cose non si erano concluse bene: titolare della fetta più grossa del mercato delle azioni in cui la famiglia Izayoi era coinvolta, Sakue aveva cominciato ad escludere il fratello Hideo dalla gestione del patrimonio familiare, lasciandolo detentore di quelle azioni minori che bastavano appena per non farlo finire in miseria e mettendo a serio pericolo la sua carriera di senatore di Nuova Domino. Con il tempo aveva perso favori di politici e amici, restando politicamente solo, con pochissimi sostenitori che, seppur fedeli, nulla potevano contro i rappresentanti di altri partiti.
E col tempo, suo padre aveva cominciato a puntarle il dito addosso: come se lei fosse stata la colpevole di tutto, venne addirittura additata come una scansafatiche rovinafamiglie, una piccola serpe allevata in seno. Sputò quelle parole intrise di veleno in un momento di collera, e forse non stava ragionando bene con la testa, come lo giustificò sua madre: ma quelle invettive la colpirono nel profondo e la segnarono.
Esclusi dal giro d'affari più grande, i suoi genitori l'avevano, forse inconsapevolmente, resa martire e strumento fisico della loro realizzazione personale: Aki Izayoi era stata quindi trattata come se da lei dovesse partire la rivalsa dell'intera famiglia, come se a causa sua fosse iniziato tutto e fosse necessario che fosse lei quella ad espiare la colpa. Aki non aveva mai saputo che pensare a riguardo di quella storia, ma non si era mai pentita del gesto fatto ai danni della cugina, anzi: aveva sempre ammesso che, fosse tornata indietro nel tempo, l'avrebbe rifatto altre mille volte, e anche di più se fosse stato necessario.
E come se non fosse bastato, le cose erano sensibilmente peggiorate quando erano venute alla luce le reali intenzioni di Aki. Sembrava che quella donna non aspettasse altro che quel segnale: di colpo la giovane Aki Izayoi, pseudo-rampolla di famiglia con un carattere inavvicinabile, si era trasformata in una sfasciafamiglie di mal'affare, irriconoscente verso i valori e le fortune familiari e indegna del nome che portava.
Il bello era che suo padre, a volte, ci credeva anche a quelle scemenze.

*Traffico e altre cose. Qui tira aria pesante, come sempre.*

**Neanche cinque minuti e hai cambiato versione dei fatti.**

Aki sospirò affranta, seduta da sola al tavolo di famiglia, il cellulare stretto tra le mani e quello stupido vestitino elegante che continuava a scoprirle troppo le gambe.
Che Yusei fosse un tipo attento lo aveva capito da un pezzo, ma COSÌ attento...ancora doveva capacitarsi dell'idea che una persona potesse prestare davvero tanta attenzione a quello che diceva. Si arricciò una ciocca intorno all'indice sinistro, mordicchiandosi il labbro inferiore e soppesando le parole.

*Va tutto bene, posso resistere. Si tratta di mezza giornata, alla fine.*

**Sei sicura? Lo sai che posso raggiungerti in ogni momento, basta che tu lo dica.**

Ma si rendeva conto di quello che scriveva?!

*Ti invio la posizione. Fatti avanti.*

Sicuramente lei non se ne rendeva conto...! Inviò il messaggio prima che realizzasse cosa avesse scritto e bloccò all'istante lo schermo del telefono, scioccata.
Era il preludio ad un disastro su tutta la linea.

Rimase ad osservare le lettere sullo schermo, in quella nuvoletta azzurra, per qualche secondo, prima di decidere che sì, ci vedeva davvero bene e sì, gli occhiali potevano ancora aspettare. Yusei lanciò lo smartphone sul materasso, prendendo a prepararsi in tutta fretta.
    -  Judai!- esclamò, sporgendosi fuori dalla porta – Tu esci con la tua auto, vero?-
    -  E certo!- rispose l'altro, dalla cucina – Più tardi però, la sera!-
    -  Non importa! Ho bisogno del tuo casco!-
    -  Eh? Che devi farci? Non va bene il tuo?-
    -  Non è per me, idiota! È per un probabile passeggero!-
    -  Fai come vuoi Yus, non ci sono problemi per me!-
    -  Ti ho già detto di non chiamarmi così!-
Il cellulare suonò ancora una volta: Yusei si lanciò sul letto e lo afferrò al volo, sbloccandolo e cliccando sul link appena inviato. La piantina stradale dell'applicazione gli mostrò il tracciato da seguire segnandolo in blu, attraverso curve e vicoli in città fino alla superstrada, andando poi ad inerpicarsi su una collina poco lontana dal centro di Nuova Domino. Trentacinque minuti di viaggio.
Ci avrebbe messo molto di meno.


Aki strinse a sé il telefono con tanta forza da sentire un leggero scricchiolio di assestamento. Lo rimise velocemente nella borsetta, alzandosi per sgranchire le gambe e dare qualcosa, al suo cervello, per tenersi impegnato: solitamente, una bella camminata funzionava a dovere, quando si trattava di distrarsi e non pensare a qualcosa.
Solitamente. Non quella volta, con suo grande scorno, che sentiva lo stomaco contorcersi in una terribile morsa che altro che farfalle nello stomaco...si portò una mano al volto, scuotendo il capo quasi scioccata.
Non era stata esattamente la mossa più intelligente che potesse fare. Yusei sapeva solo il raccontabile, e a grandissime linee: non solo, se fosse piombato nella tenuta a testa bassa, come temeva, avrebbe solo peggiorato i rapporti già compromessi. Aki Izayoi sarebbe stata definitivamente indicata come una poco di buono che andava con un mototeppista.
Sfilò di nuovo fuori il cellulare dalla borsetta, lo sbloccò rapidamente e inviò un altro messaggio a Yusei, chiedendogli di ignorarla e restare dov'era, che non c'era bisogno di scapicollarsi per arrivare da lei. Mandò quel messaggio con il cuore divorato dai rimorsi, consapevole del fatto che quel ragazzo si stava preoccupando per lei.
Non meritava tutte quelle attenzioni. Aveva meritato determinate conseguenze, non meritava le difese di una persona come Yusei.
    -  Aki! Vieni qui, tesoro! Devo presentarti una persona!-
La rossa alzò lo sguardo verso la figura di sua madre, poco lontano; insieme a lei, il semisconosciuto cugino Suketsune e la di lui compagna. Molto bella a dire il vero, impeccabile nell'abito giallo pallido, ma rigida e formale come si richiedeva alle donne della famiglia. Aki si lasciò sfuggire un sospiro affranto, per poi tornarsene dalla madre, mascherando con un sorriso la sua inquietudine.
    -  Ah, eccoti qui! Resta un po' con noi, sarà più divertente! Ecco, Kochiyo, lei è mia figlia-
Kochiyo, un nome più stupido non poteva essere scelto. Aki scambiò una stretta di mano con lei, tirando lievemente il suo sorriso e imitata a specchio dalla ragazza: la sua curatissima mano era fredda come il marmo.
    -  Kochiyo è la futura erede della sua azienda familiare- le spiegò la madre, accarezzandole distrattamente i capelli rossi – Quando sarà il momento, prenderà il comando della casa di moda, e tutte le passerelle la vedranno come protagonista insieme ai suoi abiti! Che te ne pare, non è fantastico?-
    -  Certo. Un bel colpo- asserì Aki, il sorriso di una persona che voleva evitare guai e gli occhi di chi voleva essere lontana da lì anni luce.
    -  Tu cosa fai invece, cugina?- domandò Suketsune, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni gessati – So che hai preso la facoltà di medicina, me l'ha detto mia madre-
E chissà quante cose carine ti avrà detto zia Sakue, pensò la rossa, ma non lo disse ad alta voce.
    -  Studio- ammise poi – Sto preparando la prima sessione di esami-
    -  Ma è vera questa storia?-
    -  Quale storia?-
    -  Che lavori in un locale notturno-
Il primo impulso che Aki provò, fu quello di prendere il vassoio d'argento su cui poggiavano le deliziose tartine di caviale e suonarglielo in testa neanche fosse un gong.
Mai, MAI la scelta di parole del suo cugino poteva essere così sbagliata e controproducente. Nel silenzio che si era creato, sua madre aveva irrigidito il sorriso e Kochiyo si era voltata ad osservare il fidanzato. Nei suoi occhi, Aki individuò la stessa, perfida luce di malizia che animava lo sguardo di zia Sakue.
Sapeva cosa aveva detto. E l'aveva fatto di proposito, porgendole quella domanda ad un tono di voce abbastanza alto da farsi sentire da più persone: altri membri della sua numerosa famiglia si voltarono verso di loro, ad osservarli a metà tra il sorpreso e lo sconcertato.
Proprio vero che un frutto non cadeva mai troppo lontano dall'albero su cui cresceva. Aki strinse spasmodicamente la sua borsetta.
    -  Vero- rispose poi, la gola secca – Faccio la cameriera. A volte capita che serva una mano al bancone e preparo bevande-
    -  Oh, quindi è questo quello che fai!- esclamò Suketsune, sorpreso – Beh, capisco. È...nobile, da parte tua, voler condividere il lavoro di certa gente-
Ma certa gente cosa?! Aki artigliò la borsetta fin quasi a farsi sbiancare le nocche; sua madre dovette notarlo, perché le posò una mano sulla spalla, in un gentile richiamo.
    -  Mi piace compiacermi del fatto che sappia cavarmela anche da sola- rispose poi lei, a muso duro, soffiando come un gatto costretto in un angolo da un grosso cane.
    -  Questo non lo metto in dubbio! Sei sempre stata piena di risorse, cugina. Una solitaria rosa in mezzo ad un ammasso di rovi, bella e irraggiungibile ma, appunto, bella. E forse solo quello-
Di male in peggio. Cosa voleva dire?
    -  Cosa stai insinuando?- domandò la rossa, ufficialmente sulla difensiva. Il suo sguardo scattò dietro la sagoma del ragazzo, dove la zia, fingendo interesse per il buffet, sembrava ben attenta ai loro discorsi.
    -  Più che insinuando, mi sto chiedendo...- Suketsune sembrò soppesare le parole da usare, prima di schioccare teatralmente le dita, colpito da quella che sembrava un'illuminazione – Ecco sì, mi stavo chiedendo quanto una camerierina possa contribuire al capitale della famiglia. Insomma, non che ci sia nulla di male, ma ritengo che come titolo sia molto...basso-
    -  L'unica cosa bassa qui, tra noi due, è la tua umanità, ragazzino spocchioso e viziato che non sei altro-

Sentì sua madre gemere quasi di dolore, e Aki si sforzò di ignorarla, deglutendo e preparandosi alle conseguenze delle sue parole. Perché zia Sakue era lì, e sapeva che offendere uno dei suoi adorati pargoli creava più scompiglio di un'autocisterna lanciata a folle velocità contro un muro di fiamme.
    -  ...Oh. Ohohoh, questa non me l'aspettavo!- Suketsune si lasciò sfuggire una mezza risata, guardandosi intorno quasi a voler cercare conforto generale -Ero convinto fossi molto più silenziosa e remissiva, cugina, e invece scopro che sai usare le tue spine davvero bene!-
    -  Non sei l'unico ad avere l'esclusiva di una lingua biforcuta e una faccia da culo- sibilò Aki, per tutta risposta, con sua madre che si voltò di scatto verso di lei e la prese per le spalle.
    -  Meraviglioso- fu allora che Sakue entrò in scena – Davvero meraviglioso. Ecco come Hideo educa i suoi figli, e i risultati si vedono, eccoli qui! La figlia di un senatore ad un passo da vendere il suo didietro-
Il silenzio portò alle sue orecchie il lontano rombo di una moto farsi sempre più vicino alla tenuta. Il primo pensiero di Aki andò a Yusei.
Era troppo chiedergli di non entrare sfondando il cancello?


Entrare nella tenuta era stato molto più semplice di quanto pensava da principio: era bastato fare il nome di Aki Izayoi e subito quel damerino al cancello l'aveva fatto passare. Troppo facile, effettivamente: chiunque avrebbe potuto farsi avanti così, anche un malintenzionato.
Buon per lui. Percorse il piccolo sentiero di bianco brecciolino, imprecando alla vista delle ruote sporche di polvere, prima di posteggiare lì dove sembrava organizzato il parcheggio: una piccola fiera del lusso, con auto il cui valore non sembrava voler scendere sotto il centinaio di migliaio di yen. Coupé sportivissime, spider eleganti, un paio di Cavallini Rampanti e un grosso SUV che avrebbe scatenato un fiume di imprecazioni da Judai: il ragazzo odiava quella tipologia di auto. Posizionò la moto sul cavalletto, agganciò il casco al manubrio e prese il via verso il gran vociare e la musica d'atmosfera.
La villa Izayoi era proprio come se l'era immaginata: abbarbicata in solitaria su una collina, con una bella vista panoramica di gran parte di Nuova Domino, la costruzione rifletteva lo stile moderno ed essenziale di certe case di lusso, con molte pareti sostituite da grosse vetrate. In fondo, separato da un'alta siepe, l'ingresso del giardino lo catapultò in un mondo verde, rosso e bianco: le rose sbocciate spuntavano tra il fogliame verde scuro come stille di sangue, e il prato ben curato appariva come un'unica, omogenea marea verde brillante. C'erano tavoli imbanditi ovunque, coperti da bianche tovaglie di lino e presentanti qualsiasi tipo di alimento, dai formaggi salati ai salumi, dalla carne al pesce ad alimenti bio, passando per frutta immersa in fontane di cioccolato. Poco più in là individuò un piccolo bancone presso cui un paio di ragazzi stavano preparando delle bevande. Yusei storse il naso, inorridito.
Volete scherzare?! Il Daiquiri alla fragola va nel bicchiere da cocktail! Cos'è quel...COSO?!
Distolse velocemente lo sguardo da quello scempio alcolico, pensando alle facce di Yuma e Yuya di fronte a quell'oltraggio al loro stesso mestiere; alzò gli occhi e la vide, finalmente.
Aveva pregato di trovarla in abiti comodi, pronta per una fuga strategica, ma a quanto pareva non poteva chiedere troppo ad una ragazza che doveva partecipare a una festa di fidanzamento: le sue forme erano abilmente sottolineate dall'abitino nero che le lasciava collo, spalle e braccia scoperte, la vita sottolineata dalla fascia rossa e le gambe accarezzate lievemente dalla gonna che terminava in vezzose ondine. Imprecò mentalmente quando vide i sandali col tacco ai piedi: non erano vertiginosi, ma come diavolo sarebbe salita sulla moto?
Perché aveva automaticamente assunto che sarebbe venuta via con lui? Yusei scosse il capo, passandosi una mano tra i capelli scuri e dirigendosi a passo svelto verso di lei, impegnata in una discussione con un ragazzo dalla faccia lunga e una donna dall'aspetto arcigno. Che simpatica famigliola, si ritrovò a pensare, davvero un bell'ambiente.
Il pensare determinate non sottolineava la sottile ironia con cui rivolgeva tali complimenti a quella gente: tutto, intorno a lui, profumava di eleganza ostentata e perbenismi forzati, pacifica convivenza d'occasione. Yusei si diede del cretino per non aver insisto con lei, per non averla convinta a lasciarlo stare al suo fianco fin dal primo momento.
E probabilmente non si aspettava che venisse davvero, perché quando finalmente si accorse della sua presenza fece un salto sul posto neanche avesse visto un fantasma. Si voltò verso i suoi famigliari, scoccando loro uno sguardo carico di apprensione prima di partire a passo di carica per afferrarlo per un polso, allontanandosi velocemente da loro. Il ragazzo la seguì docilmente, lasciandosi quasi trascinare dal suo impeto e fermandosi accanto ad un grande roseto. Aki lo osservò dal basso verso l'alto, gli occhi spalancati dalla sorpresa; al ragazzo venne naturale sorridere, ad osservare le belle iridi calde.
Sempre più carina ogni giorno che passava. La cosa rischiava di sfuggirgli di mano.
    -  Che diavolo...come sei arrivato qui?!- chiese lei in un soffio – Ti avevo detto di restare a casa, che me la cavavo da sola...!-
    -  Quando me l'avresti detto?! Ma se mi hai inviato la posizione!- ribatté lui, fissandola interrogativo.
    -  Ecco, guarda qua!-
Con un gesto veloce, Aki gli piazzò il telefono sotto il naso, indicandogli un messaggio inviatogli che lui non aveva letto.
    -  Ero già in moto- spiegò lui, allontanando l'apparecchio con una mano – Non potevo leggere-
    -  Eri già in mo-- quanto diavolo sei andato veloce?! Quel messaggio te l'ho mandato neanche quindici minuti fa!-
    -  Vado meglio se non seguo il navigatore. Fa perdere un sacco di tempo. E ignorando i limiti dove posso sono ancora più veloce-
Io non--
    -  Se preferisci posso tornarmene a casa-
    -  NO!-

Urlò e non se ne rese conto, ma non solo: tanto per far quadrare il cerchio, Aki gli afferrò il polso destro con entrambe le mani, quasi temesse davvero di vederlo scappare via da un momento all'altro. Yusei sbatté gli occhi un paio di volte, stupito, Aki lo maledisse per la millesima volta da quando lo conosceva, lui e la sua meravigliosa espressività.
Quel ragazzo aveva il mare negli occhi, e lei rischiava di affogarci dentro ogni dannata volta.
    -  Resta, ti prego- lo supplicò poi – Ho...ho bisogno di una faccia amica-
    -  Non devi pregarmi, Aki- la rimbeccò lui – Ma perché non mi hai ascoltato quando era il caso?!-
    -  Non fare domande idiote, adesso! La situazione è già difficile!-
Vuoi andare via?-
Aki schiuse le labbra pronta a rispondere, ma le parole si rifiutarono di uscire. Lo fissò senza rispondergli, passandosi nervosamente la lingua sulle labbra.
L'idea di andarsene di soppiatto non le aveva neanche sfiorato il cervello, essenzialmente perché le sarebbe stato impossibile: non era in grado di guidare l'auto di suo padre, e poi che cosa avrebbe concluso? Aveva deciso di ballare, e doveva continuare a seguire il ritmo. Eppure, ora che lui era presente, e munito di un suo mezzo di trasporto, perché non farlo? Poteva lasciarsi alle spalle tutta quella gente che guardava il resto del mondo come se fossero l'anello più infimo della catena dell'evoluzione umana, e tornarsene alla sua nuova esistenza di semplice cameriera, ad attendere l'inizio del suo nuovo turno; poteva tornarsene tra quelle persone che l'avevano accettata e la apprezzavano per quello che era in grado di fare, e non per i suoi titoli o per il suo conto in banca.
L'idea era fin troppo allettante per silurarla alla cieca.
    -  Aki?! Tutto bene?!-
La rossa si voltò di scatto, osservando la figura della madre agitare una mano in sua direzione. Yusei si voltò a sua volta, osservando la donna e notando subito la grande somiglianza tra lei e la rossa: lei e sua madre sembravano davvero due gocce d'acqua, non fosse stato per la lampante differenza d'età. Aki si mordicchiò il labbro inferiore, sospirando.
    -  Andiamo- disse poi, riprendendolo per il polso destro – Ora dobbiamo continuare la farsa-
    -  ...A saperlo mi sarei reso presentabile- commentò Yusei, con un mezzo sorriso.
    -  Non starti a preoccupare per queste cose. E poi lo sei sempre-
    -  Oh davvero?!-
Aki mugolò qualcosa ma non rispose, allargandogli il sorriso.
    -  Senti...cerca solo di minimizzare i danni, okay?-
    -  ...ci proverò-
Aki annuì poco convinta, ma avanzò ugualmente in direzione della madre, pregando con tutta sé stessa che la rinomata schiettezza del capobar non scatenasse una guerra; Yusei la seguì docilmente verso il piccolo trio, trovandosi a confrontarsi occhi negli occhi con un giovane prestante in un impeccabile completo gessato, una ragazza accanto a lui che, a giudicare da come gli era vicina, doveva trattarsi della fidanzata, la madre di Aki e una donna dall'aria di perfetta mangiatrice di poveri sprovveduti. Alta ed eccessivamente scarna per i suoi gusti, i capelli biondo paglierino e gli occhi scuri dall'espressione severa ed implacabile, il suo volto sembrava aver subito un ritocchino di troppo, che aveva coinvolto fronte, zigomi, guance e connessure labiali in un'egregia opera di tiraggio, puntualmente svelata dalla pelle raggrinzita del collo e delle mani ingioiellate. Vestiva con un severissimo maglione a collo alto e maniche lunghe fino ai polsi: puro suicidio pensare di indossare un simile capo con il caldo di quei giorni, e ancora più aberrante pensare che quella fantasia di arabeschi di velluto verde sul tessuto nero potesse piacere. Almeno i pantaloni erano semplicissimi nel loro tessuto nero, ma qualcosa diceva a Yusei che non fossero di materiale leggero neanche quelli.
    -  Mamma, Suketsune...zia- disse Aki, spingendolo lievemente in avanti: Yusei ebbe la spiacevole sensazione di essere buttato in pasto agli squali – Lui è Yusei, un mio collega e accompagnatore-
    -  Collega, dici?- ripeté Suketsune, dubbioso – Questo qui ti aiuta a servire le tavolate?-
    -  Questo qui ha un nome, signor nonhocapitobenecomesichiama- rispose Yusei, a muso duro.
Aki si convinse sempre più che trascinarlo lì in mezzo era stata la peggiore scelta della sua vita. Gli strinse un braccio, attirando la sua attenzione: Yusei rimase ad osservarla per qualche secondo, prima di tornare a rivolgere la sua attenzione al cugino.
L'aria stessa sembrava vibrare di negatività.
    -  Ah, muso da duro e lingua affilata!- esclamò l'altro – Cos'altro aspettarsi, da un ex galeotto?-
E anche stavolta parlò a voce abbastanza alta da farsi ascoltare da tutti, camerieri compresi. Aki ebbe la terribile sensazione di essere diventata il punto verso cui convergevano tutti gli sguardi: si guardò intorno, e constatò con timore che non aveva sbagliato. Tutti gli invitati si erano voltati ad osservare la coppia appena creatasi, scoccando occhiate sospettose a Yusei e mormorandosi qualcosa, per poi fissare Aki e scuotere il capo con fare rassegnato. La rossa si morse il labbro inferiore con forza.
Cosa voleva dire? Cosa stava succedendo? Come poteva Suketsune parlare così di uno sconosciuto?! La sua perfidia era tale da inventarsi storielle sugli sconosciuti? Alzò lo sguardo su Yusei e trasalì impercettibilmente: il ragazzo non sembrava affatto oltraggiato da quell'insinuazione. Anzi, aveva mantenuto il suo stoicismo e il suo sguardo incatenato agli occhi dell'altro.
    -  Parli proprio come uno di quelli che ha avuto tutto servito su un piatto d'argento, dalla vita, e non ha mai avuto necessità di sporcarsi le mani- rispose poi il barman, a muso duro.
Aki spalancò gli occhi. Non aveva negato quell'insinuazione?! Okay che non aveva esattamente una faccia da tipo raccomandabile, in quel momento, ma...
    -  E tu parli come un imberbe moccioso che viene dai bassifondi del Satellite- rispose l'arcigna zia Sakue – Di male in peggio. Questa è davvero l'onta più grande che la nostra famiglia possa subire. Aki, da te mi sarei aspettata di più-
    -  Cosa si sarebbe aspettata? Magari di vederla con un cravattone come questo qui?- ringhiò Yusei, sempre più nervoso.
Aki lasciò la presa sul suo braccio, costernata.
    -  Il cravattone, come l'hai chiamato tu, è mio figlio, e si dà il caso che a breve diventerà la persona più influente e importante dell'economia di Nuova Domino! Ha fatto una fortuna con le sue azioni, e presto il suo cantiere navale diventerà il più grande del continente! Mentre tu...- e lo disse rivolgendogli una smorfia disgustata, quasi stesse dialogando con una carriola piena di letame – Cosa sei? Se non un ragazzino gradasso che ha visitato la Struttura?-
La Struttura? Aveva sentito bene?! Aki non ci stava capendo più nulla.
    -  Sono un onesto lavoratore, signora. Una persona che ha fatto degli sbagli e ha pagato per questi- e si indicò il segno dorato sul volto – E sta cercando di crearsi una nuova vita per uscire da quel marcio. Lei, invece, sembra nuotarci bene, in questo mare di critiche e di arroganza-
    -  Stai parlando con me per caso?-
    -  Vede per caso qualche altra arpia smorta che si diverte ad offendere gli sconosciuti? Io no. Quanto ha pagato il suo chirurgo? Perché se lo lasci dire, ha fatto davvero un lavoro di merda-

Aki si passò nervosamente la lingua sulle labbra, concentrata: zia Sakue sembrava aver finalmente vacillato per un attimo, a giudicare dalla sua espressione orrorificata. Lo stesso Suketsune si era voltato a guardarla, incerto.
Aveva forse trovato un punto debole? La tattica degli insulti gratuiti non aveva mai funzionato con una donna come sua zia, ma Yusei era tutto fuorché stupido e poco attento: aveva notato quel qualcosa di strano, di scomposto nell’immagine della donna e lo stava usando a suo pieno vantaggio per ribaltare la situazione.
Sotto certi aspetti, risultava inquietante quasi quanto Atem.
    -  Da quello che racconta sembra che abbia a disposizione un ingente capitale- continuò Yusei, le braccia ora incrociate sul petto – Potrebbe usare qualcuna delle sue magiche banconote per pagare un chirurgo più meritevole. Che mi dice di quel Cartier al polso?-
Aki abbassò gli occhi sul polso sinistro della donna, posandoli sul prezioso orologio: zia Sakue era andata personalmente a mostrarlo ad ognuno degli invitati, fiera di quel rifinitissimo e, soprattutto, costoso orologio regalatole dalla futura nuora: il quadrante d'argento racchiuso dal piccolo pavone recava due piccole rose rosse dipinte a mano al suo interno, e tanti piccoli brillanti componevano il corpo dell'elegante uccello, il cui occhio scintillava d'ametista.
    -  A quale bancarella l'ha comprato?-
Era ufficiale, Yusei si era appena creato una nemica per la vita. O forse aveva mandato all'aria un fidanzamento. Sakue ammutolì, finalmente, raggelata da quell'insinuazione.
    -  Cosa stai insinuando?!- sputò poi, rabbiosa.
    -  Se sono finito in carcere c'è un motivo...- commentò Yusei, con un mezzo sorriso vittorioso – So riconoscere un falso quando lo vedo, e quell'orologio è solo una vile patacca. Fatta veramente bene, ma comunque una patacca. O pensava che quelli fossero diamanti veri? O che il quadrante fosse di vera madreperla? I diamanti veri hanno riflessi argentei, mentre sui suoi sembra esserci passato un arcobaleno. E quella madreperla presenta un'opalescenza fin troppo omogenea-
Aki trattenne il fiato, a vedere l'espressione di zia Sakue mutare rapidamente da uno sguardo allibito ad una smorfia oltraggiata; prima che la rossa potesse dire qualcosa, o che la donna potesse esplodere in qualche fiume di recriminazioni, Yusei prese gentilmente il polso di Aki e si allontanò velocemente, salvo poi ritornare sui suoi passi dopo qualche secondo.
    -  Oh, e comunque...- disse poi – Quella storiella di suo figlio futuro magnate dell'economia del continente...provi a raccontarla a Seto Kaiba. È un nostro cliente abituale, lo troverà al Pharaoh's Kingdom-
Indice e medio della sua mano destra entrarono nella tasca interna della sua giacca, e ne uscirono tenendo stretto un piccolo biglietto da visita, un cartoncino dorato su cui le parole erano segnate in nero. Nessuno dei tre si fece avanti per recuperarlo, e fu Yusei ad infilarlo nel taschino del completo del giovane Suketsune.
    -  E ti prego, anche tu, il fiore all'occhiello è del secolo scorso almeno...-
    -  Yusei andiamo!-

Senza lasciargli il tempo di continuare, Aki lo prese per mano e se lo trascinò via, fuori dal giardino e lontano dagli invitati. Decine di paia di sguardi curiosi e oltraggiati li seguirono, nel silenzio rotto solo dalla musica d'atmosfera.
Aki stava tremando. E non certo per il freddo, ma per il cosmico guaio in cui si era appena cacciata. Aveva fatto entrare un estraneo in casa...o meglio, era stato l'estraneo ad entrare di sua iniziativa, e aveva lasciato che si prendesse gioco del capitale della famiglia e mettesse a nudo la loro viscida opulenza: due cose che, da sole, bastavano e avanzavano per escluderla dalla famiglia Izayoi. Ma soprattutto, e questo le creava una insostenibile vertigine nello stomaco, Yusei era stato additato come un ex galeotto: era vero, la sua espressione lo rendeva poco avvicinabile, e si capiva chiaramente che non fosse tipo da abbracciare nell'immediato il primo che gli capitava a tiro, ma da qui a definirlo un autentico delinquente ne scorreva, di acqua sotto il ponte.
    -  Immagino tu voglia sapere-
La voce di Yusei la fece voltare appena, mentre lo guidava lontano dai giardini, non sapeva neanche lei dove.
    -  Quindi è vero?- domandò poi, arrestandosi di colpo, il fiato corto e le guance arrossate, quasi avesse corso.
    -  Che sono stato in prigione? Sì-
    -  ...Perché non me l'hai detto?-
    -  Non pensavo ti interessasse la cosa. E comunque, non intendo parlarne qui. Dobbiamo andarcene-
Senza aspettare la sua risposta, fu stavolta Yusei a prenderla per mano e portarla via, guidandola verso il parcheggio. La rossa percepì un lungo brivido percorrerle l'intero braccio, dalla punta delle dita fino alla spalla, scorrerle lungo la schiena e imporporarle le guance. Scrollò il capo, cercando di darsi un certo tono.
Non riusciva neanche a guardarlo in viso che subito veniva sopraffatta da quelle emozioni, e la cosa stava diventando snervante.
    -  Hai un qualche vestito più comodo da metterti?- le chiese Yusei, fermandosi in mezzo alle auto parcheggiate – Un paio di pantaloni, qualcosa...?-
    -  Sono venuta qui così- rispose lei, indicandosi. Yusei arricciò il naso.
    -  Speravo in qualche abito più adatto...fa niente, lo faremo andare bene lo stesso. Ecco, tieni questa-
Lasciò momentaneamente lo zaino a terra: doveva esserci qualcosa di pesante dentro, e voluminoso, a giudicare da com'era rigonfio. Con un veloce gesto il ragazzo si tolse la giacca da moto dalle spalle, porgendogliela e invitandola a indossarla.
Poteva morire. Aki sentiva di poter morire dentro in quel momento, risucchiata da quello stesso vuoto che stava devastando il suo stomaco, e sarebbe stata ugualmente felice.
Si voltò, dando a Yusei le spalle e permettendole di indossare la sua giacca. Subito il calore la pervase dalla testa ai piedi, facendola rabbrividire: le stava grande almeno due volte, e le maniche arrivavano a coprirle le mani. Si sentiva estremamente piccola, eppure protetta. Difesa.
    -  C'è il mio cellulare dentro una delle tasche, se senti qualcosa di strano non preoccupartene-
Il suo cellulare era l'ultima cosa a cui pensava. Mentre il giovane recuperava lo zaino ed infilava la borsetta al suo interno, Aki allacciò la zip della giacca fino al colletto.
C'era il suo profumo sopra, mischiato alla pelle dell'indumento e ai fumi di scarico. Poteva decidere di non toglierla mai più.
Solo quando lui le mostrò un casco integrale nero tornò con i piedi a terra. E lo fece cadendo dalle sue nuvole di zucchero filato con un tonfo da farsi sentire fin su Plutone.
    -  Devo...devo metterlo io?!- chiese poi, insicura.
    -  Certo! Non vorrai montare in moto senza?!- domandò Yusei per tutta risposta.
    -  ...Non sono mai andata in moto in vita mia...!-
    -  Beh, c'è sempre una prima volta!-
Senza dirle altro, Yusei chiuse lo zaino e glielo assicurò alle spalle. Si prese qualche minuto per assicurarsi che il casco le stesse bene, e per allacciarglielo con le dovute precauzioni, prima di rialzare il cavalletto della moto e inserire la folle per spostarla meglio, facendo forza sui manubri per spingere la moto lontana dal brecciolino. Montò in sella, indossò il casco integrale a sua volta e le fece cenno di salire dietro di lui.
Aki inspirò a fondo, l'imbottitura del casco che le comprimeva i lati del volto: voleva davvero che salisse su quella...cosa?! Non era neanche definibile una sella, quella! Era un pezzettino di tessuto imbottito...chi avrebbe scelto di salire, di sua spontanea volontà, su una cosa del genere?!
Lei, a quanto pareva. Perché senza che realizzasse davvero i suoi movimenti, radiocomandata da chissà quale istinto, o desiderio, alzò una gamba e si issò sul sellino del passeggero, posando i piedi sulle piccole pedane ai lati del telaio. Di fronte a lei, Yusei si alzò la visiera, invitandola a fare lo stesso.
    -  Devi reggerti a me!- le disse – Con tutta la forza che hai a disposizione! Chiaro? Comoda?-
    -  Sì! E no, per niente!- esclamò la rossa, aggrappata alle sue spalle.
    -  Aki, non ci siamo capiti! Devi reggerti a me! Guarda, così-
E con una delicatezza disarmante le prese le mani e gliele mise attorno ai fianchi. Aki chiuse gli occhi e non fiatò, incredula ed incapace di proferire parola.
Non stava accadendo davvero, vero?
Una volta sicuro che la ragazza fosse ben aggrappata a lui, Yusei voltò la chiave d'avviamento: la lancetta del contagiri compì un intero giro e tornò a zero, disegnando una colorata scia arancione che venne sostituita dal blu e dal rosso della zona del limitatore.
Quando poi la Bimota si accese, le venne istintivo aggrapparsi con più forza al ragazzo: la due ruote tremò tutta, dal cupolino al codone su cui era arrampicata, Aki sentiva gli scarichi borbottare sotto di lei. Troppo spaventata perfino per parlare, chiuse gli occhi quanto la moto si mosse in avanti e varcò il cancello, portandola fuori dalla tenuta.
Complimenti Aki Izayoi!, si ritrovò a pensare, ora puoi davvero dire di essere una ribelle!


Fu la mezz'ora più lunga della sua vita. Mai salita su una moto in precedenza, completamente vergine a quell'esperienza, ci vollero parecchie curve prima che decidesse di aprire gli occhi e guardarsi intorno; a sua volta, Yusei preferì non accelerare subito, per darle la possibilità di abituarsi meglio a quella nuova sensazione.
Lo fece quando ormai erano scesi dalla collina e stavano per entrare nella superstrada. In quel momento, Yusei si abbassò la visiera del casco: qualcosa suggerì ad Aki che era meglio imitarlo. Vinse la sua paura e staccò una mano da lui per calarsi il visore trasparente sugli occhi, prima di tornare a stringersi con forza al ragazzo. Solo allora Yusei girò con forza la manopola del gas, e la Bimota sembrò quasi prendere il volo: un improvviso vuoto alla bocca dello stomaco le disse che la ruota anteriore si era leggermente sollevata da terra un paio di volte, in risposta alle brusche scalate di marcia del pilota, e il piccolo display digitale che fungeva da contachilometri sembrava non stare dietro a tutta la potenza sprigionata dal motore.
Qualcosa le disse che, non fosse stato per la sua presenza, Yusei non avrebbe fatto altro che andare e andare, spingendo il motore e infischiandosene di limiti di velocità di sorta: la sua presenza come passeggera, tuttavia, sembrò fermargli il manico, facendolo assestare sulla velocità dei centoquaranta che, su una moto, sembravano pronti a farla volare via dalla sella come una bandierina staccata dall'asta.
E tuttavia, qualcosa di inspiegabile la convinse che, tutto sommato, non era così male: il mondo intorno a loro scorreva veloce e indistinto, come la pellicola di un film mandata avanti alla ricerca di una determinata scena, e le auto intorno a loro sembravano quasi ferme, superate senza difficoltà dalla inarrestabile due ruote. Era una sensazione insolita, quella di correre in strada senza un abitacolo a farle da protezione, a schermarla dal resto del mondo: ora ne faceva parte, di quel mondo che era solita osservare dai finestrini di un'auto, e di fronte a quella potenza e velocità sembrava davvero piccolo, insignificante ed indistinto.
Il suo istinto di sopravvivenza, tuttavia, le impose di non staccare più neanche un dito dal ragazzo, neanche quando la velocità cominciò a diminuire fino al loro ingresso nella città. Qui furono evidenti i vantaggi dell'andare in giro su due ruote anziché quattro: il traffico sembrava non esistere per loro, che superavano le auto incolonnate con una facilità disarmante.

Quando Yusei fermò la moto in pieno lungomare, in un piccolo parcheggio di fronte ad un chiosco, Aki scese maldestramente dalla sella e quasi rischiò di cadere: le gambe indolenzite dalla posizione eccessivamente ripiegata e dalle vibrazioni sembrarono rifiutarsi di sorreggerla, inizialmente, costringendola ad aggrapparsi all'ultimo secondo alle spalle di Yusei, per evitare una rovinosa caduta a terra. Il ragazzo smontò a sua volta, piazzando la moto sul cavalletto.
    -  Hai bisogno di camminare un po'- le disse poi – Ritrovarsi con le gambe in questo stato è del tutto normale-
Aki non perse tempo neanche ad annuire: sganciò velocemente il casco e se lo sfilò in un unico gesto, riconsegnandolo e dirigendosi verso la spiaggia senza aspettarlo: scavalcò il muretto di cinta con qualche sventolio di troppo dell'abito, che ignorò volutamente, per poi sfilarsi i sandali dai piedi e reggerli con la destra, mentre si dirigeva a passi piccoli e rapidi verso la riva, già popolata dai primi bagnanti. Non prestò attenzione agli sguardi curiosi delle altre persone, voltatesi ad osservare una ragazza dai capelli rossi vestita fin troppo elegante per farsi un bagno o anche solo sostare pigramente in spiaggia, e in più con una grossa e pesante giacca da motociclista. Aki individuò un posto relativamente isolato dalle altre persone e vi si sedette di schianto.
Era stanca. Stanca, provata da quella giornata inspiegabilmente intensa, amareggiata da come le cose erano andate con la sua famiglia, vergognosamente eccitata dal suo primo giro in moto, e soprattutto preoccupata. Preoccupata perché, a conti fatti, quello che credeva di sapere di Yusei era veramente il minimo confessabile, e chissà cosa nascondeva quel ragazzo dal segno dorato. Per quale motivo non gliene aveva parlato? Aki non era tipa da abbandonarsi a pregiudizi di sorta, e lui lo sapeva...o almeno, doveva averlo inteso...perché tenerglielo nascosto?
Poi scosse il capo. Yusei non aveva alcun tipo di obbligo verso di lei: non era tenuto a raccontarle per filo e per segno cosa gli era successo e cosa aveva passato. E tutti avevano dei segreti che volevano tenere per sé, forse per non dare credito alle malelingue o qualcosa su cui spettegolare.
    -  Si chiamava Team Satisfaction-


Aki trasalì nel sentire la voce di Yusei alla sua sinistra: presa com'era dai suoi pensieri non si era accorta che il giovane l'aveva raggiunta e si era seduto accanto a lei. Aki si voltò a guardarlo, incerta.
    -  Team Satisfaction, hai detto?- domandò poi. Yusei annuì.
    -  Gareggiavo in classi minori di corse di motociclismo- spiegò poi – Durante gli anni del liceo. Mi piaceva, mi divertiva un sacco e mi riusciva anche bene, ho collezionato parecchie vittorie insieme ai miei compagni. Erano corse particolari, su strada-
    -  ...corse clandestine?!-
    -  Non proprio clandestine...mettiamola così: la vigilanza del Satellite non è mai stata tutto questo granché, e i corpi di sorveglianza sono facilmente corruttibili. C'era una specie di patto, se vuoi chiamarlo così, tra la sorveglianza e noi “ragazzacci” delle moto: potevamo correre quanto ci pareva e dove volevamo, a patto di non causare incidenti gravi-
    -  Cosa intendi per “incidenti gravi”?-
    -  Intendo che dovevamo tenere i coltelli a posto-
    -  ...Oh-
    -  Erano tempi in cui non esisteva un vero e proprio collegamento tra il Satellite e Nuova Domino. C'era solo una grossa conduttura a fare da ponte tra loro, ed era utilizzata da Nuova Domino per usare il Satellite come discarica. Credo che fra gli uomini che approvarono quel progetto, ci fosse anche tuo padre. Un certo Hideo Izayoi-
Aki abbassò lo sguardo, stringendosi le ginocchia al petto, non troppo sicura di voler rispondere.
Era vero, Yusei aveva ragione: tra le firme di approvazione al progetto della conduttura, c'era anche quella di suo padre. Non aveva mai personalmente gradito l'iniziativa, ritenendo che fosse ingiusto condannare gli abitanti del vecchio Distretto ad un destino di decadenza urbana e isolamento: inutile dirlo, il suo parere era stato caldamente ignorato. Ora era chiaro da dove veniva l'atteggiamento naturalmente cautelativo di Yusei: non sopravvivevi nel Satellite se non eri in grado di combattere o difenderti da solo.
    -  Le corse erano organizzate lungo tutta l'isola- continuò Yusei – Era fondamentalmente una prova sul tempo: ogni team schierava quattro piloti con rispettive moto, e i primi piloti partivano insieme. Dopo dodici giri partivano i secondi, e così via. Quando tutti avevano completato i dodici giri pattuiti, si faceva il calcolo dei tempi per individuare il team vincitore-
    -  Mi sembra sensato- notò Aki.
    -  Era l'unico modo che la vigilanza aveva di tenerci buoni: darci modo di sfogare la nostra rabbia e frustrazione con qualcosa di relativamente innocuo come le corse-
    -  Nessuno si è mai fatto male?!-
    -  In parecchi sono morti in quelle gare-
    -  Oh-
    -  Le strade non erano come quelle di Domino. Erano sconnesse, vecchie, e gran parte dei tracciati includevano parcheggi su più piani e vecchi cantieri abbandonati. Presto abbiamo perso il conto dei piloti finiti nei pozzi-
Aki rabbrividì e si strinse ancora di più le ginocchia a sé.
    -  Eravamo un bel gruppetto- al solo ricordo, Yusei si abbandonò ad un sincero sorriso – Io, Jack Atlas, Crow Hogan e Kalin Kessler, il nostro leader. Bruno si aggiunse a noi tempo dopo, aiutandoci con una delle nostre moto ingolfate poco prima dell'inizio della nostra gara. “Tempo due minuti e ve la rimetto a posto”, ci disse, e fu di parola: la moto venne rimessa a posto a tempo record, permettendo a Crow di iniziare la corsa-
    -  Che tipo era? Questo Bruno, intendo- chiese Aki, curiosa.
    -  Un patito dei motori. Adorava mettere le mani dentro le moto, gli piaceva più di correre. Devo dirlo, non era esattamente un tale stinco di santo, ma in confronto a noialtri tre, lui era davvero una perla di ragazzo, sempre in grado di evitare le risse. Mentre noi...beh, ci siamo scornati parecchie volte. Penso tu abbia visto i miei segni-
    -  S-sì-
    -  Mh! Beh, lui era un pacifista, a confronto. Non gli interessava menare le mani, ciò che adorava più al mondo erano le moto e i motori-
    -  Aveva una moto?-
    -  Certo! Un chopper strapieno di borchie, cromature e il serbatoio aerografato. Rozzissimo, se l'era costruito lui pezzo dopo pezzo. Gli piaceva elaborare qualche special che faceva partire clandestinamente verso Nuova Domino; altre se le teneva per sé, le più belle. Aveva una sua collezione personale. Era...un tipo, davvero. Con qualche segretuccio di troppo, temo-
    -  Cosa intendi?-
Yusei si prese qualche attimo di pausa prima di rispondere, rimanendo ad osservare in silenzio il mare di fronte a loro.
    -  Spacciava- rispose poi – Non così spesso, ma lo faceva. Lo scoprii per puro caso, quando un team avversario decise di metterci i bastoni tra le ruote. Blackwings, così si chiamavano. Una massa di tipacci poco rispettosi delle regole e vogliosi solo di creare problemi. Io e i ragazzi del team abbiamo cercato in tutti i modi di tenerci lontani da loro, ma alla fine riuscirono a punzecchiarci. Jack fece a pugni con uno di loro e fu il perfetto aggancio, era da un bel po' che cercavano il pretesto per guastarci il sangue. Volarono minacce, botte, pugni, fuori i coltelli e, alla fine, fecero saltare fuori che Bruno teneva duemila yen di cocaina nelle borse laterali del suo chopper proprio durante una retata della sorveglianza-
    -  Du-duemila yen di...-
    -  In quel momento non so cosa mi passò per la testa. Sapevo solo che il nostro meccanico rischiava di finire in prigione ed era l'unico che conosceva a menadito ogni bullone delle nostre moto. E poi...non so che dirti, non volevo che se la prendessero con lui. Lui smerciava un po' di polvere bianca, ma noi tre avevamo fatto di molto peggio-
    -  Fammi indovinare: hai fatto ricadere la colpa su di te-
    -  ...Prima che arrivasse la sorveglianza, presi le dosi e le nascosi nel mio zaino-
    -  E ci cascarono in pieno?!-
    -  Se se la bevvero o mangiarono la foglia, questo non lo so. Ottennero però un abitante del Satellite da sbattere in cella e per loro andò bene così. È così che sono finito nella Struttura, ed è da qui che viene il mio marchio-

Aki annuì, leccandosi le labbra.
Il primo dei grandi misteri su Yusei era risolto.
    -  Rimasi sei mesi nella Struttura- riprese poi – E in sei mesi successe il finimondo. Il nostro team andò letteralmente distrutto. Bruno prese a correre al posto mio, per sostituirmi finché non fossi uscito dalla Struttura. L'intento era nobile, le cose andarono poi diversamente-
    -  Cosa successe?- domandò la rossa, incerta.
    -  Kalin morì durante una corsa. Lo fecero schiantare a piena velocità contro un muro. Della sua moto non rimase niente di riconoscibile, lui stesso era diventato dello spessore di una tavola da stiro con la forza dell'impatto. Bruno venne ritrovato nel pozzo di un cantiere qualche giorno dopo, precipitato insieme alla moto. Più morto che vivo e completamente fuori di senno. Finì i suoi giorni in un ospedale psichiatrico. Ad oggi nessuno sa cosa gli sia davvero successo-
    -  ...Jack e Crow?-
    -  Loro fecero la migliore scelta della loro vita, credo, la più sensata: mandarono al diavolo l'intero giro. Col Team Satisfaction smembrato, e solo loro due a rappresentarlo, decisero di perseguire l'obiettivo che era un po' quello di noi tutti: uscire dal Satellite. Si allearono con la sorveglianza. Fecero i nomi e cognomi di tutti, ottenendo la grazia e una fedina penale completamente pulita. Venne fatto un repulisti completo dell'intera Satellite prima che venisse costruito il ponte Daedalus. L'ultima notizia che ho, di loro, è il pagamento della mia cauzione, dopodiché sono spariti dalla mia vita, e io dalla loro. Ora gareggiano nei circuiti professionisti. E io...beh, lo sai cosa faccio, preparo cocktail in un lounge bar-
    -  Non...non li hai più cercati?-
    -  No-
    -  No?! E per quale motivo?-
    -  Perché la mia vecchia vita del Satellite è finita con la creazione del ponte. Il mio...il nostro sogno, era quello di lasciare quella dannata isola, un giorno o l'altro, di poter trovare la nostra strada fuori da quella gigantesca pattumiera galleggiante. E una volta che il ponte è stato completato, e il nostro team disgregato...non c'era più motivo di stare insieme-
    -  Pensi spesso a loro?-
    -  Più di quanto chiunque possa immaginare-

Aki sorrise e annuì.
Aveva visto giusto. Per quanto Yusei potesse atteggiarsi a fenomeno, a ragazzo forte e stoico e indipendente, viveva di ricordi e fantasmi del passato che non riusciva ad abbandonare completamente. Quelle persone di cui le aveva parlato...Jack, Crow, Bruno e Kalin...dovevano essere state davvero importanti per lui: parlarne addolciva il suo sguardo accigliato e scioglieva la tensione della mascella, rendendolo meno teso e più rilassato, più...vulnerabile, forse. Abbassata quella maschera che sembrava costituire parte della sua difesa, restava solo un sognatore, come tanti ne aveva prodotti il Satellite. Quegli stessi sognatori che uomini privi di scrupoli avevano relegato su un'isola, come una massa di ratti da scacciare dalle vie di una bella città.
L'idea che anche il nome Izayoi figurasse, tra quei meschini affaristi, le faceva ribollire il sangue.
-     Ecco qui- concluse Yusei, con un lieve sospiro – Ora sai tutto di me. Mi sembra strano di come tu non abbia subito riconosciuto il marchio della Struttura-
-    Non sapevo neanche cosa fosse- ammise lei, con un certo imbarazzo.
-    Capisco. Ti hanno tenuta al sicuro proprio da tutte le brutture del mondo, eh?-
Aki annuì, consapevole che qualsiasi cosa avesse detto non avrebbe mascherato la realtà. Seguì il fluido movimento di Yusei con gli occhi mentre questo si alzava in piedi, stiracchiandosi e pulendosi i pantaloni dalla sabbia. Poi indicò il suo vestito con un cenno della testa.
-    Mi dispiace- disse poi – Per il vestito-
-    Oh figurati, si sistema- rispose lei – Non sarà un po' di vento e sabbia a rovinarlo-
-    E mi dispiace...per quello che è successo con i tuoi-
-    Figurati. Anzi, forse dovrei ringraziarti, hai impedito che accadesse il peggio-
-    Non sono sicuro di questo-
-    Fidati di me-
-    ...Volevo fare un'entrata più ad effetto, ma ho pensato che sfondarti il cancello di casa con la moto non fosse esattamente la mossa più intelligente da fare...-
-    Hai pensato benissimo!-
La sua risata...era così bello sentirlo ridere, perché non lo faceva più spesso? 
Yusei le porse una mano, aiutandola a rialzarsi.
-    Vuoi passare a casa a cambiarti?- le domandò poi.
-    Perché? Dove vorresti portarmi?-
-    Che domande, al Pharaoh's Kingdom!-
Già, che domande. Aki sorrise, al pensiero di tornare in quella che ormai considerava la sua casa.


                              ****


La giornata si era conclusa in maniera del tutto imprevista. Nel bel mezzo della serata, Aki era stata contattata telefonicamente da suo padre: sembrava che l'uomo fosse piuttosto nervoso e volesse delle spiegazioni esaustive al gesto della figlia, che sosteneva l'avesse messo in imbarazzo di fronte alla sua intera famiglia. La chiamata era andata avanti per diversi minuti, e mano a mano Aki diventava sempre più nervosa: i balbettii aumentavano, un pessimo segno, e sembrava che suo padre non volesse sentire ragioni. Yusei era rimasto a osservarla per tutto il tempo, preparando i cocktail alla cieca, incerto se toglierle o meno il telefono dalle mani.
Alla fine, era stata proprio la rossa a mettere fine a quella sceneggiata: Yuya aveva detto che era “esplosa” ma Yusei aveva definito quell'aggettivo riduttivo, in quanto Aki aveva preso a sbraitare poco lontana dall'entrata della sala, facendo voltare metà dei clienti, attirati dalle urla inferocite di una giovane dai capelli rossi che gesticolava come i matti. Aveva chiuso la chiamata con tanta veemenza che per poco il telefono non le era scivolato dalle mani, era andata a risedersi al suo tavolo ed era scoppiata in un pianto dirotto.
Era la prima volta che Yusei la vedeva piangere, e non c'era cosa più brutta di vederla stravolta dalla tristezza e dal dolore. Era corso da lei come attirato da una calamita, lasciando che fosse Yuma a terminare quel Cosmopolitan in preparazione, le si era accovacciato di fronte e l'aveva costretta a guardarlo ed ascoltarlo.
Yusei non era mai stato troppo bravo con le parole, era decisamente più bravo a dimostrare quello che intendeva con i fatti; per cui non si era fatto scrupolo alcuno di stringerle le mani tra le sue ed esortarla ad ignorare tutti quanti, a seguire solo le sue aspirazioni e di fare affidamento su tutti loro in ogni momento. Il capobar era l'unico a conoscere tanti lati oscuri della famiglia di Aki, ma sentiva di poter parlare a nome di tutti i suoi colleghi.
Quando lei l'aveva stretto in quel forte abbraccio, più forte di quello con cui si era serrata a lui sulla moto, si era ripromesso di fare in modo di non farla piangere mai più.
Atem doveva aver assistito alla scena da lontano, perché si era poi fatto avanti e si era offerto di accompagnare Aki a casa: intuito che quella giornata, per lei, non era stata affatto facile, aveva suggerito che quello di cui la ragazza aveva bisogno fosse una bella dormita, del sano riposo. Aki aveva annuito.
Aveva salutato tutti ed era andata via seguendo Atem.
E Yusei non sapeva più cosa pensare.

Durante tutto il tragitto verso casa, non poté fare a meno di ripensare a quella giornata trascorsa e agli allucinanti esemplari della famiglia Izayoi. Persone di tutto rispetto, non c'era che dire: rispettabilissimi politicanti con le mani impastate in affaracci sporchi, fin troppo occupati a difendere le loro poltrone per comprendere qualsiasi sentimento umano. Come aveva fatto, la ragazza, a venire su in maniera totalmente diversa, era un bel mistero; eppure ne era mortalmente contento. Forse era un pensiero piuttosto egoista, ma gli piaceva pensare che Aki aveva da offrire solo il meglio del suo nome.
Era la prima volta che l'aveva vista piangere e non gli era affatto piaciuto. E non avrebbe permesso che sprofondasse nella tristezza una seconda volta.
Gli ci volle qualche minuto, e il completo giro della casa, per rendersi conto che Judai non era tornato.
Solitamente, quando tornava dalle sue serate, il castano lasciava un allucinante casino per tutto l'appartamento, spogliandosi in mezzo al corridoio e dimenticandosi il frigorifero aperto tre volte su quattro: tuttavia non c'erano indumenti sparsi stavolta, e il refrigeratore era perfettamente chiuso.
Ora che ci pensava, non aveva visto neanche la sua auto.
Yusei si passò una mano tra i capelli, sorpreso. Forse era uscito? Ma dove poteva andare, alle sei e un quarto del mattino? Forse a prendere qualcosa con cui fare colazione, lo faceva spesso quando Yusei lavorava...ma no, non avrebbe mai preso l'auto per andare alla cornetteria sotto casa. Dov'era finito? Sapeva che aveva programmato una serata con Alexis, possibile che non fosse ancora tornato?
La risposta gliela diede il telefono che gli squillò nella tasca interna della giacca. Yusei lo recuperò velocemente, rimanendo ad osservare soprappensiero il numero di Judai comparire sopra la sua faccia sorridente: fece scorrere il dito sullo schermo e portò il ricevitore all'orecchio.
-    Yusei!- sibilò il castano nella cornetta – Oh per fortuna sei sveglio! Pensavo fossi andato già a dormire!-
-    Jud? Dove diavolo sei?! Tutto a posto?- domandò il barman, sorpreso -Mi hai fatto preoccupare! Non ti vedevo da nessuna parte!-
-    Ah, eheh, non preoccuparti, è tutto a posto! Sono vivo e vegeto, sano come un pesce! Per ora-
-    Che sei vivo e vegeto lo sento, ma cosa vuol dire “per ora”? E perché sussurri?-
-    Nnnnon sono da solo-
-    Mi dici dove cazzo sei?! Mi sto innervosendo! Sono stanco, voglio andare a dormire! Se è davvero tutto a posto perché mi hai chiamato? Devo venire a prenderti? Ti si è fermata la macchina?-
-    Nonono, niente di tutto questo! Sussurro perché non sono solo!-
-    E questo l'avevo capito, razza di-- aspetta, con chi sei?-
-    Yusei...ti ricordi del discorso della scorsa settimana? Quello cominciato con Atem e Mana e le migliori amiche?-
-    ...A grandi linee. Judai, taglia corto ti prego, ho bisogno di dormire...- sbuffò il ragazzo, versandosi da bere del latte.
-    Ecco, chi era che diceva che uno non fa sesso con la sua migliore amica se la considera solo questo? Yuya?-
-    Yuya, sì, così mi pare. Ma perché—
-    Ecco, temo abbia ragione-
-    Ma CERTO che ha ragione! Se fai sesso con la tua migliore amica è perché non la vedi semplicemente come tale! Ci vedi qualcosa di più profondo in lei, magari provi attrazione per lei anche in un altro senso! Magari ti piacerebbe averla come compa—
-    ...Yusei?! Ci sei?-
Rimasto con la confezione di latte in mano mentre stava per rimetterla a posto nel frigorifero, Yusei fissò lo sguardo su una confezione di salamini scaduti.
Non aveva capito quello che pensava, vero?!
-    Judai, dove diavolo sei ora?!- gli domandò poi, chiudendo di scatto il frigorifero.
-    ...A casa di Alexis-
La risata gli risalì lentamente la gola, a piccoli singhiozzi, prima di scuoterlo dalla testa ai piedi e farlo cadere seduto sul pavimento. E sentire Judai che sibilava dall'altra parte della linea non aiutava a fermarlo.
-    Smettila dannazione, la svegli così! Ti potrebbe sentire!- soffiò Judai, costernato.
-    Ma...ma io...cosa...sul serio? TU?! E ALEXIS?!-
-    Ehi, è capitato, va bene?! Era un po' brilla quando l'ho riportata a casa e—
-    E te ne sei approfittato?! Judai, giuro che—
-    No, casomai è stata LEI che ha approfittato di me!-
-    ...nnnnon ho capito...-
-    Sì che hai capito, fenomeno! L'ho portata a casa, mi ha urlato addosso non mi ricordo che cosa, diceva di stare male e di sentire caldo e che cosa devo dirti, me la sono ritrovata nuda davanti! Sembrava l'apparizione di Venere quando nasce dalla cozza, cazzo!-
-    Venere non nasceva da una cozza...-
-    Sì, vabbé cos'era, una conchiglia?! Dannazione Yus, che diavolo faccio adesso?!-
-    E non chiamarmi così...! Cosa intendi?-
-    Se si sveglia e si accorge del nostro stato e si ricorda cosa abbiamo combinato, che ne sai di quello che potrebbe fare?!-
-    Judai...io spero tu stia scherzando-
-    Fottiti Yusei! Qui la faccenda è seria! Sono finito a letto con la mia migliore amica, e quel che è peggio è che lei vive ancora con suo fratello! Se Atticus viene a saperlo mi appiccica al muro con uno schiaffo, e voi dovrete cercarvi un altro chef!-
-    Quello potrebbe essere un problema, effettivamente...-
-    ...Oh CAZZO!-
-    Judai? Ehi, Jud?! Judai!-
La conversazione si chiuse di scatto, lasciando Yusei con il cellulare in mano, ad osservare il timer del telefono lampeggiare sullo schermo.
Pochi attimi dopo afferrò giacca e casco e si precipitò in garage, imprecando su Judai e sui discorsi a vanvera di Yuya.






Capitolo 11! Finalmente sono tornata!
Lo ammetto, sono decisamente in ritardo rispetto alla mia tabella di marcia. A dire il vero sonno in ritardo un po’ con tutto, ma sono stata molto impegnata con lo studio per gli esami di accesso universitari e ora sono ufficialmente studentessa di un ateneo padovano!
Capirete quindi che non ho avuto molto tempo da dedicare perfino a me stessa. Con il trasferimento da preparare, le dimissioni da lasciare a lavoro, il cambio di vita e la necessità di adattare le mie abitudini a nuovi ritmi…tutto questo mi ha tenuta lontana dalla tastiera per un po’, impedendomi perfino di pubblicare un aggiornamento pronto ormai da tanto tempo.
Spero che nessuno ne abbia a male!

Torniamo a noi!
Abbiamo in questo capitolo parecchia carne al fuoco…e un’idea più precisa di come sia realmente la famiglia di Aki. Ho qui seguito più o meno le “linee guida” dell’originale, che vedono l’alta società – in realtà tutta Nuova Domino, come una comunità fortemente influenza da ideologie distopiche al limite del razzismo, che disprezza gli abitanti del Satellite considerandola “feccia” di cui è necessario liberarsene. Anche qui ho voluto ripercorrere questa strada, anche se alla base di tutto questo ci sono altre motivazioni che verranno mano a mano scoperte.
Scopriamo qui anche qualche informazione sul passato di Yusei al Satellite! Team Satisfaction altro non è che la denominazione originale del gruppo di Esecutori, formato appunto da Yusei, Jack Atlas, Crow Hogan e Kalin Kessler. Come sappiamo tutti Bruno comparirà solo molto tempo dopo, ma mi piaceva l’idea di dar loro un “collega” esperto di moto al punto dal conoscere a menadito. Purtroppo non troveremo molto su di loro in questa storia, giusto nei ricordi del giovane Fudo, come un perenne memento della sua precedente vita.
Dopodiché, ho deciso di chiudere il capitolo con quella che a tutti gli effetti potrebbe essere considerata una “notizia bomba”: Judai e Alexis insieme?! E parliamo dello stesso Judai giusto? Quello che si batte fieramente il pugno al petto e urla “Io e Alexis siamo due perfetti migliori amici!”. Parliamo di lui vero?!
Parliamo proprio di lui. Sarà tutto chiaro nel prossimo capitolo! Intanto ditemi per favore se riscontrate problemi di impaginazione su questo: non disponendo di un PC vero e proprio ho ottimizzato il mio iPad come piattaforma per disegno e scrittura, ma sto ancora imparando tutti i trucchetti e qualcosa potrebbe essermi sfuggito.

Per qualsiasi domanda o dubbio io sono qui! Recensione, MP o qualsiasi altro modo vogliate usare per contattarmi, io ci sono!

Un abbraccio,
92Rosaspina.
   
 
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