FARI NELLA NOTTE
Di notte,
auto solitarie che arrancano
nelle salite
oscene
delle alte colline vicine.
Mi capita di chiedermi,
mentre osservo quei fari lontani,
cosa spinga la gente ad affrontare
così tortuose strade a quell’ora
tarda.
Mi perdo
in pensieri inutili,
nei miei viaggi mentali
che favoriti dal buio
pare funzionino così bene.
Così rimembro quel giorno a
Villafranca,
ove ho respirato il sole,
ove il sole mi ha sciolto
in un’eterna estate autunnale,
e ove ti ho visto per la prima volta.
Che occhi da schianto!
Sarà, sarà che le mie passioni
passeggere
si bruciano in mezz’ora;
sarà che io non riesco a essere
fedele
neanche a me stesso,
quando mi dico che devo smetterla.
Mi ricordo sempre un qualcuno
che mi narrava dei suoi amori
continui
e credo che non fossero mai
ricambiati.
Ricordo che non avrei mai voluto
che il nostro breve contatto si
interrompesse,
ma se non fosse stato così,
cosa me ne sarei fatto di te?
Io, che sono un gatto randagio
e vagabondo,
io, che sono solitario
e pure inetto alla vita.
È che in questo preciso istante
mi vieni in mente tu,
ma potrebbero venirmi in mente
anche le decine di altre fiamme
che nell’ultimo anno ho lasciato
ardere
per poi spegnerle con secchiate
d’acqua gelida;
sono un castello imprendibile,
io amo e non amo,
io sono un istante soave
che precede l’apice dell’uragano;
sono solo l’occhio del ciclone,
posso donare venti minuti di pace
solenne
e poi lascio che si scateni lo
scatafascio.
Però, negli ultimi due anni
sono stato preda del vortice delle
mie passioni,
sono vissuto grazie a loro,
sono sopravvissuto
anche quando mi sarei voluto fare del
male,
durante i momenti di sconforto.
Perché, mi ripeto, io sono la pace
momentanea
seguita da una lunga guerra;
io sono la breve passeggiata
prima di una brusca e dolorosa
caduta.
Sono caduto tante volte,
non avevo i parastinchi,
ne sono uscito con le ginocchia
sbucciate
e con le mani insanguinate,
anzi, una volta me ne sono pure
amputata una.
Mi sono rialzato solo perché amavo;
ho amato la vita, le mille fiamme che
mi offriva,
il fatto che non avessi regolarità,
il fatto che mi piacesse essere
veramente un randagio,
un senza patria,
o semplicemente un incapace che si
atteggia da profeta.
Ricordo l’orlo del precipizio,
ricordo
il sangue dai polsi,
dalla mia mano ormai a penzoloni,
ricordo che ho imbrattato i muri di
rosso vermiglio
che un giorno sono stato salvato in
extremis,
poiché era pure un festivo.
Ricordo, e gli spettri danzano
attorno a me;
ma ho un fuoco dentro che arde, è la
passione,
essi non possono lenirmi.
È la passione che mi tiene a galla,
anche quando ho quella voglia
perversa
di spegnermi
di lasciarmi andare.
E’ la passione che mi permette
di non sparire per sempre
di credere che un giorno
essa albeggerà nel medesimo modo
e in maniera condivisa e sincera
nel cuore di qualcun altro.
Che non sono solo,
anche gli altri soffrono.
E allora, quei fari sulle colline
possono acquistare un senso;
sono metafore della vita,
sono metafore dell’attaccamento
all’esistenza.
NOTA DELL’AUTORE
Beh… vi sorprenderà, ma tutto questo scritto è nato grazie al
fatto che, la sera e prima di andare a dormire, osservo per un po’ i rari fari
delle automobili che percorrono le colline poco distanti da me. Mi chiedo; a
quest’ora, cosa spingerà queste persone ad affrontare discese, boscaglia, il
buio? Le risposte possono essere molteplici, o semplicemente non ce ne sono. Io,
di sicuro, da solo non posso darmene nemmeno una.
Ecco, tutto è nato da qui ^^ grazie per aver letto.