Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Mordekai    12/10/2018    0 recensioni
''Il destino della Fiamma d’Ambra era incerto.''
Una nuova avventura per i nostri due giovani eroi di Huvendal ha inizio, ma il destino ha deciso di farli separare. Arilyn, dopo il breve incontro con suo padre, Bregoldir e Rhakros, si addormenta con il sorriso sulle labbra in quel regno ultraterreno. Essendo viva e non uno spettro, i suoi ricordi saranno molto confusi. Solo uno shock violento permetterà alla giovane Thandulircath di recuperare i ricordi, ma fino ad allora lei si ritroverà in un regno diverso dal solito, minacciato da oscuri presagi che impregnano d'odio, terrore e violenza la terra bronzea.
Genere: Angst, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La Creatrice si destò dal suo riposo millenario, sorridendo compiaciuta nel veder la Dea del Cosmo al suo cospetto. Eshreal si inginocchiò chiedendo il suo aiuto per evitare che una temibile minaccia distruggesse un pacifico regno e che tutte le sue creature venissero massacrate con brutalità. Maeris si avvicinò alla Dea del Cosmo mostrando tutta la sua luce incandescente, e i suoi sei occhi fatti di polvere di stelle che arsero come un primordiale fuoco. Mosse le braccia in avanti, restando tuttavia bloccata da catene che avvolgevano il corpo e le impedivano movimenti bruschi. Un ruggito cupo le fece vibrare, costringendo la Dea del Cosmo a liberarla dalla schiavitù. Le braccia, sottili e lunghe quasi come le zampe di un ragno si mossero rapide e strinsero in una salda presa la Dea, che rimase impassibile. La Creatrice poté alzarsi e mostrare tutta la sua grandezza di antica divinità, risvegliando finalmente galassie e stelle sopite.

‘’Ironico da parte tua presentarti qui. Io ti ho creato Eshreal e mi ringrazi con una prigionia millenaria? Insolente. Avrai il mio aiuto, ma ad una condizione.’’

La richiesta della divinità creatrice fu chiara alla Dea, che inizialmente titubò nel dare una risposta. Le braccia di Maeris iniziarono lentamente a brillare e diventare cocenti come il metallo in una forgia, stringendo di più la Dea.

‘’Qual è la tua condizione?’’- domandò con voce soffocata la donna. La divinità lasciò andare Eshreal da quella presa asfissiante e rispose, con voce intrisa di perfidia:
‘’Io mi occuperò questa sciagura con un potente esercito e lo farò intervenire quando sarà il momento, ma tu non dovrai ostacolarmi. Sono io ad aver creato tutto questo e io a decidere chi vive e chi muore. Il tuo ruolo sarà quello di benedire e vegliare coloro che entreranno in contatto con te, spiritualmente o fisicamente.’’

‘’Ma io non avrò alcun potere sul Cosmo in sé, destabilizzando il suo equilibri…’’

‘’Osi discutere con una divinità ancestrale Eshreal? Accetta questa condizione o godrò nel vedere tutti i popoli morire, nel vederli odiare una dea che li ha abbandonati!’’- replicò adirata la Creatrice, avvicinando il gargantuesco viso alla minuscola dea. Ira, perfidia, sadismo e altri emozioni turbinanti si manifestavano sul corpo di Maeris con getti di fuoco rovente, esplosioni di stelle e assordanti gorgoglii. La Creatrice mandò via la Dea, iniziando ad occuparsi dell’esercito. Prese una manciata di polvere astrale, di roccia di stelle cadenti, una lingua di fuoco di ogni sole e, infine, il calore derivante dal suo cuore: il Chaos.

Sulla terra, invece, il veleno nero generatosi dal terzo frammento d’Ambra continuava ad impregnare e ad espandersi tra le terre. Ovunque i Rovi Neri passassero, la natura si tramutava in una fetida palude. Le cortecce pietrificate venivano usate dall’esercito come scudi, mentre le armi erano ricavate dalle ossa delle loro vittime fuse a metallo e bronzo, ognuna di loro macchiata con del sangue raggrumato.

Nella loro dimora sotterranea, il Re delle Spine e i suoi figli gioivano delle continue vittorie.

Solo pochi regni resistevano ai loro assalti brutali, tra i quali i due regni gemelli: i Rovi Rossi e i Rovi Bianchi.

Il Re delle Spine osservava il tutto tramite gli occhi delle sue creature, nascoste nelle ombre delle foreste e si compiaceva della loro lenta avanzata verso gli altri due frammenti della Fiamma. Immaginava un unico regno dove solo i più forti sopravvivevano e i deboli schiacciati o usati come giocattoli per bestie feroci. Anche i loro figli potevano assaporarne il gusto, diventare ebbri di quel desiderio di sangue e conquista.

‘’Gioite figli miei. La Natura avrà la sua giusta vendetta.’’
Apocrifi del Recluso; Epoca delle Cinque Fiamme.
 
Draal In'llolus Gaeur. Regno dei Rovi Bianchi. Palazzo Reale. Notte.


Il ghigno di Gallart non accennò a svanire dal suo perfetto viso, il pallore che contrastava il rosso brillante dell’armatura e delle piccole fiamme che vi vorticavano. Si dissolse per poi ricomparire davanti il ragazzo, visibilmente sorpreso:

‘’Non è stato piacevole scoprire che tua madre, colei che ti ha abbandonato quando eri ancora un fanciullo, è ancora viva, non è così?’’

‘’Queste cose tu…Il mondo etereo dei defunti, ecco come.’’- constatò Darrien, ricordandosi che molti defunti avevano la capacità di comparire nei sogni altrui e, inoltre, ‘’vegliare’’ come se fossero guide. Gallart rise di gusto, confermando quanto detto dal ragazzo.

‘’Il mondo dei defunti. Un luogo dalla quale non posso più fuggire perché dovrei redimere me stesso, non comprendendo che io non ho alcun rimorso e ciò che ho fatto era dovere di un Re della Fiamma. Ho adempiuto all’avverarsi della profezia, ho ottenuto il potere tanto agognato fino a che non mi avete sconfitto. Sai perché sei qui? O perché ti ritrovi in un regno a te sconosciuto, troppo sfarzoso e che di puro ha solo il termine?’’- domandò Gallart, mentre la sabbia lentamente si tramutava in una violenta tempesta dorata. Sotto i suoi piedi comparve una terra brulla, con voragini ovunque e che si innalzava verso il cielo come un aculeo ondulato: sulla cima vi era una statua coperta di venature cremisi. La statua aveva una forma femminile familiare. Darrien si avvicinò e, non appena le sue dita sfiorarono la scultura, essa si tramutò in una accecante fiamma vivente che lo colpì con violenza al petto:

‘’Hai abbassato la guardia, inaspettato da parte tua.’’- disse Gallart, comparendo da quel fuoco luminoso e afferrando il collo del giovane per poi colpirlo allo stomaco con un pugno e lanciarlo contro il precipizio.

‘’Vorrei che tu fossi nuovamente vivo per poterti uccidere.’’- replicò il ragazzo, digrignando i denti e tenendosi lo stomaco dolorante.

‘’Stolto, sei stato il primo a vedere il mondo ultraterreno senza subire conseguenze per la tua psiche e ti ostini a negare che sei in quel regno per puro caso. Hai ucciso dei gladiatori in un gioco per le folle e potevi mandarli al tappeto con i tuoi poteri, ma no.’’

‘’Anche tu hai ucciso delle persone.’’- controbatté Darrien, sorridendo beffardo. In un batter di ciglio si ritrovò ad oscillare nel vuoto, con una mano che gli stringeva forte il collo e lentamente gli bruciava la pelle. Gli occhi di Gallart erano socchiusi e il sorriso distorto dalla malvagità ricomparve sul suo volto.

‘’Ascoltami, moccioso petulante. Essere arroganti, superiori e lasciarsi soggiogare dalla brama di morte non ti porterà a nulla. Non ti farà ritornare a casa in fretta. Io ho ucciso solo per avere il potere, non per intrattenere le folle. Sei convinto che quello che hai fatto sia per…sopravvivere? Mi domando ancora perché Arilyn ti abbia scelto.’’

‘’Arilyn? Dimmi che è ancora viva, ti prego.’’- disse Darrien, stringendo il braccio corazzato dell’uomo, tentando di liberarsi da quella stretta. Una scintilla e il ragazzo venne avvolto dalle fiamme, senza provare dolore.

‘’Ora mi supplichi, quanto sei ridicolo. Non ti dirò nulla, dovrai scoprirlo tu. E ora, vola piccolo falco.’’- e così Gallart lasciò cadere nel baratro oscuro il ragazzo, mentre il fuoco continuava a divorare la sua pelle. Una meteora in un cielo senza stelle. In preda alla rabbia, cercò di risvegliare il suo potere, inutilmente.
Si risvegliò nella sua stanza, con un denso e asfissiante calore che gli opprimeva il petto. Deglutì a fatica e cerco di riprendersi da quell’incubo tremendo.

‘’Oh Arilyn, ti prego. Ovunque tu sia, sii prudente.’’

Lynmes Alno. Regno dei Rovi Rossi. Passo di Akna. Estate. Prime luci dell’alba.

I primi raggi rosati del sole filtravano tra i rami di ailanto, d’ippocastano e larice, dipingendo le loro folte chiome di varie sfumature calde e pittoresche. Arilyn era seduta sotto uno di questi alberi, riposando leggermente nell’attesa che l’ultimo maestro giungesse nel luogo prestabilito: dal Concilio al Passo di Akna ci volevano circa trenta minuti di cammino seguendo la stradina recintata.

‘’Lohengrin, puoi sfruttare brevemente il tuo potere per vedere dove si trova Hemar? Mio marito è sempre in ritardo.’’

‘’Avrà avuto problemi con la spada. Ha detto che uno dei segmenti dell’elsa non si richiudeva e bisognava fare leva con il piede per rimetterla nella corretta posizione. Dammi un secondo e riferisco subito Magdelin.’’- rispose il cavaliere, mentre i suoi occhi iniziarono a brillare di un celeste opaco. Da un cespuglio lì vicino, una cornacchia con lo stesso fulgore negli occhi si librò in cielo e si mosse per la radura. Lohengrin sorriso, scrutando attraverso gli occhi del volatile l’armatura di Hemar, ma al posto della spada-frusta aveva una semplice ascia da guerra.

‘’Richiama il tuo potere Lohengrin, sono quasi arrivato.’’- urlò il maestro in lontananza, agitando con sconforto l’arma tra le mani. Magdelin si avvicinò all’uomo e lo baciò sulle labbra dolcemente, cercando di rincuorarlo. Hemar la strinse a sé e la baciò con passione, non rendendosi conto che Arilyn era sveglia e osservava tutto:

‘’Oh, perdonatemi immensamente per avervi fatto attendere. Ho dovuto lasciare la mia arma dal fabbro. Uno degli incastri della spada si è danneggiato e non si richiude bene, lasciando un millimetro di spazio vuoto.’’- disse, interrompendo quel bacio con un sorriso di imbarazzo; la giovane Thandulircath rassicurò con un gesto della mano, seppur sapeva che quei gesti così intimi le provocassero un vuoto inspiegabile. I tre culiars e la ragazza iniziarono il loro cammino sul sentiero recintato giungendo successivamente ad un bivio; al centro vi erano due picchetti ricoperti di muschio, uno indicante il luogo dove giovani cavalieri o scudieri venivano addestrati all’arte militare mentre l’altro era scritto in una lingua sconosciuta. Lohengrin ebbe un sussulto nel vedere quelle iscrizioni. Istintivamente raccolse dei ramoscelli e qualche foglia secca e le mischiò al muschio già presente, coprendo interamente la scritta:

‘’Sono anni che fai questo Havelok, perché vuoi nascondere quel luogo?’’- domandò Magdelin, scuotendo impercettibilmente la testa disapprovando quel gesto.

‘’Il Cimitero dei Senza Nome deve restare nascosto ad occhi indiscreti e ai curiosoni. Il volere di un defunto va rispettato se non vuole subirne le conseguenze.’’- rispose fermo l’uomo, sospirando. In silenzio, raggiungendo il gruppo recitò una preghiera per le anime di quel luogo. Mentre proseguivano per la mulattiera, Arilyn si incuriosì di alcuni monili appesi a dei rami e di alcuni resti di statue, quasi divorate dal muschio e dai licheni. Stava per chiederne l’origine e chi raffigurassero, prima che spuntassero dalla boscaglia due soldati che brandivano delle strane armi, simili a denti aguzzi adattati alla forma delle mani e degli avambracci. Indossavano semplici armature di cuoio leggere, con sopra delle spine incollate con della resina.

‘’E voi sareste?’’- domandò uno di loro, incuriosito e leggermente intimorito dalla loro presenza.
‘’Cavalieri del Regno dei Rovi Rossi. A giudicare dalle vostre armi, siete dei Ricognitori di Tupymt. Siete lontani dal vostro bosco.’’- rispose Magdelin, portando le mani sulle impugnature delle sue spade, pronta ad attaccare se necessario.

‘’Da qualche giorno alcune tombe del nostro cimitero sono state aperte e i defunti al loro interno sono scomparsi. Crediamo siano stati dei mjròs’kalag, Divoratori di morte. Li cerchiamo per ucciderli e riportare i nostri amati defunti nella loro terra natia. Il capitano ci ha assegnati di spingerci oltre i vostri confini se necessario. Alcune impronte portano in questo luogo e non possiamo allontanarci fino al completamento dell-‘’

‘’Divoratori di Morte?’’- domandò Arilyn, restando ad osservare cautamente i due soldati che brandivano quelle inusuali armi. Uno di loro si avvicinò corrugando la fronte, mentre quei denti aguzzi usati come caestus iniziarono ad ardere di un fuoco bluastro che vorticava dalla base fino ai rinforzi di metallo dell’osso.

‘’Stai in all’erta, giovane guerriera. È ostile.’’- esordì dopo un lungo sonno il suo Istinto. Il braccio del soldato si mosse con un tremore e cercò di colpire Arilyn al volto. Prontamente, una barriera di luce si materializzò e la ragazza contrattaccò prima con un montante, mise le mani sul terreno e le alzò nuovamente innalzando fango e trucioli di corteccia incendiati dall’intenso calore che sprigionava il suo potere. Istintivamente anche i tre cavalieri brandirono le loro armi, portandosi ai lati di Arilyn pronti a fronteggiare possibili rinforzi:

‘’Calmi, calmi! Il mio compagno di squadra si è lasciato…intimorire dalla presenza di una Thandulircath, l’ultima per giunta e ha reagito inconsciamente. Li considera un popolo di barbari e saccheggiatori, ma non è mai stato così. Menzogne di quartiere. Perdonatelo.’’- disse l’altro soldato, allargando le braccia e tentando di placare gli animi dei presenti.

‘’Dovreste…essere morti. Maledetti Thandulirca…’’- un fascio di luce trafisse la sua spalla da parte a parte, carbonizzando la pelle, causando urla di dolore; un tanfo di carne bruciata disgustò il soldato, mentre le urla attirarono altri cavalieri dal basso della collina, tra cui anche parte dei Legionari. Gli occhi di Arilyn brillavano come se fossero dei piccoli soli incastonati e il suo corpo si ricopriva di un accecante fulgore. Magdelin posò una mano sulla spalla della ragazza, strattonandola lievemente per farla rinsavire.

L’errore imperdonabile del soldato e la reazione della giovane Thandulircath diede vita ad un indesiderato spettacolo che attirò l’attenzione di tutti come insetti attratti dal dolce miele. La luce scomparve e le urla di dolore cessarono. Arilyn restò ad osservare con disprezzo quell’uomo di Tupymt prima di proferire parola:
‘’Sei solo uno stolto. Credi a delle ridicole baggianate narrate da persone inaffidabili. Il tuo gesto non resterà impunito soldato. Tu non sai nulla del mio popolo, o di me. Portalo via, prima che del sangue innocente venga sparso su questa selva smeraldina.’’

I Ricognitori se ne andarono in silenzio, terrorizzati da quell’evento e dalla ragazza; anche i tre maestri rimasero sbigottiti, ma continuarono il loro tragitto fino a giungere in un luogo al sicuro da occhi indiscreti. Magdelin condusse la sua allieva vicino un piccolo laghetto e discussero dell’evento, cercando di comprendere la ragione di quell’incontrollata rabbia.

‘’Inizio a sentirmi una estranea. Prima Derceia che infanga l’onore di mio padre e adesso un soldato cerca di uccidermi perché crede che il mio popolo sia barbaro e privo di scrupoli. Poche volte il mio animo è stato sopraffatto dall’ira, ma adesso non è più come prima. Soffro per aver perso tutto quello che avevo, ma dovrei essere felice perché sono stata salvata dal gelido abbraccio della Tenebra…Eppure non ci riesco…’’- disse Arilyn stringendo i pugni, cercando di placarsi. Magdelin le lanciò nuovamente la sua spada, convocò gli altri due maestri e si misero in posizione d’attacco.

‘’Brandisci la spada e colpisci. Se permetti all’odio e al rancore di sopraffare il tuo spirito, non troverai mai l’equilibrio che desideri. E adesso in guardia, soldato!’’- replicò con fermezza la donna, ma la Thandulircath rifiutò. Un colpo di frusta scaturitosi dalla spada di Magdelin colpì in pieno il corsetto di Arilyn, lacerandone parte.

‘’Reagisci, codarda.’’- incalzò Lamorak, portandosi alla sinistra della ragazza, imitato poi da Lohengrin che andò a destra. Arilyn, infastidita da quell’affronto, brandì l’arma e caricò un possente fendente che venne parato. Cercò di colpire con un gancio sinistro, ma venne bloccato anch’esso per poi esser scaraventata sull’erba. L’ascia di Lamorak piombò su di lei con un minaccioso luccichio, arrestandosi sulla barriera di luce generata da Arilyn:

‘’Non sono una codarda.’’- fu la risposta secca della ragazza, colpendo al ginocchio l’uomo, afferrandolo con i rovi viventi della spada e rompendo la guardia. Lohengrin giunse, dividendo i due con un fendente della spada-frusta. Minuscoli cumoli di terra impedirono l’avanzata della ragazza che fece affidamento sul potere e tramutò quei piccoli pezzi fangosi in sfere infuocate. Con un urlo rabbioso, scagliò il fango incendiario contro l’uomo. I rovi viventi strinsero Arilyn in una morsa serpentina, impedendole i movimenti: Magdelin aveva conficcato la spada in un albero, mentre la lama vivente bloccava la ragazza.

‘’Fai sgorgare fuori tutto l’odio che ti affligge.’’- disse Lohengrin usando la sua spada-frusta per alzare cumuli di fanghiglia che si riversarono come pioggia bruna sulla giovane. Gettò via la spada e, richiamando il suo accecante potere, ridusse in cenere i rovi e si scagliò su di lui usando parte della lama. Si tramutò in una nube di stelle dorate, abbaglianti e roventi e piombò su Lohengrin ma un qualcosa di luccicante andò ad arrestare l’avanzata della fatale polvere stellare. Un grosso tronco di legno ricoperto di metallo alla cui estremità era legata una rete si conficcò in un albero lì vicino, intrappolando la ragazza in quella prigione di corde.

‘’Scontro interessante, ma scialbo. La ragazza lascia scoperti molti punti vantaggiosi per l’avversario, come i fianchi e le gambe. Per quanto riguarda i Ricognitori non erano veri ricognitori, ma meri sciacalli. Il loro tanfo di aglio e carne secca è innegabile. Fatti fuori con un solo colpo.’’- disse il Legionario raucamente, con indosso un mantello marrone strappato in più punti. Al suo fianco vi era un altro uomo, anch’egli coperto da un mantello leggero aperto davanti che consentiva di mostrare gli indumenti di seta coperti da una pettorina di metallo.

‘’Placa il tuo egocentrismo Veldass, non siamo qui per elogi. Quindi, finalmente incontriamo la nuova arrivata di Lynmes Alno.’’- esordì lui, sistemandosi i lunghi capelli dietro le orecchie. Gli occhi, color ardesia, si posarono sulla prigioniera e andò da lei per liberarla. Arilyn bruciò le corde e si liberò, mentre la sua rabbia continuava a manifestarsi sotto forma di sprazzi scintillanti.

‘’Voi due Legionari perché siete qui? Non avete bisogno di allenarvi, siete già esperti nell’arte bellica.’’- esordì Lamorak, posando la sua ascia dietro la schiena.

‘’Proviamo solo antiche tecniche belliche che potrebbero tornarci utili contro i nostri vicini. Abbiamo subito ingenti perdite dovute agli arcieri e alla fanteria pesante. Si posizionano in un semi cerchio che va a restringersi e ci massacrano.’’- rispose Veldass, staccando il randello dalla corteccia distrutta dell’albero: un’arma così grossa e ricoperta di ferro doveva pesare moltissimo, tranne per lui. Gli sprazzi di luce dorata svanirono ed Arilyn tornò ad essere sé stessa. Si schiarì la voce e disse:

‘’Sfruttate la foresta, costruite trappole nel terreno, usate la natura a vostro vantaggio. Da come avete descritto il nemico, attua sempre con le stesse tattiche. Avanzare e accerchiamento. Inoltre, se nel sottobosco vi sono tronchi o cortecce pietrificate, si possono sfruttare come scudi e come arma offensiva.’’
Veldass e l’altro Legionario si scambiarono una rapida occhiata di sconcerto, mentre i tre culiars sorrisero a quella prevedibile risposta. L’uomo dai lunghi capelli e dalla pettorina di metallo scuro posò le mani sui fianchi e replicò:

‘’Io sono Elurek Ilkaeg, Gran Mastro dei Fuochi e Legionario dei Rovi Rossi. Oltre ad avere un potere impareggiabile, simile al fuoco che rischiara i nostri cieli, possiedi eccellenti doti strategiche in campo militare. Chi ti ha insegnato tale arte?’’- domandò, suscitando un grugnito di seccatura da parte di Veldass.

‘’Vorshan.’’- rispose Arilyn, mascherando la tristezza nel ricordare il padre ormai defunto. Il Legionario armato di randello metallico notò subito l’espressione della ragazza e, con la parte piatta dell’arma andò a toccare la spalla del compagno che continuava a complimentarsi con la ragazza, elogiando in modo stucchevole le sue abilità:

‘’Elurek, taci o ti strappo quella lingua. Andiamo, Iridia ci sta aspettando.’’

‘’Ma non ho finito di complimentarmi…’’- s’interruppe vedendo lo sguardo truce dell’uomo mentre sfiorava con le dita la parte arrotondata del randello. Entrambi i soldati si scusarono e corsero su per la piccola collina. Arilyn andò a sedersi vicino il laghetto, chiuse gli occhi e cercò di comprendere perché la sua anima fosse così irrequieta e irascibile, tanto da farle perdere il controllo sulle sue azioni. I suoi occhi color smeraldo vagavano dallo specchio d’acqua trasparente alla fitta vegetazione fino a posarsi su quello che sembrava uno spettro di un condottiero in una cupa armatura acuminata, dagli occhi gelidi e dal sorriso reprobo. Scosse la testa e andò via, lasciandosi i tre maestri alle spalle.

‘’Ha ancora molta strada da fare, vero?’’- domandò Lohengrin, preoccupato per la ragazza. Percepiva le sue emozioni contrastanti, il desiderio di spezzare quelle catene le impedivano di trovare quiete. L’angoscia la stava divorando.

‘’Non solo quello, caro Lohengrin. La nostra allieva deve prima estirpare quel caotico turbamento, piantare un nuovo germoglio e far crescere un nuovo fiore dentro di sé. La Dea del Cosmo l’ha condotta in questo regno perché noi troviamo sempre un perfetto equilibrio in qualsiasi cosa facciamo.’’- rispose Lamorak, cogliendo un giglio selvatico e donandolo alla sua amata Magdelin, che arrossì per quel gesto inaspettato.

‘’Da quando sei diventato un poeta?’’- chiese il cavaliere del Corvo, suscitando una piccola risata di entrambi.

‘’Non è poesia ciò che ha detto, ma semplici esperienze vissute. Raggiungiamola o si perderà e le Sette Sorelle non saranno contente.’’- replicò Magdelin, posando il giglio all’interno dell’armatura leggera e corsero su per la verdeggiante collina. La donna ebbe una strana sensazione, come se qualcuno avesse posato il suo sguardo crudele su di loro e si preparasse ad attaccarli con ferocia. Dai rami spiccarono il volo solo alcuni sparvieri in cerca del loro pasto e quella sensazione scomparve.
Arilyn proseguiva il suo cammino, seguendo le orme che avevano lasciato prima di giungere nella piccola valle per allenarsi; più avanzava, più un denso odore di zolfo e legno bruciato le impediva di respirare. Ai lati del sentiero notò nuovamente lo stesso spettro che le sorrideva:

‘’Ora sei in grado di manifestarti anche nel regno dei vivi?’’- gli domandò, ottenendo come risposta lo stesso diabolico ghigno.

‘’Rispondi Gallart, ti ho fatto una domanda.’’- ribadì la ragazza aspramente, desiderando di farlo svanire solo con la forza del pensiero.

‘’Non in forma corporea, non mi è concesso. Hai un aspetto cadaverico, giovane Thandulircath. Non apprezzi questo idilliaco regno? Sono tutti così gentili con te e stanno facendo il possibile per aiutarti…’’

‘’E io li ringrazio disinteressandomi e distaccandomi. Sei venuto solo per questo? Per provocarmi? Per constatare quanto io sia debole e incapace di reagire a questo fardello che mi affligge?’’- lo interruppe alzando gli occhi al cielo e allargando le braccia, esasperata.

‘’Sarò anche una vile carogna ai tuoi occhi, ma puoi ben comprendere che il potere che hai è diventato forte solo fronteggiando i tuoi problemi. Vuoi che ti consideri ancora ciarpame Arilyn o vuoi infrangere questo macigno che conduci sulle spalle come se tu fossi un dio costretto a sorreggere questo pianeta? Fai la tua scelta o sarò costretto a farti ragionare!’’- rispose con perfidia e svanì in una luminosa fiamma.

Estremo Ovest. Cittadella degli Abbandonati. Mattina.

Su l’unica torre che svettava al centro di una gremita piazza, una donna ammirava come i raggi del sole si facessero strada tra le feritoie e le merlature schermate. Queste ultime furono progettate da uno degli architetti del paese per impedire al sole estivo di rendere il marmo della torre accecante con i suoi riflessi. Muoveva la mano tra i fasci di luce, come se potesse toccarli e farli vibrare simili a corde di violino. Si tolse il cappuccio mostrando lunghi e splendenti capelli biondo ramato che incorniciavano un candido viso, solcato da un sorriso malinconico.

‘’Hai nostalgia di casa, mia cara Tyarjes?’’- domandò qualcuno alle sue spalle, nella penombra della stanza. La donna non si sorprese di quell’ospite e lo invitò ad uscire dalle fredde tenebre per riscaldarsi al sole estivo. Un uomo prestante in livrea verde acqua venne avvolto da quel torpore, mentre i suoi occhi ambrati sembravano gemme che risplendevano di luce propria. I corti capelli grigi pettinati all’indietro risaltavano un viso sensuale e temprato da anni di addestramento e lotte, facendo arrossire la donna che era rimasta lì senza proferire parola. Si ricompose non appena incrociarono gli sguardi:

'’Sì, ma ho scelto io di andarmene da Lynmes Alno e di stabilirmi qui. Sono cambiate molte cose in quel regno dalla mia dipartita. Quelle novecento novantadue anime non troveranno pace per essere state dimenticate dal vecchio concilio durante quella cruenta guerra. Tornammo solo in otto fino alla mia decisione.’’

‘’Decisione inamovibile e rispettabile, seppur mi chiedo come possano sette legionari e un centinaio di guerrieri a fronteggiare il regno gemello.’’- replicò lui, posando il suo arco e faretra vicino uno dei merli. Estrasse dal borsello che aveva sul fianco un piccolo fagotto che emanava ancora uno squisito odore. Sciolse il fiocco che teneva saldo il piccolo pezzo di seta e rivelò un bignè alla crema.

‘’Concediti questa piccola leccornia prima che ti parli di qualcosa di estremamente importante.’’- disse l’uomo porgendo il dolce nelle mani della donna, incuriosita dalle parole dell’arciere. Lo ringraziò donandogli un leggero bacio sulle labbra. Dopo aver degustato quel bignè, Tyarjes chiese cosa fosse l’importante messaggio. L’uomo alzò la testa, trasse un profondo respiro e disse, con non poca amarezza e preoccupazione:

‘’Da qualche giorno la natura è diversa. Alcuni alberi hanno la corteccia putrefatta, i rami sono spogli e pietrificati. Cervi, caprioli e facoceri scuoiati, sventrati e disossati sono stati trovati ammassati nel fiume qui vicino. Nessun animale è in grado di fare questo macabro scempio. Gli unici capaci di massacrare e sfigurare la natura sono…’’

‘’I Rovi Neri. Quindi le informazioni ottenute da alcuni messaggeri era concrete e non semplici supposizioni. Hai idee Fjolvar?’’- chiese la guardiana, anch’ella preoccupata dall’imminente ritorno di un popolo cruento. L’arciere respirò profondamente di nuovo e scosse la testa, incapace di trovare un piano strategico.

‘’Aspettare la decisione delle stelle e della Dea. Per ora ci limiteremo a guarire quella piaga che affligge il bosco all’esterno delle mura. O almeno ci proveremo. Ritorno alle mie mansioni, altrimenti il comandante Signuva mi seppellirà vivo.’’- disse Fiolvar, sistemandosi sulle spalle l’arco e la faretra. Prima di lasciare la torre, baciò con passione la sua amata Tyarjes e si congedò con un elegante inchino.

‘’Anche noi abbiamo percepito il malessere della foresta. Siamo preoccupati quanto te Tya.’’- esordì una voce femminile, molto rauca e quasi gutturale. Una figura alta, possente e dalla carnagione bluastra con indosso pelli di animali rinforzate da placche metalliche si palesò dall’ombra. Era Kithaa, la balestriera del lato sud della torre, una zadanri. La Guardiana della torre, iniziando a sistemare le frecce, rispose:

‘’Se l’Era Oscura dovesse tornare, interverremo. Siamo guerrieri instancabili e che hanno giurato sulla propria vita di perseverare, battersi fino a che il cuore e il corpo ce lo conceda.’’
Dall’interno della torre sopraggiunsero dei passi pesanti e frettolosi, accompagnati da un tintinnio metallico e scricchiolio legnoso. Un altro zadanri raggiunse le due donne, boccheggiando in cerca di ossigeno. Da un piccolo scompartimento posto sulla faretra che aveva al fianco estrasse una manciata di erbe dal colore indefinito; le masticò e poi inghiottì con un verso poco dignitoso.

‘’Non torneranno solo i Rovi Neri…I kyi Norvarde.’’- disse il balestriere dai capelli ramati, mentre si asciugava il sudore con un fazzoletto di seta che aveva nel colletto della camicia.

‘’Fratellino sei convinto di ciò che dici? Se dovessero realmente tornare, avremmo un vantaggio.’’- replicò Kithaa, stringendo le mani sulle sue spalle robuste e muscolose.

‘’Ho seguito due paia di orme nel sottobosco, giungendo fino ad un piccolo spazio vuoto. Lì vi erano un calderone, tre candele poste a formare un triangolo e una pergamena vuota. Sono sicurissimo o non mi chiamo Nyr’kyl.’’- rispose lo zadanri, sorridendo beffardo e ammiccando. Tyarjes, conoscendo parte della lingua dei due balestrieri, strabuzzò gli occhi incredula.

‘’Quindi…il Recluso e il Peccatore sono già stati qui. Che siano diretti a Lynmes Alno?’’- chiese lei al giovane balestriere.

‘’Peccatrice, ma mentiva sul proprio sesso per incutere maggior terrore e superstizione tra coloro che la incontravano. Una maschera, un incantesimo di camuffamento ed era facile trarre in inganno anche il più furbo.’’- disse ridacchiando Nyr’kyl, per poi congedarsi e dirigersi sulla cima della torre e iniziare il suo turno.
Il Recluso e la Peccatrice, secondo antichi scritti, furono i testimoni dell’efferata guerra tra divinità e i tre regni dei Rovi millenni or sono. Il Recluso, per non precipitare nella follia bellica, scelse questo epiteto e cercò luoghi dove imprigionarsi da solo, evitando di perdere il lume della ragione. La Peccatrice, invece, cercò di adempire all’irrefrenabile desiderio di possedere le cinque fiamme e avere un gargantuesco potere. La Fiamma d’Ambra, prima ancora di dividersi, le impedì di commettere tale sacrilegio ustionandole le mani per l’eternità. Si narra inoltre che siano alti quanto i Titani d’Onice e che conoscano lingue antiche e dimenticate ma solo il Recluso è in grado di parlarle con estrema facilità.

Nel mentre la Guardiana e i balestrieri della torre discutevano sul possibile ritorno di queste due figure, al centro della Cittadella dove si ergeva il palazzo dei governatori, un uomo dalla folta barba nera e dalla pelle rugosa era intento a leggere un manoscritto ingiallito mentre dei lamenti fastidiosi provenienti dalla stanza adiacente lo stavano irritando.

‘’Mi domando sempre perché un mezzosangue come lui possa ancora respirare. Forse questi mille anni finalmente sono terminati per lui...’’- disse il barbuto, andando nella direzione dei lamenti. Il corridoio, umidiccio e dagli odori sgradevoli, echeggiava di quella lagnosa cantilena; più si avvicinava, più i lamenti aumentavano d’intensità. Un energumeno dal volto coperto rimase fermo davanti la cella, visibilmente terrorizzato da quello che stava assistendo:

‘’Vòh? Vòh, per le stelle che cosa gli prende al nostro amico Hrelvul?’’

‘’Guarda con i tuoi occhi, Wozhemri.’’- rispose l’energumeno, indicando la cella con la punta della sua mannaia. Non appena l’uomo barbuto si trovò davanti la cella, notò disgustato la grande pozza di sangue, il prigioniero ricoperto di piaghe e che gli occhi erano neri come la pece.

‘’Hrelvul? Si può sapere cosa hai? Hai interrotto la mia lett…’’

‘’Le tue mere letture saranno un ricordo del passato. I Rovi Neri si sono risvegliati dal loro letargo. Il loro padre è prossimo a recuperare la vita. Dobbiamo…trovare subito il Recluso e la Peccatrice, o la Cittadella e i regni confinanti…bruceranno e nulla potrà estinguere le fiamme…’- rispose gemendo Hrelvul a loro.

Lynmes Alno. Regno dei Rovi Rossi. Estate, tarda mattina.

I quattro condottieri optarono per una sosta in una delle taverne del regno, frequentata dalla maggior parte dei soldati per i suoi pasti e bevande calde. Arilyn fu l’ultima ad entrare, con la mente offuscata dai pensieri opprimenti e dalla visione del Re della Prima Fiamma che la perseguitava. Fragranze e musiche si mescolavano con l’ambiente festoso, tra battute e risate fragorose. Gli occhi della giovane Thandulircath scrutarono, nel mezzo di quel trambusto allegro, un tavolo occupato da sette persone con indosso una armatura diversa da quelle dei culiars e degli altri soldati; riconobbe Elurek e Veldass che narravano concitati qualcosa, ma non riusciva bene a comprendere ciò che stavano dicendo.
Uno dei camerieri giunse subito con due vassoi, uno di bevande dal profumo intenso e dolce e uno con coppette e piatti che variavano di forma e composizione. Arilyn fu l’unica a scegliere un bicchiere di latte di riso e un piatto con fette di formaggio e miele, verdure con una particolare salsa di melograno e del pane. I tre maestri invece optarono per dello stufato in agrodolce. Nessuno dei quattro proferiva parola, soprattutto la Thandulircath che sembrava oppressa da qualcuno o qualcosa.

‘’Cosa ci fa una bellissima ragazza come te in questo posto con tre matusalemmi?’’- domandò un soldato, panciuto e che emanava un tanfo di sudore e vino. Tutti rimasero ammutoliti da quell’insulto, tranne Arilyn che continuava a mangiare il suo pasto. Con la punta dello stivale, l’uomo allontanò il tavolo dalla ragazza che strinse i pugni.

‘’Ti ho fatto una domanda e gradirei risposta!’’

‘Non rispondo ad un barbaro che odora di sterco. E gradirei mangiare senza essere disgustata dalla vista del tuo lardoso addome.’’- rispose lei, voltando la testa e serrando le labbra. Veldass trattenne a stento le risate, prima che Iridia lo folgorasse con lo sguardo; il Comandante dei Legionari sembrava incuriosita dalla scena e presagiva già uno scontro. Il soldato grassoccio, imbarazzato e disonorato per quell’affronto cercò di afferrare la spalla della ragazza: le punte della forchetta si conficcarono nella spalla, ed iniziarono a riscaldarsi emanando un pallido bagliore.

‘’Osa toccarmi e al posto delle mani ti ritroverai delle zampe di maiale, così tutti sapranno cosa sei realmente.’’- sentenziò la ragazza, ustionando letteralmente la pelle del grasso soldato che gemeva dal dolore. Estrasse la forchetta incandescente scansando l’uomo con un calcio al petto. In preda alla rabbia tentò nuovamente di reagire per colpire la ragazza, ma venne bloccato dal randello di ferro di Veldass:

‘’Basta così. Vattene.’’- disse intimidendolo con la parte tonda dell’arma, spingendolo lentamente verso l’uscita. Non appena andò via imprecando, la tensione svanì e le ballate ripresero; Veldass si complimentò con la ragazza e le rivelò di aver parlato di lei al suo comandante.

‘’Non è molto loquace come persona. Preferisce ascoltare e pianificare contromosse militari ed è molto introversa su molti…aspetti…’’- s’interruppe nel sentire una presa salda alla spalla. Il Comandante dei Legionari si palesò silenziosamente e con un sorriso che mal celava il suo disdegno disse all’uomo di lasciare che fosse lei a presentarsi come spettava ad un cavaliere.

‘’Finalmente incontro la ragazza che il mio amico Veldass ha descritto come audace e a sangue freddo. Iridia Dewdrop, figlia di Imryll la Curatrice Bianca. Tu sei Arilyn vero?’’

‘’Sì, lieta di…’’- il Comandante afferrò la ragazza per il polso e, sottovoce, replicò con un tetro luccichio negli occhi, quasi animalesco.

‘’Non so come il Concilio possa fidarsi di una Thandulircath venuta dal nulla, ma io sono restia ad accettarti nel nostro regno. Non potendoti esiliare avendo la protezione di mia madre e delle Sette Sorelle, ti consiglio di starci lontano. Soprattutto da me.’’

Arilyn rimase impassibile a quell’affronto, mentre il suo cuore batteva incessantemente nel suo petto. Lohengrin si avvicinò non appena il comandante fu abbastanza lontano da non poterli sentire e rivelò che Iridia non gradiva molto ospiti che provenivano da terre lontane, più volte delusa dal loro comportamento doppiogiochista.

‘’Ha chiuso il suo cuore ad ogni tipo di emozione, concentrandosi unicamente nel ruolo di comandante e stratega. Ad eccezione di Elurek, tutti loro hanno un passato burrascoso che li ha resi così…distaccati.’’- constatò amaramente il maestro, tornando a sedersi per finire quel che restava del suo stufato invitando la giovane Thandulircath a fare lo stesso. Una volta terminato il lauto pasto, Magdelin Richilde pagò per tutti e quattro con una moneta di platino:

‘’Non posso accettarla e francamente avete liberato la mia taverna da quel grassone fetido. Il pasto ve lo offre la casa.’’- rispose l’oste, riconsegnando la moneta nelle mani della donna e tornò alle sue mansioni. Quando uscirono dall’edificio, il fabbro della città attendeva impazientemente l’arrivo di qualcuno mentre tra le mani stringeva una scatola di legno; non appena Arilyn lo salutò, il fabbro consegnò l’oggetto sorridendo come un bambino davanti a dei succulenti dolciumi:

‘’Di solito non impiego tutto questo tempo per creare un capolavoro, ma la tua spada doveva essere speciale e mi sono preso una libertà artistica. Ho usato dell’elbaollite per il filo della lama e dell’elsa, mentre la lama in sé è un miscuglio di ossa, tiumene e argento gemello. Conoscendo anche le tecniche di combattimento con armi bianche di Huvendal, sul pomolo mi sono permesso di aggiungere una sorpresina.’’- disse l’uomo, lisciandosi i lunghi baffi con orgoglio. Arilyn sorrise e aprì la lunga scatola avvolta da corde di seta. Il colore della lama era simile alla primissima spada che brandì nella guerra del Grande Gelo, rossa scuro dovuta all’unione dell’argento gemello con il tiumene e la punta terminava in una sezione triangolare. Il sole illuminava il filo della spada e l’elsa che presentava dei leggeri incavi fatti su misura per le dita, ma ciò che sorprese maggiormente la ragazza fu un vambrace di metallo decorato con il simbolo del regno sulla parte superiore e, da esso, pendeva una lunga catena fusa sia sul pomolo che sull’uncino del vambrace.

‘’Meravigliosa. Ti ringrazio infinitamente Oghan. Non la definirei sorpresa, ma un grande miglioramento. Prima i soldati dovevano legarsi la catena sull’avambraccio e sul cinturone per evitare che perdessero la presa. Ti sarò riconoscente per la vita.’’- disse Arilyn, sorridendo e stringendogli la mano.

‘’Un consiglio da fabbro e vecchio soldato. Provala, ho portato anche una sagoma di legno per gli addestramenti.’’- rispose l’uomo, avvicinandosi ad una colonna di supporto della taverna e recuperando il bersaglio. Non appena fu pronta e il fabbro si mise in sicurezza, Arilyn concentrò il suo potere che si manifestò sulla lama avvolgendola completamente di luce dorata. Con un ampio movimento, eseguì un dritto tondo che sprigionò una mezza falce scintillante. La sagoma di legno venne investita dall’indomabile colpo, spaccandosi in due e incendiandosi.

‘’Sono sbalordito! Ho messo solo un pizzico di comorollo d’argento e la tua spada sembra comunicare con te senza altre stregonerie. Per tutti i minerali, mi sento esterrefatto e confuso. Prova adesso con l’ausilio della catena.’’- esordì quasi febbricitante Oghan, assistendo a quella scena. La giovane Thandulircath non se lo fece ripetere e con lo stesso movimento energico scagliò la spada contro la base della sagoma, conficcandosi con un rumore sordo. Afferrò saldamente la catena e la strattonò per riportarla a sé; la sagoma venne distrutta completamente dal colpo di rimando. Il fabbro era euforico e disse che sapeva perfettamente cosa fare:

‘’Dato che, in futuro, il nostro regno possa attuare incursioni in quello confinante voglio cimentarmi nella costruzione di possenti balliste che distruggano i loro bastioni con colpi a ripetizione. Dovrò fabbricare un sistema di recupero del dardo e di lancio e…’’

‘’Oghan, tu e le tue manie di grandezza. Sei uno dei migliori fabbri, ma creare armi d’assedio è faticoso e richiede molto tempo.’’- disse Lohengrin, sorridendo bonario. L’uomo, considerando quella frase una sfida per le sue doti si avvicinò a petto gonfio e replicò:

‘’Scommetto una moneta di platino che riuscirò a costruire l’arma per distruggere le difese dei Rovi Bianchi.’’

‘’Come credi. Accetto!’’- rispose il cavaliere, stringendogli la mano. Nel mentre i tre culiars parlavano tra loro, decidendo se fare o meno rapporto dell’idea di Oghan, la giovane Thandulircath notò un meccanismo nel vambrace, simile ad un disco: non appena lo azionò, uno scatto fece partire un piccolo fischio e la catena ritornò al suo posto con rapidità, combaciando con i solchi sul metallo.

‘’Non si è reso conto di averne già creato uno.’’- disse tra sé e sé Arilyn, sorridendo a quella prodigiosa invenzione. Recuperò anche il fodero dalla scatola di legno, così da poter proteggere la lama da urti e umidità. Magdelin annunciò che avrebbero dovuto fare rapporto al Concilio della bizzarra idea del fabbro, pur sapendo in cuor suo che nulla gli era impossibile. Nel mentre i quattro cavalieri si accingevano a raggiungere il palazzo, all’interno del salone dove il Frammento d’Ambra la Guardiana sentì uno strano terrore farsi largo nel suo cuore: anche il frammento sembra subirne gli effetti, sfumando su un rosso opaco. Sistemò i piccoli recipienti e intonò parole che solo lei ne conosceva il significato e ciò che vide la paralizzò. Le due donne incaricate di proteggerla notarono lo strano avvenimento e con cautela si avvicinarono:

‘’Che cosa le prende?’’- chiese Heloys, sfiorando la spalla della Guardiana. Aphrah, la sua compagna, aggrottò la fronte e strinse la propria arma tra le mani.

‘’La Guardiana è legata spiritualmente a questa reliquia, ogni instabilità o angoscianti ed imminenti eventi la rendono fragile tanto da provocarle terrore. E credo fermamente che uno di questi eventi sia prossimo. Guarda i recipienti. Hanno una sfumatura rossiccia e nera.’’

Heloys raccolse uno dei recipienti pieno d’acqua e annuì non appena notò il colore non più cristallino. La Guardiana del Frammento, d’un tratto, ansimando si coprì il volto con le mani e cadde in ginocchio. Le due donne, preoccupate per quel cambiamento così repentino, domandarono cosa avesse visto o percepito. La Fiamma d’Ambra tornò al suo splendido ed originale colore, ma Meryld tremava e piccole gocce di sudore le rigavano il collo, come se fosse rugiada mattutina.

‘’Sono…passati secoli dalla Guerra della Fiamma dei Tre Regni che ha visto il nostro regno e quello gemello scontrarsi in baraonde continue, mentre quello…quello…’’- non riusciva a pronunciare il terzo regno, il più violento e sanguinario.

‘’I Rovi Neri? Cosa c’entrano adesso con i nostri disguidi?’’

‘’Cara ed innocente Aphrah, i Rovi Neri non sono stati sconfitti! I tre principi sono vivi, ma senza il loro padre non possono attuare qualsiasi piano losco stiano preparando. Sono deboli e privi di una guida. Ma loro sono l’ultimo problema di cui preoccuparsi.’’- rispose la donna, alzandosi in piedi e pulendosi il vestito sporco di polvere.

‘’C’è altro? Per favore Meryld, diccelo.’’
‘’Due leggendarie entità sono ritornate dal loro oscuro antro. Il Recluso e la Peccatrice, i primissimi testimoni della creazione, del desiderio peccaminoso e della guerra sono qui. Il loro rientro è presagio di catastrofe, la terrà verrà bagnata con il sangue e cibata con i cadaveri. Né il nostro regno gemello né quello dei Rovi Neri dovranno trovarli. Se dovesse accadere, ogni creazione avrà fine.’’- replicò, con fermezza la donna. Daernith e le sue sorelle andavano informate al più presto e Heloys si affrettò a raggiungerle.

Draal In'llolus Gaeur. Regno dei Rovi Bianchi. Palazzo Reale. Estate, tardo pomeriggio.

Darrien era appoggiato al parapetto del balcone, osservando con occhi stanchi e nostalgici il continuo brulicare dei cittadini tra i vari mercatini, taverne e edifici dalle forme geometricamente contorte. Nonostante avesse chiesto ed ottenuto una divisa completamente nera, in cuor suo sapeva che il momento di tornare nel suo regno non era ancor giunto. Dalle sue mani si sprigionarono piccole serpi d’oscurità che iniziarono ad avvolgersi sul marmo del parapetto come a volerlo staccare e ridurre in briciole la pietra decorata.

‘’Qualcosa ti turba giovanotto?’’- domandò una voce cavernosa e che emetteva suoni simili a ringhi o latrati. Il ragazzo si ricordò della presenza di un altro Huerdakhal nel palazzo. Il ragazzo, voltandosi, notò il lungo pelo rossiccio della creatura che sfumava verso il bianco latte, la cicatrice che partiva dall’occhio sinistro per arrivare alla base del collo e la possente muscolatura. Impugnava una mannaia innastata simile a quella di Veasrik, solo che sull’asta vi era un segmento rivestito in metallo: un’altra lama nascosta.

‘’Tu dovresti essere il secondo guardiano del frammento. Da quanto sei qui a spiarmi?’’- chiese Darrien, facendo svanire il suo potere con un rapido movimento delle mani. La fiera aggrottò le sopracciglia e ridacchiò:

‘’Rispondere ad una domanda con un’altra domanda. Ero già qui, su questa splendida balconata a meditare e a contemplare le bellezze del nostro regno, restando perfettamente seduto. Tu perché sei qui ad affliggerti quando il sole splende e riscalda l’animo!?’’- constatò, alzandosi in piedi facendo leva sull’arma digrignando i denti per lo sforzo.

‘’Io non comprendo come si possa essere contenti di tanto sfarzo, pigrizia e mancato senso del dovere. Io non riesco a mantenere il controllo.’’

‘’Questo perché sei testardo e molto irascibile, nonché presuntuoso. Pensi che avere un grado militare ti renda superiore ma alla fine sei solo un semplice umano. E, inoltre, agisci così perché la Dea del Cosmo ti sta mettendo alla prova. Devi ritrovare il tuo equilibrio.’’- rispose la belva, avvicinandosi facendo peso sull’elsa dell’arma. Darrien notò il passo irregolare e claudicante.

‘’Ferita di guerra?’’- domandò, sorprendendosi di come il suo animo ardente si fosse spento di fronte a quella disabilità.

‘’Questa? Non è da considerare ferita di guerra, ma un atto di tradimento. Dopo una sanguinosa battaglia, uno dei miei commilitoni mi colpì al ginocchio con un quadrello. La punta penetrò fin dentro l’osso, ma il dolore era insopportabile per una semplice freccia. Notai con orrore la carne liquefarsi lentamente, distruggendo le ossa, muscoli e tendini. Adesso, grazie all’opera del Burattinaio posso camminare. Non come prima, ma ho il mio equilibrio.’’- rispose il mammifero, facendo battere il legno dell’arma contro la protesi producendo suoni metallici. Si udirono dei forti scoppi e colonne di fumo provenire dall’esterno delle mura ad est e una voce impartire ordini e richiami. Era una semplice esercitazione d’assedio, riconoscibile da una bandiera grigiastra che sventolava sulla cinta muraria: la creatura prese il cannocchiale dalla cinta e scrutò sulle mura il generale dell’esercito che gesticolava contro i suoi uomini.

‘’Batkiin, solito imperioso. Non comprende che i suoi uomini danno il massimo e cercano di migliorarsi sia in velocità che efficienza.’’
‘’Il vostro generale voleva discutere con me di arti belliche e strategie ma non mi sono presentato nel suo ufficio. Lo reputo incapace di impartire ordini o pianificare attacchi. Oh, ripensandoci non so chi tu sia.’’

‘’Flarsok, fratellastro di Veasrik. Come lui, anche io sono un guardiano della Sala del Secondo Frammento. Ti consiglio di andare dal Burattinaio, almeno vede di migliorarti la spada o darti qualche arma che non sia quel pezzo di ferro arrugginito. Lo trovi nella parte alta del castello, le lanterne ti guideranno.’’- rispose la belva, digrignando i denti come se stesse imitando un sorriso. Il ragazzo annuì e seguì le indicazioni date da Flarsok. Giunto nel corridoio principale constatò che una sola porta era costruita con assi di semplice legno e saldate con bulloni, cardini d’ottone e una lastra metallica orizzontale bloccava il tutto per impedire danni. Non vi erano maniglie o serrature, solo una lanterna posta poco sopra l’arco. Sorrise, rendendosi conto di quell’opera di depistaggio ben congeniata. Tirò il supporto della lanterna e successivamente una serie di scatti e rumori di ingranaggi fece azionare il meccanismo d’apertura. Polvere, ragnatele ed umidità erano il sipario di una pedana in ferro. Quando entrò, la porta si chiuse con un gran fracasso e altre piccole luci dalla tonalità bluastra si accesero sui bordi di quella che doveva essere un ascensore.

‘’Una semplice scala sarebbe stata l’ideale.’’- disse tra sé e sé Darrien, azionando la leva sulla pedana che iniziò a salire verso la cima. Il muro era solcato da crepe, muffa e altri liquidi dalla consistenza indefinita che ricoprivano anche quelli che dovevano essere decorazioni in foglia d’oro. L’ascensore terminò la sua corsa con un fischio assordante e, sul parapetto, vi era una figura di spalle immobile: avvicinandosi, il ragazzo scoprì con orrore e disgusto che quello era il cadavere del gladiatore alla quale aveva staccato la mandibola con il colpo d’ascia. Al posto di essa vi erano una scatola di legno e fili metallici collegati alla mascella che terminavano all’interno della pelle e si estendevano fino ai polsi del corpo. Incuriosito, abbassò lentamente l’apertura della scatolina rivelando così tre fecce che si muovevano a scatti avanti e indietro. Alzò il braccio e le frecce vennero scoccate con violenza contro la parete.

‘’Grottesco, però utile come trappola.’’- pensò, mentre seguiva le piccole torce che lo condussero in un ampio studio colmo di libri, congegni, mappe e progetti lasciati in balia della polvere. Gorgoglii e piccoli rintocchi di un orologio provenivano dal fondo, mentre una voce squillante e burbera inveiva contro qualcosa o qualcuno, agitando fiale e pezzi di acciaio. Quando Darrien, notando l’ambiente dalle luci soffuse e dall’infinita spazzatura nella quale riversava bussò leggermente sul legno di uno scaffale:

‘’Per amor del cielo e delle stelle Galeren, ti ho detto che le tue spade non possono essere migliorate! Smettila di infastidirmi…E tu chi sei?’’- chiese un uomo dalla lunga barba intrecciata, dalla testa calva e occhi protetti da una mascherina seduto su un grosso sgabello.

‘’Uno dei Guardiani del Frammento mi ha detto che sei in grado di migliorare o addirittura forgiare armi nuove. Sono Darrien, lieto di conoscerti…’’- rispose, incerto e continuando a fare smorfie di disappunto sul disordine caotico dello studio. L’uomo, sgusciando dalla penombra, si rivelò essere un nano di montagna. Sulle sue spalle spuntavano due arti meccanici mentre tra le mani stringeva arnesi da lavoro dalla forma bizzarra. Si tolse la mascherina rivelando due occhi marroni ed infossati:

‘’A giudicare dal tuo accento sei l’ultimo del popolo dei Varg e, constatando la scelta di un colore elitario per la tua divisa…Ti hanno trovato al porto e ti hanno costretto a partecipare a quell’insulso gioco del Re?’’- domandò, poggiando i pugni sui suoi fianchi e con un sorriso da volpe. Il ragazzo scosse la testa incredulo dalla fulminea descrizione quasi negativa della sua presenza. Il nano si pulì il naso con il pollice e ridacchiò, per poi pulirsi le mani sporche di grasso sul suo grembiule e andarsi a preparare un tè.

‘’Sì, mi hanno trovato al porto e fatto partecipare a quell’insulso torneo. Ne sono uscito vittorioso, ma non mi sento per nulla fiero delle mie azioni. Soprattutto nell’aver scoperto che mia madre è viva ed è la vostra regina.’’- rispose Darrien, osservando i vari progetti sporchi di grasso e altre sostanze dal colore indefinito.

‘’Come prego? Calithilbes è tua madre? Galeren mi ha mentito, quel maledetto mezzo elfo. Con la scusa di essersi innamorato di una donna di un paese qui vicino, mi ha fatto costruire monili argentati e altre cianfrusaglie solo per ingannare il mio occhio indagatore. Mi chiamo Dolmihir comunque.’’- replicò lui, sputando sulle assi di legno e gettando via gli attrezzi da lavoro. Tornò con due tazze di tè e biscotti al miele.

‘’Sei un nano di montagna dunque.’’- constatò Darrien, gradendo l’offerta di Dolmihir.

‘’E poi dicono che sono io quello che non sa complimentarsi con qualcuno. Io sono un esperto nano costruttore e scienziato dell’Ardolmiihir, landa di scavatori e fenomenali scienziati, nonché studiosi e architetti e ingegneri. Solo che io mi dedico anche all’Alchimia, anatomia e altro ancora.’’- rispose nuovamente il nano, muovendo un braccio che fece scattare in avanti l’arto metallico come una molla e successivamente fece lo stesso con l’altro. Darrien posò la tazza di tè con i biscotti e sfoderò la spada con un fastidioso sfregamento metallico tanto da infastidire e rabbrividire Dolmihir: non appena vide quella lama piena di scheggiature, ruggine e l’elsa che traballava imprecò e inveì contro il fabbro incompetente del regno.

‘’Per tutto il ferro di Broukk, che cos’è questo…scempio? Giuro sul mio paese che quel fabbro si ritroverà dei martelli al posto delle mani così si spacca la testa, maledetto incompetente.’’- disse furioso, mentre raccolse delle ampolle con un liquido rossiccio e verdognolo, accese un calderone e versò tutto al suo interno. Darrien, nel mentre, restò affascinato da alcune pergamene con bozze di progetti bellici o armi d’assedio e in particolare da uno ancora incompiuto: gli schizzi raffiguravano una ruota di legno con rivestimento metallico forato su entrambi i lati, una ballista dall’arco ricurvo verso l’esterno e nomi di alcune sostanze che sarebbero state inserito all’interno dei fori del rivestimento.

‘’Quel progetto che stai vedendo resterà incompiuto perché il mezzo elfo lo considera troppo impegnativo da maneggiare.’’

‘’Sai perché odia così tanto le sue origini? Quando era nelle loro prigioni, in uno stato di semi incoscienza, uno dei soldati lo ha chiamato Sylrach e per poco non veniva decapitato.’’- disse Darrien, continuando a studiare quel progetto. Il nano di montagna tornò indietro imprecando nuovamente e maledicendo chiunque non avesse senso artistico nel creare armi o altri oggetti.

‘’Perché odia le sue origini? Semplicemente perché il suo popolo lo ha considerato inadatto al regno e lo hanno esiliato senza batter ciglio. Con l’inganno lo hanno condotto in una zona dove i sentieri sono tutti uguali e si incrociano continuamente. Mi chiedo come abbia fatto a sopravvivere. Adesso però, sloggia che ho da sistemare delle cose e devo migliorare quel pezzo di ferraglia.’’- replicò Dolmihir, aprendo una botola a pochi passi da lui. Darrien, non volendo discutere con il burbero nano, si avvicinò alla botola ed osservò la presenza di uno scivolo:

‘’Dove conduce?’’- chiese lui, cercando di stimare una lunghezza possibile. D’un tratto il suo istinto lo costrinse a girarsi e ad usare il suo potere: un fascio serpeggiante d’oscurità paralizzò l’arto meccanico del nano che impallidì.

‘’Che intenzioni hai, nano? Uccidermi? Non ti sarà facile in queste condizioni.’’- affermò il ragazzo, irritato da quel comportamento ostile dell’uomo.
‘’Minacce senza valore di un moccioso arrogante. Preferisco lavorare senza impiastri. Ti consiglio di restare sdraiato durante la discesa, almeno eviti di romperti l’osso del collo. E ora, pussa via!’’

Darrien, ancora irritato, lasciò andare l’arto meccanico di Dolmihir e scivolò giù per la botola, seguendo il consiglio. Metallo, ottone e pietra furono le poche cosa che vide a causa della scarsa luminosità quasi magica che emanava quel cupo antro a spirale. Un intenso odore di cavallo ed escrementi attanagliarono il suo olfatto e si ritrovò presto in una delle stalle reali, finendo in un cumulo di paglia fresca che attutirono la sua corsa; uno degli scudieri reali si rese conto dell’inatteso ospite:

‘’Il nano Dolmihir è la causa del suo capitombolo, Signore?’’- chiese lo scudiero, cauto. Darrien rimosse gli aghi di paglia dalla sua divisa e si massaggio la schiena per caduta.

‘’Preferisce lavorare da solo e questo è il saluto di cortesia. Sai come si raggiungono gli alloggi da qui, giovane scudiero?’’- chiese lui. Lo scudiero annuì vigorosamente e gli fece strada.

Terre del Nord. Huvendal, tardo pomeriggio. Estate.

Un ragazzo in una livrea blu notte percorreva a passo svelto gli immensi corridoi e saloni senza emettere alcun suono, evitando incontri che lo avrebbero potuto ostacolare. Tra le mani stringeva una pergamena legata con un nastro sottile. Giunto alla porta dello studio, bussò un paio di volte prima di entrare:
‘’Sì? Prego, entra.’’- disse una voce stanca di un uomo, chinato su una grande scrivania intento a leggere e a trascrivere note da documenti ad altri. Il ragazzo, nuovamente senza emettere alcun suono posò la pergamena arrotolata sul mobile e attese una reazione.

‘’Prego ent…Per amor delle stelle Caeleno, non sono più giovane e certe bizzarrie possono causarmi qualche problema. E a giudicare dalla pergamena che hai messo qui sopra, si tratta di notizie importanti.’’

‘’Sì, Re Searlas. Mi perdoni se l’ho spaventata, ma essendo nato da una dea la capacità di non emettere alcun suono è ereditaria. La invito a leggere il documento.’’- rispose il ragazzo, sedendosi e aspettando un responso. Il Re sciolse il nastro e iniziò a leggerne il contenuto; aggrottò più volte la fronte incredulo in quello che il foglio riportava.

‘’Chi ti ha dato queste informazioni?’’

‘’Nessuno, se non le stelle. Grazie all’aiuto di uno dei Titani d’Onice, siamo tornati a Gaelia. Lì sono scomparsi Darrien ed Arilyn e, osservando come la sabbia e le rocce sono state deformate con violenza, sospettiamo sia stato il volere di una divinità superiore. Anche più potente della Dea del Cosmo e, dopo un breve incontro, mi ha riferito che entrambi sono finiti in due regni diversi ma che sono nella stessa terra d’origine. Non ha voluto riferire altro.’’- rispose Caeleno, quasi impassibile alla commozione del re. Qualcuno bussò all’uscio dello studio con forza, attirando l’attenzione dei due uomini:

‘’Perdonate l’intrusione ma ho altre informazioni da dirvi. Sappiamo come è stato distrutto il ponte che collegava le nostre terre all’Isola dei Re Esiliati.’’- disse un soldato dall’aspetto familiare, dovuto anche agli occhi ambrati e al tono pacato. Searlas lo riconobbe e si alzò dalla sua poltrona, andandogli incontro per stringergli vigorosamente la mano.

‘’Edan, che piacere rivederti qui ad Huvendal. Quindi eri tu l’esperto a cui accennavano i soldati?’’

‘’Esattamente, mio vecchio amico. Ad ogni modo, il ponte è stato distrutto non da un comune fuoco ma bensì oscuro e antico. Inoltre, con l’aiuto di un piccolo mercantile che passava di lì abbiamo raggiunto l’isola e abbiamo solo trovato sangue e brandelli di tessuti in tutte le abitazioni. Nessuna traccia dei Re esiliati.’’
Quella rivelazione fece riflettere a lungo Searlas, che si diresse ad uno dei suoi enormi scaffali e recuperò un grande tomo dalla copertina rigida. Sfogliò le varie pagine cercando, tra i diversi capitoli e illustrazioni, ciò che gli interessava. Una volta trovato, lo mostrò ai suoi due amici poggiando il tomo su un tavolino. Caeleno aggrottò le sopracciglia non comprendendo le scritture su quelle pagine che contenevano storie secolari:

‘’Quello che state leggendo entrambi è una pagina di un documento inizialmente andato perduto e, dopo una spedizione, ritrovato in un rudere abbandonato oltre le terre ad est, ed è scritto in una delle sette lingue dimenticate dalle popolazioni ovvero l’Iparhi.’’- disse Searlas, tornando a sedersi e mostrando vari disegni dai colori sbiaditi. Il figlio della dea Gaelia rimase affascinato da quella lingua e, incuriosito, chiese al Re cosa vi ci fosse scritto:

‘’Questa lingua, insieme alle altre sei, sono scritte e parlate da solo due entità nate millenni fa. Io, dopo innumerevoli fatiche, sono riuscito a tradurre solo una minuscola parte.’’- rispose, cercando la pagina tradotta. Non appena la trovò, lesse ad altra voce:

‘’Quando la putrefazione e la morte risorgeranno dalle viscere della terra, trasformeranno la foresta in un cimitero fetido, gli animali in creature deformi e sanguinarie, le acque diverranno paludi e tutti i popoli risorgeranno sotto una sola luce. Una nuova ed oscura natura.’’

‘’Quindi questa entità è un oracolo? A cosa si riferisce precisamente?’’- chiese Edan questa volta, perplesso dalle parole di quell’insolita profezia.

‘’Poche persone hanno avuto la fortuna di incontrare questa leggendaria figura, ma nessuno è mai riuscito a comprendere le sue parole e, a malincuore, nemmeno io comprendo a cosa si riferisca. Edan, sapresti dirmi se i tuoi uomini sono disposti ad intraprendere un altro viaggio in quel lugubre posto con me?’’- domandò Searlas, posando il libro.

‘’Sì, solo che il regno senza il suo pilastro portante è gravemente esposto a…’’- si interruppe l’uomo, notando il sorriso furbesco dell’amico e del ragazzo in livrea blu. Edan ridacchiò, sapendo di esser stato anticipato sui possibili consigli che avrebbe dato. Riprese a dire:

‘’Avevi previsto tutto. La tua compagna si occuperà del regno durante la tua breve assenza?’’

‘’Non solo, ci sarà anche Thessalia ad aiutarla e Caeleno si occuperà delle truppe e di stilare rapporti o liste di possibili contrattacchi se Huvendal dovesse essere nuovamente obiettivo di attacchi.’’

‘’Non bastava mia moglie nel battermi a scacchi, adesso anche voi due. Per tutte le stelle. Dirò ai miei uomini di prepararsi e, probabilmente, domani all’alba partiremo. Bisogna controllare lo stato delle navi, dato che al rientro il legno ha iniziato a incrinarsi e a marcire.’’- replicò l’uomo dagli occhi ambrati, prima di porgere un inchino e andare via. Anche Caeleno si congedò, dirigendosi nel suo studio per iniziare a riordinare tutti i documenti.
Searlas rimase da solo, nel suo ufficio ad osservare i raggi del sole giocare con i vetri colorati delle finestre, dipingendo onde variopinte sui muri.

‘’Huvendal cadrà. Il tuo popolo è spacciato e tu non potrai fare nulla per impedirlo.’’- sentì una malefica voce tuonare queste parole nella sua mente. Reminiscenze di uno scontro avvenuto più di due anni fa, nel castello. Quella voce diventava ogni giorno sempre più insistente e un fardello asfissiante di collera ed impotenza gli schiacciavano il petto. Le vene della fronte iniziarono a pulsare e a far male, come se una mano invisibile gliela stesse stritolando:

‘’Basta…Basta…’’- ripeteva quasi con un bisbigliò Searlas, inginocchiandosi per il dolore. Percepiva un tedioso senso di colpevolezza nel cuore, come se fosse lui la causa della scomparsa dei due ragazzi. Alcune lacrime iniziarono a rigargli le guance e cadde sulle ginocchia, indebolito. Una mano, leggera e calda, si posò sul suo viso placando la sua agonia: Sindar era lì, che sorrideva per rincuorare il compagno:

‘’Oh, mia amata Sindar, perdonami se mi mostro così debole ai tuoi occhi. Più il tempo passa, più sento l’abisso strisciare nel mio cuore e nutrirsi come un parassita.’’

‘’Mio amato, sai bene che Arilyn e Darrien sono due prodi e valorosi guerrieri che hanno affrontato peripezie indicibili. In cuor tuo e mio, sappiamo entrambi che sono al sicuro da qualche parte.’’- rispose la donna, carezzando il viso barbuto del suo Re. Searlas baciò dolcemente la mano e la strinse a sé, in un tenero abbraccio.

‘’L’unica peripezia che è quasi impossibile da affrontare è l’ignoto. Oh Sindar, mi mancano entrambi.’’
‘’Torneranno, confidiamo nelle loro abilità. Ora, mio splendido Re, vai a preparare ciò che serve per il viaggio. I tuoi uomini aspettano un fiero Re che non abbassa mai la testa.’’- replicò la Regina, porgendo un bacio sulle labbra. Quelle parole riaccesero la Fiamma della speranza in Searlas.

Lynmes Alno. Concilio delle Sette Sorelle. Notte. Estate.

Quando le Sette Sorelle vennero informate da Heloys, una palpabile angoscia si annidò in loro come un parassita. Solo la Sorella Maggiore non era terrorizzata dal ritorno del Recluso e della Peccatrice, pianificando nel suo mutismo uno stratagemma per condurli sotto la loro protezione. Le altre donne discutevano incalzando il pericolo che queste due figure nascondevano sotto i loro deformi sorrisi. Daernith, non riuscendo più nel formulare idee causato dal trambusto delle sorelle, esordì seccata:

‘’Silenzio! Questo caotico vociferare non aiuterà alla nostra causa. Siamo tutte preoccupate per il futuro del nostro regno e non possiamo prevedere quando saranno nei nostri confini. Il Recluso e la sua compagna non sono da sottovalutare…’’- si interruppe, sentendosi disorientata e con la vista offuscata. Una voce distante echeggiava nella sua mente, spettrale e profonda che comunicava con lei in una lingua arcaica e defunta. Le altre Sorelle notarono l’improvviso cambiamento e impallidirono all’udire di una coppia di passi avvicinarsi:

‘’Non sono da sottovalutare. Ironico, oserei dire. Avete difese eccellenti e guardie ben armate in tutto il perimetro…Eppure siamo riusciti a valicare l’ingresso.’’- esordì un uomo alto, mingherlino e vestito di un logoro abito grigio con vari ricami e cuciture di forme e colori diverse. Il volto scarno, con una barba ispida e occhi infossati si celava sotto un semplice cappuccio di pelle scura e un sogghigno furbesco che incuteva sdegno. Alle sue spalle comparve anche un’altra figura, dai lunghi capelli neri che le ricadevano sul viso anch’esso coperto da un mantello a girandola bordeaux, leggermente strappato sui polsi e all’altezza delle gambe.

Le Sette Sorelle rimasero immobili nei loro troni osservando con disprezzo quei due intrusi nel palazzo, soprattutto la Maggiore rimase disgustata dalla presenza della donna in rosso che aveva la pelle secca, ricoperta da piaghe e pustole sulle mani e parte del collo. Le Sorelle delle Corone, però, notarono un particolare sfuggito per lo stupore iniziale: emanavano entrambi un impercettibile fulgore biancastro.

‘’A giudicare dalle espressioni delle ultime due ragazze, hanno notato il bagliore di magia arcana che ci avvolge. Ma la vostra domanda sarà una sola. Perché siamo qui? Semplice. Diverremo nuovamente i testimoni di una nuova e sanguinosa guerra che verrà narrata ai posteri. Questo semmai dovessero essercene.’’- terminò prorompendo in una risata.

‘’La…la Fiamma d’Ambra sarà nostra e con essa il suo potere.’’- s’intromise la donna dal mantello rossiccio, massaggiandosi le mani nervosamente. L’uomo interruppe la sua risata e replicò contrariato:

‘’Taci, i tuoi desideri impuri non devono intromettersi con il fato, cara Peccatrice.’’

Daernith, la Sorella Maggiore del Concilio si alzò e discese i gradini di pietra lentamente, cercando di mantenere la calma e formulando una risposta. Mylgred, la terza sorella cercò di fermarla ma le venne impedito da Erthaor che si parò davanti e scosse la testa, negandole l’avanzata.

‘’Di che cosa parli Recluso?’’- domandò finalmente la Sorella Maggiore a testa alta.

‘’Oh, allora nessuna di voi si è dimenticato il mio nome. Mi sento davvero lusingato. Di cosa parlo? Parlo della guerra più violenta e storica avvenuta in questa terra smeraldina, dove il sangue si è mescolato al marciume immondo, al fetore venefico e alla morte. La Guerra…’’

‘’Dei Tre Rovi.’’- lo interruppe Daernith, serrando le labbra nel pronunciare quell’evento. Per il potere oscuro dei Rovi Neri, il germoglio dell’odio e dell’astio fiorì in tutti e tre i Regni, provocando una ecatombe che venne riportata sulle antiche pergamene e narrata attraverso di essa la storia delle fiamme, delle rivalità e degli eventi che segnarono la terra. Il Recluso, togliendosi il cappuccio, sorrise al loro sgomento e gonfiò il petto orgoglioso del suo compito. La Sorella Maggiore, però, volle essere certa delle parole di quel vile uomo e così domandò nuovamente:

‘’Recluso, stai dicendo che i Rovi Neri stanno tornando?’’

‘’Non sono mai andati via da queste terre. Si nascondono nelle viscere del sottosuolo, tra il fango e le ossa illuminati solo dal terzo frammento della Fiamma d’Ambra. In attesa.’’- rispose l’uomo, muovendo rapidamente le mani e creando una copia astratta della Fiamma d’Ambra divisa in tre frammenti: l’ultimo aveva assunto una tonalità rossastra, come se intrisa di sangue. La Peccatrice cercò di afferrare quel desiderio tanto bramato, ma svanì tra le sue dita.

‘’Quando attaccheranno?’’- chiese Largothel, la quarta sorella interrompendo il suo lungo silenzio. Il Recluso fece spallucce, prima che lui e la sua compagna venissero dal medesimo bagliore biancastro. Uno scoccare metallico attirò l’attenzione della Peccatrice e vide l’arrivo di un dardo dal fondo della sala: un semplice movimento delle dita e la freccia arrestò la sua pericolosa avanzata fluttuando a pochi centimetri da lei. Il Recluso, contemporaneamente con un movimento della mano, fece uscire dalle tenebre l’aggressore armato di balestra e lo scagliò contro il muro senza ferirlo.

‘’Moccioso pestifero, non avresti dovuto origliare questa conversazione. Nonostante i vostri difetti, siete comunque un popolo interessante e che suscita simpatia. Dobbiamo andare adesso, ma ci rivedremo presto. Cos’è l’oscurità se non la luce in agguato?’’- e con questa domanda enigmatica, le due entità svanirono lasciandosi alle spalle sconcerto e un dolorante Morkai. La Quinta Sorella discese dal suo trono e andò ad aiutare il ragazzo, leggermente confuso su ciò che era appena accaduto.

‘’Perché ti sei intromesso nella nostra discussione, messaggero?’’- chiese la Terza Sorella, alquanto irritata dal comportamento del ragazzo.

‘’Il dardo era intriso di una sostanza soporifera che li avrebbe addormentati entrambi. Non potevo sapere che fossero avvolti da un bagliore di essenza magica. Perdonatemi per l’offesa recatovi, Sorelle.’’- rispose Morkai, inchinandosi e gettando via la balestra danneggiata.

‘’Che un comportamento irresponsabile ed impulsivo come questo non avvenga mai più, mio caro Morkai. Sorelle, è tardi ormai. Discuteremo di questa faccenda domani mattina, andate adesso. Io resterò qui in preghiera e poi vi raggiungerò. Per cortesia.’’- esordì la Sorella Maggiore, placando il nervosismo delle altre e lasciando il messaggero ammutolito. Quando ognuna di loro si diresse nel proprio alloggio, un silenzio glaciale si impossesso della sala. Il giovane si mise davanti ai sette troni e s’inchinò:

‘’Se merito una punizione, non opporrò resistenza. Credo anche che i miei servigi non siano più richiesti, Vostra grazia.’’

‘’Silenzio Morkai. Per favore.’’- rispose quasi malinconica Daernith, avvicinandosi a lui con stanchezza nel corpo. Gli alzò il capo dolcemente e lesse nei suoi occhi paura e sorpresa.

‘’Mi perdoni. Ha perfettamente ragione nell’avermi definito irresponsabile.’’- disse il ragazzo, posando la mano su quella della donna tentennando. La Sorella Maggiore posò la fronte alla sua e una lacrima le rigò le guance:

‘’Ho temuto per la tua vita, Morkai. Il mio cuore non potrebbe sopportare una perdita così grande e desiderio fortemente che tu faccia attenzione. Ti chiedo solo questo.’’- rispose lei, carezzandogli il viso. Il ragazzo ebbe un sussulto, ma un piacevole torpore iniziò a propagarsi nel suo petto e si lasciò quasi cullare dalle braccia della donna che lo stringevano amorevolmente:

‘’Farò come richiesto.’’- furono le uniche parole del ragazzo, che si inchinò nuovamente e sorrise. Il primo sorriso della sua vita. Quando anch’egli lasciò la sala del trono, Daernith si lasciò cadere sul trono e restò ad osservare con occhi lucidi il soffitto. Le stelle splendevano e la luna posava i suoi raggi argentati all’interno della stanza, quasi a creare onde di luci bianche che contrastavano il colore delle pareti. Era un sublime spettacolo che, però, dovette distogliervi lo sguardo per potere richiedere l’aiuto della Dea del Cosmo.

Profondità. Terzo Frammento d’Ambra.

Una figura mascherata trasportava sulle sue spalle due corpi pallidi, rigidi e parzialmente decomposti lungo un corridoio umido. Alcune lanterne emanavano un soffuso bagliore che creavano terrificanti ombre sul volto mascherato del becchino:

’Anche la Morte va guadagnata. Non disperate, povere anime, per il vostro sacrificio verrete gratificate con un grande dono.’’- disse quasi cantando l’uomo, mentre trascinava i cadaveri al centro di un grande salone dove il Terzo Frammento d’Ambra vi dimorava: le radici nodose che sorreggevano il gigantesco artefatto erano putride, con viticci sulle estremità simili a gocce di sangue e una strana resina densa si faceva largo tra le venature dei fusti, luccicando ed imitando quasi un battito regolare. Una donna intenta a cospargere di polveri e erbe una tomba di marmo vuota si voltò, incuriosita dall’odore di morte che trovava semplicemente sublime ed estasiante:

‘’Questa essenza…Questa sublime essenza di morte e putrefazione. Cadaveri. Sono per me, caro Pheros?’’- chiese la ragazza, quasi muovendosi come un felino verso quei corpi mutilati. Restò affascinata dalla violenza inferta su uno di loro, privato della mandibola.

‘’Sì, Ignea. Sei l’unica in grado di fondere sangue e fuoco insieme, capaci di trasformare ciò che la morte può essere la perdita di qualcuno, la vittoria di altri. La nostra vittoria. Sono entrambi dei gladiatori, considerando la manifattura delle loro armature.’’- rispose Pheros, togliendosi la maschera e rivelando il suo volto nero pece e occhi rossi come rubini.

‘’Vorrà dire che per loro ci sarà qualcosa di unico. Soprattutto il gladiatore privato della mandibola.’’- replicò lei, con un sorriso maniacale e occhi febbricitanti che saettavano su ogni lato del corpo senza vita dell’uomo. Dalla tasca della sua divisa estrasse un lungo pugnale ed iniziò ad incidere diversi simboli sul torace, sulla fronte e sui polsi. Una volta fatto, chiese l’aiuto di suo fratello per poggiare il corpo nella tomba marmorea. Da uno scaffale prese una fiala piena di sangue, la rivolse al Frammento d’Ambra che emanò un intenso calore e, successivamente, versò il contenuto scarlatto sull’uomo.

‘’Il processo non è completo, manca qualcosa.’’- disse la donna, contrariata dall’elemento mancante. Pheros mosse le mani verso la bara e delle ombre di magia oscura avvolsero il cadavere. Suoni orripilanti di carne ed ossa che scricchiolavano, un gorgoglio cupo e atri rumori provennero dalla bara, fin quando il gladiatore risorse. I simboli incisi sulla pelle violacea brillavano come il Terzo Frammento d’Ambra, sfumando da un intenso rosso scarlatto ad un caldo arancione, mentre sottili e robusti rovi neri gli ricoprivano il torace e le braccia come se fosse una cotta di maglia naturale. Tornò ad avere una bocca, formata da un singolo pezzo di corteccia e sangue indurito. Quell’energumeno dagli occhi vendicativi si inchinò al cospetto dei suoi due nuovi padroni:

‘’Alzati. Qual è il tuo nome, gladiatore?’’- chiese Pheros, sedendosi vicino ad un tavolo. L’uomo, rinato dalle ombre e dalla morte rispose con voce sibilante:

‘’Sarüng, padrone.’’

‘’Da oggi il tuo nome sarà Mrithun, nato dalla Terra e dalla Morte. Segui i soldati, ti condurranno nelle catacombe dove gli altri tuoi fratelli d’arme ti attendono.’’- replicò Ignea, ammirando con entusiasmo la sua nuova opera d’arte. Il gladiatore eseguì gli ordini e si diresse verso le catacombe, permettendo così ad un altro uomo di poter entrare.

‘’Sei tornato dalla tua passeggiata, caro Terbius?’’- chiese l’uomo dagli occhi demoniaci. Un ammasso di rovi neri, dalle movenze simili a quelle di un ragno, sgusciarono dalla penombra portandosi al centro della stanza dove Ignea continuava a sorridere con pura follia negli occhi. In quella prigione vivente vi era intrappolato un soldato ferito gravemente.

‘’Diciamo che è stata una caccia proficua. Quest’uomo è uno dei soldati di Galeren, il Re dei Rovi Bianchi. Si aggirava tra i sentieri, ubriaco. Una preda facile e adatta per Ignea. E a giudicare dall’energumeno diretto alle catacombe, sarà un successo. Sorella, per cortesia gradiresti analizzare questo…verme orripilante?’’- chiese lui, togliendosi il cappuccio da testa e rimuovendo il tessuto insanguinato dalla bocca del soldato.

‘’Carne fresca e qualità del sangue…magnifico. Lui e l’altro cadavere potranno essere fusi e far parte della difesa del nostro esercito.’’- rispose lei, muovendosi leggiadra verso un altro scaffale dove recuperò una ciotolina d’argilla e la posizionò poco sotto la gola del soldato. Il contatto con il freddo metallo del pugnale di Ignea lo fecero sobbalzare e gemere dal dolore.

‘’Una ridicola pugnalata al fianco e guaiscono come cani. Patetici e deboli.’’- incalzò Pheros, osservando con disprezzo il soldato. Cercò di liberarsi, ma il demone oscuro usò le ombre per spezzargli i polsi.

‘’Che cosa…volete da me?’’- chiese il condottiero, in preda a spasmi agonizzanti. Lentamente le spine arcuate della trappola iniziarono a penetrargli nei polsi, risalendo come un parassita sotto la carne e il rumore del sangue che gocciolava mandò in estasi Ignea:

‘’Renderti un nostro alleato. Da quello che sembra, Galeren ti considera un comune soldato addetto alle prigioni sotterranee. Il tuo tradimento, però, varrà la pena di diventare un brutale avversario per loro e il tuo insulso Re capirà di averti sottovaluto. O meglio, averci sottovalutato.’’

‘’Giammai, vili esseri immon…’’- si interruppe quando i rovi iniziarono a muoversi con forza nella carne, risalendo dalle braccia arrivando al collo: il sangue sgorgava dalla bocca e dai piccoli fori lasciati dalle spine. Ignea recuperò subito quella linfa scarlatta e lo versò prima sul cadavere portato dal Pheros, poi tracciò un simbolo sulla fronte di entrambe le vittime. Recuperò, con la stessa ciotolina, da sotto il Frammento d’Ambra un liquido incandescente e denso. Non appena lo versò sulla salma, entrambi i corpi iniziarono a muoversi convulsamente e a sbriciolarsi fino a diventare un amalgama di plasma, tessuti, rovi e fuoco. La nuova creatura deforme si reggeva sulle sue quattro braccia muscolose simile ad un primate, anch’egli con le stesse caratteristiche del gladiatore fatta eccezione per i rovi acuminati che fuoriuscivano dalla sua gola squarciata e dai polsi. La pelle era squamata e spinata, per effetto dei rovi impregnati di magia oscura.

‘’Segui l’odore di morte, ti porterà nel tuo antro dove resterai fino a nuovo ordine. Adesso vai!’’- ordinò Terbius, richiamando la moltitudine di rovi e facendola scomparire tra le mura fangose. La bestia, con un grugnito roco se ne andò lasciando dietro di sé fluidi corporei e brandelli di carne tumefatta. Il Terzo Frammento d’Ambra assunse una sfumatura più scura, suscitando il sorriso dei tre fratelli che aspettavano pazientemente che il loro padre si risvegliasse dal suo letargo millenario.

‘’Le sorprese non sono finite qui, miei cari fratelli. Il Regno dei Rovi Bianchi vuole progettare un nuovo assedio a quello dei Rovi Rossi. A giudicare dalla violenza con cui i cadaveri che Pheros ha portato qui, l’ultimo dei Varg è una pedina fondamentale nel loro scopo, così come la Thandulircath. Li costringeremo a combattere fino allo sfinimento e daremo il colpo di grazia. Ma…’’- serrò le labbra Terbius, battendo le mani un paio di volte.

‘’Ma? Parla, caro Terbius. Qual è il problema?’’- chiese Ignea, attendendo una risposta rapida dal fratello. Il giovane attirò a sé un libro, lo aprì cercando ciò che gli interessava per poi gettarlo ai piedi dei due; sulle pagine vi erano raffigurate due persone e dei simboli sotto di essi. Su quelle pagine erano raffigurati il Recluso e la Peccatrice. L’uomo dagli occhi demoniaci spaccò in due il tavolo alle sue spalle con una lama d’energia oscura, mentre i suoi occhi risplendevano nella penombra.

’Sono ancora vivi?!’’- sibilò Pheros, mentre l’oscurità continuava a propagarsi dalle sue mani, riversandosi sulle mattonelle come catrame.

‘’Non sono mai morti. Si sono nascosti nell’abisso come noi. Per oltre tre millenni.’’- replicò Terbius.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Mordekai