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Autore: Angel_Strings    13/10/2018    4 recensioni
Due donne ma un solo segreto.
Due uomini ma una sola arma. 
Maledetti cuori
Maledetti destini
-//-
"Amore o solitudine?
Lui aveva scelto l’amore. Qualcosa per cui lottare e alimentare ogni giorno, aveva scelto la famiglia, che comportava il vivere non solo per se stesso, ma anche per il bene degli altri.
Io non avevo qualcuno per cui far battere il mio cuore, non avevo motivo di scegliere qualcosa che nessuno si era preso la briga di insegnarmi.
Non puoi fare del male se non conosci il bene. Privazione di privazione."
Genere: Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jeon Jeongguk/ Jungkook, Min Yoongi/ Suga
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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♠CHAPTER IV - MALEDETTO SUGGERIMENTO
 

All'improvviso mi ritrovai in una stanza dall'aspetto familiare.
Pareti rosa corallo, tende bianche in tulle, due lettini in ferro battuto e quadri appesi ovunque ritraenti volti fin troppo inquietanti.
Tutte menzogne.
D’un tratto, quei visi così schifosamente felici iniziarono a fissarmi e a seguirmi con lo sguardo ovunque mi muovessi.
Un velo di sudore freddo mi ricoprì la fronte.
 
 
Sbarrai gli occhi di soprassalto, ritrovandomi a fissare il soffitto bianco della mia camera da letto.
«Cristo, che razza di sogno.» Biascicai nel tentativo di strapparmi dalla morsa umidiccia del mio piumone.
 
''Evidentemente non è ancora arrivata la stagione del piumone, Hei-Ran'' Avrebbe ironicamente canzonato mia sorella.
Si dà il caso, però, che io sia una persona molto freddolosa e che il piumone era in quelle condizioni esclusivamente a causa del mio incubo.
Scossi la testa.
Perché dovevo iniziare ad essere acida come un limone, così, di prima mattina, a causa -tra l'altro- di un discorso puramente fittizio?
Le mie labbra si trasformarono in un sorriso sardonico. In fondo quella era una delle parti che preferivo di me. 
Mi alzai dal letto con una morte addosso che avrebbe fatto invidia a chiunque, lanciando di sfuggita un'occhiata alla sveglia.
8:02.
Mi ero guadagnata ben sette ore di sonno. Assolutamente perfetto. Dirigendomi verso la cucina, notai che non c'era assolutamente alcun rumore, il che era alquanto strano data l'inclinazione di Ha-Nun ad essere, oltre che mattiniera, anche estremamente produttiva appena sveglia. 
Decisi quindi di fare ciò che lei faceva per me quasi tutti i giorni: una bella colazione.
Preparai il caffè, iniziai a mischiare malamente uova, latte e farina con la speranza di creare qualcosa simile a dei pancake, e aspettai.
Una volta pronto il tutto e apparecchiata la tavola mi diressi in fondo al corridoio dove era situata la sua camera, e bussai.
«Ho preparato la colazione. Svegliati, così potrai dirmi quanto fa schifo.» Urlai attraverso la porta.
Attesi qualche istante senza ricevere una risposta, e la cosa mi indispettì alquanto. Ha-Nun aveva il sonno davvero leggero e, di primo impatto, pensai fosse successo qualcosa, motivo per il quale entrai nella stanza.
Oltre al letto disfatto, però, non c'era nessuno. 
Sentii il mio cuore precipitare fino allo stomaco mentre il mio cervello era già occupato a ragionare con sollecitudine. 
 
Trasalendo, inorridii quando qualcuno mi afferrò la spalla per girarmi.
 
Mi preparai a caricare un pugno, quando i miei occhi misero a fuoco lunghi capelli neri che potevano appartenere solo ad una persona: Ha-Nun.
«Si può sapere dove cazzo eri?» Sbottai infuriata, fulminandola con lo sguardo.
«Prima di tutto buongiorno anche a te. In secondo luogo, ero uscita a fare una passeggiata per schiarirmi le idee. Dobbiamo parlare.» Mi lanciò un'occhiata carica di apprensione ma anche di intesa. 
«Cos'è questo odore, ehm, poco gradevole?» Aggiunse poi, guardandosi attorno.
Abbassai lo sguardo. «Ho provato a fare i pancake.» Sussurrai triste.
Il sorriso che fece subito dopo la mia affermazione mi scaldò il cuore.
«La colazione l'avevo preparata e ti aspettava sotto al coperchio che c’è sul tavolo, Hei-Ran.» Ridacchio lei.
Una volta mangiata -ovviamente la sua, di colazione- ci accomodammo sul dondolo della nostra piccola veranda. Alle nove del mattino di un mercoledì di ottobre la brezza mattutina faceva piacevolmente rabbrividire, ed entrambe prendemmo una grande boccata d'aria. 
Una boccata d’aria che forse poteva essere paragonata ad una lunghissima pausa dal mondo.
«Pensavo alle nostre indagini su quanto successo a mamma e papà. Mi sembra che non stiamo andando da nessuna parte, e non va bene.» Disse, lo sguardo pieno di rammarico.
«Dovremmo chiedere aiuto alla B.T.S. Non,» iniziai la nuova frase alzando la voce per sovrappormi al suo tentativo di interrompere il discorso sul nascere, «pensare male. Non intendo quello che credi, non possiamo tornare a lavorare lì. Quello che intendo è che lì dentro abbiamo persone fedeli di cui possiamo fidarci senza il minimo timore, e lo sai. Potremmo in qualche modo… sfruttare questa cosa. Ricordati che quando abbiamo deciso di andarcene sono stati proprio loro a dircelo.» Conclusi. 
 
Attese un momento prima di rispondere. Probabilmente ci stava riflettendo con attenzione pur sapendo che non avevo torto.
Quella mattina riuscii ad ottenere una piccola vittoria, poiché, ponderando attentamente le sue parole, disse: «Concordo. Ma ricorreremo al loro aiuto solo se sarà strettamente necessario.»
A quel punto non potei che accettare di buon grado la sua condizione.
 
La giornata proseguì al solito modo: ricerche, pranzo, ricerche.
Una routine a cui ormai davo poca importanza, nella speranza che, prima o poi, avrei concluso la faccenda. In quell’istante eravamo del tutto immerse dai documenti, sedute rispettivamente sui comodi divani bianchi del nostro soggiorno a sfogliare vecchi registri dei nostri genitori. 
 
Ero così assorta da tutte quelle parole incomprensibili e statistiche impossibili da decifrare che nemmeno mi accorsi di avere tra le mani una vecchia foto. Eravamo io e Ha-Nun, a cinque o sei anni. Indossavamo due completini identici ma di colori diversi, uno rosa e uno viola, e i nostri capelli erano legati in due codini bassi. Entrambi i nostri visi mostravano un timido ed innocente sorriso che lasciava intravedere una fila di minuscoli dentini accompagnati da altrettante minuscole fossette sulle guance.
 
Da quanto tempo non vedevo quelle fossette.
 
«Che succede?» Chiese Ha-Nun dopo aver sicuramente notando la tristezza che mi trapelava dagli occhi. 
Le feci un cenno con la testa per farla avvicinare, lei si inginocchiò ai piedi del divano e posò gli occhi sull'immagine che stringevo tra le mani. Entrambe rimanemmo ferme in un silenzio carico di parole mentre osservavamo quel ricordo.

In quel momento le nostre mani si sfiorarono vagamente.

Era tutto così perfetto. Eravamo così perfette. Così pure.
Quel momento intimo, però, fu presto spezzato. Distrutto, totalmente annullato da un suono molto insolito nella nostra dimora: lo squillo del telefono. Ci guardammo attonite per un attimo, i nostri sguardi incrociati erano carichi di preoccupazione.
Decisi di prendere in mano le redini della situazione e di rispondere.
«Pronto?»
«Salve, parlo con le sorelle Yun?» Era la voce di un maschio quella che sentii in quella telefonata. Data la cadenza delle sue parole e il suo tono di voce, doveva anche essere parecchio nervoso e di fretta. 
«Chi lo vuole sapere?» Controbattei freddamente.
«Sono il CEO Kim Min-Jun.» Si affrettò a rispondere.
«Credo proprio di avere bisogno dei vostri servizi. Siete raccomandate da molte persone per bene, a quanto pare.» Spiegò, calcando sul ''per bene'' come per fare intendere tutt'altro, e sicuramente aveva ragione.
«Di cosa si tratta?» Lo incalzai, per ricevere in risposta un due di picche con uno schietto “Non ora, non al telefono. Vi ricontatterò presto”
Poi il nulla.
 
Conclusa quell’assurda chiamata, risposi velocemente allo sguardo carico di domande di mia sorella. 
 
«Perfetto.» Disse, fin troppo serena. 
Sollevai velocemente gli occhi da terra e le puntai addosso il mio sguardo da ''ma sei pazza o cosa?'' a cui lei subito rispose.
«Pensaci, è proprio ciò che ci vuole. Innanzitutto perché ci stiamo arrugginendo, inoltre ci serve una copertura mentre indaghiamo per i fatti nostri. Calza proprio a pennello! E poi, ti ricordo che nessuno dei nostri ex superiori sa il vero motivo del nostro licenziamento. Cosa penseranno se non sentiranno parlare di noi?» Dannazione, quella donna era fin troppo convincente.
Mi lasciai andare ad un sonoro lamento e con la coda dell'occhio la vidi sorridere.
Come potevamo vivere così? 



N.D.A

Buongiorno a tutti! 
Un nuovo sabato, un nuovo capitolo.
Anche qui sarà presto chiaro cosa succederà e, soprattutto, chi riguarderà. Eheh. 
Devo dire che noi parliamo di questa storia ormai da mesi e sinceramente ne siamo molto contente. Spero lo siate anche voi e, mi raccomando, non esitate a farci sapere qualsiasi cosa, critiche comprese, purché costruttive, ovviamente. 
Spero vivamente che la storia vi piaccia, prossimo appuntamento next week! Stay tuned.
F. 

 
  
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